Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 18/02/2010 @ 09:43:04, in Europa, visitato 1533 volte)
Da
Bulgarian_Roma
TOLblogs
Nel quartiere rom di "Iztok" della città di Kiustendil, nel sud ovest, un
gruppo di giovani volontari assieme all'associazione LARGO ha raccolto la somma
di 412,57 leva ($290) per aiutare i bambini di Haiti. L'iniziativa è stata
condotta da Botselin Mitkov, un attivista locale.
I fondi raccolti per Haiti
Il 3 febbraio i volontari, forniti di urne della Croce Rossa bulgara, hanno
iniziato a raccogliere fondi, fiduciosi che i Rom sarebbero stati generosi
rispetto a quanto accaduto ad Haiti. In cinque giorni hanno coperto tutti i
caffè ed i negozi locali del quartiere. Hanno anche visitato parecchie scuole.
Il gruppo dell'associazione LARGO, lo staff dell'ufficio per il lavoro del
quartiere, come pure i gestori del club culturale "Vassil Levski" hanno
contribuito tutti. Anche le chiese del quartiere hanno fornito supporto.
Alle 11.00 dell'8 febbraio i volontari hanno aperto le urne e contato i fondi
raccolti sotto la supervisione dei media locali. Si erano riuniti 412.57 leva.
Volontari a Kiustendil
Il direttore esecutivo di LARGO, Stefan Lazarov, ha detto che ciò che
hanno fatto i volontari è una bella impresa. "Se possiamo, aiutiamo,
indipendentemente che si tratti di un Rom,un Tedesco o un Bulgaro... non è
importante quanto denaro raccogliamo, quello che importa è il gesto. I volontari
hanno agito in buona fede e per una buona causa, per aiutare i bambini ad Haiti".
Ha aggiunto che "qualcuno non solo ha donato denaro, ma anche propagato la
campagna via SMS."
Secondo l'ufficio nazionale del lavoro, il 96% degli abitanti del quartiere "Iztok"
è disoccupato.
"Tutti noi guardiamo la TV. Negli ultimi giorni i bambini sofferenti di Haiti
erano diventati la notizia principale. Tutti sanno di loro e della tragedia che
gli è capitata. Abbiamo saputo di quanti paesi avessero raccolto fondi per il
futuro di quei bambini. E per questo che noi ed i volontari abbiamo deciso di
intraprendere questa iniziativa e di cercare di aiutarli," dice Botselin.
Ha condiviso che loro non avevano grandi aspettative, perché molta gente è
senza soldi. Ma non ha nascosto di essersi mosso in virtù del fatto che per
compassione la gente avrebbe donato sino all'ultimo centesimo.
– by Ognyan Isaev
Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:30:58, in Europa, visitato 1609 volte)
Da
Romanian_Roma
17/02/2010 "Naturalmente, abbiamo dei problemi fisiologici di criminalità
entro alcune comunità rumene, specialmente tra i cittadini rumeni di etnia rom"
- Teodor Baconschi, Ministro Rumeno agli Affari Esteri
La dichiarazione si può trovare nella rassegna stampa sul sito del Ministero
degli Esteri [1
in inglese ndr] dell'11 febbraio 2010. Qualcuno potrebbe pensare che
Baconschi creda nel razzismo biologico e la sua dichiarazione sembra collegare
biologia, criminalità ed etnia. Ci si potrebbe anche aspettare la sua prossima
sentenza circa la spazio vitale dei puri Rumeni - la Romania generò uno dei più
radicali movimenti nazisti in Europa durante gli anni '30. Diverse OnG
rumene, tra cui la nostra, ha chiesto una rettifica a Baconschi.
Teodor Baconschi è un diplomatico di carriera, ed ha un Rom - Gheorghe
Raducanu, come consigliere. Dato che Raducanu occupa anche una posizione di alto
livello - Segretario Generale - entro il Forum Europeo dei Rom e Viaggianti,
un'organizzazione che è giustamente molto attiva contro l'anti-ziganismo; la
nostra organizzazione richiede che il Forum renda chiara la sua posizione
riguardo la dichiarazione razzista del ministro Baconschi, chiede anche che
Raducanu si dimetta dalla sua posizione nel Forum o viceversa da consigliere del
Ministero degli Esteri.
Policy Center for Roma & Minorities
Bucharest, 010152, Intrarea Rigas 29A, Ap. 31, Sect. 1, Romania.
Tel. 0040-742379657
Fax: 0040-318177092
www.policycenter.eu
Di Fabrizio (del 21/02/2010 @ 09:26:03, in Europa, visitato 1775 volte)
Da
Slovak_Roma
La maggioranza degli abitanti sono Rom, ma i fondi pubblici sono stati usati
per dividerli dai quartieri più benestanti
TimesOnLine Adam LeBor, Ostrovany, Slovakia
18/02/2010 - La struttura più solida costruita nel ghetto rom ad Ostrovany è il
muro che lo divide dal resto del villaggio, costato €13.000 ai fondi pubblici,
per separare quanti vivono in condizioni di medioevale squallore dai loro vicini
non-Rom.
La struttura lunga 150 m., costruita con lastre di cemento alte 2,2 m.,
ha oltraggiato i Rom e gli attivisti dei diritti umani. "Nessuno ci ha detto che
stava succedendo questo - sono solo venuti un giorno ed hanno iniziato a
costruire," dice Peter Kaleja. "Il sindaco non avrebbe dovuto spendere tutto
quel denaro per il muro, ma avrebbe dovuto costruire case per noi."
