Pisa per qualche tempo era diventata un punto di riferimento per il rispetto
di alcuni diritti fondamentali che aveva dimostrato nei confronti delle comunità
Rom. Ha disgraziatamente invertito la rotta e sta commettendo l'errore
vergognoso della Giunta Capitelli: dare soldi ai capifamiglia per andarsene.
Hanno fatto così anche a Pavia, tra il 31 agosto e il 3 settembre 2007. Molti
apparentemente avevano accettato: caricati su pullmini erano stati lasciati
nell'hinterland milanese. Sono tornati quasi tutti. Solo la cecità poteva
non avvedersi che per indigenti totali una cifra tra i 150 euro e 300 poteva
essere allettante lì per lì, ma non poteva essere risolutiva di alcun destino.
Come si può pagare un cittadino europeo per andarsene da un paese europeo? Com'è
possibile che di fronte alle comunità Rom anche le aree del paese più avvedute
rispetto ai diritti di cittadinanza sbrachino a tal punto da non saper prevedere
alcun sbocco politico alla convivenza? In alcuni dei comuni consorziati per la
"buona uscita" ai Rom ci ho vissuto e a lungo. Mi sono portata con me ricordi
struggenti di umanità e accoglienza. Che tristezza.
Irene Campari
L’iniziativa di un consorzio di nove comuni dell’area, tra cui il capoluogo.
Tra qualche giorno parte il primo pullman Cinquecento-mille euro per l’impegno a non tornare. «Niente furbi, scegliamo
persone affidabili»
PISA - Il rimpatrio con buonuscita è già stato accettato dai primi dodici
rom, quattro famiglie in tutto. Tra qualche giorno saliranno su un pullman
per raggiungere i luoghi di origine, in Romania. Viaggio spesato e bonus in
denaro: dai cinquecento ai mille euro a nucleo familiare da erogare solo a
destinazione raggiunta. Soldi pubblici, messi a disposizione dalla Società della
salute, un consorzio di nove comuni (tra i quali Pisa, Cascina, San Giuliano
Terme, Vecchiano, Calci, Fauglia) dell’area pisana e l’Asl. L’accordo, con tanto
di firme e controfirme, prevede il consenziente allontanamento dei rom, e in un
imminente futuro sarà esteso anche ai cittadini extracomunitari, sempre che
siano d’accordo. E che impegna, chi accetta «a non rientrare in Italia almeno
per un anno» e a rinunciare ad «accamparsi o a erigere baracche in zona in
luoghi pubblici o privati che non siano destinati allo scopo».
Clausole che però hanno provocato in città polemiche e ironia. I rom sono quasi
tutti cittadini romeni, dunque comunitari e come membri dell’Ue hanno il
diritto di entrare in qualsiasi Paese membro senza restrizioni. Anche se sono
stati pagati con assegno per non tornare un anno intero. «Il rimpatrio
consenziente è un’idea che ci è venuta durante un monitoraggio dei campi abusivi
- spiega Maria Paola Ciccone, assessore alle politiche sociali del comune di
Pisa e da lunedì nuovo presidente della Società della salute -. Sono stati
alcuni rom a chiederci di aiutarli a tornare a casa e dunque con i servizi
sociali abbiamo deciso questa sperimentazione in collaborazione con la Regione
Toscana ». Sulla possibilità di «furberie », l’assessore ammette qualche
rischio: «La nostra è una scommessa. Il servizio non è rivolto a tutti ma solo a
quelle persone meritevoli di fiducia». In città il provvedimento sta creando
polemiche e malumore. Amanuel Sikera, vicepresidente della Consulta provinciale
degli stranieri, in una lettera aperta a Tirreno e Nazione, non ha lesinato
critiche agli enti locali. «Sono rimasto sconcertato dalla ricetta proposta per
il loro rimpatrio - ha scritto Sikera -. Attuare un siffatto provvedimento
significa ammettere un totale fallimento delle politiche di integrazione».
Di Fabrizio (del 02/05/2009 @ 09:09:11, in Italia, visitato 1705 volte)
Ricevo da Roberto Malini
Torino, 30 aprile 2009. Il Gruppo EveryOne riceve segnalazioni sempre più
frequenti di intimidazioni, violenze, abusi istituzionali contro gli ultimi Rom
romeni rimasti in Italia. Sgomberate dai loro miseri insediamenti di fortuna, le
famiglie che sono "nomadi" solo a causa di una persecuzione atroce, vagano da
una città all'altra, in condizioni di salute e igiene sempre più disperate.
Quando scorgono agenti delle forze dell'ordine, si buttano oltre le strade, nei
fossi, dietro cespugli e mura oppure si danno alla fuga colte dal panico.
