Rom e Sinti da tutto il mondo

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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 18/12/2013 @ 09:02:03, in Italia, visitato 1700 volte)

di Sergio Bontempelli - 16 dicembre 2013 su corriere delle migrazioni

Per un attivista che "si occupa di rom" - come si usa dire - il posto più difficile da frequentare è il bar. Perché se tieni una conferenza, o se entri in una scuola a discutere coi ragazzi, hai tempo e modo di articolare un discorso. Provi a decostruire pregiudizi e stereotipi, e i tuoi uditori ti ascoltano in silenzio. Lo vedi che sono scettici, che non credono a quel che dici: ma almeno ti guardano con il rispetto che si deve all'"esperto".
Al bar no. Al bar, davanti a un cappuccino caldo, tutti sono "esperti", soprattutto dell'argomento "zingari". "Te lo dico io, non si integrano, vivono di furti e di illegalità". Le tue statistiche e i tuoi studi non contano nulla. "Puoi raccontarmi quel che ti pare, ma io li conosco, l'altro giorno mi sono entrati in casa e hanno rubato l'argenteria di famiglia...". Stop. Fine del ragionamento.

Come si distingue un rom?
Ecco, fuori dal bar il discorso sull'argenteria sarebbe interessante da approfondire. Ti hanno rubato in casa, e tu hai visto il ladruncolo mentre scappava. Era uno "zingaro", dici: ma come fai a saperlo? Con quale criterio distingui un rom? Lo riconosci dal colore della pelle, dai tratti somatici, dall'aspetto? Impossibile, perché tra i rom ci sono i biondi, i mori e i castani, c'è chi ha la pelle chiara e chi è più scuretto, chi è alto e chi è basso...
Forse hai riconosciuto il "tipico abbigliamento zingaro". Magari non era un ladro ma una ladra, e aveva la gonna lunga e colorata... Ora, ammesso (e non concesso) che la gonna lunga sia "tipicamente rom", non ti viene il sospetto che la ragazza in fuga abbia usato un travestimento per sviare i sospetti? E d'altra parte, se la ladra era davvero rom perché è andata a rubare vestita in modo così riconoscibile?
Forse un buon criterio per identificare un rom potrebbe essere la lingua, ma quanti sono in grado di riconoscere una persona che parla romanes?
Al bar, però, obiezioni del genere non contano. Suonano come i sofismi di uno che ha studiato troppo. "Il ladruncolo era uno zingaro, l'ho visto coi miei occhi, cosa vuoi di più?". Stop. Fine del ragionamento.
Al bar non contano i ragionamenti, contano le storie. E allora proviamo a raccontarla, una storia. E' una storia vera che mi è accaduta in questi giorni. E che mostra come i pregiudizi condizionino non solo le nostre idee, ma anche le percezioni, quel che "vediamo coi nostri occhi", quel che ci sembra oggettivo e irrefutabile.

Un viaggio da manager
E' Martedì, e come sempre vado al lavoro di buon mattino. Oggi però è un giorno speciale, devo uscire dall'ufficio un po' prima perché parto: mi hanno invitato a tenere un ciclo di seminari proprio sull'argomento rom, a Udine. Per arrivare dalla mia Toscana al lontano Friuli devo fare un percorso lungo e accidentato, con tre cambi di treno: dopo il regionale da Montecatini Terme a Firenze, devo prendere l'Alta Velocità per Venezia-Mestre, quindi di nuovo un regionale che mi porta a Udine.
Armato di pazienza, comincio il mio viaggio sul regionale. Salgo, prendo posto, mi siedo e accendo il computer: devo finire le slide che mi servono per far lezione, e comincio a lavorare. Sono ben vestito (meglio del solito, almeno...), consulto libri e documenti, armeggio col mouse, prendo qualche appunto sull'Ipad e di tanto in tanto rispondo al cellulare: devo avere l'aria di uno quegli odiosissimi manager che lavorano ovunque, sul treno come in ufficio, alla fermata dell'autobus come sulla panchina al parco... Intorno a me noto occhi curiosi che mi scrutano, con un senso di rispetto misto a invidia.

La "zingara" del treno regionale...
Mentre lavoro vedo passare Maria, una ragazza rom romena che conosco di vista: di solito chiede l'elemosina sul treno, e io le do sempre qualcosa. Si avvicina e mi tende la mano per chiedere qualche spicciolo: poi mi riconosce, trasale e sorride. Col mio rumeno un po' maccheronico le chiedo come sta. Mi dice che nelle ultime settimane la vita è più dura del solito, la questua non "rende" bene e lei non ha i soldi per mangiare.
Può darsi che sia vero, può darsi che sia un modo per strappare qualche spicciolo in più: per me non ha importanza, e le allungo una moneta da due euro. Lei sorride di nuovo, mi ringrazia e si siede un attimo. Continuiamo a parlare del più e del meno, le chiedo se ha programmi per Natale e lei mi dice che, finalmente, passerà le vacanze a casa, in Romania. "Fa freddo laggiù", spiega, "adesso c'è la neve". Poi si alza, saluta e se ne va.
La scenetta non è passata inosservata. I viaggiatori mi guardano attoniti. Prima sembravo un manager indaffarato, ma i manager di solito non parlano con gli zingari. Già, perché Maria sembra proprio una "zingara": ha l'aspetto trasandato, chiede l'elemosina e porta una gonna lunga e colorata...