Kaleja, 21 anni, vive con sua moglie e la figlia di 19mesi in una catapecchia
di fango e legno. Il gelido vento invernale soffia forte attraverso le fragili
pareti e non c'è acqua corrente, gas o collegamento alle fognature, ma hanno la
corrente elettrica ed una stufa a legna. Sopravvivono con un assegno sociale di
€170 al mese.
In Slovacchia, come nei vicini paesi dell'Est Europa, i Rom vivono ai
margini. Hanno una minore aspettativa di vita, sono di più i disoccupati ed
hanno un tasso più alto di mortalità infantile. I bambini rom sono più spesso
diagnosticati con disabilità mentale - anche quando non ne hanno - e come
risultato sono messi in scuole speciali.
Ci sono circa 350.000 Rom in Slovacchia, circa il 7% della popolazione, ma ad Ostrovany
sono circa i due terzi dei 1.786 residenti. Ma le risorse municipali non sono
condivise proporzionalmente.
Gli incaricati comunali di Ostrovany dicono che il muro era necessario per
proteggere i proprietari di case i cui giardini confinano con l'insediamento rom
e che lamentano frequenti furti di frutta.
Le baracche dei Rom sono costruite illegalmente su terreno privato, senza
autorizzazioni, dice
Cyril Revak, il sindaco. "Anche i Rom sono cittadini di questo paese. Meritano
tutto l'aiuto che possono ottenere ma devono obbedire alla legge. L'unica
critica che posso accettare è sull'uso delle finanze pubbliche per proteggere la
proprietà privata - ma non è stato un errore, perché un giorno aiutiamo qualcuno
e quello dopo qualcun altro." Aggiunge che il comune sta cercando di acquistare
terreno per costruire case ai Rom, e di voler lanciare un programma per aiutare
i bambini rom alla scuola superiore.
Il muro, d'altronde, manda un potente messaggio di esclusione, dice Stanislav Daniel,
dell'ERRC. "E' un valore altamente simbolico. Non obbietteremmo se i proprietari
costruissero e pagassero il loro muro. Ma è la prima volta che un comune in
Slovacchia usa denaro pubblico per proteggere la proprietà privata di pochi."
Di Fabrizio (del 22/02/2010 @ 09:12:03, in Europa, visitato 1831 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
Antony Mahony, visitatore da Londra
La
Voivodina, provincia settentrionale della Serbia attuale, è sempre stata
considerata l'area più culturalmente mista dell'ex Jugoslavia, lo stato durato
dal Trattato di Versailles del 1919 allo scoppio della guerra civile nel 1991.
Ma le origini del popolo della Voivodina è posta più indietro nella storia. Al
tempo dell'imperatrice Maria Teresa quella ricca e fertile pianura tra due
grandi fiumi, il Danubio e la Tisa, accolse coloni agricoli dai paesi
confinanti: Ungheresi, Rumeni e Tedeschi come pure Serbi. Stabilirono
insediamenti che tuttora si possono riconoscere dallo stile architettonico dei
loro villaggi, in particolare nelle chiese. Nel tardo XIX secolo, che fu un
periodo di egemonia ungherese, gran parte del terreno venne drenato per
sfruttare ulteriormente il suo potenziale agricolo. Molte delle comunità
tedesche disintegratesi nel 1945 furono espulse per ordine del nuovo regime
del maresciallo Tito. Ci sono anche piccole ma significative presenze di
Slovacchi, Ucraini, Ruteni, Croati e Montenegrini. Sino al 1944 c'era anche una
comunità ebraica a Novi Sad, dove resiste tuttora la straordinaria sinagoga di
mattoni rossi. La Voivodina è sempre stata citata come esempio di area dove la
coesistenza pacifica era una realtà nella vita quotidiana piuttosto che
un'aspirazione.
La
Voivodina è anche patria di un'altra importante minoranza: i Rom. Durante il
loro lungo viaggio dalle regioni del Punjab e del Rajasthan nell'India, che
iniziò nell'XI secolo, i Rom si spostarono nel Caucaso e nell'Asia Minore prima
di arrivare nei Balcani. Per questo, la popolazione Rom nei paesi moderni
dell'Europa del sud est è sempre stata considerevolmente più alta che
nell'Europa occidentale.
Però, c'è una differenza significativa tra i Rom e le altre minoranze in
Voivodina, cioè la sistematica discriminazione ai cui i primi sono stati
sottoposti e rifiutati come stranieri, in particolare durante la II guerra
mondiale. Non c'è dubbio che i Rom continuano ad essere tra i popoli più poveri
e svantaggiati in Europa. Le loro generali povere condizioni di vita e la
mancanza di accesso al sistema sanitario significa che raramente pochi
raggiungono la tarda età, ed in termini di istruzione pochi proseguono dopo la
scuola dell'obbligo. Nel linguaggio delle analisi sociali, gli indicatori sono
molto bassi. Questi fattori pesano anche pesantemente contro i Rom nel mercato
del lavoro dove la loro mancanza di istruzione e formazione professionale,
assieme alla severa situazione economica di questo periodo della Serbia, sono
severi ostacoli a progredire. A Novi Sad, uomini e ragazzi rom si vedono spesso
sui loro carri a cavallo nella raccolta di cartoni e materiale da discarica per
essere riciclati.