Ormai sanno che le autorità esercitano violenze di ogni genere senza temere di
pagarne le conseguenze e - anzi - prendendosi la crudele soddisfazione di
denunciare le loro vittime per i reati di resistenza od oltraggio a pubblico
ufficiale. E' sufficiente che un Rom si lamenti di fronte a botte e insulti o
cerchi di proteggersi con le mani perché scatti la ritorsione. Per evitare tali
maltrattamenti, il Gruppo EveryOne ha fornito alcune famiglie di lettere di
tutela, sottoscritte dai leader dell'organizzazione, in cui si illustrano alle
forze dell'ordine le leggi dell'Unione europea che proteggono il popolo Rom, con
l'indicazione di un numero di telefono a cui risponde sempre un attivista. La
lettera è un efficace deterrente contro gli abusi e a volte viene fotocopiata e
distribuita ad altre famiglie in difficoltà, ma ne dispone solo una piccola
parte dei Rom romeni in giro per l'Italia. E' uno strumento di protezione dei
Rom perseguitati che irrita profondamente sindaci e assessori-sceriffi, questori
e prefetti, i quali sentono limitato il proprio potere di vita e di morte sui
poveri e gli emarginati, che la cultura xenofoba ha trasformato - ai loro occhi
- in "nemici pubblici". Non è raro che i Rom braccati dalle forze dell'ordine si
feriscano anche in modo grave, cercando di sottrarsi alla loro persecuzione e
non è raro, purtroppo, che le donne incinte perdano i bambini, nel tentativo di
sfuggire ai loro aguzzini. Oggi, 30 aprile 2009, si è tenuta una preghiera
collettiva, cui hanno partecipato alcune famiglie Rom, insieme agli attivisti
del Gruppo EveryOne e del Collettivo Sa Phrala, per ricordare Luca Iankovic, 26
anni, Rom di origine croata che ha perso la vita esattamente tre mesi fa,
cadendo nel fiume Dora in località Collegno (Torino), per sottrarsi
all'inseguimento da parte di carabinieri armati, che hanno esploso, durante
l'azione, alcuni colpi di pistola. Il corpo di Luca, ormai saponificato e quasi
irriconoscibile, è stato trovato solo il 25 marzo scorso. Il giovane viveva
insieme alla moglie e a cinque figli in una baracca del campo di strada
dell'Aeroporto. Vi sono particolari inquietanti, riguardo alla sua morte, a
partire proprio dal ritrovamento tardivo del cadavere, mentre le sue scarpe e la
giacca di pelle erano state ritrovate subito dopo la scomparsa. "Quella sera
doveva andare a cenare in trattoria in compagnia di amici," spiega la moglie fra
le lacrime, "ma non è più tornato a casa. Voglio sapere chi l'ha ammazzato,
perché di certo non è annegato. Voglio sapere chi ha forzato la macchina di mio
marito e buttato all’aria tutto all’interno, quella sera. Non mi convince la
spiegazione che possa essere caduto nel fiume, perché quella sera i carabinieri
hanno sparato almeno due colpi di pistola contro di lui. Perché nessuno mi
comunica gli esiti dell'autopsia? Perché non si vuole fare chiarezza sulla sua
morte?". Dopo un giorno riservato al dolore e alla preghiera, è necessario
incalzare le autorità affinché siano sgomberate le ombre che circondano la
tragedia, se ne identifichino gli eventuali responsabili e sia finalmente fatta
giustizia.
Grande successo per la lezione concerto tenuta dagli allievi dell'Accademia
Europea d'Arte Romanì nell'ambito del corso di Lingua e Processi Interculturali,
Lingua e Cultura Romanì tenuto dal Dott. Prof. Santino Spinelli "Alexian".
L'evento si è svolto questa mattina (30 aprile) nell'Aula Magna della Facoltà di
Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Chieti. Ha aperto
l'evento il Dott. Prof. Gaetano Bonetta, Preside della Facoltà di Scienze
della Formazione.
L’accademia è un progetto di Alexian Santino Spinelli e nasce come risposta alla
grande richiesta di formazione specifica ed accurata sulla musica romanì che
tanto appassiona il pubblico e che spesso è relegata al rango di musica di
seconda classe.
L'Accademia è unica nel suo genere ed oggi hanno tenuto la lezione concerto
alcuni dei suoi migliori allievi tra cui ci sono Rom e non Rom, che attraverso
la musica abbattono le barriere dell'indifferenza e della diffidenza perché la
musica arriva al cuore prima che alla ragione.
E' possibile studiare lo stile flamenco e il jazz manouche. Infatti, non tutti
sanno che entrambi questi generi musicali, che hanno influenzato celeberrimi
compositori e la musica di intere nazioni, sono scaturiti dalla creatività della
popolazione romanì.
Sono attivati anche corsi per acquisire la conoscenza di strumenti, quali: il
cimbalom, la darabuka, il cajon, il bouzuki ma anche apprendere e/o perfezionare
strumenti come la fisarmonica, la chitarra, il violino, le tastiere ed il
contrabbasso in stile romanò.
Ci sono corsi di canto in lingua romanés, corsi di teatro e per chi volesse
approfondire la conoscenza della cultura romanì ci saranno anche corsi di Lingua
e Letteratura Romanì.
Per chi volesse saperne di più:
dal 01 Settembre al 30 giugno organizza, in collaborazione con docenti di fama
internazionale, i seguenti corsi teorico-pratici individuali e collettivi per
ogni età ed esigenza:
- Corso di Cymbalom
- Corso di Buzouki
- Corso di Canto e Lingua Romanì
- Corso di Percussioni (darabuka, cajon)
- Corso di Flamenco (chitarra, danza)
- Corso di Danze Rom (balcaniche)
- Corso di Jazz Manouche
- Corso di Lingua e Letteratura Romanì
- Corso di Teatro (anche in lingua romanì)
- Corso di Musica Romanì per gruppi musicali e musica d’assieme.
- Corsi di Fisarmonica, Contrabasso e Violino in stile Rom
Al termine dei corsi saranno rilasciati diplomi e attestati di frequenza, al
termine del corso avanzato rilascio di diploma
Direttore: Dott. Prof. Santino Spinelli “Alexian”
In sede:
- consultazioni per tesi di laurea,
- biblioteca romanì
-centro di documentazine romanès.
L'Accademia Europea di Arte Romanì è anche Casa delle Culture e organizza stages,
Seminari, Cene etniche, Eventi culturali e artistici riservati ai soli soci e
iscritti
I Rom sono in una quantità poco nota in Polonia. Gli stereotipi abbondano,
ma la comunità rom - stimata in 40.000 unità - si è in qualche modo integrata
nella società polacca. Quindi dove finiscono gli stereotipi ed inizia la verità?