... e la strana ragazza sull'Eurostar
Arrivato a Firenze, corro al binario e salgo sul treno Alta Velocità, quello per Venezia. L'ambiente è decisamente diverso: qui non ci sono i pendolari, ma - appunto - i manager indaffarati. Rispondono al telefono e li senti parlare di bilanci, di contratti, di accordi commerciali da perfezionare, di meeting da organizzare. La voce dell'altoparlante invita a gustare le prelibatezze del bar al centro del treno: fuori dal finestrino, le gallerie si alternano ai paesaggi delle montagne toscane. Cullato dal treno, mi addormento.
Dopo poco più di mezzora siamo a Bologna. Sale una ragazza giovanissima e si siede accanto a me. E' vestita elegante ed è truccata con molta cura. Saluta il fidanzato dal finestrino e gli manda un bacio romantico, uno di quelli "soffiati" sul palmo della mano... Poi, quando il treno riparte, si mette a sfogliare una rivista.
Nel bel mezzo del viaggio le squilla il cellulare. Si mette a conversare al telefono e sento che non è italiana: parla una lingua che non riesco a identificare. Frequentando gli immigrati, mi sono abituato a sentirne tante, di lingue: ovviamente non le capisco, ma sono in grado di distinguere un albanese da uno slavo, un rumeno da un ucraino, un russo da un georgiano. Ma la ragazza proprio no, non capisco da dove viene. La ascolto con attenzione e mi pare di sentire qualche parola in romanes. Però no, non può essere rom: non ne ha l'aspetto, non parla con la tipica gestualità "alla zingara", non è vestita da rom... E poi, si è mai vista una rom sul treno ad Alta Velocità?

La romnì "invisibile"
Mentre cerco di identificare la provenienza della ragazza, mi squilla il telefono. E' un amico senegalese che ha problemi con il permesso di soggiorno. Gli fornisco qualche consiglio, poi gli dico di passare al mio ufficio: l'argomento è delicato, ed è bene capire la situazione controllando di persona documenti e carte.
Quando riaggancio mi accorgo che la ragazza mi sta guardando. "Ma tu sei un avvocato?", mi chiede. Le rispondo che no, non sono avvocato, lavoro per i Comuni e mi occupo di permessi di soggiorno. Mi spiega che suo padre ha problemi con i documenti, e mi chiede consigli. Scopro così che la ragazza è macedone. Ma qualcosa non torna.
Conosco bene la lingua macedone. Voglio dire, non la parlo e non la capisco, ma la riconosco quando la sento. E la ragazza no, proprio non parlava macedone. Nei Balcani ci sono consistenti minoranze albanesi, ma lei non parlava neanche albanese. Non riesco a vincere la curiosità, e mi faccio avanti: "ma che lingua era quella al telefono?". La ragazza trasale, ha un momento di imbarazzo e farfuglia: "no, non era macedone... la mia lingua è...". Si ferma un attimo. Si vede che non sa proprio come dirmelo. "Ecco, in casa parliamo una specie di... di lingua sinta...".
"Una specie di lingua sinta" significa che la ragazza parla romanes. E' una romnì macedone ("romnì", per chi non lo sapesse, è il femminile di "rom"). Provo a sciogliere il suo imbarazzo, le dico che ho molti amici rom che vengono proprio dalla Macedonia. Ci mettiamo a parlare, e scopro che la ragazza abita a Bologna, ma il fidanzato è un sinto di Pisa, la mia città. Facciamo amicizia e alla fine ci scambiamo i numeri di telefono. "Se mi sposo a Pisa ti chiamo e vieni alla mia festa di matrimonio".

La morale della favola
La "morale" di questa piccola storiella ci riporta alle conversazioni da bar di cui si parlava prima. Crediamo tutti di sapere chi sono gli "zingari", e come sono fatti. Chiunque è (crede di essere) in grado di riconoscere un rom, o una romnì. E su questa percezione intuitiva costruiamo i nostri discorsi: "tutti i nomadi chiedono l'elemosina, nessuno lavora" (come se l'elemosina fosse una cosa orribile, e non un lavoro come gli altri: ma questo è un altro discorso, e ci porterebbe lontano...). "Io li ho visti, rubavano i portafogli ai passanti". "Ero sull'autobus e c'era una nomade che non aveva pagato il biglietto: non ce n'è una che rispetti le regole...". E gli esempi potrebbero continuare.
Non pensiamo mai che quel che vediamo è anch'esso frutto di pregiudizi. Non ci viene in mente che il nostro educato vicino di casa, che incontriamo sull'ascensore al mattino, potrebbe essere rom. Sul treno, non ho pensato che la mia "compagna di viaggio", elegante e ben vestita, era una romnì macedone.
I rom, quelli veri e in carne ed ossa, non sono come li immaginiamo. Come dice un mio amico sinto, "se vuoi davvero sapere chi siamo, devi conoscerci uno a uno, perché i sinti non sono tutti uguali". E' una verità semplice, questa. Ma chissà perché, quando si parla di rom, anche le cose banali diventano complicate da vedere e da capire.

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Di Fabrizio (del 19/12/2013 @ 09:01:44, in Italia, visitato 1680 volte)

di Medicina di Strada - Naga. Pubblicato da Anna_MiM il 17 dicembre 2013.

Le otto di sera, avevamo appena recuperato il resto dei volontari ed eravamo pronti per andare.

