Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.

Wim Wenders
-

\\ Mahalla : VAI : conflitti (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 08/01/2006 @ 10:18:15, in conflitti, visitato 2841 volte)

Premessa: 6 aprile 2004, Il Washington Post riportava della completa rasa al suolo di un villaggio di zingari (Dom presumo) nell'Iraq meridionale, ad opera delle milizie sciite, dopo un intenso scontro a fuoco tra gli abitanti e la milizia stessa. Non si conosce la sorte e il numero dei superstiti. Sempre secondo l'articolo, Hamid Abed Zeid, uno dei comandanti della milizia, ha giustificato l'azione con queste parole: "Sappiamo cosa succedeva lì - attività illegali, droga, crimini, rapimenti. Queste sono attività contrarie agli insegnamenti islamici".

Foto e notizie su: Washington Post (ma il link non è più disponibile senza abbonamento) con le dovute precauzioni, visto il ruolo di occupanti degli statunitensi e i loro rapporti (allora) molto tesi con gli sciiti dell'Iraq del sud. Questa settimana Reuters e Washington Post sono ritornati su quelle storie (vedi sotto).

Qui invece un altro articolo del giugno 2005.

Per conoscere i Dom, diffusi in Medio Oriente e Africa Settentrionale

reuters

family1

By Deepa Babington

HADID, Iraq (Reuters) – Tra i tre milioni di Iracheni impoveriti, Jameel Mahmoud Hassan ha il non invidiabile titolo di essere tra il più povero di tutti.

Parte di un gruppo di Zingari iracheni che ha girato per anni nei fetidi terreni di un villaggio a nord di Baghdad, ha passato la sua vita nello squallore, e ora nella paura.

La casa non è niente di più di una tenda che a fatica si tiene con i sui bastoni, e un tappeto strappato circondato da sacchetti di plastica, barattoli arrugginiti e bottiglie rotte.

Una pila di bombole di cherosene con del fango sulla parte superiore, serve da forno improvvisato. Le mosche turbinano dappertutto - sull'immondizia, sui bambini che ridono senza motivo, su un cane legato ad un albero.

Dentro la tenda, sua moglie e cinque figli, i vestiti impastati dal fango, avvolti in una maglia e un tappeto. La lampada a cherosene è l'unica fonte di calore in questa gelida mattina invernale.

Patate, cocomeri e fagioli sono il piatto tipico a colazione, pranzo e cena. La carne è un lusso che appare forse ogni due settimane.

Recentemente, la milizia si è presentata da Hassan per obbligarlo a sgomberare.

“Non abbiamo niente” dice. “Siamo poveri. Cerchiamo solo un posto sicuro per nasconderci”

Disprezzati dai religiosi musulmani e a fatica tollerati dal resto della società, gli Zingari iracheni vivono un'esistenza precaria. Mancando di istruzione e professionalità, formano il gradino più basso del sistema sociale.

Ancora, gli Zingari del villaggio di Hadid, vicino a Baquba (65 km, a nordest di Baghdad), possono essere tra i più fortunati in Iraq. Le altre tribù sono state cacciate e attaccate dalle rampanti milizie islamiche, che li vedono come una macchia sulla società.

Sotto Saddam Hussein, gli Zingari erano al sicuro dalle persecuzioni – favore che ricambiavano occupandosi di danza, alcool e prostituzione, dicono gli Iracheni. La loro sicurezza scomparve con la destituzione di Hussein, lasciando aperta la porta alle milizie religiose.

family2

ZINGARI IRACHENI — Una famiglia condivide un modesto pasto nella tenda che serve loro da casa nella città di Diwaniya, nell'Iraq Meridionale [...]

To match feature IRAQ-GYPSIES. REUTERS/Imad Al-Khozai/Files (SIN25D)

Photo shot: 1/04/2006 5:10 AM
Photo arrived: 1/04/2006 12:13 AM

immagine dal Washington Post



VILLAGGI ATTACCATI

Una tribù di circa 250 famiglie zingare che viveva in un villaggio vicino alla meridionale città di Diwaniya fu tra quanti scoprirono sulla propria pelle la furia dei gruppi religiosi.

Il capodanno dell'anno scorso colpi di mortaio caddero sulle capanne di fango e canne, uccidendo una donna e ferendone altre tre.

Convinti di essere stati attaccati dal potente esercito di Moqtada al-Sadr, abbandonarono il villaggio, senza chiedere aiuto ai leaders religiosi. In seguito la più alta autorità sciita in Iraq, il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, promise loro che non sarebbero più stati molestati. Fecero ritorno al villaggio, che nel frattempo era stato saccheggiato.

La scuola elementare e la clinica costruite dal governo di Saddam erano state rese inagibili, le loro case danneggiate. La povertà che credevano di essersi lasciati alle spalle era tornata.

