Con gli Aquilani per vincere Mondiali HWC Milano 2009
Il
ritiro della Rappresentativa Italiana è confermato dal 29 agosto fino al 5
settembre, nella tendopoli del campo sportivo Centi Colella a L'Aquila (info:
abruzzo2009@arci.it) dove selezioneremo
4 giocatori Aquilani che hanno perso le proprie case e dove porteremo la
solidarietà della Nazionale Italiana Senza Tetto (A.S.C.
Nuova MultiEtnica
Onlus)
Il 4 settembre Conferenza stampa con la presentazione del primi 8 giocatori
della rappresentativa Italiana Senza Tetto
10 giocatori di riserve per tutte le 48 Nazioni
Consegna delle maglie e attrezzatura per tutti giocatori da parte di
rappresentante di FIGC e L.N.D.
Ringraziamenti faremo durante la conferenza stampa a tutti quanti hanno
aiutato la Nuova MultiEtnica Onlus nei preparativi della Nazionale Italiana dei
Senza Tetto (Street Soccer)
Restando a disposizione per qualsiasi chiarimento, inviamo i più cordiali
saluti.
Di Fabrizio (del 23/08/2009 @ 09:43:48, in sport, visitato 1874 volte)
Resoconto del sopralluogo dello staff della Nuova MultiEtnica Onlus presso
la tendopoli del centro sportivo Centi-Colella/L'Aquila .
Siamo stati accolti con estremo entusiasmo dalle persone, le associazioni e
organizzazioni presenti a L'Aquila.
Abbiamo fin da subito collaborato con uno staff indetto tramite Arci e Querencia
per organizzare le selezioni e il ritiro a L'Aquila che avverrà dal 29/08/09 al
05/09/09, dove garantiranno vitto e alloggio alla nazionale Homeless World Cup,
grazie anche alla collaborazione del responsabile della croce rossa presente
nella tendopoli.
Durante la nostra permanenza abbiamo avuto anche la concessione tramite la CUS
L'Aquila ad utilizzare le loro strutture presenti nel centro sportivo di
Centi-Colella che verranno adibiti alla nostra preparazione.
Dopo vari incontri istituzionali con l'assessore allo sport e l'assessore alle
politiche sociali abbiamo ottenuto ottimi risultati, come l'ufficiale patrocinio
del comune di L'Aquila e massima collaborazione e sostegno del ritiro indetto
per la selezione di 4 giocatori che rafforzeranno la rappresentativa Italiana e
la squadra delle riserve.
Cogliamo l'occasione per ringraziare tutte le persone che stanno collaborando
per la preparazione della rappresentativa Italiana senza tetto (streetsoccer).
cordiali saluti lo staff della Nuova MultiEtnica ONLUS
Restando a disposizione per qualsiasi chiarimento, inviamo i più cordiali
saluti.
Associazione Sportiva e Culturale Nuova MultiEtnica
Via Bellezza 16/a – Milano
Codice Fiscale – 97309030159
Di Fabrizio (del 02/09/2009 @ 09:32:16, in sport, visitato 2332 volte)
Manca pochissimo: sabato 6 settembre a Milano ci sarà il
calcio d'inizio del
Torneo Mondiale di Calcio a 5 per i senza fissa dimora, torneo che durerà
una settimana. I colori italiani saranno difesi dall'eterogenea squadra della
Multietnica, nata
nel campo di Triboniano e che quest'anno schiera tre giocatori provenienti da
campi rom. Nell'attesa
di scoprire chi saranno i 4
aquilani che rinforzeranno la squadra, scopriamo le storie degli attuali
componenti. Testi e foto sono tratti dal sito
Homeless World Cup
Nome: Angelo Cognome: Cimbali
Età: 45 anni
Paese: Italia
Lingue: italiano
Angelo si deve confrontare con un difficile passato, legato alla dipendenza
dall’alcool. “Ho sempre saputo di avere grandi difficoltà a livello emotivo.
L’alcol mi aiutava a superare l'ansia e il senso di inadeguatezza”, ammette:
“Era un modo per sfuggire alla realtà” .
Congedato dall’esercito e allontanato dalla famiglia, decide di dare una svolta
alla sua vita, iniziando un percorso di disintossicazione, supportato da un
centro di solidarietà, il CEAS, dove tutt’ora vive e offre collaborazione come
volontario.
Grazie a questa associazione, viene a conoscenza della Nuova Multietnica ed
entra a far parte della Nazionale Italiana di Homeless World Cup.
Angelo è entusiasta del progetto perché vede il torneo come la possibilità di un
riscatto, attraverso la sua grande passione, il calcio.
Nome: Anderson
Cognome: Cervantes
Età: 20 anni
Paese: Perù
Città: Tocache
Lingue: spagnolo, italiano
Anderson, terzo di cinque fratelli, arriva in Italia a 12 anni. La sua famiglia
non ha possibilità economiche, ma cerca di dargli un’istruzione fino ai primi
anni delle scuole superiori. Interrotti gli studi, lasciata la casa familiare e
privo di una sistemazione stabile, inizia a lavorare in una fabbrica di
manufatti, che purtroppo chiude a causa della crisi economica attuale.
Essendo venuto a conoscenza del Progetto Homeless World Cup, decide di unirsi
alla squadra per sviluppare una maggiore determinazione e costanza a perseguire
gli obbiettivi.
Come molti dei suoi compagni di squadra, anche per Anderson, l’Homeless World
Cup 2009 rappresenta una grande, irripetibile occasione, per migliorare il suo
futuro, magari trovando un nuovo lavoro e una casa.