Di solito le uscite con il camper di mds si organizzano negli insediamenti irregolari, per effettuare visite mediche, ma questa volta non avevamo un punto di riferimento. Non lo avevamo più da due giorni, da quando il comune ha sgomberato i campi rom di via Montefeltro e via Brunetti. Così a seguito di quello sgombero, abbiamo deciso di uscire con il camper diretti nella zona attorno i due ex insediamenti, per capire come e in che condizioni si sono raccolte alcune tra le circa 450 persone che non sono state accolte nei due centri emergenziali messi a disposizione del Comune.

Di giorno sarebbe stato più facile incontrarli, ma a quell'ora sapevamo che molti si erano già spostati in posti non visibili per passare la notte. Grazie ai contatti telefonici avuti con alcuni rom, ci siamo diretti verso uno di questi luoghi. Poco prima di arrivare, abbiamo parcheggiato il camper per non dare nell'occhio. Ci avevano detto che la polizia continuava a girare, e a mandarli via ogni qual volta si fermavano in un punto.

Con torce elettriche e telefonini, ci siamo poi diretti a piedi all'interno di un prato ai margini della ferrovia. Proseguendo sempre a piedi ci siamo visti venire incontro un gruppetto di 4/5 rom, alcuni di loro con grossi borsoni carichi di vestiario e coperte, provenienti dalle aree appena sgomberate. Uno di loro ci ha spiegato di come gli hanno negato l'accesso nelle strutture d'emergenza, insieme alla sua famiglia, dopo essersi recato per accedervi legittimamente, ovvero in regola con le richieste previste dall'amministrazione che prevedono appunto di garantirne il diritto solo a chi non lo abbia rifiutato precedentemente.

Lo stesso signore rom raccontava che a tutti i rom presenti lì ieri sera, e agli altri che hanno fatto richiesta per accedere nelle strutture emergenziali, le forze dell'ordine hanno sequestrato i documenti (carta d'identità) trattandoli in malo modo. Non è ancora chiaro come e quando gli verranno restituiti i documenti e, a quale proposito glieli hanno sequestrati. Nel frattempo abbiamo chiesto in quanti fossero in quello spazio di prato, ci hanno risposto che erano una decina, divisi dentro due tende appositamente aperte la sera e smontate al mattino presto. Le tende vengono poi nascoste nei dintorni e, durante il giorno, si muovono per la città senza una meta precisa: non è difficile pensare in che condizioni fisiche e mentali, considerando anche che uno di questi rom è stato sottoposto ad un intervento chirurgico per un tumore alla testa e che deve regolarmente assumere medicinali antiepilettici, farmaci salva vita. Lo stesso rom dopo averci domandato come fare per un suo problema all'occhio, è stato invitato a contattare subito il servizio medico del Naga per le visite del caso previo contatto telefonico in sede.

Infine abbiamo domandato se sono veritiere le voci che girano, circa il presunto affitto che alcuni rom di Montefeltro avrebbero dovuto pagare per l'occupazione delle baracche a una specie di satrapo governante - ci hanno risposto assolutamente no, nulla di tutto ciò corrisponde al vero.

Zona Cimitero Maggiore, interviste e accompagnamento giornalista Radio Popolare (4 dicembre)
Primo pomeriggio, insieme ad una giornalista di Radio Popolare siamo andati in zona Cimitero Maggiore per incontrare un numero maggiore di famiglie rom rispetto all'ultima uscita effettuata la sera.

Le prime persone che abbiamo incontrato sono una famiglia con un bambino ospitata nel centro di emergenza Barzaghi 2, così viene chiamato. Il bambino giocava con i nonni, ai quali è stato negato l'accesso alla struttura, così si incontrano di giorno per stare insieme. La sensazione è quella di un detenuto che incontra i familiari nell'orario di visite, all'aria aperta. La sera mentre i primi rientrano nel centro, la coppia di anziani cerca riparo dove capita per la notte. Il vanto di questa amministrazione comunale è quello di non dividere le famiglie dopo gli sgomberi, o allontanamenti come preferiscono chiamarli. Forse sarebbe il caso di rivedere il concetto di famiglia.

Il bambino ha una tosse preoccupante, quando abbiamo chiesto come viene curato, ci hanno risposto che non c'è assistenza medica nel centro emergenziale. In questo modo oltre a non poter curare la sua di tosse, e dato che vivono tutti stipati dentro degli stanzoni, c'è il rischio che anche altri possano ammalarsi. Possono andare al Pronto Soccorso, venire anche ricoverati, ma da regolamento, se non ci si presenta per tre notti di fila, c'è l'esclusione dalla struttura emergenziale.
Il regolamento è stipulato dagli enti gestori che hanno vinto il bando emanato dal Comune. Un bando valido tre mesi. Chi ha avuto accesso alla struttura emergenziale di Barzaghi 2, ha firmato senza poter leggere, nessuna copia attualmente è stata consegnata agli ospiti.

Parlando con altre persone presenti abbiamo saputo che finalmente hanno portato un le cucine, promesse da inizio ottobre, ma inspiegabilmente il Comune ha sospeso la distribuzione dei pasti, così per tutti quelli che non possono comprare da mangiare le cucine sono inutili, non passano neanche il latte per i bambini ospitati. I costi stimati per ogni famiglia rom si aggirano sui 30 euro al giorno, ma a loro non viene dato nulla.

