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La redazione
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\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 18/02/2010 @ 09:43:04, in Europa, visitato 1533 volte)

Da Bulgarian_Roma

TOLblogs

Nel quartiere rom di "Iztok" della città di Kiustendil, nel sud ovest, un gruppo di giovani volontari assieme all'associazione LARGO ha raccolto la somma di 412,57 leva ($290) per aiutare i bambini di Haiti. L'iniziativa è stata condotta da Botselin Mitkov, un attivista locale.

I fondi raccolti per Haiti

Il 3 febbraio i volontari, forniti di urne della Croce Rossa bulgara, hanno iniziato a raccogliere fondi, fiduciosi che i Rom sarebbero stati generosi rispetto a quanto accaduto ad Haiti. In cinque giorni hanno coperto tutti i caffè ed i negozi locali del quartiere. Hanno anche visitato parecchie scuole. Il gruppo dell'associazione LARGO, lo staff dell'ufficio per il lavoro del quartiere, come pure i gestori del club culturale "Vassil Levski" hanno contribuito tutti. Anche le chiese del quartiere hanno fornito supporto.

Alle 11.00 dell'8 febbraio i volontari hanno aperto le urne e contato i fondi raccolti sotto la supervisione dei media locali. Si erano riuniti 412.57 leva.

Volontari a Kiustendil

Il direttore esecutivo di LARGO, Stefan Lazarov, ha detto che ciò che hanno fatto i volontari è una bella impresa. "Se possiamo, aiutiamo, indipendentemente che si tratti di un Rom,un Tedesco o un Bulgaro... non è importante quanto denaro raccogliamo, quello che importa è il gesto. I volontari hanno agito in buona fede e per una buona causa, per aiutare i bambini ad Haiti". Ha aggiunto che "qualcuno non solo ha donato denaro, ma anche propagato la campagna via SMS."

Secondo l'ufficio nazionale del lavoro, il 96% degli abitanti del quartiere "Iztok" è disoccupato.

"Tutti noi guardiamo la TV. Negli ultimi giorni i bambini sofferenti di Haiti erano diventati la notizia principale. Tutti sanno di loro e della tragedia che gli è capitata. Abbiamo saputo di quanti paesi avessero raccolto fondi per il futuro di quei bambini. E per questo che noi ed i volontari abbiamo deciso di intraprendere questa iniziativa e di cercare di aiutarli," dice Botselin.

Ha condiviso che loro non avevano grandi aspettative, perché molta gente è senza soldi. Ma non ha nascosto di essersi mosso in virtù del fatto che per compassione la gente avrebbe donato sino all'ultimo centesimo.

– by Ognyan Isaev

 
Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:30:58, in Europa, visitato 1609 volte)

Da Romanian_Roma

17/02/2010 "Naturalmente, abbiamo dei problemi fisiologici di criminalità entro alcune comunità rumene, specialmente tra i cittadini rumeni di etnia rom" - Teodor Baconschi, Ministro Rumeno agli Affari Esteri

La dichiarazione si può trovare nella rassegna stampa sul sito del Ministero degli Esteri [1 in inglese ndr] dell'11 febbraio 2010. Qualcuno potrebbe pensare che Baconschi creda nel razzismo biologico e la sua dichiarazione sembra collegare biologia, criminalità ed etnia. Ci si potrebbe anche aspettare la sua prossima sentenza circa la spazio vitale dei puri Rumeni - la Romania generò uno dei più radicali movimenti nazisti in Europa durante gli anni '30. Diverse OnG rumene, tra cui la nostra, ha chiesto una rettifica a Baconschi.

Teodor Baconschi è un diplomatico di carriera, ed ha un Rom - Gheorghe Raducanu, come consigliere. Dato che Raducanu occupa anche una posizione di alto livello - Segretario Generale - entro il Forum Europeo dei Rom e Viaggianti, un'organizzazione che è giustamente molto attiva contro l'anti-ziganismo; la nostra organizzazione richiede che il Forum renda chiara la sua posizione riguardo la dichiarazione razzista del ministro Baconschi, chiede anche che Raducanu si dimetta dalla sua posizione nel Forum o viceversa da consigliere del Ministero degli Esteri.

Policy Center for Roma & Minorities
Bucharest, 010152, Intrarea Rigas 29A, Ap. 31, Sect. 1, Romania.
Tel. 0040-742379657
Fax: 0040-318177092
www.policycenter.eu

 
Di Fabrizio (del 21/02/2010 @ 09:26:03, in Europa, visitato 1775 volte)

Da Slovak_Roma

La maggioranza degli abitanti sono Rom, ma i fondi pubblici sono stati usati per dividerli dai quartieri più benestanti
TimesOnLine Adam LeBor, Ostrovany, Slovakia

18/02/2010 - La struttura più solida costruita nel ghetto rom ad Ostrovany è il muro che lo divide dal resto del villaggio, costato €13.000 ai fondi pubblici, per separare quanti vivono in condizioni di medioevale squallore dai loro vicini non-Rom.

La struttura lunga 150 m., costruita con lastre di cemento alte 2,2 m., ha oltraggiato i Rom e gli attivisti dei diritti umani. "Nessuno ci ha detto che stava succedendo questo - sono solo venuti un giorno ed hanno iniziato a costruire," dice Peter Kaleja. "Il sindaco non avrebbe dovuto spendere tutto quel denaro per il muro, ma avrebbe dovuto costruire case per noi."