“[Gli esponenti dei] partiti religiosi ci hanno torturato,” racconta Bizai al- Baroodi, lo sceicco della tribù. “Avevamo raggiunto un livello decente di vita, ma dopo gli ultimi attacchi, ci siamo ritrovati al punto di partenza.”

La paura di quella notte attanaglia ancora Maiyada al-Tamimi, una Zingara di 20 anni. Un colpo di mortaio colpì la sua casa, uccidendole la madre e fratturandole il braccio, che dice dev'essere ancora curato. Dice: “Se avessi un lavoro pulito e onesto, non esiterei a lasciare questa tomba e vivere come qualsiasi altra ragazza della mia età”.

Come molti Zingari iracheni, molti della sua tribù sono arrabbiati per essere costretti a vivere come fuggiaschi nella loro stessa terra. Dicono che le loro radici si trovano in Spagna e fecero dell'Iraq la loro patria oltre 150 anni fa. Molti sono originari dell'India, altri arrivano da altri paesi del Medio Oriente.

Anche se parlano arabo e si professano islamici, le loro facce più scure ed affilate le tradiscono e ne fanno oggetto di persecuzione razziale:

“Siamo musulmani ed esseri umani, cittadini iracheni,” dice al-Baroodi. “Vogliamo soltanto vivere in pace”.
© Reuters 2006. All Rights Reserved.

 
Di Fabrizio (del 05/01/2006 @ 08:19:36, in conflitti, visitato 2234 volte)
Da Romano Lil edizione telematica 3 gennaio 2006

“Il Porrajmos dimenticato, le persecuzioni dei Rom e Sinti in Europa” è il titolo del libro edito dall’Opera Nomadi, con il contributo dell’Unione comunità Ebraiche Italiane. Il libro traccia la storia della persecuzione degli zingari a partire dal medioevo per arrivare all’età moderna, soffermandosi sul periodo nazi-fascista che ha porta...


 
Di Fabrizio (del 12/12/2005 @ 09:34:28, in conflitti, visitato 3012 volte)

Fate finta che sia un tentativo di mettere la testa fuori dal seminato.

Una scena a cui alcuni di voi hanno sicuramente assistito è lo sgombero/ il controllo in un campo rom: pistole puntate sulle donne e sui bambini, caroselli di gipponi... e per quanti non ne hanno mai visti (o si ostinano a negare che succedano cose simili), il riferimento per capire lo trovano in film come Soldato Blu o Piccolo Grande Uomo.

Per anni, i Rom hanno vissuto con un PARADIGMA: i celerini potevano agire in quella maniera (che lo facessero a ragion veduta oppure no, qui non importa), perché i Rom sono ai margini della società, tanto geograficamente che nell'agenda politica. Questo ha anche significato che le associazioni, più che i Rom stessi, avevano una ragione in più per battersi per diminuire l'isolamento geografico e politico: fare in maniera che certi atteggiamenti della polizia non passassero sotto silenzio.

Facile comportarsi come RAMBO, quando il nemico è indifeso e nessuno può testimoniare. Il Rom, italiano o straniero, in un campo abusivo o regolare, è per la legge un tipo di cittadino che se si lamenta perde il diritto a risiedere, che il comune gentilmente gli concede.

Ma ecco, si presenta nell'ultimo mese un malessere che percorre l'Europa. Nelle periferie francesi, scoppia una rivolta, le cause si perdono in quarant'anni di storia francese. La miccia è nuovamente l'isolamento geografico e politico. La risposta dello STATO è stata l'impiego della forza pubblica e la militarizzazione delle periferie. Forse i Flic sono stati + civili con i figli del Maghreb, dei loro colleghi italiani nei confronti dei Rom, rimane il fatto che anche in quel caso LA FORZA PUBBLICA E' INTERVENUTA PER SANCIRE IL DISTACCO TRA POPOLAZIONE E ISTITUZIONI. In questo mese e mezzo difatti, non è emersa nessuna strategia pubblica che affronti il tema dei rapporti tra le istituzioni (centrali o decentrate) e settori marginali in rivolta.

Un bubbone che può espandersi a macchia d'olio nel continente: a differenza dei Rom qui si tratta di cittadini riconosciuti come tali, che si ribellano e che non possono essere sgomberati. Al limite, li si può lasciare a marcire, sapendo che prima o poi la rivolta può tornare.

PARTICOLARE IMPORTANTE: dato che in Francia le violenze sono avvenute da entrambe le parti, al di là di quel che raccontano governi e giornali, chiunque può rintracciare in rete documenti, video, testimonianze di cosa è successo. Senza censure.

Mi rendo conto, che i miei ragionamenti si perdono in 100 rivoli. Un intermezzo?

3 pericolosi agitatori anarco-insurrezionalisti e uno che passava di lì per caso

Ma ecco che la cura esonda: in Val di Susa. Non sono disperati delle periferie, non sono una dimenticata minoranza etnica (non ancora, almeno). Eppure la polizia si è comportata con loro come se dovesse fare un controllo in campo rom. Un ministro, che si affretta a dichiarare che non ci sono state cariche della polizia. Una TV (grazie internet!) che mette online le riprese di cosa è successo.