Un rapporto pubblicato dall'Agenzia dell'Unione Europea per i Diritti
Fondamentali (FRA) valuta il modo in cui i membri della comunità rom sono
trattati nella regione CEE. Il rapporto fa luce sullo stato della
discriminazione contro la minoranza nella regione - una questione che pochi
vogliono affrontare attivamente.
La ricerca per il rapporto è stata condotta a maggio-luglio 2008. Circa il
60% dei Rom in Polonia ha risposto "sì" alla domanda "Hai subito discriminazioni
nei 12 mesi passati?" Le aree della vita quotidiana in cui si sentono
discriminati includono il posto di lavoro, "al caffè, al ristorante o al bar," e
"dal personale sanitario".
Uno dei principali problemi è che i membri della comunità rom sono
stereotipati come ladri o mendicanti. "Stereotipare è molto comune in tutte le
società. La verità è che non c'è stata nessuna adeguata compagnia governativa
per combattere questo modo di pensare in Polonia", ha raccontato Aleksandra Amal
El-Maaytah, di Amnesty International Polonia, a WBJ.pl
Circolo vizioso
Il fatto che Rom e non-Rom vivano in quartieri separati e frequentino
differenti istituzioni dell'istruzione, rende le cose più ingarbugliate. "La
segregazione avviene -naturalmente-, per così dire, ma porta ad ulteriori
problemi con la [mancanza di] integrazione con la comunità non-Rom. Molti
conoscono i Rom soltanto dalla musica e dai festival di danza o dalla strada,"
commenta Amal El-Maaytah.
Questo, dice l'esperta, porta alla discriminazione, specialmente verso le
generazioni più giovani. "Essendo discriminati nella scuola, molti Rom non
ricevono l'istruzione che meritano. Più avanti avranno [meno] possibilità di
ottenere un impiego. Essere senza impiego significa non avere accesso alla
sanità e alla casa, ecc. E' un circolo vizioso."
Nonostante tutto ciò, Roman Chojnacki, presidente dell'Associazione dei Rom
Polacchi a Szczecinek, ritiene che la comunità romanì in Polonia, che è stimata
in 40.000 membri, sia più apprezzata delle comunità di altri paesi, ma che "ciò
non significa che tutto sia OK".
In un rapporto dell'anno scorso per il Forum Europeo dei Rom e Viaggianti,
un'organizzazione internazionale rom, Chojnacki scrisse che infuria un
accalorato dibattito sulla chiusura delle cosiddette "classi romani" nel sistema
educativo polacco.
"Gli esperti e una gran parte della società romanì sono convinti che non c'è
utilità nell'impiego di classi separate," dice Chojnacki. Se queste classi
fossero rimosse, sia Rom che non-Rom sarebbero in grado di integrarsi meglio, e
si spera così che si ridurrebbe la discriminazione.
Soltanto criminali?
I membri della comunità rom lottano spesso con lo stereotipo di essere
coinvolti in attività criminali. "Nonostante i nostri sforzi, i mass media,
quando [riportano dei] crimini commessi, rivelano ancora la nazionalità degli
esecutori, cosa proibita dalla legge", dice Chojnacki. Aggiunge che questo
approccio costruisce un ulteriore pregiudizio verso il popolo rom.
Inoltre, quando sono loro vittime di un crimine, I Rom difficilmente cercano
aiuto dalla polizia. Secondo il rapporto FRA, circa il 33% degli intervistati ha
lamentato di essere stato vittima di crimini nei precedenti 12 mesi. La maggior
parte dei Rom - circa i tre quarti - che sono stati vittima di crimini come
minacce, assalti o "serie molestie" non li hanno denunciati alle autorità.
"Molti Rom ritengono che non c'è motivo di riportare atti di violenza alla
polizia," dice Amal El-Maaytah, "perché non affronterebbero il caso in maniera
adeguata. D'altra parte, senza portare a consocenza delle autorità i casi di
discriminazione, [le autorità] ... non possono fare molto."
Ferdi Berisha, rom montenegrino, ha vinto la nona edizione del Grande
Fratello. L'evento ha avuto un fortissimo impatto mediatico. Ma perché sfonda
una notizia così? Perché in realtà non è solo una notizia ma la fine di una
storia e Ferdi l'eroe perfetto. Un commento
In tempi normali non sarebbe stata una notizia. Eppure la vittoria del Grande
Fratello 9 da parte di un giovane rom, di nome Ferdi Berisha, ha fatto il giro
dei telegiornali, della stampa e dei blog in pochissimo tempo. Tutti a
raccontare e commentare la “straordinaria” storia del rom venuto dai Balcani, e
precisamente dal Montenegro, tra mille difficoltà e peripezie, per poi trionfare
nell’arena più cruenta della tv. Un trionfo che ha spiazzato non solo i critici
della trasmissione, ma anche chi la snobbava. Infatti, la vittoria di Ferdi non
è una notizia qualsiasi. È una di quelle che oltre all’attenzione, esige per
forza la nostra partecipazione emotiva, che non è difficile scorgere tra le
righe giornalistiche o le immagini televisive.
Ma perché ci piace una notizia del genere? Perché in realtà non è una notizia,
ma la fine di una narrazione, cioè di una storia. E da che mondo è mondo le
storie, specie se raccontate con arte, piacciono al grande pubblico, che dalla
tv chiede soprattutto trame ed emozioni. Ecco, alla storia di Ferdi non mancava
niente per essere una gran bella storia. Gli ingredienti c’erano tutti: il
personaggio principale veniva da lontano (Montenegro), il viaggio era stato
avventuroso (gommone), aveva una vita travagliata (famiglia divisa), era diverso
(rom), era integrato (italiano perfetto) e così via. Bastava aggiungere una
love story all’interno della casa del GF, un paio di interviste commoventi
con familiari distanti, un duello impressionante con un altro contendente, e
sarebbe venuto fuori, così com’è stato, uno dei piatti più ghiotti della tv
italiana. Il trionfo finale, con tanto di musica, coriandoli, luci, ballo,
smoking e colori, ha trasformato Ferdi definitivamente in un eroe da favola.