Nome: Pietro Sollen
Cognome: Kodjo
Età: 22
Paese: Togo
Lingue: francese, italiano
Pietro è arrivato in Italia come rifugiato politico a causa delle numerose
persecuzioni che ha dovuto subire in Togo, il suo Paese d’Origine.
Attualmente è ospitato presso le strutture della Caritas italiana.
Convinto dall’allenatore ad entrare in squadra, decide di accettare questa
sfida, alla ricerca di nuove motivazioni per migliorare la sua vita.
Nella vita si è dovuto barcamenare con lavori umili, ma sul campo è dotato di
una tecnica sopraffina. Orgoglioso del suo “essere in campo” spiega: “Quando sei
sul terreno non conta quanti soldi o quali privilegi hai. Tutti i giocatori sono
uguali e conta solo la bravura di giocare e il loro essere in grado di fare
squadra”.
Nome: Bryan
Cognome: Toscano
Età: 18
Paese: Ecuador
Lingue: Spagnolo, italiano, inglese
Bryam arriva in Italia attraverso il ricongiungimento familiare.
Disorientato dalle mille diversità di un paese nuovo, ha finito per legarsi alle
bande latino-americane, ricercando quel senso di appartenenza che non era
riuscito a trovare nei coetanei italiani.
Nel suo progressivo desiderio di cambiare ambiente, vivendo saltuariamente
“sulla strada”, senza reali obiettivi o certezze a cui aggrapparsi, viene a
conoscenza di una squadra di calcio che utilizza lo sport come catalizzatore per
incoraggiare le persone più diseredate a cambiare vita.
Nasce in lui la consapevolezza di poter migliorare se stesso, anche attraverso
il calcio, una componente irrinunciabile della propria esistenza.
Bryan è un abile centrocampista e culla il sogno di diventare un secondo Benzemà.
E’ molto giovane per pensare a progetti a lunga scadenza, ma è sicuro di una
cosa: resterà nel mondo del calcio perché è un modo per imparare ad essere uomo
e per trovare autentiche motivazioni.
Nome: Florian
Cognome: Matei
Età: 26
Paese: Romania
Lingue: italiano, rumeno
Quando il coach Bogdan lo ha incontrato al campo rom, non sapeva una parola di
italiano, ma i suoi piedi parlavano per lui. Romeno e rom, originario della
città di Bals, ha 26 anni, vive con la compagna - in attesa di un bimbo - e la
sua bambina di tre anni. In campo è un vero jolly, perfetto per lo street
soccer: dal portiere all’attaccante con la stessa feroce determinazione e voglia
di vincere. Ma se Matei si trova bene ovunque in campo, non è altrettanto
fortunato in Italia. Non è mai riuscito ad ottenere una casa. Tra i numerosi
“traslochi”, lavori saltuari e le mille altre difficoltà quotidiane, ha perso di
vista la nazionale. L’anno scorso, Matei è riuscito a ricontattare Bogdan - che
sarebbe stato felice di portarlo in Australia - ma un cellulare smarrito e altre
vicissitudini non l’hanno permesso. Questo è l’anno buono: Matei è riuscito -
con l’ingresso nella UE della Romania finalmente da “comunitario” - a tornare in
contatto con Bogdan e a diventare un punto fermo della selezione italiana.
Peccato solo che non riesca ancora a trovare un punto fermo per vivere. Abita
ancora infatti in un campo vicino a Linate. Matei spera che la Homeless World
Cup possa garantirgli non solo un posto in squadra ma l’energia giusta per
trovare una vera casa per sé e la sua famiglia.
Nome: Giorgio
Cognome: Toma
Età: 19
Paese: Romania
Lingue: italiano, Rumeno
Convinto dalle promesse dello zio di un mondo migliore, Giorgio arriva in
Italia, inseguendo il sogno di avere una vita “normale”, un buon lavoro, una
bella casa.
Un sogno di difficile realizzazione, perchè, da subito, si scontra con le
difficoltà inerenti il percorso di inserimento, in uno paese straniero.
Attualmente Giorgio vive in uno dei tanti campi Rom, disseminati nella periferia
di Milano.
Un giorno, un amico gli parla della Nuova MultiEtnica , della possibilità di
venir a contatto con persone nella sua stessa situazione, con cui condividere
molto più che la passione per il calcio.
Si ambienta facilmente e riesce a stabilire forti legami con i suoi compagni,
uniti dall’amore per lo sport, ma anche dalle comuni barriere sociali che
incontrano, cercando di affermare se stessi.
Non è solo sport, anzi è sport come coesione sociale, strumento di riscatto,
veicolo per promuovere i diritti delle minoranze.
Nome: Nicolae
Cognome: Dubai
Età: 23 anni
Paese: Romania
Lingue: rumeno
Nicolae è arrivato in Italia giovanissimo, ancora minorenne, tanto che ha
vissuto per un periodo in un celebre orfanotrofio di Milano, "I Martinitt".
Ha partecipato come giocatore alla Homeless World Cup di Cape Town 2006,
mettendo a segno più di una rete. Il calcio e la partecipazione al torneo e al
training precedente, sono state per lui una grande opportunità per crescere e
maturare. Oggi lavora e ha una casa, per quanto precaria. In campo è un
difensore roccioso e, fuori, è un vice allenatore tranquillo e capace.
Organizzatore nato, aiuta Bogdan a tenere in riga i giocatori.
Parteciperà alla prossima Homeless World Cup come team manager. Crede nella
capacità del progetto di aiutare tante altre persone, soprattutto giovani come
lui, attraverso il calcio e lo sport in generale.
Nome: Mervin
Cognome: Dugas
Età: 20 anni
Paese: Seichelles
Lingue: italiano
Intercettato e fortemente voluto dall’allenatore della squadra, Mervin è il più
recente componente della nazionale Homeless World Cup.