Kaleja, 21 anni, vive con sua moglie e la figlia di 19mesi in una catapecchia di fango e legno. Il gelido vento invernale soffia forte attraverso le fragili pareti e non c'è acqua corrente, gas o collegamento alle fognature, ma hanno la corrente elettrica ed una stufa a legna. Sopravvivono con un assegno sociale di  €170 al mese.

In Slovacchia, come nei vicini paesi dell'Est Europa, i Rom vivono ai margini. Hanno una minore aspettativa di vita, sono di più i disoccupati ed hanno un tasso più alto di mortalità infantile. I bambini rom sono più spesso diagnosticati con disabilità mentale - anche quando non ne hanno - e come risultato sono messi in scuole speciali.

Ci sono circa 350.000 Rom in Slovacchia, circa il 7% della popolazione, ma ad Ostrovany sono circa i due terzi dei 1.786 residenti. Ma le risorse municipali non sono condivise proporzionalmente.

Gli incaricati comunali di Ostrovany dicono che il muro era necessario per proteggere i proprietari di case i cui giardini confinano con l'insediamento rom e che lamentano frequenti furti di frutta.

Le baracche dei Rom sono costruite illegalmente su terreno privato, senza autorizzazioni, dice Cyril Revak, il sindaco. "Anche i Rom sono cittadini di questo paese. Meritano tutto l'aiuto che possono ottenere ma devono obbedire alla legge. L'unica critica che posso accettare è sull'uso delle finanze pubbliche per proteggere la proprietà privata - ma non è stato un errore, perché un giorno aiutiamo qualcuno e quello dopo qualcun altro." Aggiunge che il comune sta cercando di acquistare terreno per costruire case ai Rom, e di voler lanciare un programma per aiutare i bambini rom alla scuola superiore.

Il muro, d'altronde, manda un potente messaggio di esclusione, dice Stanislav Daniel, dell'ERRC. "E' un valore altamente simbolico. Non obbietteremmo se i proprietari costruissero e pagassero il loro muro. Ma è la prima volta che un comune in Slovacchia usa denaro pubblico per proteggere la proprietà privata di pochi."

 
Di Fabrizio (del 22/02/2010 @ 09:12:03, in Europa, visitato 1831 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Antony Mahony, visitatore da Londra

La Voivodina, provincia settentrionale della Serbia attuale, è sempre stata considerata l'area più culturalmente mista dell'ex Jugoslavia, lo stato durato dal Trattato di Versailles del 1919 allo scoppio della guerra civile nel 1991. Ma le origini del popolo della Voivodina è posta più indietro nella storia. Al tempo dell'imperatrice Maria Teresa quella ricca e fertile pianura tra due grandi fiumi, il Danubio e la Tisa, accolse coloni agricoli dai paesi confinanti: Ungheresi, Rumeni e Tedeschi come pure Serbi. Stabilirono insediamenti che tuttora si possono riconoscere dallo stile architettonico dei loro villaggi, in particolare nelle chiese. Nel tardo XIX secolo, che fu un periodo di egemonia ungherese, gran parte del terreno venne drenato per sfruttare ulteriormente il suo potenziale agricolo. Molte delle comunità tedesche disintegratesi nel 1945 furono espulse per ordine del nuovo regime del maresciallo Tito. Ci sono anche piccole ma significative presenze di Slovacchi, Ucraini, Ruteni, Croati e Montenegrini. Sino al 1944 c'era anche una comunità ebraica a Novi Sad, dove resiste tuttora la straordinaria sinagoga di mattoni rossi. La Voivodina è sempre stata citata come esempio di area dove la coesistenza pacifica era una realtà nella vita quotidiana piuttosto che un'aspirazione.

La Voivodina è anche patria di un'altra importante minoranza: i Rom. Durante il loro lungo viaggio dalle regioni del Punjab e del Rajasthan nell'India, che iniziò nell'XI secolo, i Rom si spostarono nel Caucaso e nell'Asia Minore prima di arrivare nei Balcani. Per questo, la popolazione Rom nei paesi moderni dell'Europa del sud est è sempre stata considerevolmente più alta che nell'Europa occidentale.

Però, c'è una differenza significativa tra i Rom e le altre minoranze in Voivodina, cioè la sistematica discriminazione ai cui i primi sono stati sottoposti e rifiutati come stranieri, in particolare durante la II guerra mondiale. Non c'è dubbio che i Rom continuano ad essere tra i popoli più poveri e svantaggiati in Europa. Le loro generali povere condizioni di vita e la mancanza di accesso al sistema sanitario significa che raramente pochi raggiungono la tarda età, ed in termini di istruzione pochi proseguono dopo la scuola dell'obbligo. Nel linguaggio delle analisi sociali, gli indicatori sono molto bassi. Questi fattori pesano anche pesantemente contro i Rom nel mercato del lavoro dove la loro mancanza di istruzione e formazione professionale, assieme alla severa situazione economica di questo periodo della Serbia, sono severi ostacoli a progredire. A Novi Sad, uomini e ragazzi rom si vedono spesso sui loro carri a cavallo nella raccolta di cartoni e materiale da discarica per essere riciclati.

