Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 03/12/2009 @ 09:43:13, in Regole, visitato 2369 volte)
Segnalazione di
Eugenio Viceconte
Immigrazione.biz Accordo raggiunto con il Prefetto di Roma
Ai nomadi che non hanno commesso reati verrà rilasciato un permesso di soggiorno
per motivi umanitari. Questo l’accordo raggiunto con il Prefetto di Roma,
Pecoraro alla vigilia dell’attuazione del piano nomadi del Comune di Roma.
I nomadi residenti nei campi della Capitale privi di permesso di soggiorno ma
senza precedenti penali, chiederanno alla Questura di Roma il rilascio di un
permesso di soggiorno per motivi umanitari. La valutazione del possesso dei
requisiti per il rilascio sarà valutata da una commissione governativa e chi non
ne avrà diritto sarà espulso. “Il documento umanitario”, spiega Najo Adzovic,
rappresentante del Casilino 900 “consentirà a quelle persone che mostrano
volontà di integrazione, di lavorare e mandare i figli a scuola, di
regolarizzare la loro posizione. Basta pensare che molti di questi sono in
Italia da oltre 30 anni”. Sono già cominciate presso l’ufficio immigrazione
della Questura di Roma le operazioni di fotosegnalamento dei primi Rom dell’ex
Jugoslavia del campo nomadi di via di Salone.
Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, come spiega Adzovic,
si è reso necessario soprattutto a seguito dell’ entrata in vigore della legge
sulla sicurezza che ha previsto il reato di ingresso e soggiorno illegale in
Italia. Le sanzioni penali – un’ammenda da 5mila a 10mila euro - sarebbero
dunque scattate per tutti i residenti del campo privi di permesso di soggiorno.
Accanto al permesso di soggiorno resterà comunque il Dast (Documento di
autorizzazione allo stanziamento temporaneo) presentato dal Campidoglio che
servirà per attestare la residenza di una persona in un determinato campo
nomadi.
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari è regolato dall’articolo 5 comma 6
e dall’articolo19 comma 1 del Testo Unico Immigrazione che prevedono l’inespellibilità
se ricorrono seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi
internazionali che non consentono l’allontanamento dal territorio nazionale. Può
essere rilasciato dalla questura a seguito di acquisizione di documentazione
riguardante i motivi della richiesta relative ad oggettive e gravi situazioni
personali – art. 11 c. 1 lett. C)ter DPR 394/99.
Di Fabrizio (del 03/12/2009 @ 00:06:25, in Italia, visitato 1611 volte)
Segnalazione di Claudia Tavani
Gazzetta di Reggio
Reggio. La piccola, martedì mattina, si è vestita ed è scappata di casa,
vagando tra i parcheggi dei controviali. Antonio De Barre, nomade sinti, l’ha
vista e l'ha accompagnata nella caserma della Polstrada di Marco Martignoni
REGGIO. Si è vestita, ha calzato un paio di stivaletti, ha aperto la
porta di casa ed è uscita. Da sola, ha affrontato i pericoli della
circonvallazione, attraversando viale Timavo. Sara (nome di fantasia per
proteggerla, ndr) ha due anni e mezzo e ieri mattina, poco dopo le 8 è sfuggita
al controllo dei genitori, vagando tra i parcheggi dei controviali, vicino
all’area sgambatura cani di fronte all’ufficio postale. Fino a quando, poco dopo
le 9.30, è stata notata da Antonio De Barre, nomade sinti, che stava lavorando,
per la cooperativa sociale l’Ovile, impegnato nella manutenzione delle aiuole
che delimitano le aree di parcheggio.
L’uomo, ha preso per mano la piccola, l’ha rincuorata coprendola con la sua
giacca, accompagnandola al più vicino posto di polizia: la caserma della
Polstrada di Reggio che si trova proprio in viale Timavo. Lì, l’ha «consegnata»
agli agenti che si sono immediatamente attivati per cercare di rintracciare i
genitori della bambina.
FRENETICHE INDAGINI. Dalla centrale della Polstrada si sono staccati due
ispettori che, dopo aver fotografato la piccola, hanno setacciato l’area tra
viale Timavo, viale Magenta e via Guasco. «Armati» di un palmare, i poliziotti
hanno bussato porta a porta, mostrando a residenti e commercianti il viso della
bambina con la speranza che qualcuno potesse riconoscerla indirizzando gli
agenti alla residenza dei genitori. I controlli sono proseguiti anche
all’Esselunga e nella farmacia dello stesso centro commerciale. Fino alla
svolta, intorno alle 10.30.
LA DENUNCIA. Il padre della piccola, si è presentato nella caserma della
Polstrada di Reggio: «Aiutatemi. Vorrei denunciare la scomparsa di mia figlia».
Quando gli agenti hanno sentito il racconto dell’uomo, lo hanno accompagnato
negli uffici del comando, dove, alcuni agenti stavano giocando con la bambina,
cercando di farle ritrovare il sorriso. A quel punto l’a bbraccio tra il padre e
la piccola e la successiva chiamata a De Barre per comunicargli che la bambina
che lui aveva salvato dalla strada, stava riabbracciando la famiglia.
