* Rom e sinti, tra falsi allarmi e integrazione: il docufilm "Mandiamoli a
casa" Davide Casadio, Sinti Italia Mez-Italia - Verso la Strategia Nazionale, Roma,
6 dicembre
Circa la metà di coloro che risiedono nel nostro Paese sono italiani. Lo dice il
rapporto della Commissione Diritti Umani del Senato, che ha redatto il primo
rapporto sulla situazione di Rom e Sinti in Italia, di cui fa parte integrante
il docufilm "Mandiamoli a casa" (vedi il servizio su Rai News, ndr). In studio
con Luce Tommasi e Josephine Alessio, il senatore Roberto Di Giovan Paolo del
Pd, componente della commissione Diritti Umani e Francesco Mele, uno degli
autori del filmato.
* Rui commenta il docufilm su rom e sinti "Mandiamoli a casa"
Riceviamo da Irene Rui e pubblichiamo un suo commento a
Rom e sinti, tra falsi
allarmi e integrazione: il docufilm "Mandiamoli a casa"
La copertina così come il video è interessante e permette di lanciare un
sassolino nell'informazione riguardante i rom e i sinti, ciò che da qualche anno
cerco di fare in seno locale. Devo però fare una critica ai due interlocutori
Francesco Mele e al Senatore Roberto Di Giovan Paolo, poiché ancora una volta
dimostrano di ragionare da gagé e di non comprendere le culture rom e sinti.
Affermare che visto che ci sono rom che vivono nelle case, anche coloro che ora
risiedono nei campi devono integrarsi e andare ad abitare nelle case ci mostra
una miopia culturale e un poco rispetto di queste minoranze. Culturalmente i
sinti e non i "camminanti" (mezzi gagi e mezzi sinti o rom), sono abituati a
vivere all'aperto, costringerli a vivere all'interno di mura domestiche o
capannoni, significa fare a molti una violenza psicologica e culturale. Altra
cosa per i rom italiani, che sono da sempre almeno negli ultimi secoli, abituati
a vivere in casa. Non si possono accumunare la cultura sinti con quella rom,
perché pur per alcuni aspetti simili, sono diverse. Integrazione non significa
che altri soggetti si devono omologare alla maggioranza dei residenti di un
Paese, bensì significa scambio culturale ed interazione fra i popoli. Spero che
il 6 dicembre al Workshop si tenga conto di questo e che la soluzione per uscire
dai ghetti e dall'emarginazione sono per i sinti le microaree e una politica di
inserimento occupazionale per coloro che non esercitano più la professione dello
spettacolo viaggiante o di raccolta del materiale ferroso.
Nota: Rom e Sinti: Verso la Strategia Nazionale
clicca sull'immagine per scaricare l'invito. L'evento su
Facebook
La Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del
Senato della Repubblica e Open Society Foundation in collaborazione con FIERI,
organizzano un workshop dal titolo "Rom e Sinti, verso la strategia nazionale",
presso il Senato della Repubblica, Aula della Commissione Difesa, Martedì 6
dicembre, alle ore 9,00 in Via degli Staderari, 2. Per gli uomini, obbligo di
giacca e cravatta.
Intervengono:
Andrea Riccardi (Ministro per la Cooperazione Internazionale e
l'Integrazione)
Massimo Serpieri (Vicedirettore dell'unità Justice D4 della
Commissione Europea)
Isidro Rodriguez (Direttore della Fundacion Segretariado Gitano)
Zeljko Jovanovic (Direttore del Roma Initiatives Office dell'Open
Society Foundations)
Jeroen Schokkenbroek (Special Representative of the Secretary
General for Roma Issues for the Council of Europe)
Modera:
Henry Scicluna (Advisor for Roma Issues, Council of Europe)
Conclusioni:
Pietro Marcenaro (Presidente della Commissione diritti umani)
Di Fabrizio (del 02/12/2011 @ 09:41:57, in Regole, visitato 1663 volte)
Segnalazione di Elvis Asti. Mi immagino le facce nella redazionema già godo
a leggere i commenti. Ricordate che è lo stesso "giornale" che da spazio a
queste notizie...