Il punto chiave, come all'inizio di questo post, resta la mancanza di dialogo tra decisori e cittadini (quell'altro ministro: "...si mettano il cuore in pace!"). E nel mio piccolo, proprio quel ministro che ha interessi privati nell'appalto, ricorda molto da vicino quegli assessori che sgomberano i campi, e hanno preso qualche mazzetta perché su quei terreni si costruisca il solito centro commerciale...

Diciamo che l'argomento (TAV sì, TAV no) per me ha un'importanza minima, rispetto al risultato ottenuto: la polizia che carica cittadini inermi e gli stessi cittadini che vengono fatti passare per ostaggio di chissà quale complotto sovversivo. Sulla protesta in sé, personalmente posso essere o meno d'accordo, ma ritengo che la differenza tra una democrazia e il suo contrario è la possibilità di esprimere, pacificamente ma con forza, le proprie opinioni. Quindi, d'accordo o meno, vi segnalo dove confrontarsi con l'eterogeneo comitato che si è formato in quella valle.

Quello che mi interessa, piuttosto, è che mentre sulla carta l'Italia passa ad una Costituzione "federalista", nei fatti le istanze locali vengono soffocate (e sconfessate dagli stessi "federalisti"). La mancanza di una mediazione trasforma in pericolosi agitatori anche chi tra i manifestanti avrà sempre votato moderato o leghista.

Quello che lega tra loro tre situazioni molto diverse tra loro (il campo sosta, la banlieu francese, la valle piemontese) a parte la reazione poliziesca, è che sono un puzzle di nodi locali, che presi singolarmente hanno poco valore, rischiano di essere proteste corporative, o comunque minoritarie: una difesa del proprio ghetto o del proprio cortile.

La scommessa, al di là degli schieramenti di destra o sinistra, è di uscire dai propri schemi ed orizzonti, anche per le politiche dei Rom e dei Sinti. Trovare le ragioni remote perché le rivendicazioni specifiche possano essere assunte da uno schieramento più vasto. Sapendo che più si sarà civili e democratici nel nostro argomentare, più saremo (civilmente e democraticamente) censurati.

 
Di Fabrizio (del 07/12/2005 @ 17:18:03, in conflitti, visitato 1848 volte)

Da Kosovo_Roma_News

IN MEMORIA DELLE VITTIME ROM E IL FUTURO DEI LORO FIGLI

di: Rajko Djuric

I Roma di Serbia e , che come i Rom di molti paesi europei e no, assieme agli Ebrei furono le principali vittime di guerre e stanno seguendo con attenzione ed apprensione le "dispute diplomatiche" che ora accompagnano le trattative sul futuro delle due etnie maggioritarie del Kosovo e Metohija.

Le Nazioni Unite, il cui Segretario Generale Kofi Annan ha avuto l'opportunità di parlare con i rappresentanti dell'Unione Internazionale dei Rom, è stato informato sui fatti e sui dati inerenti la situazione generale di 12 milioni di Rom, la più grande minoranza nazionale d'Europa. E' pure noto che sino al 1999, i Rom erano anche la più grande minoranza nazionale in Kosovo e Metohija.

Karitas, la società per i popoli oppressi con sede a Gottinga, assieme ad altre OnG europee hanno mostrato grande attenzione al destino dei Rom kossovari, e dal 1999 ne informano tramite il periodico "Good Day" della chiesa cattolica di Colonia.

Con questo, tanto l'Europa che la comunità internazionale sono a conoscenza che prima la ALK e poi l'UCK hanno commesso crimini contro i Rom, e una radicale "pulizia etnica". Di circa 260.000 Rom che vi vivevano sino al 1999, ne sono rimasti solo 26.656. Di 193 insediamenti, ne restano soltanto 26.

Questo significa la distruzione totale della minoranza Rom, che in Kosovo e Metohija non era avvenuta nemmeno con la II guerra mondiale e l'intervento delle SS tedesche, dei fascisti italiani e dei loro alleati. E' la formulazione fatta da Hana Arendt “Il totalitarismo distrugge totalmente.”

Ecco un estratto dei vari rapporti.

T.T. e sua moglie, Rom di Obilic, rapiti il 5 luglio1999 affermarono di "essere stati torturati da gente di etnia albanese" dopo le uccisioni della famiglia Krasnici. Nella loro casa vennero bruciati vivi Alija, sua moglie Muljazima, i figli Djulja, Fadilj, Cherim e Nedzmedin, che aveva solo un anno."

Anche a Pristina bambini Rom vennero bruciati vivi.

