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The Montreal Gazette By Salam Faraj, Agence France-Presse
25 novembre 2009, AL-ZUHOOR, Iraq – Stretta tra una discarica ed il letto
prosciugato di un fiume, Al-Zuhoor non ha acqua corrente o elettricità e gli
zingari che lì vivono sono ai margini del nuovo, ultra conservatore Iraq.
Nei vicoli puzzolenti delimitati da casupole di mattone, senza porte o vetri
alle finestre, gli uomini vagano senza lavoro, una ragazzina gioca dondolandosi
ed una donna ritorna da un giorno di elemosine a Diwaniyah, 180 km. a sud di
Baghdad.
Da lontano, il fumo dell'immondizia annerisce il cielo e, quando gira il
vento, l'odore nauseabondo è dappertutto.
Prima del 2003, sotto il regime baatista di Saddam Hussein, la situazione era
migliore. Il pugno di ferro del dittatore non pesava sugli zingari.
Gli uomini erano cantanti o musicisti professionisti e le donne erano
invitate ai balli, ai matrimoni e alle feste in Iraq, dove erano migrati
dall'India secoli fa.
Con l'ascesa degli islamisti radicali nel 2004, sono stati marginalizzati,
attaccati e derubati dall'esercito del Mahdy, una milizia sciita leale a Moqtad al-Sadr,
e che vede gli zingari come moralmente ripugnanti.
Oggi, con il paese dilaniato dalla guerra soprattutto gestita dai capi
religiosi, una volta regolati dalla società più secolare che esisteva sotto
Saddam, la comunità rom si sente vittima di ostracismo.
Anche se sono musulmani, i "Kawliya" - come è conosciuta la comunità in Iraq
- sono visti come emarginati.
"Viviamo peggio dei cani," dice Ragnab Hannumi Allawi, che vive nel
villaggio; vestita di scuro, circondata da un gruppo di donne e seduta su di un
tappeto polveroso.
Ora rifiuta di andare a Diwaniyah, capitale della omonima provincia, a
cercare aiuto. "Le autorità dicono -voi non avete diritto a niente- e ci
cacciano via. Quando andiamo in città a comprare da mangiare, ce lo rifiutano."
L'unica cosa che queste donne possono fare per mendicare pochi dinari è di
coprire interamente la loro faccia per evitare di essere riconosciute.
"Partiamo alle 5.00 di mattina e torniamo verso le 3.00 del pomeriggio, per
due anni ci hanno chiuso tutte le porte in faccia e ci hanno lasciato ad
agonizzare," dice Lamia Hallub, con la faccia avvilita.
Invece gli uomini ricordano con nostalgia i matrimoni e gli eventi dove
suonavano e cantavano la notte per le famiglie ricche.
Prima del 2003 "potevamo lavorare nella musica e nei festival folk," dice Khalid Jassim,
con la testa adornata da una kefya bianca e rossa.
"Ma da allora, più niente. Perché? Perché le nostre tradizioni non si
accordano con i valori islamici," si lamenta il vecchio.
"Ci dicono che gli artisti non hanno posto in Iraq. L'arte è finita, ma quale
paese è senza artisti?" ci dice, con la voce che si fa più animata.
"Datemi un lavoro - militare, polizia, security o operaio."
A causa di attacchi regolari, la polizia ha installato dei controlli
all'ingresso del villaggio, ma nonostante ciò molti zingari continuano ad
andarsene.
"Nel villaggio, le infrastrutture sono state distrutte, incluse la rete
idrica e l'elettricità," spiega Abbas al-Sidi, membro della Commissione per i
Diritti Umani della provincia.
"Gli attacchi, la maggior parte di milizie armate, hanno obbligato le
famiglie a fuggire verso altre province. Il numero delle famiglie è sceso da 450
a 120. Sono rimaste le più povere."
Il numero dei Rom in Iraq, secondo i capi tribù, è stimato in 60.000.
Appaiono flebili le loro speranze di una vita migliore in un paese popolato da
30 milioni di persone.
"L'Islam li considera esseri devianti," dichiara Hafiz Mutashar, dignitario
religioso a Diwaniyah.
"Sono coinvolti nella prostituzione, che sotto l'Islam è proibita. E' normale
che la nostra comunità li consideri inferiori e insista nell'isolarli."