LE INDAGINI. Per il padre della piccola, però, sono iniziati diversi
accertamenti. Secondo il racconto poi fornito dall’uomo agli investigatori, ieri
mattina poco prima delle 8, la moglie era uscita di casa per accompagnare gli
altri due figli a scuola. All’improvviso, la più piccola di casa, aveva deciso
di seguire la mamma e, sfruttando un momento di distrazione del padre, è uscita
di casa.
Un racconto che l’uomo ha poi ripetuto agli assistenti sociali del Comune,
immediatamente allertati dagli agenti della Polstrada che, nel frattempo, hanno
anche avvisato la procura del tribunale dei Minori di Bologna. Gli investigatori
ora stanno valutando tutti gli elementi raccolti e stanno vagliando attentamente
la posizione del padre della bambina che rischia una denuncia per omesso un
controllo.
(02 dicembre 2009)
Di Fabrizio (del 02/12/2009 @ 09:23:05, in Regole, visitato 1768 volte)
Segnalazione di Elisabetta Vivaldi
COMUNICATO STAMPA:
PROCESSI BREVI E … PROCESSI SOMMARI
A.V. è la quindicenne rom accusata di aver rapito una neonata a Ponticelli (Na)
nel maggio 2008, avvenimento che scatenò la feroce devastazione dei campi rom di
Ponticelli. L’accusa contro A.V. fu formulata dalla madre della neonata, unica
testimone dell’avvenimento, che fornì una versione dei fatti oggettivamente poco
verosimile. Secondo il racconto della madre, infatti, A. V. sarebbe riuscita ad
introdursi nella sua abitazione dove, approfittando del fatto che la neonata
sarebbe rimasta per pochi attimi sola in cucina, sarebbe riuscita a “rapire” la
neonata e ad uscire dall’appartamento, il tutto in pochissimi secondi, senza
produrre il minimo rumore e senza provocare il pianto della bambina.
L’Avv. Cristian Valle, difensore della piccola rom, ha messo in evidenza la
scarsa verosimiglianza del racconto.
Nonostante ciò, il Tribunale per i Minorenni di Napoli ha condannato la minore
rom a 3 e 8 mesi, fondando la decisione di colpevolezza sul presupposto che la
madre della neonata non avrebbe avuto alcun interesse ad accusare la minore rom
se il fatto non fosse realmente accaduto.... Mostra tutto
La difesa della piccola rom ha sempre denunciato la violazione dei diritti
fondamentali come, ad esempio, la mancata traduzione degli atti nella lingua
conosciuta dall’imputata, questione più volte sollevata ma sempre respinta,
nonostante le dichiarazioni della mediatrice culturale che accolse a Nisida la
piccola rom, secondo la quale A.V. al momento dell’arresto non comprendeva
minimamente la lingua italiana. Ogni richiesta della difesa è stata
sistematicamente respinta, perfino la richiesta della messa alla prova e
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, con la motivazione che A.V.
potrebbe avere ingenti patrimoni nel suo paese d’origine. Non le è stato
concesso alcun beneficio di legge benché la minore risulti incensurata e in
stato di abbandono. I familiari di A.V., infatti, sono scappati a seguito della
devastazione del campo rom e delle persecuzioni verificatesi a Ponticelli. La
sentenza d’appello ha confermato in pieno quella di primo grado e si attende ora
la decisione della Corte di Cassazione. Con il processo ancora in corso, la
piccola rom si trova in custodia cautelare nel carcere di Nisida da un anno e
mezzo. A nulla sono valse le motivate istanze di scarcerazione.
Da ultimo, il Tribunale per i Minorenni di Napoli, in sede di appello al
riesame, ha rigettato le richieste della difesa con una motivazione
assolutamente sconcertante e che conferma le denunciate violazioni dei diritti
fondamentali della piccola rom. Si legge infatti nel breve provvedimento:
“Emerge che l’appellante è pienamente inserita negli schemi tipici della cultura
rom. Ed è proprio l’essere assolutamente integrata in quegli schemi di vita che
rende, in uno alla mancanza di concreti processi di analisi dei propri vissuti,
concreto il pericolo di recidiva.” La decisione afferma, quindi, l’esistenza di
un nesso di causalità tra l’appartenenza etnica e la possibilità di commettere
reati e, ancora più insidiosamente, la tendenza a condotte recidive. Questo
assunto, sfacciatamente razzista, si traduce nella decisione di non concedere
nemmeno misure alternative alla carcerazione: “Sia il collocamento in comunità
che la permanenza in casa risultano, infatti, misure inadeguate anche in
considerazione alla citata adesione agli schemi di vita Rom che per comune
esperienza determinano nei loro aderenti il mancato rispetto delle regole. Da
quanto detto ne consegue il rigetto del proposto appello.”
Il provvedimento di rigetto della richiesta di modifica della misura cautelare
afferma a chiare lettere che il collocamento in comunità non è ammissibile in
quanto la minore aderisce agli schemi di vita del popolo cui appartiene. In modo
assolutamente sconcertante, si afferma l’opzione del carcere su base etnica, e,
attraverso la definizione di “comune esperienza”, i più biechi e vergognosi
pregiudizi contro la minoranza rom vengono elevati al rango di categoria
giuridica.