Il tradizionale stile di vita dei Rom è saldamente ancorato alla cultura rom e le famiglie hanno vagato per vasti territori con i loro carri trainati da cavalli, per tutta la loro storia. Ma, durante gli anni '70, il governo di Belgrado introdusse una nuova politica di insediamento forzato verso i Rom. Ma dato che i Rom non avevano mai posseduto alloggi, furono incoraggiati - per così dire - ad installarsi in edifici in disuso come unità industriali abbandonate o ex quartieri di lavoratori ai margini delle città, dove iniziarono ad apparire i cosiddetti quartieri rom. Un insediamento simile vicino a Novi Sad si è formato nei ripari provvisori di un'azienda agricola. E' il posto che ora localmente è conosciuto come "Bangladesh".

Per riconoscere le esigenze speciali dei Rom, la UE introdusse il "Decennio dell'inclusione Rom" dal 2005 al 2015, allo scopo di influenzare politiche ed azioni a livello strategico. Ma a livello base c'è un'organizzazione che ha lavorato per diversi anni a fianco della locale comunità Rom: l'Organizzazione Umanitaria Ecumenica (EHO), che è il braccio sociale delle cinque chiese della minoranza locale (protestante, riformata e greca cattolica). EHO ha lavorato con i Rom per oltre 15 anni, e l'approccio dell'organizzazione al rinnovamento sostenibile degli insediamenti rom è stato prima testato nel quartiere "Bangladesh" e mostra essere un gran successo. Questo modello è stato anche adoperato nel villaggio di Đurđevo, nel comune di Žabalj, dove c'è un altro insediamento rom conosciuto come "Ciganski Kraj" (quartiere zingaro), dove EHO sta lavorando in attiva cooperazione con la comunità rom. Qui le case sono piccole, le hanno costruite i Rom stessi usando mattoni riciclati ed altro materiale dai siti in demolizione nelle aree circostanti. Quasi senza eccezione, le case non hanno bagno o acqua corrente. La comunità ha identificato in ciò l'urgenza sociale più immediata ed è stata richiesta l'assistenza di EHO. La loro risposta è arrivata in tre tappe: prima, un processo di consultazione con la comunità ed una valutazione dei bisogni - incluso la capacità dei Rom ad intraprendere loro stessi i lavori necessari; seconda, i fondi sono stati raccolti da EHO tramite donatori in Svizzera; terza, il progetto si sviluppato nel 2009 prima di novembre e dell'arrivo dei freddi venti invernali. Con un prezzo base di €1.500 per edificio, ogni famiglia ha ricevuto il materiale per costruire un piccolo bagno interno, compresi le mattonelle e l'impianto idraulico, senza bisogno di adoperare manodopera extra. Un vero esempio di progetto di auto-aiuto che risponde ai bisogni espressi dalla comunità.

Robert Bu è il manager del programma Rom per EHO. "Attualmente siamo l'unica organizzazione di base in Voivodina con la capacità di guidare un progetto alloggiativo e di inclusione sociale. E'una sfida ed una grande responsabilità, ma qui stiamo ottenendo qualcosa di molto importante".Robert vede nella partecipazione dei Rom in tutte le fasi del progetto la differenza tra questo ed altri programmi regionali. La gente costruisce sulle proprie capacità e risorse e ciò contribuisce allo sviluppo della comunità locale. "Questo modello non impone soluzioni prefabbricate. La progettazione individuale accresce il sentimento di appartenenza del processo e permette al gruppo individuato di prendere le proprie decisioni".

Zlatko Marjanov e sua moglie stanno partecipando al progetto alloggiativo nel quartiere Ciganski Kraj. "Sono molto contento dell'approccio tenuto perché ho appreso nuove tecniche di costruzione che posso anche applicare altrove" dice Zlatko. Sua moglie annuisce, aggiungendo che senza il supporto finanziario, non avrebbero mai potuto investire soldi per un bagno loro.

Ristrutturare case e fornirle di acqua e servizi igienici è solo una parte del programma EHO per i Rom. Il programma include istruzione, educazione sanitaria di base, formazione vocazionale, consulenza legale ed aiuto nel trovare lavoro. Attraverso un impegno a lungo termine con la comunità rom in Voivodina, EHO sta creando una reale differenza nella vita di una delle più povere comunità in Europa. Come scrisse Anna Frank. "Come sarebbe meraviglioso se nessuno dovesse aspettare un solo momento per iniziare a migliorare il mondo".

 
Di Fabrizio (del 25/02/2010 @ 09:18:25, in Europa, visitato 1901 volte)

Da Romanian_Roma

- Mediafax

22/02/2010 - Una conferenza a Bucarest sulle condizioni dei Rom presieduta dal presidente Traian Basescu è terminata oggi (lunedì) in proteste.

Cinque membri dell'Alleanza Civica Rom (ACR) di Romania sono stati allontanati fuori dalla conferenza dalle guardie della sicurezza, dopo che avevano protestato contro la mancanza di impegno nel proteggere il gruppo etnico.

La conferenza, tenutasi nel Palazzo del Parlamento, ha visto il lancio di un rapporto sulla strategia per migliorare la situazione dei Rom.

Dopo aver ascoltato il discorso del presidente Basescu, i membri di ACR hanno iniziato a protestare contro il disinteresse delle autorità verso i Rom.

Hanno esibito sciarpe col messaggio "dieci anni di strategie, zero risultati" ed accusato il governo e le altre autorità di insufficiente coinvolgimento nel proteggere i Rom.