L'acqua calda non basta per tutti, la maggior parte degli ospiti è costretta a lavarsi con l'acqua fredda. Peggio per chi è stato escluso e ora è costretto a muoversi continuamente per la città, dato che ogni qual volta si fermano in un posto vengono cacciati dalla polizia.

Non oggi, non con noi presenti. La polizia staziona e guarda mentre siamo con loro.

Anche di notte, quando la polizia li trova, taglia loro le tende chiamando l'Amsa per portare via coperte e sacchi a pelo. Alla loro richiesta di un posto dove stare la risposta è sempre la stessa "non lo sappiamo, qui non potete stare". Una madre allatta il figlio poco distante da noi, al freddo di un pomeriggio invernale. Anche lei vive per strada ora.

Tutte le famiglie con bambini che abbiamo incontrato e che ora vivono all'addiaccio, ci hanno detto di aver fatto domanda per entrare nei due centri di emergenza, ma non sono state accolte. Non ne capiamo il motivo, dato che hanno tutti i requisiti per accedervi.

Prima che ci riconoscessero come Naga, si sono dimostrati diffidenti, la giornalista di Radio Popolare è riuscita a fare qualche intervista e dopo una ritrosia iniziale molti hanno fornito testimonianze. Il giorno dopo andrà in onda il servizio con l'assessore Granelli al telefono come ospite.

Le notizie ufficiali parlano di un Comune che ha dato accoglienza a 31 bambini e a tutte le famiglie che ne hanno fatto richiesta, togliendoli dal freddo e dai topi, e che ora risiedono in condizioni decenti. La realtà è un po' diversa.

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Di Fabrizio (del 20/12/2013 @ 09:03:15, in Italia, visitato 1467 volte)

Una dedica fatta col cuore, alla giunta milanese che aveva promesso che sgomberi con la brutta stagione non ci sarebbero più stati.

GLI ALLEGRI CAMPEGGIATORI


    SCRIVONO DA MILANO-EST: Questa mattina (19 dicembre ndr.) è stato sgomberato il piccolo campo abusivo rom di V.le Forlanini Lambro. La polizia locale si è presentata dopo che nel pomeriggio di ieri due funzionari della locale li ha avvertiti. Totalmente assenti i servizi sociali del Comune ma l'assurdo di questa vicenda è che dello sgombero in atto né l'Ass.re Granelli, né la Dr.ssa De Bernardis ne erano a conoscenza! Di fatto sono venuti a conoscenza di ciò che stava accadendo solo perché da me avvertiti! La mano destra non sa cosa fa la sinistra...! In questo piccolo campo ca. 10 gg fa alcuni funzionari della polizia locale hanno fotografato tt i minori presenti! Compiendo un atto di illegalità! Ora hanno trovato rifugio nei campi della zona Forlanini accolti dalla loro stessa gente, dopo che tutti hanno rifiutato di recarsi nel centro di accoglienza di v.le Lombroso.

NOTA PERSONALE: che sarebbe bello capire (almeno per distrarre il cervello dagli orrori quotidiani) cosa hanno la gente, la stampa, i signori in cravatta nella loro testa. Il giorno prima a stracciarsi le vesti per un bambino (l'ennesimo, ormai non sono neanche più capace di commuovermi...) morto sempre a Milano, in un insediamento spontaneo accanto ad un campo che resiste nei decenni. Poi, nel massimo silenzio possibile, si ricomincia come prima, se non peggio.

Piove, malinconico ricordo dell'epoca De Corato, quando la mattina si guardava il cielo per capire se ci sarebbero stati sgomberi. Se pioveva, di sicuro ci sarebbero stati.


SPOT

A proposito di sgomberi e di cultura che non sia consolatrice:

clicca sull'immagine per scaricarlo GRATUITO

Si tratta praticamente di un gruppo di persone, addestrate e coordinate, il cui scopo è raccogliere testimonianze di prima mano su quanto avvenga durante uno sgombero (in questo caso), ma anche in occasione di manifestazioni o scontri con le forze dell'ordine. Le informazioni raccolte vengono poi inviate ad un "centro di collegamento legale", non per venire girate ai mezzi d'informazione, ma per essere conservate ed adoperate nel caso di processi e strascichi legali.

Chi fosse interessato a sviluppare il discorso, mi contatti info@sivola.net

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Di Fabrizio (del 21/12/2013 @ 09:09:25, in Italia, visitato 1560 volte)

Adriana Goni Mazzitelli su comune-info | 17 dicembre 2013

Vandana Shiva è stata a Roma invitata da Terra onlus e da gruppi che si occupano di recupero delle terre e di orti urbani. In questa occasione ha avuto modo di fare un incontro particolare con alcune giovani ragazze e donne rom protagoniste di un laboratorio di videonarrazione, portato avanti nella periferia est di Roma dal Centro culturale Michele Testa (con l'aiuto dell'artista Maria Rosa Jijon e del Laboratorio di Arti civiche dell'Università di Roma Tre). Comune era presente all'incontro: di seguito, una parte della loro conversazione. A cura di Adriana Goni Mazzitelli

Video Lab nasce due anni fa all'interno del Progetto SàrSan e rappresenta un prezioso strumento per dare voce alle giovani rom. Uno spazio di auto-narrazione, un laboratorio per ribaltare la comunicazione stereotipata che rimbalza nelle notizie di cronaca a proposito di rom. Le ragazze che fanno parte del progetto, vengono dai campi rom di via Salviati e di via Salone e sono fiere di essere nate e cresciute a Roma, cosi come di aver vinto con il mini documentario Sono solo una ragazza il Premio del Pubblico al festival I Colori del Mondo, promosso dal Museo di Arte Contemporanea di Roma.

