Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
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Rifugiati serbi intrappolati nel limbo
di Matthew McAllester - NEWSDAY
Podgorica – Montenegro
Circa 5000 rom kosovari rifugiati in due campi (Konik 1 e 2) nella periferia della capitale del nuovo stato del Montenegro, denunciano le violenze subite in Kosovo dopo l'aggressione della NATO del 1999, e le attuali terrificanti condizioni di vita e di impossibilità di rientro nelle proprie case in Kosovo.
Bedri Shala, rifugiato del campo Konik 2, riassume così la situazione: "Kosovari albanesi, dopo la guerra del 1999, mi hanno rapito, torturato e stuprato ripetutamente, hanno ucciso mio fratello e provato ad uccidere me. Riuscito a scappare mentre ammazzavano mio fratello, mi sono ritrovato in un torrente d'acqua cosparso di cadaveri, alla sembianza, uccisi di recente. A quel punto siamo scappati in Montenegro. Non abbiamo la possibilità, dopo 7 anni, di tornare in Kosovo perché le nostre case sono state bruciate o occupate. Tutto questo perché gli albanesi kosovari dicono che i rom hanno collaborato con i serbi nelle violenze prima del 1999."
Politici e personale umanitario parlano di enormi difficoltà di vita, di igiene, di integrazione e di lavoro dei rom rifugiati. Molti problemi sono dovuti anche alla diversa cultura sociale dei rom, soprattutto in ambito di educazione famigliare e scolastica.
Bedri Shala, come molti rom del campo rifugiati, sogna di andarsene via. "Voglio andare in un altro paese", dice. "Ovunque. Ma non in Kosovo e non qui."
-- ЈУГОСЛАВИЈА: www.flickr.com/photos/gustomaina
COLLOQUIO CON
BAJRAM HALITI, MEMBRO DEL PARLAMENTO MONDIALE DEI ROM E PRESIDENTE
DELL'UFFICIO CENTRALE DEI ROM IN KOSOVO
intervista di Casper
Molenaar
Con l'auspicio di parlare apertamente del carico di
miserie che i Rom stanno trasportando nel III millennio, intervistiamo
Bajram Haliti, di professione avvocato, noto commentatore e giornalista,
e delegato dell'associazionismo rom.
Casper Molenaar: Mr.
Haliti, può presentarsi con tre parole?
Bajram Haliti:
Sono nato il 21 maggio 1955 a Gnjilane, Kosovo. Sono Rom.
Sono giornalista dal 1985, ho fatto tutta la trafila da praticante sino
ad editore di un programma romanì. Ho avuto riconoscimenti come
giornalista e scrittore.
Ho pubblicato studi, articoli, critiche e documentari. Come giornalista,
letterato ed avvocato attraverso i miei lavori ho descritto al mondo
come l'odio e l'ineguaglianza siano sormontabili, attingendo dagli
esempi del passato, anche senza andare troppo in là col tempo.
Il mio libro "Contemplations on Roma issue" ha ottenuto il primo premio alla
XII edizione della manifestazione internazionale "Amico Rom", che si
tiene ogni anno a Lanciano.
Sono editore responsabile delle riviste d'informazione (in lingua serba e
romanì) "Ahimsa" - "Nenasilje" (nonviolenza), presidente
dell'agenzia informativa dei Rom di Sebia e Montenegro, e membro
dell'associazione dei letterati della Repubblica Serba.
L'8 aprile del 2002, in concomitanza con la Giornata Internazionale del
Popolo Rom, ho ottenuto il premio "Slobodan Berberski" per la
letteratura e il giornalismo: la prima volta che questo premio andasse
alla Repubblica Federale di Yugoslavia. Ho anche ottenuto il premio "Peace and Tolerance",
per il contributo alla pace, alla tolleranza e alla comprensione tra i
popoli e le nazioni, premio ottenuto per quanto era stato svolto
allo sviluppo culturale ed educativo nella repubblica Serba, il
riconoscimento "per l'aiuto e la cooperazione nello sviluppo e nel
lavoro associativo", "Per il lavoro in forma scritta per l'affermazione
della cultura" dal Consiglio Nazionale della Minoranza Rom. [...]
Casper Molenaar: Può descrivere il suo impegno per
il Kosovo?
Bajram Haliti: Ho fatto quanto possibile per una soluzione
pacifica, attraverso il dialogo e i mezzi democratici, per cancellare le
diseguaglianze, i pericoli e la povertà, conservando i vantaggi
multietnici e multiculturali della regione.