Furono sgomberati da Maroni Ora i rom chiedono i danni Milano, caos nelle baraccopoli. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato,
centinaia di nomadi sono pronti ad azioni legali
I rom sono pronti a chiedere i danni per gli sgomberi e le espulsioni subite
all'interno dei campi regolari negli ultimi tre anni. È il primo effetto
collaterale della sentenza del consiglio di Stato che ha azzerato il piano
nomadi dell'ex ministro Maroni: i giudici hanno dichiarato «illegittimi» gli
atti firmati dal prefetto Gian Valerio Lombardi in qualità di commissario e
demolito il concetto stesso di emergenza. «La presenza di seimila rom a Milano
non giustificava norme straordinarie».
A cascata, diventa carta straccia anche il regolamento approvato in era-Moratti
per garantire la sicurezza delle aree attrezzate. Il principio messo nero su
bianco: fuori dai campi chi ha precedenti, chi delinque, chi ospita amici e
parenti fuori dagli orari dell'area attrezzata. Decine di nomadi - seguendo alla
lettera le nuove norme - sono stati cacciati dagli insediamenti per mettere in
pratica l'agognato «alleggerimento dei campi». il verbo del consiglio di Stato,
però, sbianchetta tutto. «Chi ha subito un danno ora potrà rivalersi verso le
istituzioni» dice Alberto Guariso, uno degli avvocati che ha seguito la
battaglia giudiziaria contro il piano Maroni. «Se il regolamento è un atto
illegittimo, perché bastavano le norme ordinarie, è giusto chiedere un
risarcimento per gli allontanamenti».
Al Tar, ad esempio, è ancora pendente il ricorso di quattro rom italiani di via
Idro espulsi dal campo perché avevano subito condanne penali in un periodo
antecedente all'entrata in vigore del regolamento (oggi polverizzato). Chiosa Guariso: «A questo punto credo che vinceranno la causa, come tutti quelli che si
faranno avanti nella stessa situazione». Diverso il caso degli sgomberi dei
campi irregolari, resi possibili anche dalla legislazione ordinaria e perciò a
prova di ricorso. E le case Aler? Le cascine nel Pavese acquistate con il
sostegno economico del Comune? I rimpatri profumatamente pagati? Quelli, ironia
della sorte, non si toccano. «I vantaggi sono acquisiti» sottolinea Guariso,
«servirà piuttosto un riassestamento di competenze da parte delle istituzioni
per correggere la catena di comando». Il piano nomadi, oltre alla messa in
sicurezza dei campi e alle telecamere, promuoveva anche l'integrazione abitativa
dei rom. «La sentenza è un atto politico gravissimo» dice l'assessore
provinciale Stefano Bolognini. «Per risolvere le situazioni di degrado dei campi
rom servivano poteri straordinari.
Il piano Maroni seguiva il buon senso, i numeri lo dimostrano». Le presenze sono
scese fino a quota 1.200, le quattro aree infernali del Triboniano sono state
chiuse. Di «sentenza politica» parla anche Romano La Russa, assessore regionale
alla Sicurezza. «I giudici confondono il loro ruolo con quello dei politici. È
una sentenza in perfetta armonia con l'orientamento della giunta Pisapia, che ha
allentato i controlli nei campi tollerando anche quelli abusivi». L'ultimo
cambio di rotta è arrivato ieri nella baraccopoli illegale di via Bonfadini, un
campo satellite di quello autorizzato: lo sgombero dei cento occupanti, previsto
per ieri mattina, è stato rinviato al 12 dicembre. «Hanno rifiutato la
sistemazioni dei nostri servizi sociali» dice l'assessore Marco Granelli.
«Queste settimane serviranno loro per trovare una soluzione».
Di Fabrizio (del 01/12/2011 @ 09:43:56, in Italia, visitato 1659 volte)
di Pino Petruzzelli - 30 novembre 2011
I bambini rom dovrebbero essere tolti alle rispettive famiglie e dati
tutti in adozione?
