Da
Roma_Francais
Marsiglia
Chkamebo?
Una testimonianza che fa vergognare...
Chkamebo?
In Kosovo, come in tutti i paesi abbonati alle grandi tragedie, c'è sempre
una parola per significare l'assurdo. In albanese, si può dire Chkamebo?, che
significa "Che si può fare?" La prima volta che ho sentito questa parola, era
nel 2003 in un Kosovo che iniziava a sollevarsi dalla guerra. Abnora, una
piccola bambina di otto anni il cui padre era sparito dopo un'incursione
effettuata dalle truppe paramilitari serbe, il fratello ucciso da un colpo in
testa ed il cugino trovato in fondo ad un pozzo, aveva terminato questo elenco
con la parola: Chkamebo?
La seconda volta, è stato ieri a Marsiglia, dalla bocca di questo padre di
famiglia rom d'origine kosovara, venuto in Francia per chiedere asilo e gettato
col resto della sua famiglia, come un pacchetto di biancheria sporca dinanzi
alla porta del Centro di Cure di Médecins du Monde (MDM), dai camion del
servizio sociale (Service d'aide médicale d'urgence SAMU). Ennesimo episodio di
una serie che ci riguarda da dieci giorni.
Da qualche mese, la famiglia di origine rom, composta da 22 persone di cui 15
bambini, è fuggita dal Kosovo e dalle persecuzioni per venire in Francia,
attraverso una parte dell'Europa, stipata su un camion barcollante ed è arrivata
in Ungheria dove hanno chiesto loro, conformemente alle convenzioni di Dublino,
che depositassero una domanda d'asilo, domanda che fu in seguito rigettata.
Sono allora ripartiti su un vecchio camion traballante in direzione della
Francia, questa terra ancora ingiustamente conosciuta per il suo rispetto dei
"diritti dell'Uomo".
Presso Aix en Provence, sono stati fermati dalla polizia che sequestra
l'autocarro, piazza i suoi uomini di guardia prima di rilasciarli muniti di un
decreto di ricondotta alla frontiera, senza spiegare loro che potevano fare
ricorso entro 48 ore. I figli di età tra i 16 mesi e i 15 anni furono nel
frattempo rinchiusi in un pensionato separatamente e senza la loro madre.
Pensionato da cui fuggirono per ripartire in famiglia in direzione di Marsiglia.
Venerdì 10 aprile, sono quindi 22 persone di cui 15 minori per la maggior
parte molto giovani e due adolescenti che, dopo una notte passata sul cemento,
aspettavano davanti al centro di Médecins du Monde a Marsiglia per "chiedere
asilo". Non hanno capito che il rifiuto dell'Ungheria voleva dire l'ennesimo
rifiuto in tutti gli altri stati europei. Ma nessuno si era preso la pena di
spiegarglielo.
Neanche sapevano che MDM non gestisce le domande d'asilo. MDM è
un'organizzazione medicale che realizza cure. Cure per i "sans papier", cure per
i "senza diritti", per chi non ha nessun'altra possibilità di riceverne se non
lo facciamo noi. Cure per quelli che hanno la sfortuna di nascere altrove e la
cattiva idea di pensare che possono trovare una protezione in Europa.
Cominciamo quindi con quello che sappiamo fare e che è la nostra missione:
curarli, in particolare i bambini, di 11 mesi, 2, 4, 6. e 8 anni, che dopo
settimane di notti all'aperto soffrono di esaurimento, rinofaringiti acute,
bronchiti e otiti.
Alle 16.00, un alloggio d'urgenza è finalmente proposto per il fine settimana
di Pasqua, fine settimana in cui due dei bambini più piccoli saranno
ospedalizzati d'urgenza. E' l'inizio di una lunga settimana di negoziati per
trovare una soluzione d'alloggio fino a quando il loro ritorno sia organizzato
perché è la sola alternativa che si offre loro.
Allora, venerdì 18 aprile apertura del CASO. I camion di SAMU senza una
parola ci lasciano 15 minori e 7 adulti davanti alla porta, obbligandoci una
volta di più ad assumerci una missione che non è la nostra, ma la loro, oltre a
quelle accumulate delle autorità responsabili, cioè la prefettura, il Consiglio
Generale, la DASS (DIRECTION DES AFFAIRES SANITAIRES ET SOCIALES).
Tutti mostrano una bella unanimità nel loro rifiuto di garantire un tetto a
queste famiglie. Gli uni hanno come pretesto che i bambini "non sono maltrattati
dai genitori", gli altri che sono "senza documenti" o "accompagnati dai loro
genitori". Quanto alla DASS, le casse sono vuote, In breve, nessuno è
responsabile, né debitore di trovare loro un tetto.