Penso che la cosa più difficile sia superare l'odio in Kosovo.Sono state
fondate diverse OnG, nelle scuole si deve parlare delle conseguenze che
ha la guerra e dei valori della pace. In occidente molti programmi sono
dedicati a ciò, ma questo manca completamente nei programmi scolastici e
nei libri di testo in Kosovo.
Sono tanti gli analisti politici che sottolineano la necessità di
cambiare per il futuro e come questa sia la sfida più grande.
Naturalmente, sono richieste che nascono dalla logica umana. Ma nella
pratica, non è così facile. Se mancano orientamenti sul futuro - nessun
popolo potrà avere diritto al proprio futuro - questo è chiaro, come
pure che non si può vivere nel passato.Il passato è qualcosa che è
successo ed è terminato, e il politico che vi fa riferimento rischia di
scatenare nuove distruzioni.
Ciò comporta alcune condizioni da rispettare: per virare verso il
futuro c'è bisogno della salvaguardia della propria vita e che vi
siano condizioni minime per pianificare il proprio futuro - il futuro
non lo si può improvvisare, dev'essere progettato, e progettato assieme
se si vive in comunità varie e diverse.
Io spero che nel Kosovo, l'UNMIK, la comunità internazionale, i partiti
di governo degli Albanesi come pure quelli Serbi, riescano infine a
trovare soluzioni comuni secondo quanto descritto dalla Risoluzione
1244. Dovrebbe portare pace e sicurezza a chiunque viva in Kosovo,
tenendo conto dei circa 200.000 che si sono rifugiati all'estero e
dovranno fare ritorno.
Ciò a cui ho lavorato negli ultimi due anni è stato nell'interesse di tutti
i cittadini, soprattutto nel sviluppare le relazioni interetniche in
Kosovo e sviluppare relazioni democratiche per un domani (e un oggi!)
migliore.
Casper Moleanaar: Secondo lei, quale la miglior
soluzione per lo status del Kosovo?
Bajram Haliti: E' politicamente necessaria la formazione di
cantoni per assicurare una vita pacifica a tutte le componenti del Kosovo.
E' un processo inevitabile dopo tutto quel che è successo. [...] Ritengo
debba esserci pure il cantone Rom, che sono un gruppo nazionale numeroso in
Kosovo.
La stessa necessità vale per la Bosnia. Altre soluzioni, sfortunatamente non
esistono, per lo meno al momento. Può essere che in futuro questo diventi
superfluo, c'è bisogno di persone capaci che si concentrino sul futuro
dell'ex Yugoslavia, potrebbe esserci una domanda di unità, economicamente
all'inizio, culturalmente e politicamente in seguito.
Per
formare una comunità autonoma dei Rom in Kosovo, è necessario che il
Consiglio di Sicurezza dell'ONU prevedano una Risoluzione speciale.
Il senso e i contenuti di base di questa Risoluzione è la realizzazione
dei diritti speciali della comunità rom, cioè la possibilità di continuare
ad esistere in Kosovo, e la concretizzazione dl ritorno dei profughi dalla
Serbia centrale e dall'Occidente. L'esperienza di circa sei anni di presenza
delle Nazione Unite, militare e civile, dimostrano che la sopravvivenza e il
rimpatrio sono possibili soltanto applicando un meccanismo simile a quello
del governo provvisorio come dall'articolo 10 della Risoluzione 1244 del
Consiglio di Sicurezza dell'ONU, previsto per l'intera provincia nel quadro
della Federazione Yugoslava, che può riassumersi in "sostanziale autonomia".
La nuova Risoluzione non sostituirebbe la 1244, ma la integrerebbe in
funzione dello status del Kosovo e Methoia e conseguente presenza della
comunità nazionale Rom, il riconoscimento dei suoi problemi e la difesa dei
suoi diritti basici.
Questa nuova Risoluzione del Consiglio di Sicurezza, dovrebbe contenere la
formulazione e l'adozione dello Statuto di Autonomia della comunità del
Kosovo. Lo statuto determinerebbe l'area interessatae le strutture di un
governo temporaneo. L'unica differenza sarebbe nel prevedere la presenza nel
governo provvisorio, l'UNMIK, le comunità albanesi, dei Rom (attualmente la
loro presenza è solo formale), e i rappresentanti della Serbia e del
Montenegro, in funzione del recente referendum. [...] (la formulazione
integrale della proposta in
questo articolo ndr.)