Stando alla ricerca di Carlotta Saletti Salza, professoressa presso
l'Università di Verona, su un totale di 8.830 procedure di adottabilità, i
minori rom e sinti dichiarati adottabili in sette sedi di Tribunali Minorili
italiani nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005 sono stati 258. Quello che è
oggi uno dei maggiori studiosi di cultura romanì in Italia, il professor Leonardo Piasere, commenta i dati:
"Se consideriamo che la popolazione dei rom e dei sinti in Italia ammonta allo
0,15% circa della popolazione totale, capiamo che la percentuale di procedure di
adottabilità dello 0,15%, cioè in sintonia con la proporzione della popolazione,
corrisponderebbe a circa 13 procedure sulle 8.830. Ora il numero di procedure
riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a tale cifra!"
Questo mio intervento non è contro il sistema delle adozioni, perché, lo dico
chiaramente, ci sono casi in cui togliere il bambino a una famiglia rom o sinta
è cosa sacrosanta.
Ciò che mi interessa è porre alcune domande.
Stando alla legge italiana sono dichiarati in stato di adottabilità i minori di
cui sia accertata la situazione di "abbandono" (legge 184 del 2001), ma nella
legge 149 dello stesso anno, si dice che:
"1) Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà
genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore
alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti
interventi di sostegno e di aiuto.
2) Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze,
sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei
limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei famigliari a rischio, al
fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato
nell'ambito della propria famiglia…."
L'interpretazione del termine "abbandono" è così lasciato alla discrezionalità
del Tribunale dei Minori. Ma cosa si intende per abbandono?
Ipotizziamo ci siano due bambini rom di sette e dieci anni, Alin e Mari, che a
causa della povertà dei genitori sono costretti a vivere sotto un ponte. Vengono
sgomberati e i Vigili Urbani li portano sotto un altro ponte. Lì assistono
all'incendio della loro baracca e all'orribile morte di quattro amichetti.
Vengono sgomberati nuovamente e ritornano sotto il primo ponte. I genitori non
trovano lavoro (chi di noi assumerebbe uno zingaro che vive sotto un ponte?) e
tirano avanti solo con gli aiuti che forniscono loro alcuni volontari della
Caritas e dell'Arci. Ogni mattina i genitori di Alin e Mari, però, accompagnano
i figli a scuola dove i bambini arrivano sempre puliti e ben vestiti anche
grazie all'aiuto dei sopra citati volontari. Aggiungo che i bambini, a detta
delle maestre, seguono con sufficiente profitto le lezioni. I pomeriggi dei
bambini, però, trascorrono sotto il ponte.
Voglio ora porre alcune domande:
1) Se vedessimo Alin e Mari sotto il ponte e non sapessimo nulla di loro,
penseremmo giusta l'affidabilità? E sapendo la loro storia e la loro
quotidianità, riterremmo lo stesso giusto toglierli alla famiglia e darli in
adozione?
2) Può un'Amministrazione pubblica, di qualunque appartenenza politica, sentirsi
priva di responsabilità nel lasciare che una famiglia di rom continui a
sopravvivere sotto un ponte?
3) La famiglia di Alin e Mari va sgomberata? E, se si, può lo sgombero di un
sottoponte, senza una reale alternativa abitativa, bastare a tutelare i minori
che vi abitano?
4) Cosa si fa per prevenire le situazioni di estrema miseria in cui sono
costretti a vivere alcuni bambini rom e sinti?
5) Togliere un bambino alla propria famiglia deve essere l'ultima strada
percorribile o la prima? E se deve essere l'ultima, perché il numero di
procedure riguardanti rom e sinti, è superiore del 1700% a quello delle
procedure totali nelle sette sedi dei Tribunali dei Minori che ha preso in esame
la professoressa di Verona nel suo libro "Dalla tutela al genocidio?"
"Ogni volta che mi sgomberavano dai campi ero molto dispiaciuto... perché
non pensavo che era un campo, pensavo che era la mia casa. Era il mio posto che
adoravo, dove arrivavo la sera e mi mettevo al caldo... nella casa, nella
baracca".
Marius ha 16 anni. È arrivato in Italia oltre un anno fa ed è stato sgomberato
già otto volte. Il suo sogno era di "andare avanti", di lavorare, di "essere un
ragazzo molto, molto bravo". Ma per lui non è facile.