Dimostra fin da subito di conoscere l’area dei rigori come pochi.
Dopo un’infanzia poverissima, arriva in Italia cinque anni fa dalle isole
Seichelles e, mentre la sua vita privata è caratterizzata dalla mancanza di
punti fermi, all’interno del team Homeless World Cup, riesce ad imporsi da
subito come un importante riferimento, un’incrollabile certezza per i suoi
compagni, perché in grado di sferrare un goal dietro all’altro, ma, soprattutto,
supportarli grazie alla sua forte tenacia.
Dotato di eccellenti potenzialità, vuole allenarsi soprattutto sul tiro, sullo
scatto e sulla difesa della palla, “I Mondiali Homeless World Cup 2009
rappresentano per me” spiega entusiasta, “un’importante opportunità per
dimostrare il mio valore sul campo, ma anche un modo per promuovere la
condizione dei senza tetto e creare la consapevolezza che, non potendo scegliere
la propria origine o condizione sociale, si può migliorare se stessi, anche
grazie allo sport”.
Nome: Potru
Cognome: Florian
Età: 32 anni
Paese: Romania
Lingue: italiano, rumeno
Il colpo di fulmine è stato nell’agosto scorso, circa un anno fa. Potru è venuto
a conoscenza per caso di Homeless World Cup e da allora è una dei più grandi
sostenitori del progetto e un membro fisso della squadra, nel ruolo di
centrocampista.
Ha 32 anni, una moglie ammalata di cirrosi epatica e attualmente vive in una
tenda, perché non può permettersi di pagare l’affitto di una casa. Vorrebbe
trovare un lavoro come muratore, ma attualmente è disoccupato. Nonostante
questo, è ottimista verso il futuro.
La scoperta degli altri giocatori è stata per lui come una rinascita: persone
che hanno avuto la possibilità di un riscatto, per poter cominciare a realizzare
i propri sogni. La Homeless World Cup dà coraggio. Oltre la passione per il
calcio, Potru è entusiasta di avere la possibilità di conoscere persone con
difficoltà comuni alle sue, con cui poter combattere per migliorare le proprie
condizioni sociali.
Oggi Potru parla a tutti della Homeless World Cup come l’inizio di una svolta ed
è fermamente convinto a trovare una casa, per poter, così, offrire a sua moglie
un posto sereno dove poter guarire.
Di Fabrizio (del 12/09/2009 @ 20:44:47, in sport, visitato 1822 volte)
Domani all'Arena, dalle 11.00 alle 19.00 le partite finali
della Homeless World Cup 2009. L'invito ad esserci è per tutti i milanesi, nel
frattempo, un bell'articolo di
Panorama, per ricordare la partecipazione della squadra italiana, che ha
iniziato troppo tardi a vincere le partite.
Bogdan Kwappik, foto da Flickr/homelessworldcup
Marcello Lippi fuma il suo sigaro e si gode un’Italia finalmente convincente
e
quasi qualificata per i mondiali in Sudafrica. A qualche chilometro di
distanza,
Bogdan Kwappik fuma una sigaretta dietro l’altra, urla ai suoi di
passare la palla e spera che nessuno di loro si faccia male.
Bogdan e Marcello fanno lo stesso mestiere: allenatori della nazionale italiana.
Ed ex campioni del mondo. Infatti ci sono azzurri che il loro mondiale lo stanno
già disputando. Da protagonisti.
A Milano si gioca in questi giorni (sino al 13 settembre) la
Homeless World Cup,
torneo di "calcio da strada" per chi ha la strada come casa: senzatetto,
rifugiati politici, esiliati. Ci sono 48 nazionali partecipanti. l’Italia alla
vigilia era una delle favorite per il palmarés: due mondiali vinti, nel 2004 e
2005. Con lo stesso allenatore al comando, Bogdan Kwappik: "Anch’io dopo aver
vinto ho dormito abbracciato alla coppa, come Cannavaro. Solo che ero dentro la
mia Nissan rossa, dove vivevo" racconta questo trentasettenne ex calciatore
polacco di Katowice ("ero come un Gattuso, poi mi sono rotto i legamenti e
carriera finita") arrivato in Italia nel lontano 1993: "sono scappato dalla
Polonia come disertore. Non potevo fare obiezione di coscienza. Qui credo di
aver fatto tutti i lavori possibili". Nel 2001 arriva a Milano e fonda la
Asc
Nova Multietnica, una Onlus che si occupa di aiutare gli emarginati attraverso
il calcio "a volte basta un po’ di fiducia, di amicizia e di sport per rimettere
in moto una vita".
La nazionale è composta da otto giocatori (quattro in campo, più le riserve),
tre di loro vengono da L’Aquila e vivono in tendopoli a causa del terremoto. Gli
altri hanno alle spalle le storie più varie: ci sono un romeno, un senegalese,
un cittadino delle seychelles, un brasiliano, un curdo. "Cantano l’inno meglio
di tanti altri, glielo assicuro" dice l’allenatore. E il capitano, Angelo, 46
anni, un passato da alcolista e ospite della comunità di don Colmegna. Bogdan
non vuole dare consigli al suo collega Marcello ma, se potesse, uno come Antonio
Cassano lo convocherebbe di corsa: "E come no! Io come Cassano ho mezza squadra"
scherza "Ogni giorno devo fare prima lo psicologo, poi l’allenatore, ma urlare
mai, non serve a niente".
Dal punto di vista sportivo lo street soccer non è come l’anarchica pallastrada
de "La compagnia dei celestini" di Stefano Benni, anzi, ha le sue regole ben
definite: ci sono le sponde come nell’hockey, il tempo effettivo e le
sostituzioni come nel basket, l’area solo per il portiere come nella pallamano.