Gli attivisti di ARC hanno ricordato anche il "puzzolenti zingari" usato dal presidente in una conversazione privata qualche anno fa.

Hanno anche citato una recente dichiarazione del Ministero degli Esteri Teodor Baconschi, che aveva detto che c'erano "certi problemi fisiologici e di natura criminale nel cuore di alcune comunità rumene, specialmente nelle comunità di etnia rom."

I contestatori sono stati allontanati dalla sala dagli incaricati del Servizio di Protezione e Sicurezza (la guardia del presidente), anche se il presidente diceva loro che erano liberi di esprimersi.

"Lei non ci permetterà di parlare," hanno detto i contestatori. Ha replicato il presidente Basescu: "Parlate allora, chi ve lo impedisce?", mentre erano scortati all'esterno dagli incaricati alla sicurezza.

Basescu ha detto che la minoranza nazionale dei Rom non è stata esclusa dalla società e che molti Rumeni apprezzano le tradizioni e la musica di questo gruppo etnico.

Però, ha puntualizzato Basescu, perché la situazione dei Rom migliori, la loro comunità deve prendere coscienza delle sue responsabilità.

In mancanza di ciò, ha detto Basescu, tutti i programmi europei e governativi sono destinati a fallire, e non ci saranno progressi indipendentemente dalle somme investite.

 
Di Fabrizio (del 26/02/2010 @ 09:06:03, in Europa, visitato 1813 volte)

Segnalazione di Eugenio Viceconte

L'Espresso Brutta figura dell'Italia all'inaugurazione dell'Anno dell'Unione europea contro la povertà e le discriminazioni sociali. Nessun rappresentante del governo ha replicato alle accuse del rappresentante della comunità Rom sul razzismo degli italiani

Un'operazione di censimento di nomadi

Madrid, 21 gennaio: inaugurazione dell'Anno dell'Unione europea contro la povertà e le discriminazioni sociali. Presenti il premier spagnolo Zapatero, il presidente della Commissione europea Barroso e molti giornalisti. A una tavola rotonda parla Mirko Grga, rappresentante italiano della comunità rom.
Grga va giù duro: l'Italia è un paese razzista, il governo sforna provvedimenti discriminatori come il censimento nei campi rom.

Imbarazzo in sala, la moderatrice invita due volte un qualsiasi rappresentante italiano a replicare alle accuse di Grga: il nostro paese era stato l'unico oggetto di critiche nella placida mattinata istituzionale. Non si alza nessuno, perché nessuno rappresenta l'Italia. Anche se un delegato ci sarebbe: Raffaele Tangorra, direttore generale per l'inclusione e i diritti sociali del ministero per la Solidarietà sociale. Invitato a Madrid per l'inaugurazione dell'Anno, Tangorra ha usato la tattica della scimmietta: non vedo, non sento, non parlo. Interpellato sul perché ha detto: "Non c'era tempo per una replica".

Falso, secondo la moderatrice: "Gli avrei lasciato tutto il tempo necessario". Visto il silenzio, in difesa dell'Italia è intervenuto il commissario europeo Vladimir Spidla. Non una gran figura.

G. Schi. (23 febbraio 2010)

 
Di Fabrizio (del 28/02/2010 @ 08:34:43, in Europa, visitato 1939 volte)

Da Hungarian_Roma

The Huffington Post By Joelle Fiss, Pennoyer Fellow - Combating Hate Crimes

24/02/2010 - Proprio un anno fa, il 23 febbraio 2009, Robert Csorba, 27 anni di origine rom, e suo figlio di quasi 5 anni furono colpiti a morte mentre scappavano dalla loro casa in fiamme a Tatárszentgyörgy [leggi QUI ndr]. La sparatoria è avvenuta subito dopo mezzanotte. La famiglia tentava di fuggire dalla sua casa in fiamme, ma nel mentre Robert Csorba e suo figlio furono colpiti a morte dalle pallottole. La moglie di Robert e altri due bambini furono seriamente feriti, oltre naturalmente a patire traumi emotivi.

Un anno dopo, quando Human Rights First visitò la famiglia, c'era una sensazione che queste morti avrebbero potuto essere evitate. Senza dubbio ci sono stati degli errori: l'ambulanza arrivò più tardi del previsto dopo che il crimine fu commesso. La polizia ed il personale medico furono lenti nel riconoscere il motivo dell'incidente che portò alla loro morte. In aggiunta, la polizia concluse inizialmente che il fuoco era stato causato da un incidente elettrico. Mancarono di indagare su importanti indizi che li avrebbero portati rapidamente ai sospetti.

Questo doppio omicidio non è stato un incidente isolato. Violenze simili hanno colpito la nazione nel 2009, colpendo la comunità rom ungherese di 600.000 membri. Sono stati registrati dozzine di gravi crimini razziali, comprendenti l'uso di fucili, il lancio di molotov o di severi pestaggi.