Nemmeno per Giuseppe, italiano di etnia rom che ha vissuto per oltre 20 anni in
un campo autorizzato a via Idro, è semplice. È venuto sapere che le autorità di
Milano vogliono ridurre il numero di abitanti del campo e trasformarlo in un
"campo di transito". Né lui né la sua famiglia sono stati consultati su questo
piano e temono di dover andar via senza un'alternativa adeguata.
Da un po' di tempo si sente sempre più indesiderato nella sua città natale,
Milano.
In questa città, le autorità da decenni attuano politiche che sembrano
considerare i campi l'unica soluzione abitativa per le persone rom,
disinteressandosi inoltre del fatto che queste persone vivano in container
sovraffollati, con sistemi fognari vecchi e infestati dai topi. Ma negli ultimi
anni, la loro situazione è addirittura peggiorata.
L'"emergenza nomadi", dichiarata dal governo italiano nel 2008, ha permesso alle
autorità di Milano di sgomberare forzatamente dai campi non autorizzati
tantissime famiglie. Le conseguenze sono state devastanti, soprattutto per
centinaia di bambine e bambini rom, la cui frequenza scolastica è stata
interrotta.
Anche i campi autorizzati sono stati presi di mira. Una nuova normativa
fortemente discriminatoria ha permesso di programmare la chiusura di quasi tutti
i campi autorizzati in cui risiedono i rom, anche per consentire l'esecuzione di
progetti connessi all'Expo, che si terrà a Milano nel 2015. I progetti
infrastrutturali per questo evento internazionale hanno già portato alla
chiusura di due campi autorizzati.
Per Amnesty International, dichiarare uno stato di emergenza su basi infondate
nei confronti di una minoranza etnica e mantenerlo per tre anni e mezzo è stato
uno scandalo!
L'"emergenza nomadi", illegale e discriminatoria in base al diritto
internazionale, non avrebbe dovuto mai essere dichiarata. E adesso che anche il
Consiglio di stato, il più alto organo amministrativo del nostro paese, ha
dichiarato la sua illegittimità, occorre un'inversione di rotta!
Il governo Monti deve porre i diritti umani in cima alla sua agenda, fornendo
rimedi alle persone colpite da sgomberi forzati e da altre violazioni dei
diritti umani.
Le nuove autorità di Milano devono immediatamente fermare tutti gli sgomberi
forzati, mettere a disposizione di tutte le persone sgomberate che non sono in
grado di provvedere a se stesse ripari di emergenza, sospendere e rivedere i
piani per la chiusura dei campi autorizzati e assicurare che rispettino in pieno
gli standard internazionali sui diritti umani.
È il momento di un cambiamento reale per le donne, i bambini e gli uomini rom di
Milano!
Vieni a trovarci
8 dicembre e tutti i sabato e domenica potrai assaggiare specialità della cucina
bosniaca e vedere le nostre creazioni
troverai: borse, sciarpe, vestitini da bambino, cappellini di lana, tovaglie,
set da tavola, asciugamani, portamonete, portagioielli, collane, gonne della
tradizione zingara e tanti altri manufatti originali per la casa e
l'abbigliamento
A dicembre siamo aperti tutti i giorni dalle 9.30 alle 20.00
Si sono presentati in 9 per cacciare una famiglia di Rom ospite di un privato,
senza alcun mandato, rifiutando di farsi identificare e di rilasciare un
qualsiasi verbale dell'intervento.
Dovevano o volevano cacciare due anziani, due giovani donne, due ragazzi, una
bambina di 12 mesi e una neonata di appena 5 giorni.
Motivo, la realizzazione di una baracca per proteggersi dall'atteso freddo
invernale.
Nonostante le proteste del proprietario, i vigili si sono trattenuti nell'area
recintata per 3 ore e mezza.
Con prepotenza e spregio della legalità come nell'uso delle peggiori squadracce
del passato, con atteggiamento ed espressioni minacciose e intimidatorie da
parte del comandante.
Per queste ragioni l'ASCE ha sporto querela e segnalato l'avvenimento ad Amnesty
International.