Questa decisione del Tribunale dei Minorenni - e le stesse parole usate,
agghiaccianti quanto spudorate - è perfettamente coerente alle attuali politiche
in materia di immigrazione, andandosi a delineare l’esistenza di due distinte
giurisdizioni, una per i cittadini e l’altra per gli stranieri.
In un paese che sanziona la clandestinità come reato, l’intera vicenda di A.V. è
rappresentativa dell’accanimento giudiziario contro gli “stranieri” che
gravemente annichilisce i diritti umani, e della perdita di limiti etici e
giuridici oltre i quali le pulsioni più cupe, non incontrando più filtri di
alcun genere, si caricano di forza di legge e fondano decisioni giudiziarie.
25 Novembre 2009
soccorsolegalenapoli@yahoo.it
Di Fabrizio (del 02/12/2009 @ 00:25:31, in Italia, visitato 1969 volte)
Da Milano Città Aperta
Buongiorno,
l’azione di mail bombing contro lo sgombero di Rubattino a cui avete
partecipato ha avuto molte adesioni: migliaia di mail hanno raggiunto il
prefetto, il vicesindaco e l’assessore Moioli. La situazione per le persone
sgomberate, però, non è cambiata affatto: il Comune, anzi, ostenta fieramente le
modalità dello sgombero e non intende prendere in considerazione trattative.
Pensiamo che questo patrimonio di indignazione-centinaia e centinaia di
cittadini che hanno scritto come te nel giro di poche ore- non debba
andare disperso.
Ti proponiamo dunque di partecipare a una Fiaccolata per mercoledì 2 dicembre
alle ore 18. Partiremo da Piazza San Babila. È importante essere in
tanti, per questo ti chiedo di venire e di diffondere l’invito.
Grazie ancora per aver mandato la mail,
spero di vederti mercoledì
Natascia
di Milano Città Aperta
P.s. Ti riporto qua sotto l’appello della Fiaccolata.
“Gentile Assessore Moioli, mio figlio vorrebbe sapere perché i bambini Rom
hanno meno diritto di lui di stare insieme alle loro mamme, ai loro papà e ai
loro fratelli e sorelle”
“Non posso sentirmi rappresentata da autorità che violano i diritti dei più
deboli, non è questa la città che voglio!”
“Continuate a parlare del valore della famiglia e poi pretendete che le famiglie
rom si dividano donne e bambini da una parte, uomini dall'altra…”
Queste sono solo alcune delle frasi delle migliaia di mail che in questi giorni
sono state inviate al vicesindaco De Corato, all’Assessore Moioli e al Prefetto
Lombardi da centinaia e centinaia di cittadini di Milano indignati per lo
sgombero del campo Rom di via Rubattino dello scorso 19 novembre e per
quello successivo di via Forlanini del 26 novembre.
Sgomberi che hanno lasciato al freddo e senza un tetto centinaia di uomini,
donne e bambini, senza prospettare per loro soluzioni alternative accettabili e
condivise. Sgomberi che soffiano sul fuoco per creare artificialmente una finta
emergenza che nasconda i problemi reali di Milano. Sgomberi che hanno interrotto
preziosi percorsi di conoscenza reciproca tra cittadini italiani e Rom. Sgomberi
che hanno negato ai bambini Rom di continuare ad andare a scuola assieme ai loro
compagni italiani. Sgomberi che hanno violato i diritti (alla casa, alla salute,
all’istruzione...) e le libertà fondamentali di centinaia di persone. Ma anche
sgomberi che mai come in passato hanno suscitato l’indignazione e il rifiuto di
una fetta consistente della cittadinanza milanese che ha deciso di affidare alle
mail la proprie parole di sdegno e protesta.
Parole, che di fronte all’ostinato persistere del Comune nella medesima politica
di chiusura e di rifiuto di ogni soluzione condivisa e concertata con la
comunità Rom, invitiamo tutti a venire a ripetere e rendere visibili alla
città in una
Fiaccolata in Piazza San Babila
mercoledì 2 dicembre alle 18
per denunciare il carattere brutale degli sgomberi di via Rubattino e via
Forlanini
sollecitare al più presto misure umanitarie nei confronti dei cittadini Rom
sgomberati.,
chiedere la cessazione di ogni politica di sgomberi ciechi dei campi Rom da
parte dell’Amministrazione comunale
Perché la convivenza pacifica si coltiva con il dialogo e la
solidarietà, non con le ruspe!
Ricevo da Tommaso Vitale
Campo nomadi via Rubattino, Ledha scrive al sindaco
In seguito ai recenti avvenimenti di via Rubattino, ovvero lo sgombero di un
campo nomadi da parte del Comune di Milano, Ledha, Federazione che da oltre 30
anni tutela le persone con disabilità della Lombardia, interviene con una
lettera aperta al Sindaco Letizia Moratti per chiedere il rispetto dei diritti
umani di tutti.
Quanto è accaduto giorni fa a Milano, lo sgombero di un campo nomadi in via
Rubattino, deciso dal Comune senza rispettare le principali garanzie previsto
dal diritto internazionale (ossia la predisposizione di un'alternativa
abitativa, e lo sradicamento dei bambini dal quartiere, nel quale erano inseriti
da tempo, anche nella frequenza scolastica) ci interroga da vicino, come persone
impegnate, rispetto ai temi della disabilità, a diffondere e difendere i diritti
previsti dalla Convenzione Onu.