La storia di Ferdi era vincente anche per la sua moderazione. Era sfigato ma non
troppo, era diverso ma non troppo, era simile ma non troppo, era ingenuo ma non
troppo. Inoltre, presentava una molteplice e articolata diversità; era immigrato
e rom insieme, straniero e italiano, vittima e superstite. Proprio per questo la
sua diversità non è stata percepita convenzionalmente, perché usciva dai canoni
consunti della diversità sbattuta sui media. A questa sua inedita e fresca
diversità va attribuita in gran parte la vittoria al GF 9. Infatti, si tratta di
una diversità accettabile ed accettata, perché in sostanza non stridente per il
senso comune.
E il sociale c’entra con tutta questa storia? C’entra, eccome, perché ogni
storia ha un suo contesto sociale. E non si può ignorare un contesto italiano
dove l’integrazione degli immigrati e la discriminazione dei rom sono tra i
primi temi imperativi di una società impaurita. Ma come vanno interpretati i
titoloni sul giovane rom che conquista l'Italia o sul suo riscatto sociale? Si
potrebbero vedere, secondo Aldo Grasso, come un alibi collettivo. Infatti, un
rom che stravince il GF cosa significherebbe per qualcuno se non l’inconsistenza
della discriminazione sociale in Italia? Effettivamente, la vittoria di Ferdi è
stata liberatoria un po’ per tutti. La sua esplosione di gioia potrebbe essere
vista come una chiara risposta alle accuse europee di discriminazione e alle
indagini televisive sui campi rom. In questo senso Ferdi è tutti noi, dato che
una favola si può realizzare solo in un contesto positivo, perbene, che permette
alla favola di diventare tale.
E qui si presenta il nodo del problema: i reality show rappresentano la
realtà sociale, e più in generale, la tv rappresenta la realtà? I temi sono
immensi, ma due cose in merito si possono dire. Intanto, laddove si parla di
show, sarebbe difficile parlare di realtà. Poi, laddove c’è una telecamera
c’è un punto di vista, dunque una dichiarata soggettività. Tuttavia, al pubblico
televisivo che si sintonizza sul GF non interessa tutto questo. Interessa il
fatto che sta vedendo e vivendo in diretta una storia emozionante. Che poi la TV
rappresenti il surrogato della realtà e non la realtà è un altro paio di
maniche. Spiegare la passione del pubblico con l’identificazione con i
protagonisti è azzardato stavolta. Con un rom dichiarato è difficile
identificarsi, anche perché ha una storia tutta particolare. Diciamo che il
pubblico si è identificato con se stesso, creando virtualmente un contesto
sociale che gli sarebbe piaciuto fosse vero. Una società in cui anche i rom ce
la fanno, senza problemi, senza discriminazioni.
Quindi quella specie di “zoo” televisivo volontario, le cui telecamere seguono
tutti i movimenti dietro le sbarre di vetro, finisce per diventare una realtà,
anzi una realtà politicamente corretta, dove coltivare sogni sociali.
L’integrazione? Anche questa diventa una questione catodica, anzi modernamente
plasmatica. Gli immigrati ce la possono fare in una realtà del genere, dura sì,
ma generosa alla fine. Il riscatto c’è stato: individuale (di Ferdi) e
collettivo (del pubblico televisivo). Ma c’è stato anche quello della
trasmissione, forse l’unico vero riscatto. Infatti, ci vuole arte per
trasformare una persona in personaggio e un personaggio in eroe. Il successo ha
perfino oltrepassato i confini. Un articolo di un giornale albanese, nel vortice
dell’esaltazione incoronante, ha tentato di impossessarsi dell’origine di Ferdi:
è albanese, dice, ma non l’ha mai dichiarato. Chissà che ne pensano i
montenegrini. Saranno arrabbiati? Allora è vero che i Balcani producono più
storia di quanta riescono a consumare… Comunque, risulta patetico, quando si
pensa, che solo poco tempo fa, quando i telegiornali davano una qualsiasi etnia
ai rom, ci si infuriava come bestie per questo equivoco imperdonabile.
La colpa, in verità, è della storia. È troppo bella per non impadronirsene. C’è
dentro tutto quello che vorremmo essere. Una società tollerante, bella, a lieto
fine, dove vince il migliore. Conta, ovviamente, anche il merito. E il merito
nella trasmissione si misura per mezzo delle sofferenze personali. La storia
personale di Ferdi è esemplare in questo senso. Operaio semplice, bravo ragazzo,
povero, con un’infanzia difficile, senza famiglia, solo, con tanti sogni nel
cassetto. Basta poco per stuzzicare l’onnipotenza del pubblico televisivo, che
decide di realizzare i sogni del rom balcanico in un batter di telecomando,
dandogli la vittoria e trasformandolo da sfigato televisivo in divo televisivo.
Al rom immigrato, basta una trasmissione per avere i soldi, il lavoro, l’amore,
la famiglia. La Cenerentola non ha nulla da invidiare. Tutto ciò è
comprensibile, umanamente e mediaticamente parlando. Rimangono però aperte le
questioni della realtà e della generalizzazione. È vero che i rom si sono
riscattati con questa vittoria? È vero che non esiste più la discriminazione? È
vero che l’integrazione è ormai riuscita? Oppure questa è un’altra storia?