La ALK, definita persino da alcuni intellettuali albanesi come "fascista", uccise un gran numero di Rom a Pristina, Pec, Obilic, Djakovica, Lipljan, Prizren, Podujevo, Urosevac e Gnjilane. A Pristina vivevano circa 22.000 Rom, secondo le ultime stime ne restano 1.300, a Pec di circa 20.000 ne rimangono 1.100, 500 su 7.000 a Obilic, 250 su 7.000 a Gnjilane, 300 su 5.000 a Gnjilane... Una lunga ed agonizzante lista di rapimenti di donne e ragazze, dispersi, alcuni rapporti parlano di fosse comuni dove sarebbero sepolte le vittime.

Il tragico destino dei Rom kossovari è stato amplificato dal premio Nobel Gunther Grass e i suoi appelli e discorsi sono stati pubblicati nel libro "Senza Voce", edito in Germania da Steidl.

L' UNMIK è a conoscenza di quanto, oggi e allora, stiano facendo gli estremisti albanesi contro i Rom che vivono tuttora in Kosovo.

Nonostante ciò, i Rom di Serbia e Montenegro, tra cui 116.000 Rom registrati come profughi rifugiati dalla provincia del Kossovo - sono fermamente convinti che la verità sarà sempre dalla parte dei più privilegiati, di chi ha maggior confidenza con la comunità internazionale, in particolare con Martti Ahtisaari, inviato speciale dell'ONU ai colloqui sullo status del Kosovo e Metohija. In precedenza Ahtisaari, come presidente della Finlandia, aveva mostrato grande comprensione per i Rom del proprio paese. L'attuale presidente Tarja Halonen ha continuato la strada intrapresa dal suo predecessore, aprendo la porta ai Rom non solo in Finlandia, ma in tutta Europa, e per questo ha ottenuto nel 2003 la più alta onoreficenza dai Rom dì Europa.

I Rom di Serbia e Montenegro sono dell'opinione che è più utile concentrarsi su quanto possa unirci, piuttosto che rimarcare le differenze con chi ci attacca fieramente.

Coinvolti sulle questioni di pace e sicurezza, i membri di questa minoranza nazionale si aspettano che la comunità internazionale nei colloqui sullo status del Kosovo assuma e difenda tutti quei punti di vista rispettosi dei principi e delle norme del diritto internazionale.

Un Kosovo indipendente, in qualsiasi forma dovesse esplicitarsi, significherebbe riconoscere e premiare quanti commisero crimini contro i Rom, un delitto che negli annali della storia europea ha il solo paragone con quello che accadde ad Auschwitz e con l'Olocausto, nello stesso anno in cui è caduto il 60° anniversario della vittoria sul fascismo. Negare giustizia ai Rom del Kosovo e privare del futuro i loro figli, significherebbe un silenzio colpevole della comunità internazionale, complice col regime che ha si è macchiato di delitti contro i diritti nazionali, civili ed umani, garantiti dall'ONU, nel cuore del continente e delle istituzioni europee.

Ci si aspetta dalla comunità internazionale che le soluzioni proposte portino pace, sicurezza, stabilità e prosperità a tutti in Kosovo. Nel contempo, si tenga conto che l'etica richiede giustizia, senza cui non potrà esserci una pace duratura. La giustizia non può in alcun modo dipendere dalla volontà di chi si è macchiato di crimini.

Dalla saggezza e dalle decisioni della comunità internazionale dipenderà se il millennio appena iniziato porterà nuova fiducia e speranza ai popoli del Kosovo, che hanno condiviso sin dai tempi dei re e dei sultani, del terrore nero e rosso, una cooperazione senza fine, mutua conoscenza e amicizia. Non sarà più così, in un Kosovo diviso, o indipendente.

Tutti questi popoli, come hanno spiegato anche eminenti storici e scrittori, non hanno sofferto per mancanza di virtù ma, soprattutto, l'assenza di condizioni che permettessero l'affermare dei propri diritti e libertà. L'esperienza storica testimonia che la malafede e l'odio velenoso crescono in modo incontrollato ai confini tra le divisioni dei popoli e delle minoranze nazionali.

Le parole di Willy Brandt, dette in un altro contesto, oggi possono servire da faro per politici e diplomatici: "Potrà crescere assieme solo chi vivrà assieme!”

L'autore è presidente della Roma Foundation e del Roma PEN Centre.

NdR A proposito della segnalazione di ieri, Daniele vi manda il link dell'articolo completo

 
Di Fabrizio (del 06/12/2005 @ 16:05:23, in conflitti, visitato 2622 volte)
UNA FERITA APERTA
(sul caso Hadareni cfr QUI ndr)

Un sanguinoso assalto che contrappose i Rumeni alla minoranza Rom nel 1993 lasciò un villaggio diviso. Ora, i sopravvissuti, stanno cooperando per restaurare l'armonia. (rif)

By Petru Zoltan, giornalista di Bucarest e collaboratore del Jurnalul National. Nipote di Mircea Zoltan, uno dei tre Rom uccisi negli avvenimenti di Hadareni.