Il principio di non discriminazione, la pari dignità delle persone, sono
questioni essenziali, rispetto alle quali non possiamo far finta di non vedere e
di non sentire, e dunque non reagire come cittadini. Una comunità nella quale
chi detiene l'autorità - non solo per quanto concerne il tema della sicurezza e
dell'igiene, ma anche per quanto riguarda i servizi sociali e l'aiuto alle
famiglie - decide consapevolmente di limitare e violare i diritti minimi delle
persone che vivono nel territorio, è una comunità più povera in termini di
qualità della convivenza e del rispetto d elle regole per tutti.
Non è sufficiente sapere che il potere civico gode del consenso di una vasta
parte dell'opinione pubblica, impaurita e comunque insofferente di fronte alla
presenza di minoranze come quella dei nomadi, specialmente di etnia rom.
Il consenso popolare è stato, nella storia del nostro Paese e dell'Europa, la
premessa dei totalitarismi e della persecuzione delle minoranze: rom, ebrei,
omosessuali, disabili. Ignorare questa storia, e soprattutto non cogliere per
tempo il nesso con il tempo presente non è solo negligenza o pigrizia
individuale e collettiva.
E' venire meno alla coerenza con il nostro impegno, di singoli e di
associazioni, in favore di una società inclusiva, attenta alle fragilità, vicina
ai diritti dei più deboli. Come non indignarsi di fronte al destino incerto di
bambini e di mamme del tutto incolpevoli?
E' evidente la complessità delle risposte da fornire a gruppi che faticano a
vivere rispettando le regole della cittadinanza. Ma non si comprende in questo
caso l'esibizione di forza, il non ascolto delle associazioni di solidarietà, e
perfino della Chiesa e dei suoi esponenti più responsabili e competenti.
Come LEDHA, Lega dei diritti delle persone con disabilità, abbiamo il dovere di
difendere i diritti di tutti, di uscire da una tutela "corporativa" per
condividere, con assoluta serenità, forme di pressione civica affinché la
qualità della convivenza civile a Milano non sia indebolita da episodi che sono
destinati a pesare come precedenti gravi anche per le politiche che più ci
riguardano da vicino.
Fulvio Santagostini - Presidente LEDHA
Franco Bomprezzi - Portavoce LEDHA
30 Novembre 2009 Proposta controcorrente della pediatra che ha dedicato la
vita ad aiutare i più sfortunati
Elena Sachsel ai sindaci del Magentino: "Ospitiamo i rom sgomberati da via
Rubattino!"
Magenta Come conciliare solidarietà e rispetto della legalità? Sulla questione
rom ormai si dibatte da tempo con opposte teorie. Riportiamo fedelmente la
lettera che Elena Sachsel, pediatra che ha dedicato una vita intera all'aiuto
delle popolazioni più sfortunate, ha inviato ai sindaci del Magentino.
Alla cortese attenzione dei signori Sindaci
del Territorio del Magentino e Milano Ovest
Milano 26 novembre 2009
carissimi,
non meravigliatevi di questa mia. Ho pensato a voi e vi spiego il perché.
Ho condiviso con il Naga e tante altre Associazioni Milanesi che si occupano dei
Rom e Sinti (Tavolo Rom) il dolore , l'indignazione e la vergogna per lo
sgombero forzato e violento campo dei Rom romeni di via Rubattino : rimanevano
all' addiaccio donne, con bambini piccolissimi, con proposte del Comune di
Milano assolutamente insufficienti.
Nell'incontro col Prefetto i Rom hanno chiesto un pezzetto di terra dove le
famiglie potessero autocostruirsi delle casette monofamiliari chiedendo al
Comune i servizi essenziali ( acqua, luce, gas, raccolta rifiuti) che loro sono
assolutamente disposti a pagare.
Ma il Comune di Milano verso i Rom e Sinti ha un atteggiamento assolutamente
negativo.
E allora ho pensato a voi, che amministrate con coraggio i nostri piccoli Comuni
...forse in Provincia le cose possono andare meglio.
Le famiglie interessate sono 60. Forse, adesso che arriva il difficile e duro
mese di dicembre, un piccolo numero di queste potrebbero venire ospitate da voi.
Vi chiedero' un appuntamento presso di voi per potervi illustrare a voce la
situazione.
GM
Di Fabrizio (del 01/12/2009 @ 08:55:58, in Europa, visitato 1766 volte)
Da
Roma_Francais
OSTROVANY - Lucia Kucharova non vuole più guardare dalla finestra da quando
la vista è ostruita dal muro che separa le capanne circondate di rifiuti dove
vivono circa 1.200 Rom, dal resto del villaggio di Ostrovany, nella Slovacchia
dell'est
Due Rom dietro il muro costruito per isolarli dal villaggio di Ostravany in
Slovacchia, 11 novembre 2009
La costruzione di cemento di 150 metri di lunghezza e due di altezza,
eretta il mese scorso con un costo di 13.000 euro, suscita l'indignazione dei
Rom e dei difensori dei diritti umani.