Alle 16.00, una soluzione provvisoria viene trovata per sei di loro a partire
dall'indomani. Sotto condizione, ben inteso. Devono quindi firmare una lettera
nella quale si impegnano ad accettare di ritornare da dove provengono. Ma anche
lì, è complicato. La prefettura chiede che la lettera indichi "o di ritornare in
qualche altro paese in cui avremmo la nazionalità". E poi, la firma non ha
l'aria autentica. E comunque, la lettera è in francese, lingua che non
comprendono. In ogni caso (ripetiamo "in ogni caso"), per gli altri 16 e
soprattutto gli 11 bambini, non c'è una soluzione.
Alle 18.00, i capi famiglia decidono quindi di reinstallarsi in un hangar
abbandonato di fronte al Centro di Médecins du Monde. Una notte in più sul
marciapiede per sei di loro. E probabilmente molte altre ce ne saranno per gli
altri 18.
Simili in questo a migliaia di altre famiglie con bambini che sono fuggite
dalla guerra e si ritrovano a dormire sui marciapiedi delle nostre città,
vittime del gioco di ping-pong delle autorità e di una politica che si
incaponisce a fare della solidarietà un delitto.
Alle 18.00, quando la famiglia s'installa in mezzo a rifiuti e rovine, MDM
decide di fare quello che abbiamo l'abitudine di fare... a Kabul o Baghdad, in
stati destrutturati e deprivati. Cioè: assicurare la copertura dei bisogni
fondamentali di fornitura di acqua alla distribuzione di pannolini per i più
piccoli senza dimenticare prodotti alimentari e sacchi a pelo.
Il 19 aprile, i reclami dei vicini hanno suscitato l'intervento della polizia
che si manifesta a tre riprese nello spazio di 24 ore. I poliziotti chiamati per
un "furto con scasso" sono venuti con un cane. Ma non entrano nell'hangar non
volendo spaventare i bambini. Alla fine della conversazione, sono loro che,
mostrando in ciò più tolleranza dei vicini, reagiscono come "padri di famiglia"
e si dichiarano costernati da ciò che vedono.
E' finalmente la Protezione Civile che si che infine si muove dopo
mezzogiorno e dichiara il luogo "insalubre", ne mura l'ingresso e propone al
gruppo una notte presso un albergo, notti che diventano due dopo una
negoziazione.
Due notti in albergo... Quello che lo stato di salute dei bambini non aveva
permesso, è stato reso possibile dai reclami dei vicini. E' vero che loro, i
piccoli kosovari, non votano.
Alle 21.00 li accompagniamo. Là, gli cedono i nervi, ci dicono che non ne
possono più di questi rimpalli successivi ed insensati che li hanno condotti una
notte sul marciapiede, cinque in un centro d'alloggio d'urgenza in mezzo a
carcerati e senza fissa dimora, poi, ancora una notte sul cemento sotto la
pioggia. Ora, due notti in albergo, e dopo? Cosa stanno diventando?
Non è mancato il coraggio per arrivare sino a qui. In questa Europa che non
li vuole, che rifiuta loro la possibilità di immaginarsi un avvenire.
Un servizio d'alloggio per le urgenze che getta chi ha in carico sul
marciapiede, nello stesso modo che si sbarazza dei suoi rifiuti.
Istituzioni che richiedono ad un bambino ammalato di essere maltrattato (ma
il marciapiede non basta) a conformità di legge, o orfano prima di vedersi
eventualmente offrire un'accoglienza rispettabile.
Bambini che si sballottano dal marciapiede all'albergo e dall'albergo al
marciapiede.
Un'assistente d'urgenza motivata da criteri elettoralistici ma non dallo
stato di salute che undici bambini malati ed esauriti non hanno potuto ottenere.
Il maltrattamento istituzionale non potrebbe dunque essere alla stregua del
maltrattamento parentale, un motivo legittimo di assistenza?
Quella sera, all'albergo dove solo i reclami del vicinato avevano permesso
che fossero portati, non volevano che una cosa: lasciare la Francia ed andarsene
in Italia, dove hanno dei parenti, sempre in cerca di un sogno improbabile,
quello di un avvenire su una terra dove la loro vita non sia minacciata.
Un sogno promesso dall'annientamento sulle frontiere di un'Europa sorda, muta
e cieca.
Noi, Médecins du Monde, siamo colpevoli del delitto di solidarietà,
rivendichiamo il dovere dell'assistenza alle persone in pericolo ed abbiamo
lasciato a posto la nostra coscienza.
Cendrine LABAUME Coordinatrice MDM Marsiglia
[...]