Nonostante questi buoni risultati, nulla sembra cambiato nelle loro vite quotidiane. Le grandi aspettative che avevano nel cambio dell'amministrazione di Roma, non hanno al momento prodotto nulla: sembra che il loro destino continui ad esser segnato dai e nei campi rom. La precarietà che si vive in queste strutture è ancora dominata dalla logica degli sgomberi forzati, unica politica sulla quale sembra siano tutti d'accordo. Organizzare un'intervista a Vandana Shiva in questo contesto è stata una bella sfida e un'occasione di confronto tra donne che lottano per il cambiamento ogni giorno.

Gli studi più attendibili dicono che i rom sono originari dell'India, alcuni secoli dopo, donne indiane e donne rom hanno trovato un momento di confronto per scambiare idee, storie e rafforzarsi nella comune lotta per uscire da oppressione e impoverimento. Le ragazze di SàrSan, Brenda, Smeralda, Sheila erano emozionate, ma si sono a lungo preparate: hanno pensato a diverse domande e costruito questa intervista.

Le donne nel suo paese si sono organizzate per difendere la terra: come hanno fatto?

Oggi, il primo passo per uscire della povertà è usare le mani e la testa. Uno dei principali argomenti per tenere fuori dal sistema le comunità povere e le donne, è dire che non producono, che sono passive, che non hanno competenze, che non hanno conoscenze e saperi. Il primo passaggio per uscire della povertà è allora non percepirsi come esseri poveri, essere consapevoli della ricchezza che si ha dentro. Sapere di avere ognuno la capacità di creare, di produrre e di costruire relazioni e comunità. Il secondo passaggio è resistere alle politiche che creano la povertà, che sottraggono le risorse alle persone, che impediscono alle persone di produrre quello che sono in grado di produrre. Creare e resistere.

Cosa pensa della povertà e del trattamento inumano che l'Europa riserva a migranti e rom?

Qualunque società che non sia capace di creare spazio, di fare spazio, per tutti e tute, anche per i migranti che non sono nati nel paese, è una società ingiusta. Credo che tutti i cittadini e le cittadine del mondo che stanno stanno vivendo in altri paesi, devono essere trattati come se fossero a casa. Una società che oggi non crea gli spazi per i rom, domani non sarà capace di creare spazi per l'altro.

Cosa dobbiamo fare per coinvolgere altri rom e lottare per i nostri diritti?

Ci sono due modi per fare i conti con l'esclusione: uno è cercare di essere inclusi nelle strutture che ti escludono, ma queste strutture ti metteranno fuori perché sono costruite per farlo. Per esempio il patriarcato esclude le donne, l'esclusione razziale esclude i migranti che non considera parte del cerchio dominante, e il dominio del denaro, cioè il dominio che sta alla base della crisi con cui l'Italia sta facendo i conti, esclude i poveri, sono tutte strutture escludenti. L'altro modo per combattere l'esclusione è dire, noi possiamo creare un mondo migliore, e includiamo noi stessi e altri al suo interno. E' spostare l'asse, al centro ci sono tutti; le donne diventano il centro, è per questo che dopo il crollo della Wto lo slogan dei movimenti è diventato un altro mondo è possibile.

Dopo le prime domande è Smeralda, diciannove anni, a vincere la timidezza e a prendere parola: dice a Vandana che è vero, in tutto il mondo le donne sono lasciate ai margini, "si pensa che non sanno produrre, che non sono utili, ma noi sappiamo che le donne sanno fare tante cose, noi donne rom ad esempio facciamo di tutto. Bisogna partire dei nostri saperi, e non aspettare che qualcuno venga a salvarci. In India come nella periferia di Roma dobbiamo organizzarci per cambiare quello che non ci sta bene".

Anche Shila, ventidue anni, partecipa alla conversazione. In Europa i politici pensano che controllando il flusso di persone diverse, o controllando il brevetto dei semi, riusciranno a costruire "società omogenee che non mettano a rischio le strutture di potere esistenti - dice Shila - Dobbiamo essere orgogliosi delle diversità di ogni tipo, a cominciare dalla nostra diversità rom, siamo unici ma abbiamo diritti universali. Bisogna imparare a valorizzare la diversità, ci aspetta una lunga strada".

A salutare e ringraziare Vandana Shiva ci pensa Brenda, vent'anni appena compiuti: "Sei una donna forte, anche noi dobbiamo esserlo. Ci hai trasmesso forza e solo con la forza riusciremo ad arrivare lontano".

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Di Fabrizio (del 22/12/2013 @ 09:08:00, in lavoro, visitato 2053 volte)

  Una Romnì non riusciva a trovare lavoro, ora dirige un negozio suo - Bratislava/Liptovsky' Mikulash, 18.12.2013 17:47, (ROMEA) Romovia.sme.sk, translated by Gwendolyn Albert

Riferisce il news server Romovia.sme.sk la storia di Jana Ferencova', una Romnì che ha vissuto per anni negli ostelli della Repubblica Ceca, prima di iniziare un'attività propria dopo essere tornata in Slovacchia (testo in slovacco). Per il secondo anno conduce un negozio di abiti di seconda mano nella città di Liptovsky' Hradek.