Il tradizionale stile di vita dei Rom è saldamente ancorato alla cultura rom
e le famiglie hanno vagato per vasti territori con i loro carri trainati da
cavalli, per tutta la loro storia. Ma, durante gli anni '70, il governo di
Belgrado introdusse una nuova politica di insediamento forzato verso i Rom. Ma
dato che i Rom non avevano mai posseduto alloggi, furono incoraggiati - per così
dire - ad installarsi in edifici in disuso come unità industriali abbandonate o
ex quartieri di lavoratori ai margini delle città, dove iniziarono ad apparire i
cosiddetti quartieri rom. Un insediamento simile vicino a Novi Sad si è formato
nei ripari provvisori di un'azienda agricola. E' il posto che ora localmente è
conosciuto come "Bangladesh".
Per riconoscere le esigenze speciali dei Rom, la UE introdusse il "Decennio
dell'inclusione Rom" dal 2005 al 2015, allo scopo di influenzare politiche ed
azioni a livello strategico. Ma a livello base c'è un'organizzazione che ha
lavorato per diversi anni a fianco della locale comunità Rom: l'Organizzazione
Umanitaria Ecumenica (EHO), che è il braccio sociale delle cinque chiese della
minoranza locale (protestante, riformata e greca cattolica). EHO ha lavorato con
i Rom per oltre 15 anni, e l'approccio dell'organizzazione al rinnovamento
sostenibile degli insediamenti rom è stato prima testato nel quartiere
"Bangladesh" e mostra essere un gran successo. Questo modello è stato anche
adoperato nel villaggio di Đurđevo, nel comune di Žabalj, dove c'è un
altro insediamento rom conosciuto come "Ciganski Kraj" (quartiere zingaro), dove
EHO sta lavorando in attiva cooperazione con la comunità rom. Qui le case sono
piccole, le hanno costruite i Rom stessi usando mattoni riciclati ed altro
materiale dai siti in demolizione nelle aree circostanti. Quasi senza eccezione,
le case non hanno bagno o acqua corrente. La comunità ha identificato in ciò
l'urgenza sociale più immediata ed è stata richiesta l'assistenza di EHO. La
loro risposta è arrivata in tre tappe: prima, un processo di consultazione con
la comunità ed una valutazione dei bisogni - incluso la capacità dei Rom ad
intraprendere loro stessi i lavori necessari; seconda, i fondi sono stati
raccolti da EHO tramite donatori in Svizzera; terza, il progetto si sviluppato
nel 2009 prima di novembre e dell'arrivo dei freddi venti invernali. Con un
prezzo base di €1.500 per edificio, ogni famiglia ha ricevuto il materiale per
costruire un piccolo bagno interno, compresi le mattonelle e l'impianto
idraulico, senza bisogno di adoperare manodopera extra. Un vero esempio di
progetto di auto-aiuto che risponde ai bisogni espressi dalla comunità.
Robert Bu è il manager del programma Rom per EHO. "Attualmente siamo l'unica
organizzazione di base in Voivodina con la capacità di guidare un progetto
alloggiativo e di inclusione sociale. E'una sfida ed una grande responsabilità,
ma qui stiamo ottenendo qualcosa di molto importante".Robert vede nella
partecipazione dei Rom in tutte le fasi del progetto la differenza tra questo ed
altri programmi regionali. La gente costruisce sulle proprie capacità e risorse
e ciò contribuisce allo sviluppo della comunità locale. "Questo modello non
impone soluzioni prefabbricate. La progettazione individuale accresce il
sentimento di appartenenza del processo e permette al gruppo individuato di
prendere le proprie decisioni".
Zlatko Marjanov e sua moglie stanno partecipando al progetto alloggiativo nel
quartiere Ciganski Kraj. "Sono molto contento dell'approccio tenuto perché ho
appreso nuove tecniche di costruzione che posso anche applicare altrove" dice
Zlatko. Sua moglie annuisce, aggiungendo che senza il supporto finanziario, non
avrebbero mai potuto investire soldi per un bagno loro.
Ristrutturare case e fornirle di acqua e servizi igienici è solo una parte
del programma EHO per i Rom. Il programma include istruzione, educazione
sanitaria di base, formazione vocazionale, consulenza legale ed aiuto nel
trovare lavoro. Attraverso un impegno a lungo termine con la comunità rom in
Voivodina, EHO sta creando una reale differenza nella vita di una delle più
povere comunità in Europa. Come scrisse Anna Frank. "Come sarebbe meraviglioso
se nessuno dovesse aspettare un solo momento per iniziare a migliorare il
mondo".
Di Fabrizio (del 25/02/2010 @ 09:18:25, in Europa, visitato 1901 volte)
Da
Romanian_Roma
- Mediafax
22/02/2010 - Una conferenza a Bucarest sulle condizioni dei Rom presieduta
dal presidente Traian Basescu è terminata oggi (lunedì) in proteste.
Cinque membri dell'Alleanza Civica Rom (ACR) di Romania sono stati
allontanati fuori dalla conferenza dalle guardie della sicurezza, dopo che
avevano protestato contro la mancanza di impegno nel proteggere il gruppo
etnico.
La conferenza, tenutasi nel Palazzo del Parlamento, ha visto il lancio di un
rapporto sulla strategia per migliorare la situazione dei Rom.
Dopo aver ascoltato il discorso del presidente Basescu, i membri di ACR hanno
iniziato a protestare contro il disinteresse delle autorità verso i Rom.
Hanno esibito sciarpe col messaggio "dieci anni di strategie, zero risultati"
ed accusato il governo e le altre autorità di insufficiente coinvolgimento nel
proteggere i Rom.