Un garbuglio, insomma.
Ma l’esperienza più importante inizia dopo il fischio finale: i risultati
sociali conseguiti nelle precedenti edizioni della Homeless World Cup dicono che
più del 70 per cento dei partecipanti ha cambiato la propria vita, trovato una
casa, un lavoro, ripreso gli studi, sconfitto una dipendenza, ristabilito una
relazione. "Io stesso" racconta Kwappik "ho conosciuto la mia compagna di vita
grazie alla squadra. E l’ex capocannoniere della prima edizione, un ragazzo rom,
dopo la coppa si è messo a studiare ed è diventato un geometra". Le vittorie che
contano sono anche quelle più difficili da ottenere: "Quest’anno abbiamo avuto
un po’ più di attenzione da parte dei media perché si giocava in casa, ma i
soldi non sono molti, gli sponsor mancano e l’attività va avanti tutto l’anno"
spiega l’allenatore "io quello che spero è che finita la coppa questi ragazzi
abbiano un’opportunità di lavorare, di far vedere quanto valgono anche fuori dal
campetto. E che i ragazzi dell’Aquila tornino presto ad avere un vero tetto
sopra la testa".
Di Fabrizio (del 08/01/2010 @ 09:46:53, in sport, visitato 3529 volte)
Di questo pugile sinto tedesco ne abbiamo parlato il
marzo
scorso, ora ce lo ricorda Ernesto Rossi
[...] l’Unità ha pubblicato (5
gennaio, Roberto Brunelli) due pagine dedicate al campione di pugilato dei
mediomassimi Johann "Rukelie" Trollmann (1907-1943), sinto tedesco, cui i
nazisti tolsero con la violenza il titolo guadagnato a furor di popolo.
Stroncandone la trionfale carriera con un incontro "truccato" e portandolo a
morire nel campo di concentramento di Neuengamme.
All’incontro, in cui a lui che "danzava" imprendibile sul ring fu imposta
l’immobilità: doveva solo perdere, eppure resistette in quelle condizioni
per ben cinque round. Ma ancora più straordinario fu il coraggio e il senso di
sfida con cui si presentò "da ariano", coi capelli tinti in biondo e cosparso di
farina.
L’occasione del ricordo è data dalla prossima inaugurazione a Berlino, nei
pressi del luogo che vide la sua vittoria, di un monumento in sua memoria: un
ring in legno bianco.
Berlino, 1933. Danzava, lo zingaro. E vinceva. Saltellava, colpiva veloce:
come molti anni dopo avrebbe fatto Mohammed Alì, tanto per dire. Johann Trollman
era un eroe. Era fascinoso, con quei riccioli scuri, era elegante. Aveva stile.
Lo amavano le donne, le celebrità si accalcavano in prima fila per assistere ai
suoi match. La gente si scalmanava, i titoli dei giornali erano sempre per lui.
Una carriera folgorante, quella di Trollmann, detto “Rukelie”. Campione tedesco
dei pesi medi: lo scontro per il titolo con Adolf Witt è leggendario. Dopo sei
round, l’ariano Witt, una specie di colosso inamovibile, era a pezzi. In prima
fila c’è un gerarca nazista, tale Georg Radamm, presidente dell’associazioni
pugili tedeschi, che ordinò di annullare l’incontro. Il pubblico esplose di
rabbia, invase il ring e difese il proprio campione: gli gettarono al collo la
corona, i nazisti sfiorarono il linciaggio. Trollmann pianse. Di felicità.
Campo di concentramento di Neuengamme, 1943. Un uomo denutrito, ridotto a poco
più che uno scheletro ma con indosso i guantoni da boxe, crolla nel fango. Non è
chiaro cosa sia successo: si sa che ci sono stati degli spari. È il detenuto nr.
721/1943. Il suo nome è Johann Trollmann. Lo avevano, come tante altre volte,
massacrato di botte: sapendo che era stato un campione, gli infilavano i
guantoni e lo facevano a pezzi. Per tenerlo in piedi più a lungo, gli davano una
doppia razione di cibo. «Adesso difenditi, zingaro», gli urlavano le SS.
La storia di Johann Trollmann è una delle più straordinarie e meno raccontate
del Terzo Reich. Meno raccontate per un solo motivo: “Rukelie” era un sinti.
«Integrato» e inurbato, per così dire, ma pur sempre sinti. Fino al ’33, anno
dell’ascesa di Hitler al potere, conobbe qualche sporadico episodio di
discriminazione. Dopo, la sua carriera fu una discesa agli inferi, che solo nel
2010 conoscerà una parziale riparazione, quando verrà inaugurato a Berlino, a
Kreuzberg nel Viktoriapark, un monumento a forma di ring a lui dedicato,
realizzato da un gruppo di artisti capeggiato dal pittore d’avanguardia Alekos
Hofstetter, che si è fatto promotore dell’iniziativa convinto che – se pure la
Germania abbia compiuto moltissima strada per quello che riguarda la
pesantissima eredità nazista – quella di Trollmann sia una storia da riabilitare
pienamente. Che, insomma, i tedeschi non abbiano ancora finito di fare i conti
col proprio passato, soprattutto per quel che riguarda rom e sinti. Non a caso,
prima di lui, la storia del «pugile zingaro» l’ha raccontata unicamente il
giornalista e scrittore Roger Repplinger, nel libro Leg dich, Zigeuner (Piper
Verlag, 2008).