Sono stati compiuti progressi nell'affrontare il circolo vizioso della violenza e le autorità ungheresi hanno preso misure importanti. Quattro sospetti coinvolti in quelli che vengono chiamati "omicidi seriali" sono stati arrestati l'agosto scorso. Centinaia di investigatori sono stati mobilitati su questi casi. Human Rights First spera che inizi presto il processo e che sia pubblico, così da aiutare a portare un senso di giustizia tra le vittime. Un processo, aperto e nazionale, porterebbe in primo piano al dibattito pubblico della questione della violenza razziale contro i Rom. Le conversazioni potrebbero partire dai politici, esperti sui diritti umani e comunità rom, allo scopo di evitare violenze simili in futuro. I giornalisti potrebbero discutere su come evitare di cadere nei soliti luoghi comuni, quando gli incidenti riportati riguardano i Rom.

Paradossalmente, è incoraggiante il fatto che la polizia abbia recentemente ammesso che siano stati fatti degli errori. Con questa constatazione, c'è più possibilità che i responsabili siano disposti a discutere sulle riforme necessarie alla polizia per evitare il ripetersi degli errori.  Qualche giorno fa - quasi un anno dopo gli omicidi - la polizia nazionale riconobbe che c'era stata una cattiva condotta da parte sua, in risposta al doppio omicidio di Tatárszentgyörgy. Come risultato, sono iniziate procedure interne disciplinari verso due poliziotti per assicurare la responsabilità sulle loro mancanze. Ciò va in qualche maniera nella direzione intrapresa dal governo, che chiede vengano messi in atto meccanismi adeguati per rispondere agli abusi polizieschi.

Detto questo, rimane ancora molto da fare.

In primo luogo, l'addestramento della polizia è un punto centrale nel prevenire violenze a sfondo razziale. Quando questa avviene, la polizia deve usufruire di una buona formazione nel raccogliere le prove, così che l'indagine possa definire correttamente la natura del crimine commesso. Effettivamente, se l'indagine sulla scena del crimine è incompleta e viene ignorato il motivo razziale, il sistema della giustizia non può assicurare la sua piena responsabilità.

Quanti sinora si sono occupati degli assassini seriali sono investigatori di esperienza. Ma la polizia locale è formata adeguatamente nel fare fronte agli avvenimenti a livello base, agli episodi giornalieri di minacce e piccole violenze, che non assumono a fama nazionale? La polizia ha bisogno di adattare i meccanismi di risoluzione dei conflitti ai rispettivi contesti locali. Sarebbe utile che potessero confrontarsi con le loro controparti di altri paesi per arrivare a soluzioni creative. A tale proposito, gli Stati Uniti potrebbero essere di grande aiuto. Allo stesso modo che gli investigatori dell'FBI volarono a Budapest l'estate scorsa per dare assistenza alla polizia ungherese nell'identificare gli assassini seriali, potrebbero radicarsi nel futuro anche altre forme di cooperazione tecnica e di mutui progetti, col supporto del Dipartimento USA alla Giustizia e del Dipartimento di Stato.

Secondariamente, le autorità ungheresi preposte alla legge dovrebbero considerare di compiere sforzi concertati per includere più ungheresi di origine rom nelle unità di polizia [leggi QUI ndr], per rompere il sentimento cognitivo di "noi contro loro" che alimenta le tensioni sociali.

Terzo, quando la polizia commette degli errori, le indagini devono essere effettuate sistematicamente - come nelle deviazione avvenute nel caso degli omicidi Csorba, cosicché ci sia un senso genuino di responsabilità per coloro che ritengono che i loro diritti siano stati violati.

Anche più difficile, ma non una sfida meno importante, è trasformare gli stereotipi anti-Rom profondamente radicati che sono tollerati a molti livelli all'interno della società ungherese - sia nei circoli privati, sia nell'arena politica che nei media. Istvan Serto-Radics, sindaco della città di Uszka  - largamente popolata da residenti rom, ha scritto assieme al professor John Strong di Long Island USA una ricerca, in cui si paragona la difficile situazione dei Rom nell'attuale Ungheria a quella degli Afroamericani nel Mississippi della metà degli anni '60 e '70. Descrivendo i modelli psicologici pregiudicati, dice: "Ci sono diverse ed importanti similarità tra i Rom e gli Afroamericani... stereotipi simili sono frequentemente usati per descriverli. Sono entrambi visti come pigri, proni al crimine, inferiori intellettualmente, emozionalmente immaturi, anche se dotati nella musica". In aggiunta, i problemi strutturali degli alti tassi di disoccupazione, le aree abitative ghettizzate, la discriminazione nella sanità e nell'istruzione, come pure i rapporti tesi con la polizia, sono tutti gli altri fattori che determinano le rassomiglianze storiche. Malgrado ciò, ci sono differenze significative; per esempio la comunità rom non ha mai lottato per acquisire il diritto di voto - partecipano persino attivamente alle elezioni.

Come si inserisce questo turbolento contesto sociale nelle imminenti elezioni nazionali che si terranno ad aprile? Il neofascista partito Jobbik è in buona posizione per ottenere una generosa massa di voti. La sua agenda politica è semplice: militaristica. A parte i crudi discorsi razzisti contro gli Ebrei, chiama all'uso dell'esercito per agire contro i Rom per "restaurare l'ordine" e combattere "il crimine zingaro". La "criminalità zingara" è una nozione problematica filtrata tristemente nel discorso pubblico come concetto tradizionale. Tuttavia, il pubblico sembra afferrarla intuitivamente, mentre il capire l'effetto della violenza razzista è meno condiviso e non sempre accettato. Invero è un problema di micro-criminalità che colpisce una corda sensibile di molti Ungheresi. Tuttavia, l'oltraggio pubblico è ben più forte se un Rom è beccato a rubare, piuttosto di quando viene colpito a morte. La risposta della polizia può riflettere questo, mentre gli attacchi razzisti contro i Rom possono essere benzina gettata sui crimini di cui sono gli esecutori.

