Ricevo da Roberto Malini
Torino, 30 aprile 2009. Il Gruppo EveryOne riceve segnalazioni sempre più
frequenti di intimidazioni, violenze, abusi istituzionali contro gli ultimi Rom
romeni rimasti in Italia. Sgomberate dai loro miseri insediamenti di fortuna, le
famiglie che sono "nomadi" solo a causa di una persecuzione atroce, vagano da
una città all'altra, in condizioni di salute e igiene sempre più disperate.
Quando scorgono agenti delle forze dell'ordine, si buttano oltre le strade, nei
fossi, dietro cespugli e mura oppure si danno alla fuga colte dal panico.
Ormai sanno che le autorità esercitano violenze di ogni genere senza temere di
pagarne le conseguenze e - anzi - prendendosi la crudele soddisfazione di
denunciare le loro vittime per i reati di resistenza od oltraggio a pubblico
ufficiale. E' sufficiente che un Rom si lamenti di fronte a botte e insulti o
cerchi di proteggersi con le mani perché scatti la ritorsione. Per evitare tali
maltrattamenti, il Gruppo EveryOne ha fornito alcune famiglie di lettere di
tutela, sottoscritte dai leader dell'organizzazione, in cui si illustrano alle
forze dell'ordine le leggi dell'Unione europea che proteggono il popolo Rom, con
l'indicazione di un numero di telefono a cui risponde sempre un attivista. La
lettera è un efficace deterrente contro gli abusi e a volte viene fotocopiata e
distribuita ad altre famiglie in difficoltà, ma ne dispone solo una piccola
parte dei Rom romeni in giro per l'Italia. E' uno strumento di protezione dei
Rom perseguitati che irrita profondamente sindaci e assessori-sceriffi, questori
e prefetti, i quali sentono limitato il proprio potere di vita e di morte sui
poveri e gli emarginati, che la cultura xenofoba ha trasformato - ai loro occhi
- in "nemici pubblici". Non è raro che i Rom braccati dalle forze dell'ordine si
feriscano anche in modo grave, cercando di sottrarsi alla loro persecuzione e
non è raro, purtroppo, che le donne incinte perdano i bambini, nel tentativo di
sfuggire ai loro aguzzini. Oggi, 30 aprile 2009, si è tenuta una preghiera
collettiva, cui hanno partecipato alcune famiglie Rom, insieme agli attivisti
del Gruppo EveryOne e del Collettivo Sa Phrala, per ricordare Luca Iankovic, 26
anni, Rom di origine croata che ha perso la vita esattamente tre mesi fa,
cadendo nel fiume Dora in località Collegno (Torino), per sottrarsi
all'inseguimento da parte di carabinieri armati, che hanno esploso, durante
l'azione, alcuni colpi di pistola. Il corpo di Luca, ormai saponificato e quasi
irriconoscibile, è stato trovato solo il 25 marzo scorso. Il giovane viveva
insieme alla moglie e a cinque figli in una baracca del campo di strada
dell'Aeroporto. Vi sono particolari inquietanti, riguardo alla sua morte, a
partire proprio dal ritrovamento tardivo del cadavere, mentre le sue scarpe e la
giacca di pelle erano state ritrovate subito dopo la scomparsa. "Quella sera
doveva andare a cenare in trattoria in compagnia di amici," spiega la moglie fra
le lacrime, "ma non è più tornato a casa. Voglio sapere chi l'ha ammazzato,
perché di certo non è annegato. Voglio sapere chi ha forzato la macchina di mio
marito e buttato all’aria tutto all’interno, quella sera. Non mi convince la
spiegazione che possa essere caduto nel fiume, perché quella sera i carabinieri
hanno sparato almeno due colpi di pistola contro di lui. Perché nessuno mi
comunica gli esiti dell'autopsia? Perché non si vuole fare chiarezza sulla sua
morte?". Dopo un giorno riservato al dolore e alla preghiera, è necessario
incalzare le autorità affinché siano sgomberate le ombre che circondano la
tragedia, se ne identifichino gli eventuali responsabili e sia finalmente fatta
giustizia.
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