I reati ipotizzati sono quelli di violazione di domicilio, minacce e violenza
privata.
L'Asce precisa che si è consumato così l'ultimo atto di una lunga serie di
pressioni da parte del Comune di Selargius contro il proprietario del terreno
perché fosse allontanata la famiglia Rom.
L'Asce ricorda che da anni le sue proposte di collaborazione, coinvolgente gli
stessi Rom, di costituzione di un tavolo permanente per trattare la questione e
l'avvio di progetti di inserimento, sono rimasti inascoltati e peggio derisi.
Una segnalazione è stata inviata anche al prefetto di Cagliari, alla Provincia e
alla Regione.
Per secoli Sulukule è stato il quartiere dei rom di Istanbul, poi le loro
case son state distrutte per lasciar spazio a nuove costruzioni. Oggi la vivace
tradizione musicale rom torna a vivere a Sulukule in un laboratorio artistico
dedicato a tutti i ragazzi
"Amano il rosso, si lodano a vicenda. Sono fatti così i rom, non potrebbero
vivere, morirebbero senza uno strumento musicale". Inizia così una famosa
canzone rom suonata nelle cerimonie nuziali di strada. Fino a poco tempo fa la
si sentiva riecheggiare nelle case delle viuzze di Sulukule, a ridosso delle
mura di Teodosio, quando le orchestre del quartiere di insediamento rom più
antico del mondo facevano musica nelle "case di divertimento" e la gente ballava
e suonava insieme. Altre volte, al calar della sera, quando venivano poste le
sedie davanti ai portoni delle case un via vai di violini, kanun, clarinetti, ud,
cümbüş attaccavano con la musica, mentre le donne e le ragazze, vestite dei
colori più sgargianti, li accompagnavano con le loro danze.
Nel 2009 la musica a Sulukule è stata bruscamente interrotta.
Il quartiere è
stato completamente raso al suolo per consentire al piano di riqualificazione
urbana della municipalità metropolitana di Istanbul di costruire su 46mila metri
quadrati un complesso di case moderne, destinate a nuovi inquilini. Le famiglie
rom che abitavano nella zona sono state costrette a vendere le loro proprietà
(dichiarate fatiscenti) a prezzi stracciati. In cambio hanno ricevuto nuove
abitazioni a Taşoluk, a quaranta chilometri da Istanbul, con tanto di mutuo
agevolato per pagarne il debito.
Ma delle 337 famiglie che erano partite, quasi tutte sono tornate indietro.
Hanno trovato sistemazione, ciascuno secondo le proprie possibilità, nelle zone
limitrofe del loro vecchio quartiere, perché vivere in appartamenti isolati,
privi del sostegno comunitario essenziale per la loro quotidianità non è stato
possibile.
Un innovativo atelier artistico per ragazzi
Lezione a Sulukule (foto di Tansel Atasagun)
La scomparsa di Sulukule e la disgregazione sociale che ne è seguita hanno
portato con loro anche un altro rischio, quello di perdere la tradizione
musicale tramandata tra i rom di generazione in generazione. Per questo motivo
gli attivisti della Piattaforma di Sulukule, che fin dall'inizio del processo di
demolizione nel 2006 hanno lottato per salvare il quartiere, hanno pensato di
dare vita ad un laboratorio artistico rivolto ai bambini e alle bambine di
Sulukule, presentando il loro progetto all'Agenzia per Istanbul Capitale Europea
della Cultura 2010.
"Solo un terzo del budget che avevamo richiesto è stato accolto. Ma abbiamo
deciso di accettare comunque per non vedere il nostro proposito sfumare del
tutto", spiega a Osservatorio Balcani e Caucaso Funda Oral, direttrice del
progetto e attivista della Piattaforma Sulukule.
Una piccola casa rosa a tre piani, al confine nord dell'area del quartiere
abbattuto, è diventata nell'agosto del 2010 la sede di questo innovativo atelier
artistico frequentato da 60 ragazzi e ragazze dai 6 ai 17 anni. "Non ci sono
solamente bambini rom, ci vanno anche altri ragazzi della zona", aggiunge Şükrü
Pündük, presidente dell'Associazione culturale rom di Sulukule ed altro
promotore del progetto.