"E' discriminazione. Il sindaco avrebbe piuttosto dovuto spendere quei soldi
per costruire delle abitazioni per noi," protesta Lucia Kurachova, Rom di 25
anni. Cyril Revak, sindaco dal 1991 di questo villaggio di 1.800 abitanti, evita
prudentemente di parlare di "muro". Ma ne giustifica la costruzione accusando la
comunità rom di furti.
"Il recinto non impedisce ai Rom di venire al villaggio. Impedisce loro
giusto di penetrare nei giardini privati per rubare. Non sono che piccoli furti,
soprattutto d'autunno. La gente non può più coltivare legumi nei giardini,
perché vengono rubati," afferma il sindaco.
Anche se largamente maggioritaria a Ostrovany, la comunità rom non partecipa
affatto alla vita pubblica, affermando che non cambierebbe niente. "Ho votato
per il muro, dato che il consiglio municipale l'avrebbe deciso in ogni modo,"
riconosce d'altra parte Dezider Duzda, l'unico Rom tra i nove consiglieri
municipali.
Ai piedi del muro, Alena Kalejova cerca dei mozziconi. "Le sigarette sono
troppo care. Si vive a mala pena con i 150 euro al mese della disoccupazione,"
spiega questa giovane madre rom di 21 anni.
Quasi tutti i membri della comunità sono senza lavoro.
Di Fabrizio (del 30/11/2009 @ 10:21:13, in Regole, visitato 3918 volte)
di
Giancarlo Ranaldi - 27 novembre 2009
Ieri Angelica (vedi
QUI e
QUI ndr) ha compiuto 17 anni: gli ultimi due vissuti da detenuta nel
carcere minorile di Nisida.
Angelica viene da Bistrita-Nasaud in Transilvania (Romania Nord Occidentale).
Era arrivata in Italia da pochi mesi (presumibilmente inizi di aprile 2008) in
compagnia del giovane marito (21 anni) Emiliano, del fratello di lui con sua
moglie ed il loro figlio di otto anni. La figlia, Alessandra Emiliana (3 anni) è
rimasta, invece, con i nonni paterni in Romania. Non conoscevano nessuno.
Vivevano sopratutto di elemosina ma anche di piccoli furti.
Il 25 aprile del 2008, infatti, Angelica è sorpresa con un paio di orecchini,
probabilmente, rubati in una casa sempre a Ponticelli. Viene fermata e “messa”
in una casa famiglia dalla quale scappa subito dopo.
Pochi giorni dopo, il 10 maggio, l’accusa “infamante” di aver tentato di rubare
una neonata. Viene rinchiusa a Nisida.
In tutti e due i casi subisce due tentativi di linciaggio, “provvidenzialmente”
salvata dalla polizia. Nessuno dei suoi aggressori è stato mai identificato.
Il processo: tutto si basa sul racconto della Sig.ra Flora Martinelli. Nessuno
ha visto Angelica con la bambina in braccio se non la Martinelli. Oggettivamente
il racconto della mamma è poco verosimile. Non credo sia stata effettuata una
“perizia tecnica” sui luoghi: se fatto si sarebbe facilmente potuto verificare:
- per entrare in quella casa, senza essere vista, si sarebbero dovute verificare
tutta una serie di circostanze favorevoli: cancello d’ingresso al cortile
aperto, portone d’ingresso del fabbricato aperto, porta di casa con serratura di
sicurezza aperta;
- le distanze sono così minime che Angelica si doveva muovere al rallentatore
per poi ritrovarsi, immobile, sull’uscio della casa con la bambina in braccio
senza, tra l’altro, opporre alcuna reazione o minaccia alla mamma di lei;
- si è giudiziariamente accertato che era da sola e, quindi, se anche fosse
riuscita ad allontanarsi dall’abitazione dei Martinelli con la bambina in
braccio avrebbe dovuto percorrere a piedi circa 2 km per raggiungere il campo
più vicino rendendosi “invisibile” alla gente del quartiere.
L’accusa si fonda anche sulla testimonianza di un poliziotto al quale lei
avrebbe riferito che voleva prendere la bambina per venderla in Romania.
Probabilmente voleva solo dire che aveva una figlia in Romania e c’è, dall’altro
canto, una testimonianza della mediatrice culturale che accerta che all’epoca
dei fatti Angelica non era in grado di parlare e capire l’italiano, anche se
oggi dopo quasi due anni di detenzione riesce ad esprimersi molto bene.
Tutto si basa, quindi, sul racconto della mamma e non è stato tenuto in nessun
conto che la Martinelli ha precedenti giudiziari per “falso ideologico” ed anche
il padre di lei, Ciro Martinelli detto ‘O Cardinale, nel 1999 condannato a nove
mesi per associazione a delinquere. è un “collaboratore” del Clan Sarno, come
riferiscono Marco Imarisio del Corriere della Sera e Miguel Mora de El Pais.