Ferencova' e suo marito hanno lavorato per tre anni nella Repubblica Ceca, cambiando tre volte l'indirizzo del negozio, ma sempre rifiutandosi di rinunciare al loro sogno. Racconta: "Mio marito e io volevamo una vita buona per i nostri figli, per questo andammo in Repubblica Ceca in cerca di lavoro. Qui [in Slovacchia] non eravamo riusciti a trovarlo."

La proprietaria, 47 anni, viene da una famiglia di nove bambini. Il padre per dare da mangiare alla famiglia lavorava con una piccola attività in proprio.

Quando lui si ammalò, trovò lavoro nella capitale, Bratislava, per la figlia più grande, come donna di pulizie. "Per noi i genitori erano un modello, e abbiamo voluto essere lo stesso per i nostri figli," insiste Ferencova', che ha solo l'istruzione primaria.

"Non è stato facile, ma ce l'abbiamo fatta," dice. Pur vivendo all'estero, poco a poco hanno iniziato a migliorare, senza mai considerare di insediarsi lì permanentemente.

Dice: "Tre anni fa stavamo lavorando a Praga. Mio marito là dirigeva una squadra di costruzioni, tutti erano in proprio. Il proprietario dell'ostello dove vivevamo nel quartiere Hloubetín mi offrì un lavoro come donna di pulizie."

Fu il punto di svolta. Lavorò all'ostello per un anno, ma nel frattempo suo marito perse il lavoro.

Il direttore dell'ostello gli offrì un lavoro come manutentore, ma la donne, con tre figli, non voleva più che i figli vivessero lì. "C'erano dei bambini di 10 anni che fumavano. Sigarette, lo capisco, ma la marijuana? Temevo soprattutto per mio figlio Daribor, che allora aveva 13 anni e già abbastanza problemi di suo," dice.

Quindi, la decisione finale era chiara - il ritorno in Slovacchia. Riassumendo: "Una volta che ero a casa ho iniziato a spedire curriculum ovunque, ma tutti mi tornavano indietro."

Impossibile trovare un lavoro con la sua sola istruzione primaria. "Non avevo referenze, ma sono capace e affidabile. Molte volte c'era una richiesta di lavoro, ma quando vedevano che ero una romanì, mi dicevano che avrebbero richiamato."

La famiglia ha campato di lavoretti nei cantieri durante il primo anno di ritorno a Liptovsky' Hradek. Ferencova' lavorava con gli uomini alla betoniera, ma poi rinunciò perché lo stipendio non era abbastanza alto.

"Chiesi ai locali affaristi Cinesi se mi aiutavano, ma non lo fecero." Disperata, la donna andava di porta in porta in cerca di un impiego.

Ferencova' sapeva che senza un lavoro, avrebbero speso in circa due mesi tutti i soldi guadagnati nella Repubblica Ceca. Un giorno decise che ne aveva abbastanza.

Iniziò a comperare ogni martedì coperte e lenzuola, e rivenderle ai Romanì del posto guadagnandoci qualcosa. Figlio e marito la accompagnava in macchina e lei negoziava il prezzo coi clienti romanì.

In internet trovò un magazzino di vestiti a Zharnovica (regione di Banska Bystrica) ed iniziò ad andare lì a cercare merci e contrattare prezzi e condizioni con i fornitori. "Naturalmente, calcolavo quanto acquistare dai fornitori e a quanto rivendere e se ne valeva la pena."

Le ci vollero tre mesi per trovare un grossista con cui venire ad un accordo. Il leasing per il negozio era un altro problema.

Ferencova' non riusciva a trovare spazi liberi in affitto attraverso i privati, Liptovsky' Hradek o Liptovsky' Mikulash. "Era come quando cercavo lavoro, ovunque mi dicevano che mi avrebbero richiamato, e questo è tutto," dice delle sue iniziali esperienze come imprenditrice.

L'ultima possibilità era il Liptovsky' Hradek Housing Office. L'esperienza le aveva insegnato di parlare solo col responsabile, quindi andò direttamente dal direttore.

Racconta: "Gli ho detto: direttore, non deve preoccuparsi del colore della pelle, non deve preoccuparsi dei soldi. Se avete spazi vuoti, metteteli a profitto dandoli a me, qual è il problema?"

La sua strategia schietta pagò. L'Housing Office le affittò uno spazio come negozio per un periodo di prova di sei mesi e un affitto anticipato di tre mesi.

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Di Fabrizio (del 23/12/2013 @ 09:08:37, in blog, visitato 1692 volte)

Dopo il regalo di Natale dell'anno scorso (qualcuno deve ancora scaricarlo?), troverete qualcosa anche quest'anno.

Mediateca, non come una riserva o uno spazio-ghetto dove racchiudere file multimediali, ma uno spazio di raccolta, in fase di sperimentazione, dove, in maniera totalmente anarchica - confusa - personale, troverete pezzi di Mahalla passati negli anni scorsi.

Dato il periodo, potete trovare musiche che facciano da colonna al pranzo del 25, ma potete trovare anche altre cose interessanti.

Come dicevo poco sopra, l'ordine non è il mio forte, e se volete potete aiutarmi ad aumentare la confusione, suggerendomi voi qualcosa da postare.