Tutti a studiare ritmica, danza, elementi di nota, chitarra, violino, kanun, ud,
clarinetto, ma anche lettura e scrittura, inglese e da quest'anno sono previsti
anche elementi di drammaturgia e cinema. "Avendo avuto modo di osservare negli
ultimi cinque anni la vita culturale a Sulukule, ci siamo resi conto di quanto i
rom siano naturalmente portati all'arte. I ragazzi hanno un grande interesse per
la musica e molti l'hanno già imparata in famiglia, dove spesso ci sono dei
musicisti, ma suonano a memoria, senza conoscere le note" aggiunge Oral.
Infatti, se gli allievi del primo livello devono ancora imparare gli elementi di
base degli strumenti che hanno scelto, ascoltare quelli del secondo, durante una
lezione, è estremamente piacevole, visto che ci si trova di fronte a degli abili
esecutori che vengono seguiti anche da maestri della musica rom del calibro di
Yaşar Akpençe.
Lezione di violino (foto di Tansel Atasagun)
La formula che unisce un ambiente piccolo ed accogliente ad un metodo didattico
elastico, si è rivelata fondamentale per i docenti di musica turca del
conservatorio dell'Università Tecnica di Istanbul (İTÜ) che insegnano al
laboratorio. Aykut Büyükçınar, docente di violino, proviene lui stesso da una
famiglia rom. Per esserci passato personalmente, conosce bene le tendenze e i
problemi dei suoi studenti.
"È un dato di fatto", dice Büyükçınar, "noi abbiamo difficoltà a stare negli
schemi". Come fare allora a non reprimere la vena naturale dei bambini
insegnando loro anche le regole? "Lasciarli liberi di suonare quello che
vogliono e insegnare loro le note sulla base dei pezzi che preferiscono.
Applicare un nuovo sistema basato su una comunicazione diretta e informale che
permetta di coniugare l'insegnamento accademico con quello tramandato dalla
famiglia", ci spiega.
Non solo musica
Il laboratorio però non funge solo da scuola di musica. Secondo Funda Oral, che
l'anno scorso ha dedicato tutto il suo tempo per tenere in piedi il progetto,
"la musica serve ai ragazzi per tenere testa ai problemi della vita. Ma per
poter essere forti nella società devono avere anche un'istruzione". Scopo della
scuola è anche quello di aiutarli ad accedere alle scuole d'arte e ai
conservatori, un proposito che richiede un grande impegno da parte dei docenti
del laboratorio, vista la scarsa scolarizzazione dei bambini. E per questo che
Oral e Şükrü Pündük stanno cercando di organizzare anche dei corsi da privatisti
per loro.
"Qui ci si sposa, si diventa adulti già a 15 anni", spiega Oral. "A scuola i
ragazzi spesso vengono bocciati durante l'anno per le numerose assenze. La metà
circa abbandona la scuola dopo la terza elementare. L'altra metà continua a
stento fino alla conclusione della terza media. Solo due giovani nel quartiere
frequentano l'università". Ma, aggiunge: "L'esperienza che abbiamo avuto ci ha
dimostrato che attraverso l'arte è possibile avvicinare i ragazzi
all'istruzione. In realtà la Convenzione sui diritti dell'infanzia delle Nazioni
Unite prevede che i bambini ricevano un'istruzione in considerazione dei loro
talenti, ma è un punto che viene spesso dimenticato. In più abbiamo un altro
problema: non sappiamo dove indirizzare i ragazzi, dato che in tutta Istanbul
c'è un solo liceo artistico".
I costi di mantenimento del laboratorio artistico sono molto bassi – volendo, se
ne potrebbe aprire uno ogni tre vie – propone l'attivista. Si parla di 600 lire
turche d'affitto al mese (circa 240 euro) e un piccolo stipendio per gli
insegnanti. Ma c'è da integrare il numero degli strumenti musicali. Per alcuni
bambini la carta, i pennarelli, i quaderni e i libri sono un lusso incontrato
per la prima volta al laboratorio. Fortunatamente, all'inizio dello scorso
agosto, proprio quando i soldi a disposizione del progetto erano esauriti, una
fondazione ha deciso di finanziarlo per altri 6 mesi.