Gli attivisti di ARC hanno ricordato anche il "puzzolenti zingari" usato dal
presidente in una conversazione privata qualche anno fa.
Hanno anche citato una recente dichiarazione del Ministero degli Esteri Teodor Baconschi,
che aveva detto che c'erano "certi problemi fisiologici e di natura criminale
nel cuore di alcune comunità rumene, specialmente nelle comunità di etnia rom."
I contestatori sono stati allontanati dalla sala dagli incaricati del
Servizio di Protezione e Sicurezza (la guardia del presidente), anche se il
presidente diceva loro che erano liberi di esprimersi.
"Lei non ci permetterà di parlare," hanno detto i contestatori. Ha replicato
il presidente Basescu: "Parlate allora, chi ve lo impedisce?", mentre erano
scortati all'esterno dagli incaricati alla sicurezza.
Basescu ha detto che la minoranza nazionale dei Rom non è stata esclusa dalla
società e che molti Rumeni apprezzano le tradizioni e la musica di questo gruppo
etnico.
Però, ha puntualizzato Basescu, perché la situazione dei Rom migliori, la
loro comunità deve prendere coscienza delle sue responsabilità.
In mancanza di ciò, ha detto Basescu, tutti i programmi europei e governativi
sono destinati a fallire, e non ci saranno progressi indipendentemente dalle
somme investite.
Di Fabrizio (del 26/02/2010 @ 09:06:03, in Europa, visitato 1813 volte)
Segnalazione di Eugenio Viceconte
L'Espresso Brutta figura dell'Italia all'inaugurazione dell'Anno
dell'Unione europea contro la povertà e le discriminazioni sociali. Nessun
rappresentante del governo ha replicato alle accuse del rappresentante della
comunità Rom sul razzismo degli italiani
Un'operazione di censimento di nomadi
Madrid, 21 gennaio: inaugurazione dell'Anno dell'Unione europea contro la
povertà e le discriminazioni sociali. Presenti il premier spagnolo Zapatero, il
presidente della Commissione europea Barroso e molti giornalisti. A una tavola
rotonda parla Mirko Grga, rappresentante italiano della comunità rom.
Grga va giù duro: l'Italia è un paese razzista, il governo sforna provvedimenti
discriminatori come il censimento nei campi rom.
Imbarazzo in sala, la moderatrice invita due volte un qualsiasi rappresentante
italiano a replicare alle accuse di Grga: il nostro paese era stato l'unico
oggetto di critiche nella placida mattinata istituzionale. Non si alza nessuno,
perché nessuno rappresenta l'Italia. Anche se un delegato ci sarebbe: Raffaele
Tangorra, direttore generale per l'inclusione e i diritti sociali del ministero
per la Solidarietà sociale. Invitato a Madrid per l'inaugurazione dell'Anno,
Tangorra ha usato la tattica della scimmietta: non vedo, non sento, non parlo.
Interpellato sul perché ha detto: "Non c'era tempo per una replica".
Falso, secondo la moderatrice: "Gli avrei lasciato tutto il tempo necessario".
Visto il silenzio, in difesa dell'Italia è intervenuto il commissario europeo
Vladimir Spidla. Non una gran figura.
G. Schi. (23 febbraio 2010)
Di Fabrizio (del 28/02/2010 @ 08:34:43, in Europa, visitato 1939 volte)
Da
Hungarian_Roma
The Huffington Post By Joelle Fiss, Pennoyer Fellow - Combating Hate
Crimes
24/02/2010 - Proprio un anno fa, il 23 febbraio 2009, Robert Csorba, 27 anni di
origine rom, e suo figlio di quasi 5 anni furono colpiti a morte mentre
scappavano dalla loro casa in fiamme a Tatárszentgyörgy [leggi
QUI ndr]. La sparatoria è avvenuta subito dopo mezzanotte. La famiglia
tentava di fuggire dalla sua casa in fiamme, ma nel mentre Robert Csorba e suo
figlio furono colpiti a morte dalle pallottole. La moglie di Robert e altri due
bambini furono seriamente feriti, oltre naturalmente a patire traumi emotivi.
Un anno dopo, quando Human Rights First visitò la famiglia, c'era una
sensazione che queste morti avrebbero potuto essere evitate. Senza dubbio ci
sono stati degli errori: l'ambulanza arrivò più tardi del previsto dopo che
il crimine fu commesso. La polizia ed il personale medico furono lenti nel
riconoscere il motivo dell'incidente che portò alla loro morte. In aggiunta, la
polizia concluse inizialmente che il fuoco era stato causato da un incidente
elettrico. Mancarono di indagare su importanti indizi che li avrebbero portati
rapidamente ai sospetti.
Questo doppio omicidio non è stato un incidente isolato. Violenze simili
hanno colpito la nazione nel 2009, colpendo la comunità rom ungherese di 600.000
membri. Sono stati registrati dozzine di gravi crimini razziali, comprendenti
l'uso di fucili, il lancio di molotov o di severi pestaggi.
Sono stati compiuti progressi nell'affrontare il circolo vizioso della
violenza e le autorità ungheresi hanno preso misure importanti. Quattro sospetti
coinvolti in quelli che vengono chiamati "omicidi seriali" sono stati arrestati
l'agosto scorso. Centinaia di investigatori sono stati mobilitati su questi
casi. Human Rights First spera che inizi presto il processo e che sia pubblico,
così da aiutare a portare un senso di giustizia tra le vittime. Un processo,
aperto e nazionale, porterebbe in primo piano al dibattito pubblico della
questione della violenza razziale contro i Rom. Le conversazioni potrebbero
partire dai politici, esperti sui diritti umani e comunità rom, allo scopo di
evitare violenze simili in futuro. I giornalisti potrebbero discutere su come
evitare di cadere nei soliti luoghi comuni, quando gli incidenti riportati
riguardano i Rom.