29/11/2005 - Nel 1993 nel villaggio di Hadareni scoppiò uno dei più sanguinosi conflitti interetnici tra Rumeni e minoranza Rom. Dopo 12 anni, la vicenda si trascina ancora nei tribunali. L'ultimo appello, il 23 novembre in un giudizio locale, riguarda la somma che dovrebbe indenizzare i parenti delle vittime Rom, che in quella notte di violenza contarono tre morti e 14 case date alle fiamme. Tra i linciati dalla folla, mio zio Mircea Zoltan. Allora avevo 10 anni, mi ricordo soltanto mio padre che prendeva il treno per Hadareni, alla notizia che suo fratello era stato ammazzato. Da allora, oltre metà della mia vita, ho visto il rincorrersi di cause locali, nazionali, internazionali. Da quella notte, 20 settembre 1993, la memoria collettiva è rimasta segnata e solo ora si sta iniziando a ricostruire ponti tra le due comunità.

I fatti
Tutto cominciò quella sera quando tre Rom di Hadareni - Aurel Lacatus, suo fratello Rapa Lacatus e Mircea Zoltan - rivolsero la parola a una giovane non-Rom, Liana Bucur. Bucur racconterà poi in tribunale: "Non mi stavano infastidendo, e io non ho reagito male". Ma quella conversazione apparentemente innocua, aveva attitrato l'attenzione di Gligor Chetan, un anziano del villaggio, che si era avvicinato ai tre uomini e li aveva spintonati. Per tutta risposta questi l'avevano colpityo in faccia, raccontano i testimoni. Erano intervenuti intervenuti diversi Rumeni del villaggio, che aspettavano il bestiamo al ritorno dal pascolo. Nella confusione che era seguita, mio zio Mircea Zoltan e Aurel Lacatus avevano tentato la fuga. Rapa Lacatus circondato dala folla inferocita, aveva accoltellato Craciun Chetan (nessuna parentela con Gligor), che sarebbe morto il giorno stesso nell'ospedale della vicina Ludus. In quel periodo il villaggio di Hadareni - 900 persone, di cui 200 Rom e 130 di etnia ungherese - non aveva mai conosciuto tensioni etniche. Ma appena si venne a conoscenza della morte di Chetan, si radunarono 50 abitanti, armati di mazze, bastoni e bottiglie di benzina, che conversero verso l'insediamento dei Rom. I tre uomini furono trovati in una casa isolata, dove avevano trovato rifugio. Il capo della polizia della vicino paese di Chetani, Ioan Mega, arrivò sulla scena ma - come ricostruito da European Roma Rights Center (QUI ndr) - nel momento che i tre stavano per consegnarsi alla sua custodia, la casa venne data alle fiamme. In pochi minuti i tre morirono: Rapa Lacatus fu tolto dalle mani del commissario Mega e linciato, Pardalian Lacatus ucciso mentre tentava di sfuggire alle fiamme e Zoltan che riuscì a scappare, fu colpito a bastonate e ributtato nel fuoco. Quella notte, altre 13 case del quartiere Rom furono incendiate, e altre 5 saccheggiate. Alle 21.00 arrivarono altre forze di polizia dalla capitale distrettuale Tirgu Mures, senza però intervenire. Testimoni raccontano che furono gli stessi poliziotti ad incitare la popolazione contro i Rom. 

Il caso
Le indagini iniziarono già dal giorno successivo, ma i progressi furono lenti. I due poliziotti couinvolti - Ioan Mega e il sergente Alexandru Susca - seconda la legge rumena furono giudicati dalla giustizia militare nell'ottobre 1994, 13 mesi dopo quegli eventi. Nel 1995 furono prosciolti da tutte le accuse; il tribunale militarev stabilì che non avevano incitato alle violenze, non avevano preso parte agli evemnti e non erano stati in grado di contrastare la folla. Nel frattempo, nel 1997 il tribunale civile di Tirgu Mures identificò in - Nicolae Gall, Severius Ioan Precup, e tre cugiini, Pavel Bucur, Petru Bucur e Vasile Dorel Bucur (nessuno di loro parente di Liana Bucur) - come responsabili di "assassinio particolarmente violento", il massimo grado previsto dal codice criminale. Altri sei furono accusati di saccheggio e incitamento alla violenza. Nel 1998, quattro dei cinque accusati di assassinio furono condannati a pene tra i tre e i sette anni, mentre Petru Bucur vide mutata la sua condanna  in sei anni di prigione per danneggiamento di proprietà e incitamento alla violenza. Gli altri sentenziati di crimini minori furono condannati a pene tra i due e i cinque anni. Il giudice motivò la sentenza (l'omicidio di solito comporta tra i 15 e i 25 anni di pena) col fatto che le indagini avevano mostrato parecchie lacune e perciò non si potevano comminare pene più pesanti.