Casper Molenaar: Ha amici in Kosovo e di quale
comunità etnica?
Bajram Haliti: Naturalmente, ho amici tra tutte le
comunità del Kosovo: Albanesi, Serbi, Musulmani, Turchi, Gorani, Egizi
ed Askhali.
Albanesi, Serbi e Rom per lungo tempo hanno convissuto in pace e
collaborazione. Gli ultimi 10- 15 anni hanno visto l'aumento della
tensione etnica. Dobbiamo trovare il modo di far diminuire le tensioni.
L'unico modo è che Albanesi, Serbi e Rom inizino ad interagire e
dialogare apertamente. [...] Non esiste una ragione per cui le varie
comunità non riprendano ad agire come avevano fatto sinora. Ma gli
Albanesi devono chiaramente sconfessare la violenza e mostrare
comprensione verso quanti devono tornare alle loro case.
Casper Molenaar: Come si immagina il Kosovo
futuro?
Bajram Haliti: Voglio un Kosovo stabile, multietnico, grazie
alla collaborazione e la coesistenza delle varie comunità, che il Kosovo e Methoia
diventino una regione indipendente d'Europa, e dove l'Unione Europea
mostri la capacità di assicurare la sua presenza economica e politica,
perché siano assicurate la pace, la libertà di movimento e la sicurezza
di ogni individuo e comunità.
Consiglierei che il Kosovo sia fondato come entità politica di varie
entità, con parlamenti regionali e corpi esecutivi.
Con Pristina -città aperta, comunità che accetterà tutti i
cittadini IDP (dispersi interni ndr) ed in esilio. Una parte di
Europa organizzata su base federativa, dove le città prevedano entità
comunali volte allo sviluppo locale e alla convivenza pacifica tra le
etnie.
Con un Parlamento bicamerale.
Io chiedo:
- ALLA COMUNITA' INTERNAZIONALE:
- di fermare il terrorismo,
- di creare un ambiente pacifico e
- di aiutare il Kosovo a ricostruire la coesistenza che guidi la
formazione di una comunità civile e multietnica.
- ALLA SERBIA:
Che siamo consci del peso di ogni compromesso, degli accordi che
riguardano la Serbia, perché possa integrarsi nella Comunità Europea nella
maniera più consona, riconoscendo il suo ruolo nel futuro del Kosovo.
- A SERBI, ALBANESI E ROM:
Perché lavorino affinché il Kosovo sia stabile, una comunità aperta e una
società libera e democratica. Questo non sarà possibile senza il rientro
degli IDP e di quanti sono in esilio. Lo scopo comune è una politica che
porti il Kosovo democratico nell'Unità Europea.
A tale riguardo, due elementi importanti:
- La situazione della sicurezza in Kosovo deve migliorare, anche se
ora è migliore di quella di qualche anno fa. Occorre che il governo sia
rafforzato e nel contempo che siano puniti i colpevoli di crimini.
- Va migliorata la situazione economica. La percentuale di
disoccupazione varia tra il 5 e il 60%. In altre paure, senza migliori
condizioni di impiego, manca la possibilità di un ritorno dei Rom alle
loro case.
Soprattutto, le forze internazionali rimarranno ancora per molto nella
provincia.
Va presa ad esempio la situazione in
Bosnia Herzegovina, dove le forze di pace sono presenti dal
1995. Se la NATO dovesse ritirare le proprie forze, l'Unione Europea deve
sostituirvisi. La NATO è in Kosovo dal 1999 e tuttora conta 20.000 soldati.
Ma , secondo la mia opinione, il punto chiave è il miglioramento della
situazione economica, che faccia da volano al lavoro e agli affari, tenendo
sempre conto dell'aspetto di collaborazione, che è l'altro punto chiave per
far scendere le tensioni. Come ho detto prima, occorre un rafforzamento
dell'esecutivo e che siano assicurati alla giustizia i colpevoli dei crimini
del passato.
A quanti siano interessati: il 26 giugno 2006 è uscito il rapporto "At Risk: Roma and Displaced in Southeast Europe", curato dal Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNPD). Qui la versione integrale.