Tutti sanno che i Rom a Ponticelli vivevano in un clima di sottomissione e
nessuno si sarebbe mai sognato di fare un’azione del genere in un quartiere
interamente gestito dalla camorra. E’ vero, invece, che i terreni dovevano
essere liberati al più presto, servivano per un piano urbanistico di recupero
(Ospedale, parco e centro commerciale a firma dell’Architetto Renzo Piano), con
un finanziamento pubblico di milioni di euro e proprio là dove era il campo
“bruciato” dai camorristi sull’onda dell’emozione popolare per il tentato
rapimento, si realizzerà un grandissimo centro commerciale o Città della Musica
(Palaponticelli).
Angelica giudiziariamente è una “minore non accompagnata”. Il legislatore
ritiene che un minore di età debba rimanere in Istituto il minor tempo
possibile, favorendo tutte le possibilità di reinserimento sociale, ed Angelica
è detenuta dal maggio 2008. Non le è stata mai concessa alcuna misura
alternativa la carcere. Diverse sono, quindi, le opportunità fra un minore a
rischio italiano ed un minore a rischio straniero, anche se in un primo momento
Angelica era stata affidata ad una casa famiglia ma, evidentemente, senza nessun
serio “progetto” di sostegno: semplicemente parcheggiata.
Non le è stata concessa “la messa alla prova”, un importante istituto
giudiziario che pone come alternativa al carcere un “percorso” di studio e
lavoro. Paradossalmente, infatti, è difficile trovare un giudice minorile che
disponga un simile “azione” se non in presenza dell’ammissione della colpa, ed
Angelica ha sempre detto e sostenuto con convinzione che quella bambina proprio
non la voleva “rubare”. Vale a dire che se uno si dichiara innocente non ha
possibilità di essere messo alla prova (ma questo vale per tutti).
Nonostante la sua condizione di minore non accompagnata in evidente difficoltà,
in un paese straniero non le è stata concessa alcuna attenuante anzi, per il
fatto che secondo l’accusa la mamma si trovava nell’altra stanza e la neonata
era quindi da sola, le è stata data l’aggravante della “minorata difesa della
persona offesa” che in verità viene riconosciuta soltanto in presenza di
particolari requisiti di tempo e spazio, come nel caso di un reato commesso di
notte e in un luogo isolato. Senza questa aggravante, probabilmente, sarebbe già
potuta uscire dal carcere.
Non le è stato possibile capire bene in quale situazione si trovava perché
nessun atto d’imputazione le è stato tradotto nella sua lingua ed, in ultimo,
non le è stato concesso il “patrocino gratuito” perché era impossibile stabilire
le sue condizioni “finanziarie” in Romania (ma anche questo pare un fatto comune
a tanti altri casi).
A dicembre il giudizio di Cassazione…
Da
Roma_Daily_News (leggi anche
QUI e
QUI)
The Montreal Gazette By Salam Faraj, Agence France-Presse
25 novembre 2009, AL-ZUHOOR, Iraq – Stretta tra una discarica ed il letto
prosciugato di un fiume, Al-Zuhoor non ha acqua corrente o elettricità e gli
zingari che lì vivono sono ai margini del nuovo, ultra conservatore Iraq.
Nei vicoli puzzolenti delimitati da casupole di mattone, senza porte o vetri
alle finestre, gli uomini vagano senza lavoro, una ragazzina gioca dondolandosi
ed una donna ritorna da un giorno di elemosine a Diwaniyah, 180 km. a sud di
Baghdad.
Da lontano, il fumo dell'immondizia annerisce il cielo e, quando gira il
vento, l'odore nauseabondo è dappertutto.
Prima del 2003, sotto il regime baatista di Saddam Hussein, la situazione era
migliore. Il pugno di ferro del dittatore non pesava sugli zingari.
Gli uomini erano cantanti o musicisti professionisti e le donne erano
invitate ai balli, ai matrimoni e alle feste in Iraq, dove erano migrati
dall'India secoli fa.
Con l'ascesa degli islamisti radicali nel 2004, sono stati marginalizzati,
attaccati e derubati dall'esercito del Mahdy, una milizia sciita leale a Moqtad al-Sadr,
e che vede gli zingari come moralmente ripugnanti.
Oggi, con il paese dilaniato dalla guerra soprattutto gestita dai capi
religiosi, una volta regolati dalla società più secolare che esisteva sotto
Saddam, la comunità rom si sente vittima di ostracismo.
Anche se sono musulmani, i "Kawliya" - come è conosciuta la comunità in Iraq
- sono visti come emarginati.
"Viviamo peggio dei cani," dice Ragnab Hannumi Allawi, che vive nel
villaggio; vestita di scuro, circondata da un gruppo di donne e seduta su di un
tappeto polveroso.
Ora rifiuta di andare a Diwaniyah, capitale della omonima provincia, a
cercare aiuto. "Le autorità dicono -voi non avete diritto a niente- e ci
cacciano via. Quando andiamo in città a comprare da mangiare, ce lo rifiutano."
L'unica cosa che queste donne possono fare per mendicare pochi dinari è di
coprire interamente la loro faccia per evitare di essere riconosciute.
"Partiamo alle 5.00 di mattina e torniamo verso le 3.00 del pomeriggio, per
due anni ci hanno chiuso tutte le porte in faccia e ci hanno lasciato ad
agonizzare," dice Lamia Hallub, con la faccia avvilita.