Gli iniziali dubbi del giudice portarono alla revisione del caso. Nel 1999 la corte suprema scagionò Nicolae Gall e commutò la pena di altri tre, cambiando il giudizio da  "assassinio particolarmente violento" ad omicidio. Nel 2000, l'allora presidente della repubblica, Emil Constantinescu, graziò due dei tre uomini ancora in carcere e ridusse la pena al terzo. Venne stanziata una somma (3 miliardi di Lei - 85.000 Euro) che il governo pagò a Gall per i tre anni passatiin prigione, a cui furono aggiunti 100 milioni di Lei (2.800 Euro) che sarebbero andati a rimborsare la vedova di Mircea Zoltan (indenizzo che tuttora è contestato). "Questa discrepanza mostra lo straordinario cinismo dei giudici, che considerano in 100 milioni di Euro le sofferenze di chi perse un familiare in maniera bestiale, e in  3 miliardi di Euro l'arresto di Gall" disse Meda Gama, avvocato che ha rappresentato i Rom dal 2003.

La situazione attuale
Nei cinque anni seguenti, i ricorsi non hanno cambiato il quadro d'insieme. "Nessun tribunale ha mai riconosciuto il pogrom o fatto niente per provare la partecipazione delle autorità [la polizia locale] agli avvenimenti", dice Gama, sottolineando i principali punti di controversia. I fatti hanno iniziato a muoversi più velocemente negli ultimi mesi. Nel 2003, un tribunale regionale di Mures ha condannato sette persone colpevoli di aver preso parte agli assalti di rifondere le proprietà date alle fiamme con 1,3 miliardi di Lei (circa 37.000 Euro) e con 580 milioni di Lei (circa 16.000 Lei) per i danni morali. Sentenza confermata a maggio 2005 dalla Cassazione. Nel 2000, 25 tra i superstiti dell'insediamento di Hadareni, hanno portato il loro caso al Tribunale Europeo dei Diritti Umani (ECHR) di Strasburgo; ritenendo colpevole lo stato rumeno di discriminazione, tolleranza di violenze e torture, non assicurare un equo processo e di non tutelare la vita degli individui e della famiglia, tutti diritti contenuti nella Convenzione Europea dei Diritti Umani. Entrambe i casi, hanno ottenuto soluzione nel 2005. A luglio, con due sedute separate, l'ECHR ha ordinato alla Romania di pagare complessivamente 500.000 Euro ai 25 superstiti. Diciotto di loro ne avevano già ricevuto 262.000 con un "accomodamento amichevole" con lo stato. Accordo rifiutato dagli altri sette, perché giudicato insufficiente, e che saranno indennizzati per un totale di 238.000 Euro. Sempre l'estate scorsa, la Corte d'Appello di Mures ha ordinato alla polizia di valutare le case dei sette giudicati condannati a pagare un compenso per il ruolo tenuto durante le violenze. La possibilità che le case siano confiscate, ha nuovamente aumentate le tensioni nel villaggio, che ora è presidiato da polizia e vigili del fuoco. Sinora, le proprietà non sono state vagliate. 

Forse galvanizzata dai recenti sviluppi e dalle critiche dell'ECHR, l'Agenzia Nazionale per i Rom (ANR), creata l'anno scorso dal governo al posto dell'ex Dipartimento degli Affari Rom, sta appoggiando progetti per migliorare le relazioni tra Rumeni, Ungheresi e i Rom rimasti nel villaggio. Uno schema ambizioso dello scorso settembre, che vuole coinvolgere le autorità, le OnG e la popolazione di Hadareni, vuole individuare come combattere la discriminazione nel villaggio. Intende formare gruppi di lavoro che intervengano nelle scuole nelle altre istanze comunitarie, e cerchi anche di affrontare i problemi dell'accesso al sistema sanitario, alla casa, alle infrastrutture e al lavoro. L'incontro fondativo è stato reso possibile grazie al Partnerariato per lo Sviluppo Locale (FPDL), una OnG indipendente. Per due giorni, Rom e non-Rom del villaggio si sono parlati e hanno progettato assieme - per la prima volta dopo 12 anni. Con la fine dell'anno, ANR e FPDL intendono presentare al governo un piano e una strategia per migliorare la situazione ad Hadareni, con soluzioni che coinvolgano tutte le comunità. "La soluzione è che non solo i Rom, ma l'intera comunità di Hadareni debba cambiare e le autorità le trattino tutte su basi paritarie" ha detto Simona Pascariu di FPDL. Sono stati stanziati 1 milione di Euro per migliorare le infrastrutture del villaggio, come pure il sistema sanitario ed educativo. "Il governo centrale deve mantenere le sue promesse e iniziare un cambio reale, non solo di facciata" dice Pascariu. FPDL e ANR ritengono che Hadareni subirà una trasformazione profonda, diventando un "Villaggio Europeo", dove i gruppi etnici convivono pacificamente. Sperano che i risultati siano tangibili nel 2008, un anno dopo l'ingresso della Romania nell'Unione Europea.