Il rapporto è basato su dati raccolti e congiunti nel corso di una ricerca unica a carattere regionale, che abbraccia la situazione dei Dispersi Interni (IDP) in Albania, Bosnia Herzegovina (BiH), Bulgaria, Croazia, FYR Macedonia, Montenegro, Romania e Serbia, inclusa la provincia del Kosovo. Fornisce una immagine onnicomprensiva e statistica sui problemi dei gruppi vulnerabili nella regione - e porta avanti discorsi concreti e pragmatici su cosa i governi, la comunità internazionale e i rappresentanti dei gruppi vulnerabili, devono fare per rompere il circolo vizioso di povertà ed esclusione. Inoltre enfatizza come gli Obiettivi di Sviluppo (MDG) possano essere raggiunti, solo confrontandoli a livello nazionale, e questo anche per la comunità dei Rom IDP.
Il rapporto è costruito attorno a diversi messaggi prioritari:
- Rafforza il principio di vulnerabilità come criterio di intervento - a gruppi come i Rom viene data attenzione speciale non in quanto Rom, ma in quanto vulnerabili. Oltre ai Rom, il gruppo più vulnerabile nella regione, viene prestata attenzione ad altri gruppi di IDP. Un criterio che dovrebbe essere assunto dai principali donatori internazionali.
- Il rapporto non si basa esclusivamente sui dati e la correlazione dei gruppi vulnerabili. Aggiunge idee pratiche per soluzioni tangibili e invoca un nuovo approccio per i temi legati alle minoranze - gruppi sensibili e sviluppo regionale [...]. L'esperienza dimostra che un approccio focalizzato sul territorio ha vaste potenzialità ed è anche il più adatto ad un realtà frammentata come quella dei Balcani.
- Contiene infine indicazioni per iniziare (spin-offs). Abbiamo già precedentemente lavorato su simili analisi di vulnerabilità, come nel caso dell'HIV; colleghi stanno svolgendo una ricerca simile sulla vulnerabilità dei Rom in Moldavia. [...]
Per richiedere copia completa del rapporto, scrivere ad erika.adamova@undp.org
Erika Adamova, Assistant for the Skills Building Programme UNDP, Europe and the CIS Bratislava Regional Centre Grosslingova 35, 81109 Bratislava, Slovak Republic Tel: +421 2 59337 Fax: +421 2 59337 450 www.undp.org/europeandcis
Apre a Brno una mostra sull'Olocausto Rom
Brno, 24. 7. 2006, 17:49 (CTK)
[...] Trattasi di 82 pannelli che illustrano il destino dei Rom nella II guerra mondiale, con alcuni pannelli dedicati all'attualità. Così i visitatori, ad esempio, possono seguire la storia del muro di via Maticni ad Usti nad Labem e i problemi della minoranza Rom in Slovacchia, Austria e Germania.
"La mostra si apre ad un capitolo sconosciuto della storia europea. Il termine Olocausto di solito è connesso allo sterminio di 6 milioni di Ebrei, ma contiene anche lo sterminio sistematico di 500.000 Rom e Sinti." ha detto alla cerimonia di apertura Silvio Peritore, del Centro Documentazione per i Sinti ed i Rom Tedeschi, creatore dell'esposizione già presentata con successo a Strasburgo e Praga.
Secondo Jana Horvathova (Museo di Brno sulla Cultura Romani) l'esposizione è un evento significativo. "Principalmente riguarda il passato, ma ci sono collegamenti col presente, dice, aggiungendo che le questioni del razzismo e della cancellazione dei Rom dall'Europa rimangono urgenti.
"Ci sono nella nostra società dimostrazioni di intolleranza, incapacità di coesistere e razzismo, anche se tendiamo a nascondere queste tendenze" ha detto l'ombusdam Otakar Motejl.
La mostra è stata finanziata dalla regione Sud Moravia, dopo il rifiuto del municipio di Brno. Il municipio non ha condiviso il contenuto del pannello sulla controversia di via Maticni. Il muro fu eretto negli anni '90, per dividere i residenti dalla comunità Rom. La sua costruzione fu criticata come razzista da molti politici della Repubblica Ceca ed esteri, e dalle OnG, alla fine il muro venne rimosso.
Durante la II guerra mondiale i Rom furono perseguitati e deportati nei campi di concentramento e di sterminio, nelle terre occupate dal Terzo Reich. I Rom della Repubblica Ceca e della Moravia condivisero i campi di Lety, vicino a Pisek, nella Boemia orientale e di Hodonin, nella Moravia del sud.
Secondo gli storici, furono 2690 i Rom mandati in quei campi di concentramento. Molti morirono o furono inviati ad Auschwitz. Secondo varie fonti, ad Auschwitz furono inviati tra i 5400 e 5600 Rom. Il primo treno partì da Brno il 7 marzo 1943.