Eppure la vicenda umana e sportiva di “Rukelie”, nato il 27 dicembre 1907 a
Wilsche è, con tutto il suo carico di dolore, ingiustizia, discriminazione e
razzismo, una vicenda eccezionale ed emblematica. Professionista dal ’29, era
diventato rapidamente uno dei pugili più richiesti dell’epoca. Trollmann
combatteva sia nei pesi medi che nei mediomassimi. Quasi sempre aveva la meglio
sugli avversari di categoria superiore, grazie ad uno stile che all’epoca era
pura avanguardia: veloce sulle gambe, quasi danzante, colpi brevi e formidabili.
Roba «animalesca», secondo le camicie brune, «effeminata», niente a che vedere
con «il vero pugilato ariano». Come non bastasse, dato che Johann era sinti, non
era accettabile l’affronto del titolo vinto contro Adolf Witt. Così, una
settimana dopo quel 9 giugno in cui Rukelie ebbe il titolo, il titolo gli fu
tolto. Con una motivazione ridicola: le lacrime – di gioia – che gli erano corse
sulle guance non erano «degne di un vero pugile». Un «comportamento pietoso», fu
l’espressione usata dall’associazione dei pugili, già completamente assoggettata
al partito nazionalsocialista. Ma non bastava.
Lo «zingaro» era troppo famoso, troppo amato, e certo non era conforme ad una
visione ariana dello sport. L’affronto della vittoria contro Witt doveva essere
vendicato. Fu organizzato un nuovo incontro, questa volta contro Gustav Eder,
che successivamente sarà campione europeo: una sconfitta annunciata, anzi
preparata con cura. Proibirono a Trollmann di muoversi dal centro del ring, gli
dissero che se avesse «danzato» schivando i colpi gli avrebbero tolto la
licenza. Johann doveva perdere, e basta. Johann lo sapeva.
Quel che segue fa di Trollmann uno dei più straordinari eroi della storia dello
sport. Un eroe tragico, quasi nel senso greco del termine: “Rukelie” si presentò
sul ring con i capelli tinti di biondo-oro e con tutto il corpo cosparso di
farina. Consapevole di andare a farsi massacrare, con questo gesto provocatorio
e smisurato coraggio si prese gioco di tutta la retorica del «combattente
ariano» con cui la propaganda nazista aveva gonfiato e avvelenato il paese:
piantato come una quercia, per cinque round venne preso a cannonate da Eder,
finché non crollò a terra, avvolto da una nube candida di farina che si alzò per
aria.
Gli anni seguenti furono un rapido viaggio nell’inferno del nazismo. Ancora
qualche sporadico combattimento: «Sdraiati, zingaro», gli ululavano le camicie
brune dall’angolo, «altrimenti prendiamo te e la tua famiglia». Per qualche anno
comparve alle fiere di paese combattendo per pochi spiccioli, in altri periodi
addirittura visse nascosto nei boschi. I sinti e i rom – che vennero degradati
al livello «non-umano» degli ebrei soltanto nel ’38 – furono obbligati in molti
casi a farsi sterilizzare: idem Trollman. Che, per di più, divorziò dalla moglie
pur di evitare che la sua famiglia fosse destinata alla deportazione.
Nondimeno, il pugile fu richiamato dalla Wehrmacht e mandato al fronte. I
nazisti continuarono ad infierire: al suo ritorno, nel ’42, venne arrestato
dalla Gestapo e deportato nel lager di Neuengamme, vicino Amburgo. Qui, racconta
Repplinger, dovrebbe aver incontrato un collega sportivo, l’ex stella del calcio
Tull Harder, «l’ariano» Tull Harder, nel frattempo diventato ufficiale delle SS.
Storie parallele di sportivi tedeschi: messo sotto accusa dopo la guerra per
aver comandato un sottocampo vicino Hannover, dove migliaia di ebrei polacchi
furono resi schiavi e poi portati alla morte, Harder dichiarò durante il
processo di non essere a conoscenza di quello che accadeva nel suo lager. Venne
condannato a 15 anni, ma già per il Natale del ’51 era un uomo libero.
Ebbe anche una pensione: un privilegio che ai pochi sinti e rom sopravvissuti
all’olocausto non fu concesso mai, perché diversi tribunali avevano sentenziato
che gli zingari erano stati perseguitati non per la razza, ma erano finiti nei
lager in quanto «criminali». Solo nel 2003 agli eredi Trollmann fu consegnata la
cintura da campione di “Rukelie”, in una triste cerimonia disertata dai
dirigenti dell’Unione dei pugili professionisti tedeschi. Gustav Eder, che aveva
abbattuto l’inerme Johann coperto di farina, morì di vecchiaia nel ’93.
Trollmann finì nel fango di Neuengamme, con addosso solo i suoi guantoni da
boxe.
06/03/2010 «Il 21 marzo, in occasione della partita Cosenza-Cavese, 20
bambini di etnia rom saranno ospiti dello stadio San Vito, come segno tangibile
di solidarietà nei loro confronti e nei confronti delle loro famiglie per la
nota vicenda che sta interessando il campo rom cittadino riguardo all’imminente
sgombero».
È quanto riferisce una nota del Cosenza Calcio nell’ambito delle iniziative
sociali intraprese dalla società sportiva.
Domenica 7 marzo, invece, in occasione dell’incontro di calcio con il Potenza
undici studenti di nazionalità cinese saranno ospiti dello stadio di Cosenza per
assistere alla partita con il Potenza.
«L'iniziativa – riferisce un comunicato della società sportiva – rientra nel
progetto 'Il milione' che favorisce l'intercultura internazionale e
l’integrazione tra popoli, ovvero popoli lontani per tradizioni e per radici, ma
vicinissimi in quanto a scambi socio-culturali se favoriti da idee come questa.