© Transitions Online http://www.tol.cz
riportato su Romanian_Roma
 
Di Fabrizio (del 24/11/2005 @ 03:33:41, in conflitti, visitato 2067 volte)


21.11.2005   
Negli ultimi decenni il numero di sfollati interni (IDPs) è drammaticamente in aumento. Guerre civili ed umanitarie, lotta al terrorismo, fondamentalismi religiosi o economici, costringono le popolazioni a migrare in modo forzoso. Una tesi di laurea
Di Francesca Cazzato
 
Di Fabrizio (del 13/11/2005 @ 10:40:41, in conflitti, visitato 2215 volte)

Aggiornamenti:

1. su http://belfries.tripod.com/getleadoutpress78.htm è ripubblicato un articolo di Marek Antoni Nowicki, Ombudsman per il Kosovo, apparso sul maggior quotidiano della regione. Viene riassunto lo stato dei negoziati in corso, le complicazioni e le responsabilità delle parti in causa.

2. RADC report 8: Proseguono i test sui livelli di contaminazione dei campi profughi. Il 18 ottobre un'equipe USA ha visitato i campi di Kablare, Cesmin Lug e Zitkovac, limitandosi ad incontrare i responsabili dei campi. Invece sono stati misurati i livelli nella mahalla di Mitrovica. I restanti campi verranno controllati a breve e entro due settimane dovrebbero essere noti i risultati. Continuano le indiscrezioni sulla futura soluzione della mahalla di Mitrovica e la nuova sistemazione per chi si trova nel campo per profughi interno. L'intero articolo su http://belfries.tripod.com/getleadoutradreport.htm

Fonte: www.getleadout.cjb.net

(tutti i link sono in inglese)

 
Di Fabrizio (del 05/11/2005 @ 15:52:24, in conflitti, visitato 2204 volte)

Novità sul caso di Lety (il campo di concentramento nazista che ora è un salumificio)

Romea

Praga, 4. 11. 2005, 07:59, (CTK) - Il governo ha messo a bilancio l'acquisto del famigerato allevamento, posto dove era situato un ex campo di concentramento per Rom, nella città di Lety, Boemia meridionale. Il Primo Ministro Jiri Paroubek lo ha afferma al giornale "Lidove noviny". Da anni le organizzazioni rom chiedevano la rimozione o rilocazione dell'edificio.

ROMEA (Romani Media Agency), Romano vodi
Zitná 49
110 00 Praha 1 
Czech Republic
tel./fax: +420 - 257 329 667, +420 - 257 322 987
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Di Fabrizio (del 27/10/2005 @ 11:04:18, in conflitti, visitato 2705 volte)

Pristina, 25 ottobre 2005: Il giorno dopo l'annuncio del Consiglio di Sicurezza dell'ONU sull'apertura dei negoziati sul futuro politico della regione, i Rom del Kosovo hanno chiesto di essere ammessi alle discussioni. In una lettera indirizzata ai rappresentanti della comunità internazionale ed europea, Rom, Askali ed Egizi chiedono una soluzione urgente al problema di quanti di loro, cittadini della ex Jugoslavia, sono diventati vittime di violenze razziste, continuando in molti a sopravvivere in un limbo giuridico ed esistenziale. I firmatari, tra cui organizzazioni internazionali dei Rom, ONG e centinaia di privati cittadini (cfr: Petizione Europea per il Kossovo) chiedono la moratoria immediata delle deportazioni in Kossovo e il riconoscimento del diritto d'asilo.

Durante un incontro sullo sviluppo delle politiche sui Rom e Sinti, che si è svolto settimana scorsa a Varsavia col patrocinio dell'OSCE e dell'ODIHR, i rappresentanti dei Rom kossovari hanno concordato s una piattaforma comune per la futura cooperazione. [...] Alla presenza del capo missione OSCE e ambasciatore europeo Jens Modvig, hanno chiesto il riconoscimento della pulizia etnica contro i Rom, avvenuta a seguito dei bombardamenti NATO, il riconoscimento dei danni patiti per la guerra, il ritorno alle loro proprietà [ora] occupate, il ripristino della sicurezza e della libertà di movimento nel Kosovo e un'indagine imparziale sulle violenze e discriminazioni; la rappresentanza paritetica e l'accesso alle istituzioni pubbliche, l'effettivo accesso dei non-albanesi alla casa, scuola, educazione e lavoro; un adeguato supporto ai rifugiati interni e a quanti hanno fatto già ritorno. Inoltre chiedono il la certezza del diritto delle comunità non-albanesi, nell'ipotesi che il Kosovo diventi indipendente e il riconoscimento dei Rom come popolo costituente. Visto che la comunità dei Rom è attualmente dispersa nel mondo, chiedono inoltre l'organizzazione di una conferenza internazionale sui Rom del Kosovo, come misura d'emergenza e per rendere possibile il coordinamento degli interessi comunitari.