Di Fabrizio (del 30/04/2009 @ 14:19:09, in Regole, visitato 2164 volte)
Ricevo da Roberto Malini
Italia. Nuovo Decreto Sicurezza. Oggi riprende nelle Commissioni I e II
della Camera l'esame del ddl sicurezza (A.C. 2180). E' imminente approvazione.
Roma, 29 aprile 2009
Il Gruppo EveryOne ha inviato oggi a ciascun membro della Camera dei
Deputati, ai Senatori e per conoscenza agli Europarlamentari e alle personalità
politiche democratiche dell'Unione europea la seguente breve lettera e una
disamina del ddl in approvazione alla camera.
Illustri membri della camera dei Deputati,
oggi potete scrivere una pagina di civiltà o un'altra pagina di orrore e abusi.
Oggi potete dire "no" all'intolleranza che umilia e uccide, che trasforma le
vittime in "nemici pubblici" oppure potete piegare la testa all'odio razziale,
come fecero uomini nella Vostra posizione 71 anni fa. Presto potrete guardarVi
allo specchio e sapere se siete ancora uomini... o no. Roberto Malini,
Matteo Pegoraro, Dario Picciau - Gruppo EveryOne
Violazioni dei Diritti Umani e incongruenze amministrative del decreto
sicurezza
Il ddl si presenta a tutti gli effetti come una legge razziale, articolata in
una serie di articoli che violano la dignità, la sicurezza e i diritti
fondamentali di Rom, migranti e minori stranieri. E' un decreto che irride la
Carta dei diritti fondamentali nell'Unione europea e si pone quale fondamento
giuridico ai movimenti razzisti e xenofobi italiani ed europei. Non a caso
Maroni e il suo parto hanno ricevuto il più entusiastico consenso da parte di
tutti i gruppi neonazisti e razzisti italiani ed europei, ma anche
internazionali, come Stormfront o White Pride (p.e.
http://www.stormfront.org/forum/showthread.php?t=488893&page=10 ). Si
configurano nel decreto numerose violazioni della Carta dei diritti fondamentali
nell'Unione europea e delle Direttive Ue che garantiscono libera circolazione,
pari diritti e criteri di accoglienza e protezione ai rifugiati.
1) Riguardo alla disposizione che invitava i medici e il personale sanitario a
denunciare i clandestini richiedenti cure (art. 35, co. 5 T.U.), pare che la
maggioranza abbia deciso di ritirare l'articolo, anche se la stampa riporta
notizie secondo cui il governo non esclude di varare sia tale norma - che viola
lo stesso giuramento prestato dai medici - sia l'introduzione delle "ronde
padane", squadracce che già sono attive soprattutto dal nord al centro Italia e
la cui attività, di fatto, è la persecuzione di Rom, senzatetto e migranti
poveri.
Si intende tuttavia reintrodurre il prolungamento fino a 6 mesi di detenzione
nei Cie: l'immigrato trattato come criminale (i Cie, oltretutto, in Italia sono
luoghi di tortura e abuso quotidiano). Sei mesi sono una pena vera e propria ed
è una grave violazione dei diritti del profugo applicarla a persone non solo
innocenti, ma socialmente vulnerabili. Persone da proteggere, secondo la Carta
europea dei diritti fondamentali. L'Unione europea si misura anche su questo
fronte: è destinata a rinunciare alla cultura dei Diritti Umani, alla
Dichiarazione universale, alla Convezione di Ginevra per "difendersi" dalle
"invasioni" o saprà proseguire una via di accoglienza e rispetto? Siamo a un
bivio e l'Italia rappresenta la tentazione "oscura" che ci riporterebbe a tempi
di intolleranza e orrore.
2) Reato di soggiorno illegale. L'introduzione del reato è in contrasto con le
basi stesse del diritto e causerà drammi e problemi gravissimi, anche
nell'ipotesi di cancellazione della modifica dell'art. 35, co. 5 T.U., con
riferimento alla situazione dei genitori irregolari di minore iscritto a scuola:
i presidi saranno obbligati a sporgere denuncia nei loro confronti, divenendo
delatori a tutti gli effetti, a meno che non facciano obiezione di coscienza,
assumendosene i rischi, che nell'Italia di oggi possono significare il carcere.
Introdurre in un Paese membro Ue questo reato, che non corrisponde a un'azione
contro la società da parte del migrante, il quale, anzi, fugge da luoghi in cui
è perseguitato e soggetto a condizioni di vita impossibili, è un precedente di
enorme pericolosità e - come scritto sopra - stravolge le basi del diritto, il
significato stesso di "legge", che diviene strumentale alla xenofobia. L'unica
via civile è considerare l'immigrato come un profugo (quando si rifugia in un
Paese per evitare sofferenze intollerabili in patria) o un migrante (è evidente
che se stesse bene in patria, non affronterebbe il "viaggio della speranza").
Non vi è crimine in queste imprese che individui e famiglie compiono: vi è
coraggio, amore per la famiglia, desiderio di riscatto. Vi sono termini precisi
per definire chi combatte e non aiuta questi fratelli umani: crudeltà, razzismo,
intolleranza, persecuzione.
E' importante rilevare come il fondamento ideologico dell'introduzione del reato
si ponga in antitesi con la Direttiva 115/2008 sui rimpatri, all'art. 2, co. 2,
che consente di non applicare le disposizioni della stessa Direttiva agli
stranieri per i quali il rimpatrio costituisce sanzione penale. Attraverso
l'introduzione del reato di clandestinità, il provvedimento di espulsione segue
automaticamente la condanna, aggirando le disposizioni che, nella Direttiva,
tutelano lo straniero "irregolare", a partire dal suo diritto al rimpatrio
volontario, senza permanenza nei Cie.