Gli studenti rientrano nel gruppo dei 40 ragazzi provenienti dalla Cina che per
un periodo triennale studieranno a Cosenza nell’istituto tecnico commerciale 'V.
Cosentino' e l’Istituto tecnico 'G. Tommasi'.
Di Fabrizio (del 20/04/2010 @ 16:13:58, in sport, visitato 1970 volte)
Milano, 12:37
Sgomberati dai campi nomadi, protagonisti sul campo di San Siro per la
semifinale di Champions League: una ventina di bimbi rom questa sera
accompagneranno per mano, sul tappeto erboso del Meazza, i giocatori di Inter e
Barcellona. I bambini, tra quelli che erano stati sgomberati con le loro
famiglie dagli insediamenti di via San Dionigi e del cavalcavia Bacula, ora sono
ospiti della Casa della carità di don Virginio Colmegna, coinvolto
nell'iniziativa di questa sera dal presidente dell'Inter Massimo Moratti. Mentre
i 20 ospiti del Meazza seguiranno la partita dalle tribune, gli altri assistiti
della Casa della carità la vedranno tutti insieme, nel centro del parco Lambro,
insieme al sacerdote.
(Manuel Trollmann) Johann Trollmann era una giovane stella della boxe, quando i nazisti andarono
al potere. Il punto culminante della sua carriera avrebbe dovuto essere la
vincita del titolo dei pesi massimi leggeri nel 1933. Ma Trollman era Sinto, e
quel titolo gli fu tolto. Presto, sarebbe caduto vittima del genocidio nazista.
Sembra uno strano posto per un ring di pugilato - annidato sotto un
baldacchino di alberi in un tranquillo angolo di Viktoria Park nel quartiere di
Kreuzberg di Berlino. La struttura è di cemento, la base è fortemente
inclinata in una direzione ed una dozzina di oggetti sferici di cemento che
assomigliano a guantoni da boxe si aggrappano alle corde. Ma cosa ci fa qui?
Lì vicino, una targa con la fotografia di un giovane ben messo in guantoni da
boxe, chiarisce ogni confusione. Il ring tra gli alberi è un memoriale
temporaneo dedicato a Johann Trollman, un pugile che fu privato dai nazisti nel
1933 del suo titolo dei pesi massimi leggeri, dopo aver vinto un incontro ad un
tiro di sasso da lì in Fidicin Strasse. Non c'era posto per un campione come
Trollmann nel Terzo Reich - lui era Sinto. E come mezzo milione di Rom e Sinti,
sarebbe caduto vittima della politica razziale nazista di annientamento, morendo
in un campo di concentramento nel 1944.
La forte pendenza della scultura, dice Alekos Hofstetter, membro di Bewegung
Nurr, il gruppo di artisti che ha progettato il monumento, rappresenta "l'abisso
in cui fu trascinato Trollmann."
Lungi dall'essere solo un memoriale statico, il sito, inaugurato il 9 luglio
- 77° anniversario del titolo vittorioso di Trollmann, è stato quest'estate il
palcoscenico per una serie di discorsi e concerti. Laboratori per i giovani
locali hanno sottolineato la vita di Trollmann e la persecuzione dei Sinti e dei
Rom - definiti "zingari" dai nazisti - nel Terzo Reich. Il nome del monumento è
semplicemente "9841", il numero di Trollman da prigioniero nel campo di
concentramento.
Snobbato per il colore della pelle
Nato nel 1907 vicino ad Hannover, il nome ufficiale di Trollmann era Johann,
ma in famiglia e tra gli amici era conosciuto come Rukeli, dalla parola "albero"
in lingua romanés. Cominciò ad allenarsi alla tenera età di otto anni e presto gareggiò
col club pugilistico Heros Hannover.
Già prima che i nazisti arrivassero al potere, fu vittima del razzismo quando
il comitato selezionatore per i Giochi Olimpici nel 1928 gli preferirono un
pugile che aveva battuto da poco. Per tutta risposta, Trollmann si trasferì a
Berlino diventando professionista. La paga era buona e vincere, non il colore
della pelle, era l'unica cosa che importava.
La sua fama crebbe rapidamente all'inizio degli anni '30, e divenne famoso
per il suo stile "danzante"; il suo aspetto che fece di lui un rubacuori. Hofstetter
sostiene che Trollmann fu "uno degli inventori della boxe moderna." Il suo stile
agile e dinamico si sposava con la competenza tecnica e fece di lui un
precursore di Mohamed Alì. Come i nazisti guadagnarono popolarità, venne sempre
più attaccato dalla stampa fanatica di destra, che lo etichettò come "lo zingaro
sul ring".
Una volta che nel 1933 si assicurarono il potere politico, i nazisti furono
rapidi nel prendere il controllo di uno sport che era diventato molto popolare
nella Repubblica di Weimar. L'introduzione dopo la I guerra mondiale di un
orario lavorativo più corto aveva dato più tempo libero e creato un pubblico
attento alle manifestazioni sportive di massa. Considerato come uno sport
prettamente proletario, grandi star del pugilato come Max
Schmelling attraevano fan borghesi e celebrità come Bertolt Brecht.
Bandito dallo sport
La presa di potere nazista ebbe un effetto immediato nel mondo pugilistico,
con alti funzionari del partito che presero posizione ai vertici della
federazione e gli Ebrei immediatamente banditi dallosport. Sarebbe seguita
presto la proibizione per Rom e Sinti.