Paradossalmente, è incoraggiante il fatto che la polizia abbia recentemente
ammesso che siano stati fatti degli errori. Con questa constatazione, c'è più
possibilità che i responsabili siano disposti a discutere sulle riforme
necessarie alla polizia per evitare il ripetersi degli errori. Qualche
giorno fa - quasi un anno dopo gli omicidi - la polizia nazionale riconobbe che
c'era stata una cattiva condotta da parte sua, in risposta al doppio omicidio di
Tatárszentgyörgy. Come risultato, sono iniziate procedure interne disciplinari
verso due poliziotti per assicurare la responsabilità sulle loro mancanze. Ciò
va in qualche maniera nella direzione intrapresa dal governo, che chiede vengano
messi in atto meccanismi adeguati per rispondere agli abusi polizieschi.
Detto questo, rimane ancora molto da fare.
In primo luogo, l'addestramento della polizia è un punto centrale nel
prevenire violenze a sfondo razziale. Quando questa avviene, la polizia deve
usufruire di una buona formazione nel raccogliere le prove, così che l'indagine
possa definire correttamente la natura del crimine commesso. Effettivamente, se
l'indagine sulla scena del crimine è incompleta e viene ignorato il motivo
razziale, il sistema della giustizia non può assicurare la sua piena
responsabilità.
Quanti sinora si sono occupati degli assassini seriali sono investigatori di
esperienza. Ma la polizia locale è formata adeguatamente nel fare fronte agli
avvenimenti a livello base, agli episodi giornalieri di minacce e piccole
violenze, che non assumono a fama nazionale? La polizia ha bisogno di adattare i
meccanismi di risoluzione dei conflitti ai rispettivi contesti locali. Sarebbe
utile che potessero confrontarsi con le loro controparti di altri paesi per
arrivare a soluzioni creative. A tale proposito, gli Stati Uniti potrebbero
essere di grande aiuto. Allo stesso modo che gli investigatori dell'FBI volarono
a Budapest l'estate scorsa per dare assistenza alla polizia ungherese
nell'identificare gli assassini seriali, potrebbero radicarsi nel futuro anche
altre forme di cooperazione tecnica e di mutui progetti, col supporto del
Dipartimento USA alla Giustizia e del Dipartimento di Stato.
Secondariamente, le autorità ungheresi preposte alla legge dovrebbero
considerare di compiere sforzi concertati per includere più ungheresi di origine
rom nelle unità di polizia [leggi
QUI ndr], per rompere il sentimento cognitivo di "noi contro loro" che
alimenta le tensioni sociali.
Terzo, quando la polizia commette degli errori, le indagini devono essere
effettuate sistematicamente - come nelle deviazione avvenute nel caso degli
omicidi Csorba, cosicché ci sia un senso genuino di responsabilità per coloro
che ritengono che i loro diritti siano stati violati.
Anche più difficile, ma non una sfida meno importante, è trasformare gli
stereotipi anti-Rom profondamente radicati che sono tollerati a molti livelli
all'interno della società ungherese - sia nei circoli privati, sia nell'arena
politica che nei media. Istvan Serto-Radics, sindaco della città di Uszka
- largamente popolata da residenti rom, ha scritto assieme al professor John
Strong di Long Island USA una ricerca, in cui si paragona la difficile
situazione dei Rom nell'attuale Ungheria a quella degli Afroamericani nel
Mississippi della metà degli anni '60 e '70. Descrivendo i modelli psicologici
pregiudicati, dice: "Ci sono diverse ed importanti similarità tra i Rom e gli
Afroamericani... stereotipi simili sono frequentemente usati per descriverli.
Sono entrambi visti come pigri, proni al crimine, inferiori intellettualmente,
emozionalmente immaturi, anche se dotati nella musica". In aggiunta, i problemi
strutturali degli alti tassi di disoccupazione, le aree abitative ghettizzate,
la discriminazione nella sanità e nell'istruzione, come pure i rapporti tesi con
la polizia, sono tutti gli altri fattori che determinano le rassomiglianze
storiche. Malgrado ciò, ci sono differenze significative; per esempio la
comunità rom non ha mai lottato per acquisire il diritto di voto - partecipano
persino attivamente alle elezioni.
Come si inserisce questo turbolento contesto sociale nelle imminenti elezioni
nazionali che si terranno ad aprile? Il neofascista partito Jobbik è in buona
posizione per ottenere una generosa massa di voti. La sua agenda politica è
semplice: militaristica. A parte i crudi discorsi razzisti contro gli Ebrei,
chiama all'uso dell'esercito per agire contro i Rom per "restaurare l'ordine" e
combattere "il crimine zingaro". La "criminalità zingara" è una nozione
problematica filtrata tristemente nel discorso pubblico come concetto
tradizionale. Tuttavia, il pubblico sembra afferrarla intuitivamente, mentre il
capire l'effetto della violenza razzista è meno condiviso e non sempre
accettato. Invero è un problema di micro-criminalità che colpisce una corda
sensibile di molti Ungheresi. Tuttavia, l'oltraggio pubblico è ben più forte se
un Rom è beccato a rubare, piuttosto di quando viene colpito a morte. La
risposta della polizia può riflettere questo, mentre gli attacchi razzisti
contro i Rom possono essere benzina gettata sui crimini di cui sono gli
esecutori.