Un'altra pagina interessante per i regali, QUI, mentre i tanti segreti di Mahalla li troverete in home page.

PS: saluti dal bue e dall'asinello!

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Di Sucar Drom (del 24/12/2013 @ 09:00:42, in Kumpanija, visitato 1508 volte)

Da U Velto

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Di Fabrizio (del 25/12/2013 @ 09:04:41, in Regole, visitato 2273 volte)

Guarda chavo, il discorso è semplice:

Non ho mai conosciuto un rom o un gagio, e neanche un cane, che si chiamasse Erode. Il prete mi deve aver parlato di quella storia... non so se fosse una brava persona o no.

Cosa ne penso lo puoi immaginare, che la tua gente è pazza. Quello che successe tanto, tanto tempo fa, lo fate tutti gli altri giorni dell'anno. Lo so, che tu non c'entri, lo so che eri con me quando c'erano le ruspe: parlo dei tuoi amici, dei tuoi vicini, colleghi, parenti...

Pensa che un asinello l'avevo anch'io e ho dovuto venderlo. Chi l'ha comprato aveva capito chi ero, così me l'ha pagato una miseria.

Adesso, vado a curare il fuoco, forse almeno oggi ci lasciano in pace. Se vuoi favorire, sei il benvenuto.

Sai, mio figlio grande si arrangia a fare tante cose, potrebbe essere un bravo falegname... Immagina che gioia sarebbe per tutti! Non avresti delle scarpe per mio figlio piccolo?

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Di Fabrizio (del 26/12/2013 @ 09:03:22, in Italia, visitato 1964 volte)

LeNiùs 23 Dec 2013 Nikolas Kallmorgen Immagini| Nikolas Kallmorgen Travel Photographer

Il 25 dicembre, insieme al Natale, si celebrerà il primo mese dallo sgombero del maggiore campo rom di Milano, tra via Brunetti e via Montefeltro. Un campo che, come abbiamo raccontato, era abitato da circa 900 rom fuoriusciti da altri insediamenti sgomberati nei mesi precedenti, primo fra tutti il campo autorizzato di via Triboniano, su cui la giunta Moratti aveva investito 800.000 euro per renderlo "abitabile", prima di distruggerlo con le ruspe in vista dell'Expo lasciando per strada le famiglie che vi abitavano.

La nuova giunta milanese, in particolare attraverso l'Assessore alla sicurezza e coesione sociale Marco Granelli, ha dichiarato a più riprese di non voler ripetere gli errori dei predecessori e di voler realizzare l'annunciato programma di "superamento dei campi" evitando la creazione di nuovi insediamenti analoghi. Vediamo dunque qual è la situazione oggi a Milano.

Sgombero Rom Milano, le soluzioni proposte dal Comune

Come dichiarato il 5 dicembre dallo stesso Granelli a Radio Popolare, con lo sgombero del 25 novembre i Centri emergenziali messi a disposizione per il "Piano Rom" si sono riempiti, ma secondo la versione ufficiale (diffusa anche attraverso una nota sulla pagina facebook di Palazzo Marino) nessuna persona sarebbe stata rifiutata.

Le uniche eccezioni sarebbero relative a quei casi che non rispondevano ai "requisiti": in sostanza il Comune non ha accettato chi in passato aveva rifiutato una struttura d'emergenza e chi ha usufruito di quella sorta di "incentivo al rimpatrio" che la Moratti si era inventata sperando di convincere i rom ad andarsene per sempre in cambio di una donazione una tantum.

Tralasciando la pur doverosa riflessione sull'ammissibilità di "requisiti d'accesso" in casi d'emergenza, le testimonianze dirette raccolte dal Naga, che lavora da anni a stretto contatto con i rom dei campi irregolari, hanno rilevato una situazione diversa (come avevamo peraltro già intuito a 48 ore dallo sgombero): molte famiglie, seppur in possesso dei famigerati "requisiti", sono in realtà state rifiutate e lasciate fuori dai Centri di Emergenza.

Molte di queste hanno trovato ospitalità presso amici o parenti in altri campi, mentre altre dormono ora sotto i ponti o si accampano di notte nei prati vicino alla ferrovia. Come racconta il Naga, "le tende vengono poi nascoste nei dintorni e, durante il giorno, [i rom] si muovono per la città senza una meta precisa: non è difficile pensare in che condizioni fisiche e mentali, considerando anche che uno di questi rom è stato sottoposto ad un intervento chirurgico per un tumore alla testa e che deve regolarmente assumere medicinali antiepilettici e farmaci salva vita".



Granelli, d'altra parte, continua a negare questa situazione, sostenendo che la proposta dell'Amministrazione sarebbe stata accolta solo da 254 persone. Guarda caso esattamente la capienza dei due centri: fortunata coincidenza, verrebbe da pensare.

Invece un altro assessore, Pierfrancesco Majorino, responsabile per le Politiche Sociali, presente insieme a Granelli allo sgombero del 25 novembre, si lamenta sulla sua pagina facebook: "Con la popolazione rom facciamo una gigantesca fatica. Molti tra loro non accettano le nostre proposte".

Resta dunque una domanda: se accettassero tutti la proposta del Comune, dove verrebbero messi? Cosa è stato proposto, per esempio, alle famiglie sgomberate settimana scorsa dal campo Lambro-Forlanini? E cosa verrà proposto alle restanti 2.000 persone che vivono nei campi che vorrebbero essere "superati"?