I Rom costituivano la terza più grande comunità etnica nella regione, stimata la loro presenza in 150.000. Cacciati a seguito delle vicende di guerra, distrutte le loro case e proprietà. Nonostante la precarietà dell'attuale situazione, esacerbata dalla volontà politica dei governi occidentali per un rapido ritorno di Rom, Askali ed Egizi, l'interesse di media e politici sembra concentrarsi solo sulle due principali comunità in Kosovo, i Serbi e gli Albanesi, abbandonando le altre comunità ad un destino incerto e senza futuro politico.

Per ulteriori informazioni, contattare

 
Di Fabrizio (del 21/10/2005 @ 05:23:10, in conflitti, visitato 2518 volte)

da: Romanian_Roma

19 Ottobre 2005 - Lettera aperta a Traian Basescu, presidente della Romania

Spettabile presidente,

Le scriviamo oggi per esprimere la nostra preoccupazione in merito alla promulgazione dell'Ordinanza Governativa d'Emergenza n. 31 del 2002, che vieta organizzazioni e simboli fascisti, razzisti o xenofobi, come pure l'apologia di persone resesi colpevoli di crimini contro la pace e l'umanità.

Siamo consci dell'interesse da Lei mostrato come presidente, riguardo l'Olocausto e le sue conseguenze, come riportato nel rapporto del Comitato Internazionale per lo Studio dell'Olocausto. Per questa ragione richiamiamola Sua attenzione di quanto riportato nella bozza dell'ordinanza; all'articolo 2 lettera d, l'Olocausto viene definito come: "Persecuzione sistematica ed annichilimento operata dallo stato, degli Ebrei Europei, condotta dalla Germania nazista e dai suoi alleati e collaborazionisti tra il 1933 e il 1945".

Come stabilito dal Comitato Internazionale per lo Studio dell'Olocausto, durante il regime di Antonescu, tanto gli Ebrei che i Rom furono vittime dell'Olocausto e delle deportazioni in Transnistria.

Consideriamo perciò offensivo che nella bozza non vengano menzionati i Rom come vittime dell'Olocausto. Questo può avere serie conseguenza negli sforzi della Romania di aderire ai principi europei di riconciliarsi con la propria storia. Inoltre, l'assenza di una menzione ai Rom, li esclude da ogni discussione sull'Olocausto e rende impossibile ai cittadini rumeni di ricevere un'adeguata informazione su cosa successe. Per finire, un testo simile esclude i Rom dalle cause di compensazioni per le persecuzioni subite.

Le chiediamo perciò di modificare la definizione di Olocausto, così che anche i Rom siano riconosciuti tra le vittime.

Nella speranza che Lei voglia considerare il nostro suggerimento, voglia ricevere i nostri più sentiti ringraziamenti.

Firmatari (è possibile aggiungere la propria adesione, comunicandola direttamente a Ciprian Necula  ciprian@mma.ro):

Mariea Ionescu, Secretary of State, President of the National Agency for the Roma 

Adrian Cioroianu, Senator, National Liberal Party 

Livia Jaroka, Member of the European Parliament

Viktoria Mohacsi, Member of the European Parliament

Els de Groen, Member of the European Parliament

Felicia Waldman, Goldstein Goren Center for Jewish Studies, University of Bucharest 

Mircea Toma, Media Monitoring Agency - Academia Catavencu 

Gheorghe Sarau, PhD, Counselor, Ministry of Education and Research, Associate Prof., Faculty of Foreign Languages and Literatures, University of Bucharest 

Valeriu Nicolae, European Roma Information Office 

Ian Hancock, former representative of the Roma at the Holocaust Museum in Washington, Prof. University of Texas 

Delia Grigore, PhD, Lecturer, Faculty of Foreign Languages and Literatures, University of Bucharest

Sorin Cace, Institute for Quality of Life 

Gelu Duminica, “Impreuna” Agency for Community Development 

Magda Matache, Romani CRISS 

Florin Botonogu, Association for Civic Education and Dialogue

Ciprian Necula, Media Monitoring Agency - Academia Catavencu 

Viorica Gotu, Counselor for Roma issues, Galati County

Petrica Corneliu Ionel, President of Social Democratic Roma Party, Galati 

Nica Maricica, Organization of Roma Mediators in Romania 

Petre Petcut, PhD student, Sorbonne University 

Petre Florin Manole, Social Democratic Roma Party

Costel Bercus, Executive Director, Romani CRISS 

Cristina Hurdubaia, Association for the Protection and Promotion of the Freedom of _Expression

Teodora Zabava, Media Monitoring Agency - Academia Catavencu 

Mihai Neacsu, “Amare Romentza” Association 

Simion Samir, Roma Association in Buzau 

Michelle Kelso, Director, Association for Civic Education and Dialogue

Ruxandra Radulescu, Assistant, PhD student, Faculty of Foreign Languages and Literatures, University of Bucharest

Dan Barbulescu, M.A. student, National School of Political Studies and Public Administration 

Valery Novoselsky, MP, International Romani Union. Editor of on-line Roma Virtual Network. Israel.

 
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