I membri della Guardia Ungherese, l'ala paramilitare di Jobbik, sfruttano le
legittime paure del crimine. Sono conosciuti per vagare intorno ai villaggi
popolati da Rom intimidendoli con violente minacce o aggredendoli. Infatti, Tatárszentgyörgy
è uno dei primi posti dove hanno cominciato sfilare dalla loro creazione
nell'agosto 2007.
Ecco allora un suggerimento a tutti i democratici in Ungheria che seriamente
combattono l'ascesa dell'estremismo nel loro paese mentre incombe la campagna
elettorale. Se i cittadini ungheresi si sentissero protetti ugualmente dallo
stato, ci sarebbe una migliore probabilità porre freno l'estremismo. Gli
elettori di Jobbik [...] stanno rivolgendosi ai bulli neonazisti in cerca di più
sicurezza. Nel contempo, i componenti della comunità rom hanno paura di essere
insultati, minacciati o assaltati per strada: è tempo che i politici
responsabili - e quanti formano l'opinione pubblica - parlino apertamente contro
il razzismo, così come lo fanno contro il crimine. E' tempo di essere sicuri che
non esiste crimine pari al rubare le vite di
Robert Csorba e del suo piccolo figlio.
Follow Human Rights First on Twitter:
www.twitter.com/HumanRights1st
Di Daniele (del 03/03/2010 @ 09:48:52, in Europa, visitato 2165 volte)
Sotto il ponte
OsservatorioBalcani 02.03.2010 Da Belgrado, scrive Cecilia Ferrara
E' uno dei ponti principali di Belgrado e ora sta cedendo. La storia del
ponte Gazela, dei finanziamenti europei per ricostruirlo e soprattutto delle 175
famiglie rom che per anni vi hanno vissuto proprio sotto. Un reportage
Scena 1: Belgrado, 28 gennaio 2009. Il ponte Gazela è chiuso al
traffico merci, sono stati scoperti cedimenti nelle travi portanti. Qualsiasi
mezzo a 4 ruote evita il ponte e la città si blocca. Il “Gazela most” è
l’arteria cittadina che porta a Novi Beograd ma anche un tratto dell’autostrada
che porta a Niš, la E70/E75, attualmente una porzione del Corridoio 10. Vi
passano oltre 150 mila veicoli al giorno mentre, secondo il progetto iniziale,
la capacità era di soli 40mila veicoli.
Il giorno successivo al blocco il ministro delle Infrastrutture, Milutin
Mrkonjić, rassicura i cittadini che il ponte è sicuro e che i lavori di
ripristino termineranno in pochi giorni: "Si prega di non aumentare la tensione,
il ponte non crollerà”.
Nel 2007 è stato firmato un progetto dalla Banca Europea per la ricostruzione (BERD)
e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) per la ristrutturazione del
ponte ma, secondo le dichiarazioni di Mrkonjić e del sindaco di Belgrado Dragan
Đilas, il prestito non arriva perché la BERD non è soddisfatta del progetto di
ricollocamento delle famiglie rom che vivevano in un insediamento proprio sotto
il ponte.
Il sindaco è infuriato: “Non è una donazione - tuona - ma un prestito e se le
condizioni sono queste non le accettiamo”. Đilas proprio non si capacita che
tutto il lavoro fatto non gli venga riconosciuto: “Non ci possono chiedere -
dice - di avere standard più alti di quelli europei. Il sindaco di Roma 4 giorni
fa ha sgomberato dei rom mandandoli a 50 km dal centro città e nessuno di loro
certo ne era entusiasta”.
Dopo due settimane di trattative serrate arriva lo sblocco del finanziamento.
“La BERD ha condotto accurate valutazioni sul ricollocamento delle famiglie -
dice la banca in un comunicato – con la conclusione che nonostante ci siano
buoni risultati rimangono ancora problemi di enorme portata”. Il fondo sarà
comunque erogato “in via del tutto eccezionale”.
Scena 2: Ada Ciganlija è il lago artificiale di Belgrado, dove d’estate i
belgradesi vengono a rilassarsi sui lettini dei bar della spiaggia o a
sfrecciare in roller e bicicletta. Sul lato interno di Ada vi è un ampio spiazzo
con circa 30 container. Vi abitano alcune delle 175 famiglie che vivevano sotto
il ponte Gazela, principalmente rifugiati dal Kosovo.
Foto di Isabella Mancini
Appena entriamo nel campo arrivano gruppi di bambini che fanno domande,
chiedono aiuto e in generale ti prendono platealmente in giro. Cerchiamo di
chiedere come stanno qui rispetto a prima. I bambini dicono che qui vanno a
scuola e hanno i container ma a Gazela era meglio perché c’erano più bambini e
quindi più amici. Incontriamo la famiglia di V. che ha lavorato in Italia per
oltre 10 anni, per poi rientrare per sposarsi a Pristina proprio nel 1999 e di
conseguenza poco dopo tempo obbligato a fuggire per la guerra. Il container ha
due stanze, una riscaldata dove dorme e mangia tutta la famiglia (moglie, 2
bambine e 3 bambini) e l’altra adibita ad ingresso.