I membri della Guardia Ungherese, l'ala paramilitare di Jobbik, sfruttano le legittime paure del crimine. Sono conosciuti per vagare intorno ai villaggi popolati da Rom intimidendoli con violente minacce o aggredendoli. Infatti, Tatárszentgyörgy è uno dei primi posti dove hanno cominciato sfilare dalla loro creazione nell'agosto 2007.

Ecco allora un suggerimento a tutti i democratici in Ungheria che seriamente combattono l'ascesa dell'estremismo nel loro paese mentre incombe la campagna elettorale. Se i cittadini ungheresi si sentissero protetti ugualmente dallo stato, ci sarebbe una migliore probabilità porre freno l'estremismo. Gli elettori di Jobbik [...] stanno rivolgendosi ai bulli neonazisti in cerca di più sicurezza. Nel contempo, i componenti della comunità rom hanno paura di essere insultati, minacciati o assaltati per strada: è tempo che i politici responsabili - e quanti formano l'opinione pubblica - parlino apertamente contro il razzismo, così come lo fanno contro il crimine. E' tempo di essere sicuri che non esiste crimine pari al rubare le vite di Robert Csorba e del suo piccolo figlio.

Follow Human Rights First on Twitter: www.twitter.com/HumanRights1st

 
Di Daniele (del 03/03/2010 @ 09:48:52, in Europa, visitato 2165 volte)

Sotto il ponte

OsservatorioBalcani 02.03.2010 Da Belgrado, scrive Cecilia Ferrara

E' uno dei ponti principali di Belgrado e ora sta cedendo. La storia del ponte Gazela, dei finanziamenti europei per ricostruirlo e soprattutto delle 175 famiglie rom che per anni vi hanno vissuto proprio sotto. Un reportage

Scena 1: Belgrado, 28 gennaio 2009. Il ponte Gazela è chiuso al traffico merci, sono stati scoperti cedimenti nelle travi portanti. Qualsiasi mezzo a 4 ruote evita il ponte e la città si blocca. Il “Gazela most” è l’arteria cittadina che porta a Novi Beograd ma anche un tratto dell’autostrada che porta a Niš, la E70/E75, attualmente una porzione del Corridoio 10. Vi passano oltre 150 mila veicoli al giorno mentre, secondo il progetto iniziale, la capacità era di soli 40mila veicoli.

Il giorno successivo al blocco il ministro delle Infrastrutture, Milutin Mrkonjić, rassicura i cittadini che il ponte è sicuro e che i lavori di ripristino termineranno in pochi giorni: "Si prega di non aumentare la tensione, il ponte non crollerà”.

Nel 2007 è stato firmato un progetto dalla Banca Europea per la ricostruzione (BERD) e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) per la ristrutturazione del ponte ma, secondo le dichiarazioni di Mrkonjić e del sindaco di Belgrado Dragan Đilas, il prestito non arriva perché la BERD non è soddisfatta del progetto di ricollocamento delle famiglie rom che vivevano in un insediamento proprio sotto il ponte.

Il sindaco è infuriato: “Non è una donazione - tuona - ma un prestito e se le condizioni sono queste non le accettiamo”. Đilas proprio non si capacita che tutto il lavoro fatto non gli venga riconosciuto: “Non ci possono chiedere - dice - di avere standard più alti di quelli europei. Il sindaco di Roma 4 giorni fa ha sgomberato dei rom mandandoli a 50 km dal centro città e nessuno di loro certo ne era entusiasta”.

Dopo due settimane di trattative serrate arriva lo sblocco del finanziamento. “La BERD ha condotto accurate valutazioni sul ricollocamento delle famiglie - dice la banca in un comunicato – con la conclusione che nonostante ci siano buoni risultati rimangono ancora problemi di enorme portata”. Il fondo sarà comunque erogato “in via del tutto eccezionale”.

Scena 2: Ada Ciganlija è il lago artificiale di Belgrado, dove d’estate i belgradesi vengono a rilassarsi sui lettini dei bar della spiaggia o a sfrecciare in roller e bicicletta. Sul lato interno di Ada vi è un ampio spiazzo con circa 30 container. Vi abitano alcune delle 175 famiglie che vivevano sotto il ponte Gazela, principalmente rifugiati dal Kosovo.

Foto di Isabella Mancini 

Appena entriamo nel campo arrivano gruppi di bambini che fanno domande, chiedono aiuto e in generale ti prendono platealmente in giro. Cerchiamo di chiedere come stanno qui rispetto a prima. I bambini dicono che qui vanno a scuola e hanno i container ma a Gazela era meglio perché c’erano più bambini e quindi più amici. Incontriamo la famiglia di V. che ha lavorato in Italia per oltre 10 anni, per poi rientrare per sposarsi a Pristina proprio nel 1999 e di conseguenza poco dopo tempo obbligato a fuggire per la guerra. Il container ha due stanze, una riscaldata dove dorme e mangia tutta la famiglia (moglie, 2 bambine e 3 bambini) e l’altra adibita ad ingresso.