Maroni utilizza per cacciare i migranti anche l'art. 15, co. 1 lettera a) della
stessa Direttiva, che consente di dar luogo a detenzione e a rimpatrio
coatto qualora vi sia rischio di fuga dello straniero, ipotesi che in mancanza
di chiarimenti Ue può sempre essere ravvisata, consentendo ad amministratori
xenofobi di aggirare le norme Ue.
3) Obbligo per lo straniero di dimostrare la regolarità del soggiorno, se vuole
beneficiare dei servizi, a esclusione di quelli sanitari, per ora garantiti a
tutti, e se intende del perfezionare gli atti di stato civile (nascita,
matrimonio, riconoscimento dei figli, morte).
Riguardo ai servizi, si deve notare in particolare una grave violazione riguardo
a quelli scolastici: se i genitori saranno obbligati a esibire al presi il
permesso di soggiorno, questi sarà costretto in caso di soggiorno illegale dei
genitori a denunciarli, trattandosi di un reato perseguibile d'ufficio.
In merito alla registrazione della nascita, la facoltà di ottenere un permesso
di soggiorno da parte di una donna incinta non offre sufficienti tutele alla
richiedente, poiché il permesso può essere rilasciato solo dietro presentazione
di un passaporto in corso di validità.
Il riconoscimento del figlio naturale da parte del padre clandestino diventerà
un evento irrealizzabile, non essendo prevista la concessione di un permesso al
padre naturale. L'impossibilità di registrare i neonati allo stato civile sarà
fonte di angoscia per gli stranieri "irregolari" e causerà gravi drammi
umanitari. E' un'altra misura che nega i diritti dell'infanzia, oltre a
costituire persecuzione del migrante "clandestino".
4) Un altro punto da censurare senza mezzi termini è quello relativo all'obbligo
di dimostrare la regolarità del soggiorno per la celebrazione del matrimonio sul
suolo italiano. Viola il diritto, per il cittadino straniero e anche per
l'italiano, il diritto a costituire una famiglia legittima, perché lo Stato
impedirà a chiunque di unirsi in matrimonio a una persona irregolarmente
soggiornante. Si crea un precedente mai esistito nei Paesi democratici e civili.
Si teme che l'Italia, se potrà attuare queste disposizioni, possa costituire un
esempio di intolleranza che altri Paesi membri potrebbero seguire. "Tanto
l'Unione europea non prende provvedimenti rilevanti," potrebbero dire...
5) Obbligo di verifica delle condizioni igienico-sanitarie dell'alloggio ai fini
dell'iscrizione anagrafica. Vale per tutti (anche italiani e comunitari) e viola
il diritto alla libertà Comunedi
circolazione dei cittadini (italiani, in primo luogo). Notate che, in base alla
legge, la persona che abbia un alloggio non idoneo dovrebbe comunque essere
iscritta all'anagrafe come "senza fissa dimora". Non si vede quale effetto
positivo possa avere la modifica.
6) Il Comune avrà l'obbligo di certificare l'idoneità abitativa dell'alloggio ai
fini del ricongiungimento. Le condizioni richieste tuttavia sono difficili da
raggiungere anche per le famiglie italiane; non si tiene conto, inoltre, della
necessità di agevolare gruppi sociali vulnerabili, per consentire loro di
integrarsi. Rendendo loro le cose difficili o impossibili, non si fa che creare
nuova "irregolarità", nuova disoccupazione, nuove tragedie umanitarie.
Moltissimi edifici nei centri storici sono privi di idoneità abitativa, eppure
sono abitati da cittadini. La normativa europea prevede che si possano
richiedere, riguardo ai migranti, le caratteristiche di un alloggio considerato
"normale" nella regione dove lo straniero vive e comunque prevede criteri che
agevolino e non opprimano i migranti che cercano di costruirsi vite oneste e
regolari.
7) Introduzione del permesso di soggiorno a punti. Aumenta i problemi
burocratici, già gravi in Italia, dove le amministrazioni sono in grave ritardo,
costantemente, nel rispetto dei tempi di legge in merito al rilascio e al
rinnovo dei permessi. Inoltre toglie allo straniero le pari opportunità rispetto
al cittadino italiano. La società diventerebbe simile a quei film di
fantascienza in cui cittadini superiori avrebbero tutti i diritti, mentre quelli
inferiori, ridotti a "schiavi" dovrebbero vivere ringraziando e accondiscendendo
i loro "benefattori"... Si tenga conto che di fatto in Italia è già così la
condizione dei migranti "utili", mentre per quelli "inutili" (perché in
condizioni di povertà) vi sono solo abusi polizieschi e giudiziari, violenze
razziali, sottrazione di minori, sgomberi disumani, espulsioni de jure e de
facto.
8) Prova di conoscenza della lingua italiana per il permesso CE ai soggiornanti
di lungo periodo. Va rilevato che il possesso di tale permesso è condizione sine
qua non, per l'accesso ai servizi di assistenza sociale per invalidi. I
portatori di invalidità psichica resteranno senza tali servizi essenziali,
poiché spesso non sono in grado di superare il test. Anche gli anziani hanno
problemi con la lingua di un Paese nuovo. Basti pensare che molti ebrei
immigrati in Israele dopo la guerra parlano anche oggi quasi esclusivamente lo
Yiddish.
9) Introduzione di un aumento del contributo per il rilascio e il rinnovo del
permesso di soggiorno: da 8o a 200 euro. E' evidente la volontà di colpire una
fascia debole della popolazione, in un frangente di crisi economica
internazionale. Sembrano "piccole" perversità, ma nel loro insieme pongono gli
stranieri in una condizione di cittadini di serie b, c... z.