Un sostegno che i ragazzi del laboratorio si sono guadagnati suonando da soli
per quindici minuti all'interno del concerto dell'orchestra giovanile
venezuelana Simón Bolivar tenuto lo scorso agosto in Piazza Galata a Istanbul.
Prima dell'evento, alcuni membri dell'orchestra, figlia del programma el Sistema
Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela ideato da José
Antonio Abreu che in quasi quarant'anni ha trasformato mezzo milione di giovani
venezuelani socialmente a rischio in musicisti, sono venuti ad ascoltare un
saggio dei ragazzi di Sulukule per decidere sulla loro partecipazione al
concerto e l'impressione è stata ottima.
Dopo il concerto Abreu ha fatto i complimenti ai giovani esecutori rom e delle
promesse su una futura cooperazione musicale tra la Turchia e il Venezuela. Ma
di fronte ad un'improbabile eventualità che lo Stato venezuelano finanzi anche
il laboratorio artistico di Sulukule, sta alle amministrazioni turche capire
l'importanza di iniziative come questa, investire meno nei centri commerciali e
sostenere la crescita della cultura dei suoi giovani.
Megaevento domenica passata a Milano. Tanti gli ingredienti: storie di
riscatto di piccoli musicisti che suonavano nelle metropolitane, un palco di
tutto rispetto come quello del Conservatorio, un fronte inedito per la nuova
santa alleanza, una riuscita campagna mediatica, commozione del pubblico...
(clicca sull'immagine per leggere l'articolo)
Mancavamo solo noi, e credo che non se ne sia accorto nessuno (per fortuna).
Però due righe di cronaca siamo riusciti a scriverle lo stesso:
C'era una volta, tanti e tanti anni fa, un paese chiamato Milano, dove
regnava don Colmegna I, detto il buono.
La fama di don Colmegna era giunta anche all'orecchio di un suonatore zingaro di
fisarmonica, Jovica Jovic (proprio quello di cui si parla spesso in Mahalla), che
allora teneva corsi di fisarmonica dalle parti di
via Morigi.
I corsi andavano esaurendosi, e forte della sua passione, professionalità ed
esperienza, Jovica propose di tenere dei corsi presso Casa della Carità, aperti
a tutti, Rom e no, perché secondo lui è stando insieme che si sconfigge il
razzismo.
Don Colmegna mai rispose a Jovica, ma poco dopo iniziò il suo progetto di corsi
di violino per giovani rom, gestito da un suo amico.
Probabilmente pensò che se proprio un Rom deve lavorare, non è conveniente che
assuma un ruolo di responsabilità, o peggio direttivo.
Così adesso Jovica ha iniziato lo stesso
i suoi corsi da un'altra parte,
senza troppa pubblicità e senza gli spot di RadioPop
Di Fabrizio (del 28/11/2011 @ 09:30:06, in lavoro, visitato 1719 volte)
VENERDI 2 DICEMBRE 2011 ORE 19.00 LA CITTA' DEL SOLE – VICO MAFFEI A SAN GREGORIO ARMENO, 18 – NAPOLI
per LA KUMPANIA
un anno di Percorsi Gastronomici Interculturali
Donne rom e italiane si incontrano in cucina e sperimentano percorsi di
emancipazione personale e professionale, per valorizzare e diffondere i
rispettivi patrimoni culturali e gastronomici.
Il progetto ha visto la partecipazione di 12 donne rom e italiane di Scampia in
un percorso di ricerca azione al femminile costruito intorno al tema della
cucina come strumento in grado di favorire le relazioni, l'incontro tra culture
e sperimentare una forma di lavoro auto imprenditoriale.