Hitler era grandemente entusiasta di questo sport, dice Roger Repplinger -
autore di un racconto di semi-fiction sulla vita di Trollman "Leg dich, Zigeneur"
(Sdraiati, Zingaro)."Solo due sport erano menzionati nel Mein Kampf, jujitsu e
pugilato," ha detto a SPIEGEL ONLINE. "Hitler guardava allo sport come una dote
e questo lo rendeva importante per i nazisti." Le SS ed i soldati si
addestravano al pugilato ed era insegnato nelle scuole, la parola Boxen
di origine inglese venne sostituita da Faustkampf, o pugni. "Per una
nazione che si stava preparando alla guerra," spiega Repplinger, "la boxe era
vista come molto utile."
"Alla fine, fu perché i nazisti videro la boxe come nobile che Rukeli perse
il titolo," afferma. Quel titolo del 9 giugno fu tanto il punto culminante della
carriera di Trollman, che il suo punto di svolta.
Lui ed il suo avversario Adolf Witt combatterono 12 riprese alla Birreria
Bock di Fidicin Strasse. Trollmann fu chiaramente il migliore ed avrebbe dovuto
vincere ai punti. Ma gli ufficiali nazisti presenti all'incontro fecero
pressione sulla giuria per un pareggio. Il pubblico si rivoltò e gli avvenimenti
stavano per prendere una brutta piega.
"Quello era un pubblico esperto di pugilato e che poteva vedere che
l'incontro veniva manipolato per fini politici," spiega Sophia Schmitz, storica
della boxe di quel periodo. "La folla non era assolutamente disposta a prendere
parte a questo tipo di manipolazione basata sul razzismo." Temendo per la
propria sicurezza, la giuria cedette e Trollmann, piangendo di frustrazione per
avere avuto la vittoria quasi tra le sue mani, fu trionfalmente premiato con la
cintura del titolo.
La sua vittoria ebbe vita breve. Pochi giorni dopo gli fu notificato il
ritiro del titolo per la sua "performance insoddisfacente."
Combattere per la dignità
Ciò che seguì fu tanto una farsa che, in qualche maniera, una vittoria morale
per Trollmann. Fu obbligato a combattere un altro grosso incontro il 21 luglio,
contro Gustav Eder. Ma stavolta gli fu ordinato di combattere nello stile
"tedesco", che significava stare fermi e scambiarsi pugni. Trollman sapeva di
essere sicuro di perdere abbandonando il suo stile in movimento, così decise di
lasciare il segno in un altro modo. Si ricoprì il corpo di farina e tinse i
capelli di biondo - diventando la caricatura di un ariano. Quando salì sul ring
quella sera non combatteva per vincere, ma per mantenere la sua dignità.
"Dopo aver perso il titolo di campione, gli fu assolutamente chiaro cosa lo
aspettava come pugile sotto il nazismo," dice Schmitz. Vede la sua apparizione
come una dichiarazione: "Non mi permetterò di essere discreditato come Sinto,
farò una burla di questa descrizione razzista di zingaro danzante ed invece
combatterò come un pugile ariano."
Cacciato dallo sport, Trollman lottò invece per far quadrare il bilancio
negli anni '30 e spesso dovette nascondersi per evitare di essere mandato nei
nuovi "campi zingari" dove i nazisti radunavano Rom e Sinti prima di
trasportarli nei campi di concentramento. Divorziò da sua moglie, una non-Sinta,
per proteggere lei e la loro figlia. Poi iniziò la guerra e Trollmann fu
richiamato e combatté sino al 1942, quando tutti i Rom e Sinti vennero dimessi
dalla Wehrmacht. Il pugile, una volta famoso, fu subito arrestato e inviato nel
campo di concentramento di Neungamme, vicino ad Amburgo.
Tentò di mantenere un basso profilo, ma il comandante del campo prima della
guerra era stato un funzionario della boxe e riconobbe Trollmann. Lo costrinse a
battersi, terribilmente indebolito dai lavori punitivi e dalla mancanza di cibo,
per allenare di notte le SS. Era in gioco la sua sopravvivenza.
La commissione prigionieri decise di agire. Simularono la sua morte e fecero
in modo di trasferirlo nell'adiacente campo di Wittenberge sotto falsa identità.
Ma anche lì, l'ex stella fu presto riconosciuta e i prigionieri organizzarono un
combattimento con Emil Cornelius, ex criminale ed odiato Kapo - uno dei
prigionieri che godeva di privilegi per le sue responsabilità nel campo.
Inevitabilmente Trollmann vinse e Cornelius cercò vendetta per la sua
umiliazione. Obbligò Trollmann a lavorare tutto il giorno finché non fu esausto.
E poi lo colpì a morte con una pala. Trollman aveva appena 36 anni.
Qualcosa di cui essere fieri
Silvio Peritore del Centro Culturale di Documentazione a Heidelberg dei Rom e
Sinti Tedeschi dice che il destino di Trollmann fu simile a quello di molta
della sua gente sotto i nazisti. "Quando vedete come ha sofferto: bandito dalla
sua professione, ostracizzato, privato dei suoi diritti ed infine mandato ed
ucciso in un campo di concentramento. E' un esempio dell'olocausto globale dei
Sinti e dei Rom," ha detto a SPIEGEL ONLINE.
Peritore spiega che i giovani sono particolarmente alla biografia di
Trollmann, quando arrivano al centro di documentazione in visita scolastica. "Ha
incarnato lo spirito sportivo ed era una persona coraggiosa." Rispettano il modo
in cui si oppose ai nazisti e"possono identificarsi in lui".
Dato che il monumento a Trollmann è a Berlino solo temporaneamente prima di
essere mandato in altre città, avrà un monumento permanente a Berlino questo
giovedì nella forma di un Stolperstein, una "pietra d'inciampo". Questi
mini-monumenti sono piccole piazze in bronzo che onorano i singoli vittime dei
nazisti, e piazzate su vari marciapiedi nel paese. L'artista Gunter Demnig
piazzerà lo Stolperstein di Trollmann all'esterno dell'ex birreria di
Kreuzberg dove avvenne l'incontro per il titolo. Alla fine di quest'anno si
dovrebbe costruire tra il Reichstag e la Porta di Brandeburgo un monumento
permanente ai Sinti e Rom uccisi d'Europa, dopo quasi due decadi di ritardo.