10) Come spiega correttamente Sergio Bruglio in una sua disamina del ddl, va
sottolineato il problema insito nel provvedimento di "condizionare la
conversione del permesso dei minori non accompagnati, al compimento della
maggiore età, alla maturazione di un soggiorno pregresso triennale. Vanifica
l'orientamento giurisprudenziale sviluppatosi in questi anni, rischia di
incentivare un'immigrazione di ragazzi al di sotto dei quindici anni e induce
all'abbandono dei progetti di inserimento i minori non accompagnati per i quali
la conversione dovesse risultare inevitabilmente preclusa".
27/04/2009 - I bambini rom possono andare in asili speciali a partire da
questo autunno, dice un comunicato stampa di "Amare Rromentza".
Harlau, Grajduri e Dolhesti delle contee di Iasi, Valea Seaca e Darmanesti di
Bacau, due quartieri di Buzau si Calaras partiranno il 13 settembre, ognuno con
un gruppo asilo bilingue romanes-rumeno.
Il Centro Rom "Amare Rromentza", iniziatore del progetto
"Istruzione di Qualità - un passo verso l'uguaglianza" è andato nelle
comunità rom del paese per stabilire dove ci fosse bisogno di creare asili
simili.
"Abbiamo fatto un sondaggio tra le comunità rom e siamo compiaciuti di aver
trovato una grande apertura," ha dichiarato Delia Grigore, presidente del Centro
Rom.
Un altro problema della squadra è stato trovare insegnanti e mediatori."Dato
che conoscere il romanes è obbligatorio e gli standard per gli insegnanti
d'asilo sono molto alti, è difficile trovare personale. Per esempio, abbiamo
trovato insegnanti che conoscevano il romanes, ma non erano qualificati come
insegnanti d'asilo, e quindi percepivano salari più bassi," dice Mihai Neacsu,
direttore del Centro Rom.
L'idea è nata a Delia Grigore, che ha visitato alcune scuole negli
USA. "C'è un tipo di istruzione bilingue che permette l'apprendimento della
lingua madre in parallelo col rumeno ed anche di coltivare le tradizioni rom",
ha spiegato Delia Grigore.
Il programma di questi asili è approvato dal Ministero dell'Istruzione ed
adattato per quanti insegnano in lingua rumena. Il progetto è sostenuto
finanziariamente dal Fondo Sociale Europeo.
Marsiglia
Chkamebo?
Una testimonianza che fa vergognare...
Chkamebo?
In Kosovo, come in tutti i paesi abbonati alle grandi tragedie, c'è sempre
una parola per significare l'assurdo. In albanese, si può dire Chkamebo?, che
significa "Che si può fare?" La prima volta che ho sentito questa parola, era
nel 2003 in un Kosovo che iniziava a sollevarsi dalla guerra. Abnora, una
piccola bambina di otto anni il cui padre era sparito dopo un'incursione
effettuata dalle truppe paramilitari serbe, il fratello ucciso da un colpo in
testa ed il cugino trovato in fondo ad un pozzo, aveva terminato questo elenco
con la parola: Chkamebo?
La seconda volta, è stato ieri a Marsiglia, dalla bocca di questo padre di
famiglia rom d'origine kosovara, venuto in Francia per chiedere asilo e gettato
col resto della sua famiglia, come un pacchetto di biancheria sporca dinanzi
alla porta del Centro di Cure di Médecins du Monde (MDM), dai camion del
servizio sociale (Service d'aide médicale d'urgence SAMU). Ennesimo episodio di
una serie che ci riguarda da dieci giorni.
Da qualche mese, la famiglia di origine rom, composta da 22 persone di cui 15
bambini, è fuggita dal Kosovo e dalle persecuzioni per venire in Francia,
attraverso una parte dell'Europa, stipata su un camion barcollante ed è arrivata
in Ungheria dove hanno chiesto loro, conformemente alle convenzioni di Dublino,
che depositassero una domanda d'asilo, domanda che fu in seguito rigettata.
Sono allora ripartiti su un vecchio camion traballante in direzione della
Francia, questa terra ancora ingiustamente conosciuta per il suo rispetto dei
"diritti dell'Uomo".
Presso Aix en Provence, sono stati fermati dalla polizia che sequestra
l'autocarro, piazza i suoi uomini di guardia prima di rilasciarli muniti di un
decreto di ricondotta alla frontiera, senza spiegare loro che potevano fare
ricorso entro 48 ore. I figli di età tra i 16 mesi e i 15 anni furono nel
frattempo rinchiusi in un pensionato separatamente e senza la loro madre.
Pensionato da cui fuggirono per ripartire in famiglia in direzione di Marsiglia.
Venerdì 10 aprile, sono quindi 22 persone di cui 15 minori per la maggior
parte molto giovani e due adolescenti che, dopo una notte passata sul cemento,
aspettavano davanti al centro di Médecins du Monde a Marsiglia per "chiedere
asilo". Non hanno capito che il rifiuto dell'Ungheria voleva dire l'ennesimo
rifiuto in tutti gli altri stati europei. Ma nessuno si era preso la pena di
spiegarglielo.
Neanche sapevano che MDM non gestisce le domande d'asilo. MDM è
un'organizzazione medicale che realizza cure. Cure per i "sans papier", cure per
i "senza diritti", per chi non ha nessun'altra possibilità di riceverne se non
lo facciamo noi. Cure per quelli che hanno la sfortuna di nascere altrove e la
cattiva idea di pensare che possono trovare una protezione in Europa.
Cominciamo quindi con quello che sappiamo fare e che è la nostra missione:
curarli, in particolare i bambini, di 11 mesi, 2, 4, 6. e 8 anni, che dopo
settimane di notti all'aperto soffrono di esaurimento, rinofaringiti acute,
bronchiti e otiti.