Proiezioni di foto e video
Presentazione di un quaderno di racconti e ricette
CENA
con le delizie gastronomiche rom e italiane a cura della Kumpania
a seguire O' ROM IN CONCERTO
Di Fabrizio (del 28/11/2011 @ 09:23:07, in media, visitato 3882 volte)
Questa storia potrebbe iniziare in Svezia, un paese a tratti molto più civile
del nostro, talmente triste e nordico che possono dare dei TERÜNI anche a quei
polentoni di Cassano Magnago. In Svezia nacque 30 anni fa Zlatan, calciatore dal
vago profilo cavallino, capace di sfracelli nei campionati nazionali e sostanzialmente una pippa nelle competizioni europee (un po' come le
nostre squadre di calcio negli anni '70-'80). Zlatan ha il problema di molti
calciatori viziati: un carattere schifoso (e quando sei ai vertici, devi
anche essere educato come Pelè, i sanguigni come Maradona non sono tollerati,
neanche se Zlatan ha un approccio alla chimica diverso dall'argentino).
Inoltre, cambia squadre di calcio manco fossero mutande. Così, i tifosi
avversari (anche quelli che lo adoravano pochi anni prima) cominciano ad
urlargli ZINGARO, ZINGARO... perché a questo punto Zlatan non è più uno svedese,
ed anche a gridargli
BOSNIACO-CROATO non sarebbe la stessa cosa. Zlatan ha origini khorakhané,
nonostante le sue mille casacche, quello rimane il peccato originale.
Suo coetaneo è Alan Caligiuri, che alla radio realizza una di quelle
trasmissioni pietose con le risate e gli applausi registrati. Il suo siparietto
si chiama "Zlatan lo zingaro" (manco a farlo apposta: il peccato originale).
Biografia truzza come quella dello Zlatan più famoso.
Il suo Zlatan vive "nella casa a rotelle", ruba, spaccia,
sfrutta minori e prostitute... e, devo dire per averne parlato con loro, non
dispiace neanche a Rom e Sinti (italiani o stranieri), sempre ansiosi di
conformarsi con quel che pensano i gagè. Diciamo che ci hanno fatto l'abitudine
a chi di loro parla male, e poi non sono mai stati un popolo da scatenare
crociate. Così, stanno allo scherzo, indecisi se si tratta del solito razzismo
da poveracci (che per forza se la prende con i più poveracci ancora) o un
sistema perché al solito qualcuno faccia soldi usando gli zingari (cioè
amici e nemici uniti nell'abbraccio del dio denaro).
DATO CHE L'ORIGINALITA' E' ZERO, la storia potrebbe finire qua. Ma visto che
i Rom e i Sinti sostanzialmente se ne fregano, ecco scendere in campo i
soliti professionisti dell'antirazzismo, speranzosi nell'ennesima tribuna
mediatica. O peggio ancora, di assurgere a portavoce di un popolo che vorrebbe
essere ascoltato (qualche volta) in prima persona e senza protettori.
E così la storia riparte, perché al coro antirazzista si uniscono i Rumeni,
in Italia e in patria, cioè una delle popolazioni più antizigane che ci siano;
maltollerati in Italia, ma che col nostro popolo condividono sicuramente il
vittimismo.
Cosa c'entrano i Rumeni? Zlatan al limite è un nome slavo...
Se Caligiuri avesse continuato a ripetere le stesse cose, prima o
poi sarebbe diventato una macchietta (come capita a chi non sa variare il
repertorio). Ma, ad un certo punto, ha deciso che Zlatan, nonostante il nome,
dovesse venire dalla Romania (visto che ultimamente quasi tutti i Rom arrivano
in Italia da lì) e
ha chiamato la Romania come Zingaria. Apriti cielo! Se sei rumeno, puoi
anche essere definito ladro, pappone, prostituta, ma essere solo avvicinato ad uno
zingaro significa montare un incidente internazionale.
Poco altro da raccontare: la trasmissione è stata sospesa, Caligiuri si
dipinge come una vittima della censura, i professionisti dell'antirazzismo sono
contenti perché si è parlato di loro in Romania. Storie da gagé.
Io mi accontenterei che Caligiuri provasse sulla sua pelle cosa significa
campare di elemosine e piccoli furti, o raccogliere rottami per 10 euro al
giorno. Alan, se non ti faranno più andare in radio(ma non credo, quelli come te cadono sempre in piedi), ti raccomanderò a
qualche amico mio, poi mi dirai...
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