“Certo la sistemazione è migliore, però la condizione della mia famiglia è
peggiorata – dice V. - a Gazela lavoravo anche senza documenti, raccoglievo
cartone e potevamo andare alla chiusura del mercato a raccogliere il cibo che
veniva buttato via. Qui siamo troppo lontani dalla città e non abbiamo da
mangiare tutti i giorni. Se riuscissi a cambiare la residenza da Pristina potrei
avere un lavoro ma essendo di Pristina devo andare a Niš per fare le pratiche
per tutta la famiglia e non ho i soldi per il viaggio e i documenti”.
Gazela era un insediamento illegale di rom, era in quella posizione dagli anni
‘80 e si è ampliato sempre di più in seguito alle guerre con l'arrivo di
rifugiati rom da Bosnia e Croazia e sfollati dal Kosovo, ma anche con famiglie
delle campagne che, impoverite da anni di crisi economica, si sono mosse verso
la città. Proprio questo campo rom situato in una zona centralissima dove sono
collocati il centro congressi Sava Center, l'Hotel Intercontinental e lo Hayatt
- quindi un’importante vetrina per la città - era “il problema” per ogni
amministrazione di Belgrado finché lo scorso 31 agosto sono arrivate le ruspe e
i ricollocamenti delle 175 famiglie che lì vivevano, 61 a Belgrado e il resto in
altre zone della Serbia.
Ad aver creato il collegamento tra le vicende di finanziamento della
ristrutturazione del ponte e futuro delle famiglie rom che vi vivevano è stato
Zvezdan Kalmar di "CEE Bank Watch” un'Ong che monitora gli investimenti
finanziari nei paesi dell’Europa centro-orientale. Non si occupano di rom, ma
dell’impatto ambientale dei grandi progetti infrastrutturali della BERD, della
BEI e di altre istituzioni finanziarie: in questo caso l’impatto era su un
insediamento rom. Bank Watch, tramite un blog (http://outofsight.tv), ha
iniziato a monitorare i nuovi insediamenti di Belgrado dove vivono persone
provenienti da Gazela: Mladenovac (50 km dalla città), Barajevo (30km), Rakovica
e Makis.
“Nel progetto erano previsti 2 milioni di euro della Commissione europea per
assistere il ricollocamento dei rom – dice Kalmar – ma c’era bisogno di un
"Piano di ricollocamento" che la città e il ministero per il Lavoro e gli Affari
sociali avrebbero dovuto realizzare. Ci sono dei precisi criteri internazionali
per le “ricollocazioni involontarie” che non sono stati seguiti. Non dubito che
per certi aspetti le famiglie stiano meglio ora, ma vi sono ancora problemi, ad
esempio per procurare a questa gente i documenti di cui hanno bisogno”.
Per ora le famiglie ricollocate in varie aree attorno a Belgrado potranno
risiedere per cinque anni nei nuovi insediamenti e dovrebbero riuscire quindi ad
ottenere una residenza, requisito fondamentale per tante pratiche burocratiche:
dalla riscossione di un assegno sociale all’iscrizione al servizio sanitario
pubblico. “A Belgrado ci sono circa 140 ghetti abitati da rom, il ricollocamento
di quello di Gazela avrebbe potuto essere un modello da riproporre, ma
l’occasione è stata sprecata”, aggiunge Kalmar.
“Non esiste una stima precisa dei rom presenti in Serbia. Nell’ultimo censimento
ufficiale si parla di 108mila, ma è un numero che si discosta molto dalle cifre
indicate dalle Ong che arrivano fino a 3-450mila - afferma Giulia di Cristo
antropologa che sta conducendo uno studio sulle identità territoriali dei rom
nei Balcani in collaborazione con l’Università "La Sapienza" di Roma – tra
questi vi sono circa 22.000 sfollati dal Kosovo, ma ad esempio l’UNHCR stima che
ci siano altri 23 mila rom fuggiti dal Kosovo che non si sono potuti registrare.
Ancora più difficile invece stabilire quanti siano i rom tra i rifugiati di
Bosnia, Croazia e Macedonia”.
“La Serbia partecipa alla Decade Rom, un piano di azione del Consiglio d’Europa
volto a ridurre gli svantaggi sociali della popolazione rom, ma fra i paesi che
partecipano a questo progetto è il quello con più difficoltà”, aggiunge la
ricercatrice. “Nel 2008/2009 la Serbia ha presieduto la Decade e tra le sue
priorità vi era l'educazione. Il 40-50% dei bambini rom infatti viene mandato in
scuole per alunni con bisogni speciali pur non avendo difficoltà reali di
apprendimento, mentre nelle scuole pubbliche non c’è un concreto sostegno per i
rom. Sono stati fatti dei piccoli progetti di inclusione, dalla formazione di
insegnanti rom alla preparazione di un manuale sulla loro cultura, ma spesso non
si sono trovati i fondi per proseguirli”, conclude l’antropologa.
Nei prossimi anni è probabile ci si trovi di fronte a nuove problematiche. La
Serbia ha sottoscritto un programma d'azione che deriva da un accordo
internazionale per la riammissione dei cittadini espulsi dai paesi europei nei
paesi di origine. Potrebbe quindi avvenire che di alcune famiglie che il sindaco
Alemanno ha sgomberato da Roma se ne dovrà ora prender carico Dragan Đilas,
sindaco della capitale serba.