Alle 16.00, un alloggio d'urgenza è finalmente proposto per il fine settimana
di Pasqua, fine settimana in cui due dei bambini più piccoli saranno
ospedalizzati d'urgenza. E' l'inizio di una lunga settimana di negoziati per
trovare una soluzione d'alloggio fino a quando il loro ritorno sia organizzato
perché è la sola alternativa che si offre loro.
Allora, venerdì 18 aprile apertura del CASO. I camion di SAMU senza una
parola ci lasciano 15 minori e 7 adulti davanti alla porta, obbligandoci una
volta di più ad assumerci una missione che non è la nostra, ma la loro, oltre a
quelle accumulate delle autorità responsabili, cioè la prefettura, il Consiglio
Generale, la DASS (DIRECTION DES AFFAIRES SANITAIRES ET SOCIALES).
Tutti mostrano una bella unanimità nel loro rifiuto di garantire un tetto a
queste famiglie. Gli uni hanno come pretesto che i bambini "non sono maltrattati
dai genitori", gli altri che sono "senza documenti" o "accompagnati dai loro
genitori". Quanto alla DASS, le casse sono vuote, In breve, nessuno è
responsabile, né debitore di trovare loro un tetto.
Alle 16.00, una soluzione provvisoria viene trovata per sei di loro a partire
dall'indomani. Sotto condizione, ben inteso. Devono quindi firmare una lettera
nella quale si impegnano ad accettare di ritornare da dove provengono. Ma anche
lì, è complicato. La prefettura chiede che la lettera indichi "o di ritornare in
qualche altro paese in cui avremmo la nazionalità". E poi, la firma non ha
l'aria autentica. E comunque, la lettera è in francese, lingua che non
comprendono. In ogni caso (ripetiamo "in ogni caso"), per gli altri 16 e
soprattutto gli 11 bambini, non c'è una soluzione.
Alle 18.00, i capi famiglia decidono quindi di reinstallarsi in un hangar
abbandonato di fronte al Centro di Médecins du Monde. Una notte in più sul
marciapiede per sei di loro. E probabilmente molte altre ce ne saranno per gli
altri 18.
Simili in questo a migliaia di altre famiglie con bambini che sono fuggite
dalla guerra e si ritrovano a dormire sui marciapiedi delle nostre città,
vittime del gioco di ping-pong delle autorità e di una politica che si
incaponisce a fare della solidarietà un delitto.
Alle 18.00, quando la famiglia s'installa in mezzo a rifiuti e rovine, MDM
decide di fare quello che abbiamo l'abitudine di fare... a Kabul o Baghdad, in
stati destrutturati e deprivati. Cioè: assicurare la copertura dei bisogni
fondamentali di fornitura di acqua alla distribuzione di pannolini per i più
piccoli senza dimenticare prodotti alimentari e sacchi a pelo.
Il 19 aprile, i reclami dei vicini hanno suscitato l'intervento della polizia
che si manifesta a tre riprese nello spazio di 24 ore. I poliziotti chiamati per
un "furto con scasso" sono venuti con un cane. Ma non entrano nell'hangar non
volendo spaventare i bambini. Alla fine della conversazione, sono loro che,
mostrando in ciò più tolleranza dei vicini, reagiscono come "padri di famiglia"
e si dichiarano costernati da ciò che vedono.
E' finalmente la Protezione Civile che si che infine si muove dopo
mezzogiorno e dichiara il luogo "insalubre", ne mura l'ingresso e propone al
gruppo una notte presso un albergo, notti che diventano due dopo una
negoziazione.
Due notti in albergo... Quello che lo stato di salute dei bambini non aveva
permesso, è stato reso possibile dai reclami dei vicini. E' vero che loro, i
piccoli kosovari, non votano.
Alle 21.00 li accompagniamo. Là, gli cedono i nervi, ci dicono che non ne
possono più di questi rimpalli successivi ed insensati che li hanno condotti una
notte sul marciapiede, cinque in un centro d'alloggio d'urgenza in mezzo a
carcerati e senza fissa dimora, poi, ancora una notte sul cemento sotto la
pioggia. Ora, due notti in albergo, e dopo? Cosa stanno diventando?
Non è mancato il coraggio per arrivare sino a qui. In questa Europa che non
li vuole, che rifiuta loro la possibilità di immaginarsi un avvenire.
Un servizio d'alloggio per le urgenze che getta chi ha in carico sul
marciapiede, nello stesso modo che si sbarazza dei suoi rifiuti.
Istituzioni che richiedono ad un bambino ammalato di essere maltrattato (ma
il marciapiede non basta) a conformità di legge, o orfano prima di vedersi
eventualmente offrire un'accoglienza rispettabile.
Bambini che si sballottano dal marciapiede all'albergo e dall'albergo al
marciapiede.
Un'assistente d'urgenza motivata da criteri elettoralistici ma non dallo
stato di salute che undici bambini malati ed esauriti non hanno potuto ottenere.
Il maltrattamento istituzionale non potrebbe dunque essere alla stregua del
maltrattamento parentale, un motivo legittimo di assistenza?
Quella sera, all'albergo dove solo i reclami del vicinato avevano permesso
che fossero portati, non volevano che una cosa: lasciare la Francia ed andarsene
in Italia, dove hanno dei parenti, sempre in cerca di un sogno improbabile,
quello di un avvenire su una terra dove la loro vita non sia minacciata.
Un sogno promesso dall'annientamento sulle frontiere di un'Europa sorda, muta
e cieca.
Noi, Médecins du Monde, siamo colpevoli del delitto di solidarietà,
rivendichiamo il dovere dell'assistenza alle persone in pericolo ed abbiamo
lasciato a posto la nostra coscienza.
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