“Certo la sistemazione è migliore, però la condizione della mia famiglia è peggiorata – dice V. - a Gazela lavoravo anche senza documenti, raccoglievo cartone e potevamo andare alla chiusura del mercato a raccogliere il cibo che veniva buttato via. Qui siamo troppo lontani dalla città e non abbiamo da mangiare tutti i giorni. Se riuscissi a cambiare la residenza da Pristina potrei avere un lavoro ma essendo di Pristina devo andare a Niš per fare le pratiche per tutta la famiglia e non ho i soldi per il viaggio e i documenti”.

Gazela era un insediamento illegale di rom, era in quella posizione dagli anni ‘80 e si è ampliato sempre di più in seguito alle guerre con l'arrivo di rifugiati rom da Bosnia e Croazia e sfollati dal Kosovo, ma anche con famiglie delle campagne che, impoverite da anni di crisi economica, si sono mosse verso la città. Proprio questo campo rom situato in una zona centralissima dove sono collocati il centro congressi Sava Center, l'Hotel Intercontinental e lo Hayatt - quindi un’importante vetrina per la città - era “il problema” per ogni amministrazione di Belgrado finché lo scorso 31 agosto sono arrivate le ruspe e i ricollocamenti delle 175 famiglie che lì vivevano, 61 a Belgrado e il resto in altre zone della Serbia.

Ad aver creato il collegamento tra le vicende di finanziamento della ristrutturazione del ponte e futuro delle famiglie rom che vi vivevano è stato Zvezdan Kalmar di "CEE Bank Watch” un'Ong che monitora gli investimenti finanziari nei paesi dell’Europa centro-orientale. Non si occupano di rom, ma dell’impatto ambientale dei grandi progetti infrastrutturali della BERD, della BEI e di altre istituzioni finanziarie: in questo caso l’impatto era su un insediamento rom. Bank Watch, tramite un blog (http://outofsight.tv), ha iniziato a monitorare i nuovi insediamenti di Belgrado dove vivono persone provenienti da Gazela: Mladenovac (50 km dalla città), Barajevo (30km), Rakovica e Makis.

“Nel progetto erano previsti 2 milioni di euro della Commissione europea per assistere il ricollocamento dei rom – dice Kalmar – ma c’era bisogno di un "Piano di ricollocamento" che la città e il ministero per il Lavoro e gli Affari sociali avrebbero dovuto realizzare. Ci sono dei precisi criteri internazionali per le “ricollocazioni involontarie” che non sono stati seguiti. Non dubito che per certi aspetti le famiglie stiano meglio ora, ma vi sono ancora problemi, ad esempio per procurare a questa gente i documenti di cui hanno bisogno”.

Per ora le famiglie ricollocate in varie aree attorno a Belgrado potranno risiedere per cinque anni nei nuovi insediamenti e dovrebbero riuscire quindi ad ottenere una residenza, requisito fondamentale per tante pratiche burocratiche: dalla riscossione di un assegno sociale all’iscrizione al servizio sanitario pubblico. “A Belgrado ci sono circa 140 ghetti abitati da rom, il ricollocamento di quello di Gazela avrebbe potuto essere un modello da riproporre, ma l’occasione è stata sprecata”, aggiunge Kalmar.

“Non esiste una stima precisa dei rom presenti in Serbia. Nell’ultimo censimento ufficiale si parla di 108mila, ma è un numero che si discosta molto dalle cifre indicate dalle Ong che arrivano fino a 3-450mila - afferma Giulia di Cristo antropologa che sta conducendo uno studio sulle identità territoriali dei rom nei Balcani in collaborazione con l’Università "La Sapienza" di Roma – tra questi vi sono circa 22.000 sfollati dal Kosovo, ma ad esempio l’UNHCR stima che ci siano altri 23 mila rom fuggiti dal Kosovo che non si sono potuti registrare. Ancora più difficile invece stabilire quanti siano i rom tra i rifugiati di Bosnia, Croazia e Macedonia”.

“La Serbia partecipa alla Decade Rom, un piano di azione del Consiglio d’Europa volto a ridurre gli svantaggi sociali della popolazione rom, ma fra i paesi che partecipano a questo progetto è il quello con più difficoltà”, aggiunge la ricercatrice. “Nel 2008/2009 la Serbia ha presieduto la Decade e tra le sue priorità vi era l'educazione. Il 40-50% dei bambini rom infatti viene mandato in scuole per alunni con bisogni speciali pur non avendo difficoltà reali di apprendimento, mentre nelle scuole pubbliche non c’è un concreto sostegno per i rom. Sono stati fatti dei piccoli progetti di inclusione, dalla formazione di insegnanti rom alla preparazione di un manuale sulla loro cultura, ma spesso non si sono trovati i fondi per proseguirli”, conclude l’antropologa.

Nei prossimi anni è probabile ci si trovi di fronte a nuove problematiche. La Serbia ha sottoscritto un programma d'azione che deriva da un accordo internazionale per la riammissione dei cittadini espulsi dai paesi europei nei paesi di origine. Potrebbe quindi avvenire che di alcune famiglie che il sindaco Alemanno ha sgomberato da Roma se ne dovrà ora prender carico Dragan Đilas, sindaco della capitale serba.