Cuando sembramos bombas y no semillas, germinan muertos y no flores.
Cuando vivir es el pretexto para matar, o morir sin motivo es el precio de vivir, los inocentes riegan con su sangre los jardines donde florecen las victorias militares.
El oscurantismo religioso y la prepotencia militar, son dos peligrosísimas armas de destrucción masiva que, -disfrazadas bajo la piel aterciopelada del amor a Dios o a la Patria- esperan ansiosas el momento de ser pisadas por gente como nosotros, que lo único que pide y quiere es poder caminar en Paz.
Bruno Kampel
Con mis mejores deseos… Un beso, Elena Sarakali.comhttp://www.sarakali.com
La burocrazia della morte, più di 50 milioni di documenti sulla sorte delle vittime e sui piani di sterminio dell'esercito nazista. Quello che è passato alla storia come l’”Archivio dell’orrore”, la più grande fonte di notizie sulle violenze perpetrate dalla Germania nazista verrà finalmente riaperto.
La decisione risale al maggio scorso ma solo mercoledì 26 luglio, in una cerimonia al Min...
Ricordando i 2.898 Rom periti nelle camere a gas di Auschwitz nella notte tra il 2 e il 3 agosto, l'organizzazione Romani Criss chiede di erigere un monumento alla memoria nella capitale Bucarest ed in Transnistria, dove migliaia di Rom morirono nei campi di concentramento. In una lettera inviata a due ministri - Adrian Iorgulescu e Mihail Hardau - la direttrice di Romani Criss, Margareta Matache, chiede un impegno del governo nel creare un memoriale. Ha ricordato che i nazisti consideravano i Rom e gli Ebrei come razze inferiori, e la loro uccisione l'unica soluzione. I nazisti e i loro alleati uccisero il 90% della popolazione Rom, in Germania, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Jugoslavia e Romania - tra 250.0000 e 500.000 uomini, donne e bambini.
Copyright (c) 2006. UCSJ. All rights reserved.
Skinheads quasi uccidono un giovane Rom di 18 anni, durante un attacco razzista nella città di Tienen
Peter D., un giovane Rom arrivato dalla Slovacchia più di 10 anni fa, con i suoi amici era diretto a casa domenica scorsa, quando il gruppo ha incrociato alcuni skinheads belgi.
Circa 5 di loro hanno attaccato i due Rom più giovani, che hanno tentato di scappare. Peter è stato raggiunto e sottoposto ad un pestaggio, culminato con 4 pugnalate allo stomaco.
Il pronto intervento dei medici gli hanno salvato la vita. Oggi (30/08 ndr) la polizia ha arrestato 3 skinheads, già noti alla giustizia per atti simili nel passato.
Opre Roma ha inviato oggi un proprio comunicato ai mezzi di informazione, per indire una manifestazione contro il razzismo e per la tolleranza, che si terrà sabato 2 settembre con partenza dal municipio.
Wolf Staf Bruggen Voorzitter-Chairman-Presidentos Opré Roma ngo opreromavzw@yahoo.com Tel : ++32 (0)484.962.264.
Belgische afgevaardigde voor het European Roma and Travellers Forum
Belgian delegate to the European Roma and Travellers Forum
Delegato Belgia Europako Romengo thaj Travelerengo Forumo
(visto da Singapore - newpaper.asia1.com.sg/®)
ANCORA NESSUNA SPERANZA dopo 7 anni di guerra razziale Presa in mezzo tra Serbi e Albanesi, la minoranza zingara del Kosovo diventa la nuova vittima in una vecchia guerra By Ng Tze Yong August 26, 2006 |
Il giorno che le bombe smisero di cadere e i mezzi della Nato rombarono in città, la madre di Ibro Suleimani lo vestì per tornare alla scuola.
Con due humvees della Nato di scorta Ibro, Rom di 7 anni, prese il bus scolastico delle Nazioni Unite.
Non gli era mai piaciuto sedersi accanto al finestrino. Spesso era a mira dei sassi che gli Albanesi gettavano contro il bus.
Questo nel 1999, subito dopo l'intervento Nato per concludere la campagna di pulizia etnica dei Serbi contro gli Albanesi. Ci furono almeno 6.000 morti e un 1,4 milione di profughi in cerca di rifugio.
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Ibro che sogna spesso di essere una rock star, ama esercitarsi alla sua chitarra.