Invece gli uomini ricordano con nostalgia i matrimoni e gli eventi dove
suonavano e cantavano la notte per le famiglie ricche.
Prima del 2003 "potevamo lavorare nella musica e nei festival folk," dice Khalid Jassim,
con la testa adornata da una kefya bianca e rossa.
"Ma da allora, più niente. Perché? Perché le nostre tradizioni non si
accordano con i valori islamici," si lamenta il vecchio.
"Ci dicono che gli artisti non hanno posto in Iraq. L'arte è finita, ma quale
paese è senza artisti?" ci dice, con la voce che si fa più animata.
"Datemi un lavoro - militare, polizia, security o operaio."
A causa di attacchi regolari, la polizia ha installato dei controlli
all'ingresso del villaggio, ma nonostante ciò molti zingari continuano ad
andarsene.
"Nel villaggio, le infrastrutture sono state distrutte, incluse la rete
idrica e l'elettricità," spiega Abbas al-Sidi, membro della Commissione per i
Diritti Umani della provincia.
"Gli attacchi, la maggior parte di milizie armate, hanno obbligato le
famiglie a fuggire verso altre province. Il numero delle famiglie è sceso da 450
a 120. Sono rimaste le più povere."
Il numero dei Rom in Iraq, secondo i capi tribù, è stimato in 60.000.
Appaiono flebili le loro speranze di una vita migliore in un paese popolato da
30 milioni di persone.
"L'Islam li considera esseri devianti," dichiara Hafiz Mutashar, dignitario
religioso a Diwaniyah.
"Sono coinvolti nella prostituzione, che sotto l'Islam è proibita. E' normale
che la nostra comunità li consideri inferiori e insista nell'isolarli."
Di Fabrizio (del 29/11/2009 @ 09:48:00, in Italia, visitato 3120 volte)
Tre giornate di condivisioni tra i residenti del campo e tutta la
cittadinanza, concerti di gruppi musicali, una mostra fotografica e un mercatino
dove gustare i cibi della cultura rom e acquistare oggetti di artigianato.
Così il Casilino 900 si congeda da Roma, con una proposta avanzata dai
rappresentanti del campo durante l’incontro di presentazione del
Coordinamento rom di Roma.
Gli abitanti del Casilino, nell’invito alla festa, hanno ripercorso la storia
del campo ma soprattutto rivolgono le «scuse e il rammarico per fatti che
possono avere accresciuto la diffidenza, favorito la chiusura verso la cultura
rom e contribuito a creare quello stereotipo per cui rom è uguale a
delinquenza».
Così i nomadi che vivono nel campo la cui storia è iniziata negli anni Sessanta
invitano i cittadini del quartiere, il 15, il 16 e il 17 dicembre dalle 15 alle
23 perchè «sarà una gioia per noi condividere le iniziative, i traguardi, le
ansie e i progetti. Per arrivare insieme a capire che siamo davvero tutti figli
di uno stesso padre».
Segnalazione di Nadia Marino (Post indicato per una gustosa
domenica, anche se più che di cucina rom, si potrebbe parlare di cucina dell'est
Europa)
Unicoop Firenze I piatti tipici, le usanze. Chi sono e quanti sono in
Italia
Di Giulia Caruso
Frutto variegato di mille culture è la cucina del popolo nomade, risultato di
peregrinazioni secolari tra Oriente e Occidente. Ogni etnia romani ha
infatti un proprio patrimonio di ricette, mutuato dalle tradizioni culinarie dei
paesi attraversati, interpretate alla luce di un'antichissima arte di
arrangiarsi.
Il risultato è una cucina povera all'apparenza ma ricca di sapori. I dolma
e i sarma, ad esempio, sono i due piatti più popolari, comuni a molte
etnie. I dolma sono peperoni ripieni di riso, carne tritata e
pomodoro. Per la cottura vengono disposti verticalmente in una pentola chiusa,
con dell'acqua sul fondo. I sarma sono involtini di cavolo cappuccio,
preparati con lo stesso ripieno.
La pitta è un'altra golosità, diffusa tra i rom di molti paesi d'Europa.
Si tratta di una sfoglia di acqua e farina da cui vengono ricavati lunghi
cilindri, successivamente riempiti di bietola e ricotta o di carne, patate e
cipolle oppure di uova e ricotta, che vengono adagiati in una teglia da forno a
mo' di spirale e successivamente cotti in forno.
Il bosanskibonaz è invece uno spezzatino di carne con peperoni, verza,
patate, cavolfiore. Interessante l'abitudine di bollire sempre la carne prima di
utilizzarla nei soffritti o nelle zuppe. Ragioni igieniche di sicuro, ma anche
opportunità dietetiche: molto meglio i grassi vegetali di quelli animali.
La ricorrenza della Natività è occasione per gli zingari di mezza Europa di
grande convivialità: si fa il pane in casa e si preparano dolci da consumare
tutti insieme. Secondo tradizione è consuetudine cuocere allo spiedo una pecora
intera, dopo averla riempita di patate al rosmarino, spennellata di birra
durante la cottura, che generalmente avviene su un grande letto di braci
ardenti. La pecora così preparata fa parte anche del menu abituale dei banchetti
nuziali, altra grande tradizione rom.