 
Di Fabrizio (del 06/03/2010 @ 09:14:41, in Europa, visitato 1584 volte)

Da Roma_Benelux

Navi Pillay, Alto commissariato dell'ONU per i diritti umani, s'è preoccupato giovedì a Ginevra per la discriminazione di cui soffrono in Europa "i migranti e le minoranze, come quella dei Rom", particolarmente in Slovacchia, Repubblica Ceca ed Italia.

"Mentre l'Unione Europea ed alcuni governi europei hanno cercato di migliorare la situazione dei Rom, in molti altri paesi, tra cui la Slovacchia e la Repubblica Ceca, la loro condizione sembra peggiorare", a dichiarato Mme Pillay presentando il suo rapporto annuale al Consiglio dei diritti dell'uomo dell'ONU.

"Inoltre," ha proseguito, " i Rom continuano a confrontarsi con un razzismo aperto e con aggressioni condotte da protagonisti non-statali".

Mme Pillay ha tra l'altro annunciato che "affronterà con le autorità italiane il problema della discriminazione e delle aggressioni contro i Rom, così pure contro i migranti", durante la sua visita in Italia prevista per la settimana prossima.

Una reale "caccia al nero" è stata condotta gennaio scorso a Rosarno (...) da centinaia di abitanti contro i lavoratori agricoli africani, impiegati per la maggior parte illegalmente nella raccolta di arance e mandarini. Un migliaio di loro aveva lasciato la città e l'incidente aveva rivelato le condizioni deplorevoli nelle quali vivevano e lavoravano questi migranti.

04/03/2010 (AFP)

 

Ricevo da Roberto Malini

A seguito di un ricorso dell’ERRC, il Comitato conclude che la Francia ha violato la Carta Sociale europea. Analogo ricorso pendente contro l’Italia, presentato dal Center on Housing Rights and Evictions (COHRE) in base a documenti, prove, testimonianze e fotografie trasmesse al Centro dal Gruppo EveryOne, da Viktoria Mohacsi e da altre organizzazioni per i Diritti Umani.

Strasburgo, 5 marzo 2010. Con una decisione del 19 ottobre 2009, ma resa pubblica il 27 febbraio 2010, il Comitato europeo dei diritti sociali ha concluso che la Francia ha violato l'art. 31 commi 1 e 2, l'art. 16, l'art. 30, l'art. E in collegamento con gli art. 31, 30 e 16, e l'art. 19 c. 4 della Carta Sociale europea, non assicurando alle popolazioni nomadi e Rom misure sufficienti per soddisfare il loro legittimo diritto ad un alloggio adeguato, per contrastare la loro povertà ed esclusione sociale e conseguentemente anche garantire il rispetto della vita familiare.
Il Comitato del Consiglio d'Europa, chiamato a monitorare l'applicazione degli obblighi scaturenti dall'adesione degli Stati alla Carta sociale europea, ha ritenuto la Francia in violazione dell'art. 31 della Carta relativo al diritto all'accesso all'abitazione, in conseguenza di un'insufficiente implementazione della legislazione sulla realizzazione di campi sosta. Ugualmente il Comitato ha ritenuto insoddisfacenti gli sforzi compiuti dalle autorità francesi per venire incontro ai bisogni alloggiativi delle popolazioni "nomadi" che desiderano adottare uno stile di vita sedentario. Il Comitato ha infatti concluso che gli interventi volti a tenere conto degli insediamenti di tali popolazioni nella pianificazione urbanistica sono lasciati alla discrezionalità delle autorità locali ed insufficienti risorse vengono investite allo scopo. Ugualmente il Comitato ha ritenuto che i provvedimenti di sgombero attuati nei confronti di gruppi di nomadi, in particolare quelli adottati con urgenza per motivi di ordine, igiene e sicurezza pubblica, hanno determinato una violazione delle norme della Carta sociale europea in relazione al loro carattere sproporzionato e alla violenza spesso utilizzata.
Secondo il Comitato, inoltre, tali violazioni del diritto all'accesso ad un alloggio adeguato si sono determinate perché le autorità francesi non hanno sufficientemente preso in considerazione i bisogni specifici delle popolazioni rom e nomadi, tanto di quelle che desiderano continuare a condurre uno stile di vita nomade, quanto di quelle che invece sentono l'esigenza di una maggiore sedentarizzazione. Con questo, le autorità francesi hanno dunque violato il principio di eguaglianza sostanziale e di non discriminazione per motivi etnico-razziali, di cui all'art. E della Carta sociale europea.
La mancanza di adeguate risorse investite per venire incontro alle specifiche esigenze abitative delle popolazioni Rom e nomadi ha dunque determinato per il Comitato la violazione da parte della Francia del diritto di tali popolazioni ad essere protette dalla povertà e dall'esclusione sociale.

Un ricorso analogo è stato inoltrato dal Centro on Housing Rights and Evictions (COHRE ) contro l'Italia ed è stato dichiarato ammissibile con decisione del comitato europeo per i diritti sociali l'8 dicembre 2009. Nel corso dell'anno sarà dunque deciso nel merito.
Tutti i documenti riguardanti il ricorso pendente contro l'Italia (Complaint n. 58/2009) possono essere consultati sul sito web: http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/socialcharter/Complaints/Complaints_en.asp 

European Committee of Social Rights, Decision on the merits, European Roma Rights Center v. France, 19 October 2009 (Complaint n. 51/2008)

 

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