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Durante il conflitto, la minoranza Rom del Kosovo venne presa nel mezzo. Alcuni aiutarono i Serbi come informatori [...]
Dopo la guerra, tornarono i rifugiati Albanesi con l'intento di prendersi la rivincita. I Rom divennero le nuove vittime di una vecchia guerra.
Da allora sono passati sette anni. La fragile pace ha tenuto.
Ma nel quartiere Rom, la "mahalla", ben poco è cambiato.
A differenza di Singapore, non c'è nessuno sforzo per integrare le differenti razze. In breve, nessuna Educazione Nazionale a scuola. I bambini sono diventati giovani adulti, ma rimangono paura e sosetti reciproci.
[...] Ibro oggi ha 14 anni. Sfoggia un taglio di capelli che vorrebbe renderlo simile a Kurt Cobain, l'ex cantante dei Nirvana. Ogni mattina si affaccia all'uscio e gioca con i suoi amici
Demo Lamici ricorda quando si nascose sotto il letto per fuggire alla violenza albanese.
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Gli adulti siedono al margine delle loro case e chiacchierano di fronte a tazze di caffé turco.
Di 200 Rom, solo in 10 lavorano.
Sadete Suleimani, 40 anni e madre di Ibro, dice: "Se il Kosovo diventerà indipendente, noi partiremo. Non si discute".
I ricordi della guerra sono tuttora freschi. Anche i più giovani nella mahalla hanno lo sguardo stanco di chi ne ha viste troppe e troppo presto
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Gli Zingari non vogliono essere una minoranza in un Kosovo guidato dagli Albanesi.
Soltanto due anni fa, il Kosovo eruttò di nuovo violenza. Gli Albanesi attaccarono le truppe ONU, frustrati della mancanza di progresso verso la completa indipendenza.
Così le strade si riempirono del fumo dei SUV dell'ONU e il rimbombo degli elicotteri dappertutto, la violenza raggiunse l'ingresso della mahalla.
Ciò che li fermò furono le barricate di casse, pneumatici e pali erette dagli Zingari.
Dice Demo Lamici, 19 anni: "Ero nascosto sotto il letto con mia sorella. Mia madre pregava e piangeva."
La liberazione avvenne in maniera inaspettata. Un gruppetto di Albanesi, che abitavano ai margini della mahalla, sbucarono d'improvviso sulle barricate, per mandare via gli assalitori.
Alla fine della rivolta, 28 persone erano state uccise e più di 600 ferite.
Cinque anni di lavoro di riconciliazione dell'ONU, sembrano scivolate come acqua lungo uno scolo.
[...]
Il senso di pessimismo nella mahalla è profondo. La gente ha iniziato ad impacchettare le sue cose.
Sei mesi fa, Ibro salutò il suo miglior amico, che andava in Svezia. Piangeva, ma ora quando ne parla, accompagna il racconto con una scrollata di spalle. "Forse un giorno tornerà a visitarci" continua. Ma dentro di sé, Ibro sa che non succederà.
Tornare in Kosovo? Cosa c'è qui?
"Anch'io vorrei partire" ammette. "In Serbia o in Svezia. Magari in Germania... dovunque. Qui non c'è niente per me."
Ibro trova serenità nella moschea.
"In moschea, non ci sono Albanesi o Zingari. Siamo tutti fratelli," afferma.
Ma fuori, le distinzioni rimangono.
Nel suo tentativo di trovare corde per la sua chitarra in città, un ragazzo albanese gli grida: "Majup, tornatene a casa!"
"Majup" è un peggiorativo per dire Zingaro.
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Questa bambina ha lo sguardo stanco di chi che ha visto troppo troppo presto.
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Ibro si scrolla, Ogni volta che entra nel settore albanese le urla e le minacce riprendono.
Con nonchalence, continua sulla sua strada.
Nella sua borsa, tiene un piccolo blocco dove scrive le parole inglesi che non capisce. Sa di aver bisogno dell'inglese, per un biglietto dal Kosovo, e lo sta studiando furiosamente.
La sera, attacca con la chitarra -che ha tre sole corde attaccate con chiodi, provando a rifare i pezzi dei Nirvana.
Ha sogni, ma se non riuscirà a partire al più presto, slitteranno via.
"Un giorno" ci dice colmo di speranza "Sarò una rock star."
Il reporter è stato volontario in Kosovo nel 2003. Il mese scorso vi è ritornato per una visita.
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