Peritore dice che il monumento è vitale per la comunità, spiegando che il
genocidio inflitto dai nazisti ha avuto un grande impatto sull'identità dei Rom
e Sinti in Germania. "In ogni famiglia c'è stato qualcuno assassinato. Nella mia
famiglia abbiamo perso molti parenti ad Auschwitz ed un riconoscimento dei
nostri morti è molto importante per la nostra auto-immagine, per la nostra
identità," dice. "Dobbiamo sensibilizzare la gente alle attuali forme di
pregiudizio contro i Rom e i Sinti."
L'artista Hofstetter dice che il monumento a Trollmann è importante per
stabilire la connessione con la discriminazione odierna e per creare un'immagine
positiva dei Rom e dei Sinti. "Stiamo mostrando che sono una parte della cultura
tedesca. Trollmann era un campione e i giovani Rom e Sinti possono esserne
fieri."
Si può vedere il monumento a Trollman in Viktoria Park sino al 16 luglio.
La cerimonia di inaugurazione dello Stolperstein per Johann Trollmann [è
avvenuta] in Fidicin Strasse il 1 giugno alle 16.30. Per ulteriori informazioni
(in tedesco):http://www.trollmann.info
Di Fabrizio (del 04/12/2010 @ 09:14:53, in sport, visitato 1629 volte)
Segnalazione di Bogdan Kwappik
cliccare sul logo per vedere il filmato
Il calcio come mezzo di riscatto sociale. Con questo obiettivo nel 2001 nasce
in Sudafrica la “Homeless world cup” (Hwc), il mondiale di calcio dei
senzatetto. Un progetto che ogni anno coinvolge circa 25mila giocatori: uomini e
donne sopra i 16 anni che nell’anno precedente al mondiale hanno vissuto da
‘homeless’. Tra le vivaci e coloratissime immagini dell’edizione 2009, che ha
portato a Milano circa 500 giocatori provenienti da 48 nazioni, il filmato
ripercorre la storia della Hwc con un testimone d’eccezione, il presidente e
fondatore Mel Young. Un occasione per osservare da vicino un torneo che negli
ultimi anni ha aiutato il 70% dei partecipanti a cambiare vita, liberandosi
dalla dipendenza da droga o alcool e trovando una casa dove vivere.
di Cecilia Lulli e Matteo Tommaso Mombelli Categoria: TV Durata: 14’ 21” Trasmesso su: Inedita
Di Fabrizio (del 16/03/2011 @ 09:10:05, in sport, visitato 1842 volte)
I Mondiali Antirazzisti si svolgeranno quest'anno dal 6 al 10 luglio, ma dopo
tre anni infatti i Mondiali Antirazzisti salutano Casalecchio di Reno e
traslocano a Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, nella località nota
come Bosco Albergati (...).
Come ogni anno saranno cinque giorni di sport – con tornei di calcio, basket,
pallavolo, rugby e cricket e possibilità di praticare yoga, pilates e giochi
tradizionali dal mondo – e musica, cultura e dibattiti in nome dell'antirazzismo
e a difesa del valore di tutte le diversità, siano esse di provenienza, di
genere, di etnia o di abilità.
Bosco Albergati è una sorta di ritorno al passato con una situazione un po' più
intima che assomiglia ad un vero e proprio villaggio dello sport contro le
discriminazioni. Abbiamo avuto questa idea anche per ritrovare dei ritmi meno
frenetici e maggiore intimità tra i partecipanti ai Mondiali. C'è dietro però
anche una riflessione di carattere economico: montare un intero villaggio nello
spazio di Casalecchio, che non era attrezzato, comportava costi altissimi. Bosco
Albergati dà invece la possibilità di usufruire di attrezzature già presenti,
per tentare di rendere economicamente più sostenibile la festa, soprattutto in
tempo di crisi quando le sponsorizzazioni di enti, istituzioni e privati si
riducono. Si tratta di un'edizione che vuole mantenere lo spirito originario di
una festa popolare che accoglie, include e non esclude e che però ogni anno deve
sempre più fare i conti con la crisi e i tagli delle sponsorizzazioni.
Come sempre, oltre al divertimento con sport e musica per tutti e a costo zero,
i Mondiali Antirazzisti mettono al centro i contenuti, con riflessioni sui temi
dell'integrazione, della multiculturalità e della lotta a qualsiasi forma di
fobia del diverso. In linea di massima si cercherà di seguire con maggiore
attenzione i piccoli segnali di cambiamento delle edizioni passate approfondendo
il rapporto con le cooperative sociali per creare laboratori educativi. Temi
primari saranno la lotta contro la discriminazione su Rom e Sinti, il tema della
diaspora anche alla luce della carta dei migranti elaborata all'ultimo Social
Forum Mondiale di Dakar, e l'attenzione alle diversità di genere e contro
l'omofobia.
Pensiamo che ci sarà un rapporto molto proficuo con le comunità di migranti del
territorio modenese e non e che si potrà riflettere a modo nostro sulle recenti
rivoluzioni nei paesi nordafricani e sulle loro conseguenze migratorie.
Continueremo l'impegno sul fronte europeo con il coinvolgimento di gruppi,
associazioni e singoli in rappresentanza di ogni cultura e paese, per far sì che
questa festa dello sport dimostri ogni anno di più il valore positivo
dell'incontro e dello scambio attraverso il gioco.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
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