Così come è consuetudine diffusa l'uccisione di un agnello in segno di
gratitudine e di buon augurio, ad esempio quando un bambino guarisce da una
malattia. In quest'occasione, genitori e parenti stretti del piccolo si toccano
la fronte con le dita intinte nel sangue dell'animale e distribuiscono a tutti
la carne cruda a pezzi, che ognuno provvederà a cuocere e consumare, in segno di
ringraziamento per il felice evento. La tradizione è di origine musulmana, ma è
diventata pratica comune a molti gruppi.
Un dolce antico, da consumare in occasioni di feste e matrimoni, è l'halvava,
simile alla nostra polenta, fatto con farina cotta nell'olio a cui si aggiunge
sciroppo di zucchero, frutta secca, pinoli.
Altro dolce abbastanza diffuso è il baklave, formato da una sorta di
lasagne di pasta sfoglia con uva passita, noci, pinoli, miele, aromatizzato con
rum e cotto in forno.
A tavola ci si siede all'orientale, con tutte le portate servite insieme sulla
tavola a cui ogni commensale attinge.
E' pratica diffusa concludere il pasto con grappa prodotta dalla distillazione
della frutta, soprattutto delle prugne.
La storia
Gli zingari in Italia, come nel resto del mondo, rappresentano una comunità
estremamente eterogenea.
Si suddividono essenzialmente in 5 gruppi: rom, sinti, kalé (gitani della
penisola iberica), manouche (francesi) e romanichals (inglesi).
A questi gruppi principali si ricollegano i sottogruppi, affini e diversificati,
ognuno con proprie peculiarità ma con un'origine unica, l'India del Nord, e una
lingua comune, il romanès.
La popolazione romani, in Italia, rappresenta lo 0,16% circa dell'intera
popolazione nazionale. Secondo recenti stime sarebbero 130.000, tra sinti
e rom con i loro sottogruppi.
I sinti sono soprattutto presenti a nord, mentre nel resto d'Italia,
soprattutto al centro e al sud, sono presenti rom di antico insediamento
(XV secolo circa) a cui si sono aggiunti gruppi di recente e di recentissima
immigrazione, soprattutto dalla ex Jugoslavia e dalla Romania.
Circa il 75% è di religione cattolica, il 20% di religione musulmana e il 5%
raggruppa ortodossi, testimoni di Geova e pentecostali.
Di Fabrizio (del 28/11/2009 @ 09:49:25, in Europa, visitato 2105 volte)
Da
British_Roma
24 Dash.com Published by Jon Land
25/11/2009 - Oggi quindici bambini sono ritornati e sei persone sono state
rilasciate senza accuse, dalla polizia che investigava su un presunto traffico
infantile.
I giovani della comunità rom di Manchester erano stati presi in carico dopo
che la polizia li aveva trovati a tre diversi indirizzi all'inizio di questa
settimana.
Gli investigatori ritenevano che fossero obbligati a commettere piccoli
crimini, ma la polizia metropolitana di Manchester ha ora appurato che non
c'era alcuna evidenza di sfruttamento o criminalità.
La polizia ha eseguito gli accertamenti nell'area di Agnes Street a Gorton e
di Stockport Road a Longsight nelle prime ore di lunedì.
C'è una numerosa comunità rom nelle aree di Gorton e Longsight, che si stima
in 1.000 persone.
Un portavoce della polizia metropolitana di Manchester ha detto: "Due uomini
e quattro donne, di età compresa tra i 23 e i 32 anni, che erano stati arrestati
per il sospetto di traffico di persone, sono state tutte rilasciate senza
carichi pendenti."
"Pure i quindici bambini [...] che erano stati temporaneamente presi in
carico dai Servizi Infantili Comunali, sono ritornati alle loro famiglie."
Il soprintendente Paul Savill, che ha condotto l'operazione, ha detto:
"Avevamo il dovere di agire per il sospetto che i bambini che vivono nella
comunità rom potessero essere vittime di traffici nella cintura di Manchester.
Dovevamo verificare che non ci fossero problemi ed assicurarci che i bambini non
fossero sfruttati."
"Assieme al Consiglio Municipale abbiamo condotto le indagini e siamo
soddisfatti di non avere trovato prove di sfruttamento o criminalità, così
abbiamo rilasciato tutti gli arrestati, senza che vi sia alcun carico nei loro
confronti, ed i bambini sono stati riportati alle loro famiglie."
"Vorrei elogiare tutti quanti sono stati coinvolti per la loro cooperazione
offerta alla nostra indagine."
"Il nostro scopo primario è stato di salvaguardare il benessere di questi
bambini, ed abbiamo cercato di condurre le indagini nel modo più rapido
possibile, per minimizzare la disgregazione sia dei bambini, che dei loro
genitori e della comunità rom."
"Vorrei ancora sottolineare che questa operazione non intendeva stigmatizzare
i Rom insediati nella nostra comunità. Stiamo lavorando molto duramente, assieme
a tutti i nostri partner, per aiutarli ad inserirsi qui e continueremo a dar
loro tutto l'appoggio possibile per programmare una nuova vita a Manchester."
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