Di Fabrizio (del 06/03/2010 @ 09:14:41, in Europa, visitato 1584 volte)
Da
Roma_Benelux
Navi Pillay, Alto commissariato dell'ONU per i diritti umani, s'è preoccupato
giovedì a Ginevra per la discriminazione di cui soffrono in Europa "i migranti e
le minoranze, come quella dei Rom", particolarmente in Slovacchia, Repubblica
Ceca ed Italia.
"Mentre l'Unione Europea ed alcuni governi europei hanno cercato di
migliorare la situazione dei Rom, in molti altri paesi, tra cui la Slovacchia e
la Repubblica Ceca, la loro condizione sembra peggiorare", a dichiarato Mme
Pillay presentando il suo rapporto annuale al Consiglio dei diritti dell'uomo
dell'ONU.
"Inoltre," ha proseguito, " i Rom continuano a confrontarsi con un razzismo
aperto e con aggressioni condotte da protagonisti non-statali".
Mme Pillay ha tra l'altro annunciato che "affronterà con le autorità italiane
il problema della discriminazione e delle aggressioni contro i Rom, così pure
contro i migranti", durante la sua visita in Italia prevista per la settimana
prossima.
Una reale "caccia al nero" è stata condotta gennaio scorso a Rosarno (...) da
centinaia di abitanti contro i lavoratori agricoli africani, impiegati per la
maggior parte illegalmente nella raccolta di arance e mandarini. Un migliaio di
loro aveva lasciato la città e l'incidente aveva rivelato le condizioni
deplorevoli nelle quali vivevano e lavoravano questi migranti.
04/03/2010 (AFP)
Di Fabrizio (del 09/03/2010 @ 09:37:50, in Europa, visitato 1549 volte)
Ricevo da Roberto Malini
A seguito di un ricorso dell’ERRC, il Comitato conclude che la Francia ha
violato la Carta Sociale europea. Analogo ricorso pendente contro l’Italia,
presentato dal Center on Housing Rights and Evictions (COHRE) in base a
documenti, prove, testimonianze e fotografie trasmesse al Centro dal Gruppo
EveryOne, da Viktoria Mohacsi e da altre organizzazioni per i Diritti Umani.
Strasburgo, 5 marzo 2010. Con una decisione del 19 ottobre 2009, ma resa
pubblica il 27 febbraio 2010, il Comitato europeo dei diritti sociali ha
concluso che la Francia ha violato l'art. 31 commi 1 e 2, l'art. 16, l'art. 30,
l'art. E in collegamento con gli art. 31, 30 e 16, e l'art. 19 c. 4 della Carta
Sociale europea, non assicurando alle popolazioni nomadi e Rom misure
sufficienti per soddisfare il loro legittimo diritto ad un alloggio
adeguato, per contrastare la loro povertà ed esclusione sociale e
conseguentemente anche garantire il rispetto della vita familiare.
Il Comitato del Consiglio d'Europa, chiamato a monitorare l'applicazione degli
obblighi scaturenti dall'adesione degli Stati alla Carta sociale europea, ha
ritenuto la Francia in violazione dell'art. 31 della Carta relativo al diritto
all'accesso all'abitazione, in conseguenza di un'insufficiente implementazione
della legislazione sulla realizzazione di campi sosta. Ugualmente il Comitato ha
ritenuto insoddisfacenti gli sforzi compiuti dalle autorità francesi per venire
incontro ai bisogni alloggiativi delle popolazioni "nomadi" che desiderano
adottare uno stile di vita sedentario. Il Comitato ha infatti concluso che gli
interventi volti a tenere conto degli insediamenti di tali popolazioni nella
pianificazione urbanistica sono lasciati alla discrezionalità delle autorità
locali ed insufficienti risorse vengono investite allo scopo. Ugualmente il
Comitato ha ritenuto che i provvedimenti di sgombero attuati nei confronti di
gruppi di nomadi, in particolare quelli adottati con urgenza per motivi di
ordine, igiene e sicurezza pubblica, hanno determinato una violazione delle
norme della Carta sociale europea in relazione al loro carattere sproporzionato
e alla violenza spesso utilizzata.
Secondo il Comitato, inoltre, tali violazioni del diritto all'accesso ad un
alloggio adeguato si sono determinate perché le autorità francesi non hanno
sufficientemente preso in considerazione i bisogni specifici delle popolazioni
rom e nomadi, tanto di quelle che desiderano continuare a condurre uno stile di
vita nomade, quanto di quelle che invece sentono l'esigenza di una maggiore
sedentarizzazione. Con questo, le autorità francesi hanno dunque violato il
principio di eguaglianza sostanziale e di non discriminazione per motivi
etnico-razziali, di cui all'art. E della Carta sociale europea.
La mancanza di adeguate risorse investite per venire incontro alle specifiche
esigenze abitative delle popolazioni Rom e nomadi ha dunque determinato per il
Comitato la violazione da parte della Francia del diritto di tali popolazioni ad
essere protette dalla povertà e dall'esclusione sociale.
Un ricorso analogo è stato inoltrato dal Centro on Housing Rights and Evictions
(COHRE ) contro l'Italia ed è stato dichiarato ammissibile con decisione del
comitato europeo per i diritti sociali l'8 dicembre 2009. Nel corso dell'anno
sarà dunque deciso nel merito.
Tutti i documenti riguardanti il ricorso pendente contro l'Italia (Complaint n.
58/2009) possono essere consultati sul sito web:
http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/socialcharter/Complaints/Complaints_en.asp
European Committee of Social Rights, Decision on the merits, European Roma
Rights Center v. France, 19 October 2009 (Complaint n. 51/2008)
|