Rom Milano, i centri di emergenza

Al di là dei dubbi sui numeri, è sicuramente vero che una buona parte dei rom rifiuta le proposte di accoglienza del Comune. Per capirne i motivi, è sufficiente parlare con qualcuno di loro: "Alla fine qual è la differenza tra qui e il campo? Pensano di aiutarci solo perché ci mettono un muro intorno?" è il commento più diffuso. Alcune donne ammettono: "E' vero che qui non ci sono i topi, ma per il resto qui non stiamo meglio, anzi: i bambini si ammalano molto di più!".

In effetti, lo sgombero è avvenuto all'inizio del freddo invernale, che ha portato con sé i classici malanni di stagione. Le famiglie, ammassate in grandi stanzoni contenenti dalle 30 alle 50 persone ciascuno, hanno iniziato a passarsi ogni raffreddore e ogni mal di gola, fino a quando hanno dovuto chiedere l'intervento dei medici volontari del Naga. "I bambini non dormono", quelli sani vengono svegliati dalla tosse dei malati e le maestre a scuola si sono già accorte che i ragazzi dormono sui banchi. "Le maestre non capiscono, pensano che ora abbiamo tutto per stare bene, non sanno che qui la nostra vita è ancora più difficile di prima".

La vicinanza forzata è sicuramente una delle principali ragioni di disagio: per aumentare la privacy, ogni famiglia ha inventato delle paratie di fortuna con teli, asciugamani e coperte. Ma in questo modo non viene certo fermata la circolazione dei virus. I quali peraltro non vengono fermati nemmeno dai medici, la cui presenza non è prevista: i malati infatti non vengono curati, perché all'interno delle strutture d'emergenza non c'è assistenza medica.



Inoltre non viene distribuito cibo, le docce sono fredde e la stanza prevista per i pasti non è riscaldata. Chi riesce a procurarsi del cibo perché ha la fortuna di avere un lavoro o perché riesce a ottenere una decina di euro per la propria famiglia facendo l'elemosina (questa cifra è considerata un successo), mangia seduto sul proprio letto.

Una lamentela molto diffusa riguarda poi le limitazioni d'uso per le lavatrici. Ogni famiglia può usarle solamente durante una finestra prestabilita di 2 ore in un'intera settimana. I rom, che non sono certo dotati di un guardaroba standard per i canoni del milanese medio, si trovano a usare gli stessi vestiti sporchi anche per diversi giorni. "Nel campo avevo le mie quattro pareti e la mia bombola, scaldavo l'acqua e lavavo anche tutti i giorni: ora cosa dico ai miei bambini che vengono presi in giro dai compagni di classe perché hanno vestiti puzzolenti?".

Infine, una considerazione sulla divisione delle famiglie. Uno dei vanti dell'amministrazione comunale è quello di non separare le famiglie dopo gli sgomberi. In effetti, se ci si basa sulla famiglia ristretta, ciò è vero: i genitori e i figli restano insieme nei centri emergenziali, mentre nonni, zii e cugini non sono considerati parenti stretti.

Se consideriamo però la cultura rom e soprattutto la precarietà della situazione in cui vivono, è impossibile ignorare l'importanza della famiglia allargata per il sostegno reciproco. Al di là dell'appoggio morale, in situazioni del genere l'aiuto di uno zio che ha trovato lavoro in cantiere o di una cugina che possa occuparsi dei bambini durante il giorno possono valere la differenza tra avere o meno qualcosa nel piatto alla sera.

In sostanza, il progetto di superamento dei campi con la proposta di avvio di un percorso di integrazione a medio termine sarebbe in teoria più che valida. Ma le modalità concrete di attuazione del piano osservate finora danno la sensazione che l'obiettivo principale dell'azione sia in realtà quello di nascondere i rom alla vista dei milanesi, a costo di chiuderli dietro a un muro vuoto di cemento e di promesse.

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Di Fabrizio (del 27/12/2013 @ 09:05:40, in Italia, visitato 2213 volte)

...o superare l'inconciliabilita' culturale?

di Rita Mazzeo, 22-12-2013 su Pontediferro.org

La parola "campo" ha assunto, già da alcune decine di anni, accezioni negative: campo di concentramento o di internamento, campo di lavoro forzato, campo rifugiati, campo profughi, sono alcuni tra gli esempi che si possono fare, insieme ai cosiddetti "campi nomadi". Tutte, in effetti, evocano il concetto di ghettizzazione e, del resto, il termine stesso "ghetto" ha un'origine semitica, risalente all'ebraico-caldeo (linguaggio utilizzato da rabbini ed ebrei dopo la dispersione) e indica "separazione" o "siepe chiusa".

I campi nomadi, negli ultimi anni, sono stati denominati in vario modo (campi autorizzati, campi sosta, villaggi attrezzati, campi tollerati, villaggi della solidarietà, e così via), tuttavia i diversi modelli utilizzati dalle istituzioni per accogliere e ospitare camminanti nelle nostre città, hanno prodotto, in differente misura, segregazione spaziale e socio-culturale, di quelle comunità.

Anche i campi autorizzati o attrezzati, infatti, sono collocati in genere nelle periferie, spesso non collegati dal trasporto pubblico ai centri urbani, vicini a discariche o a grandi assi viarie, per cui le persone che vi abitano sono emarginate e rimangono del tutto estranee alla realtà della società cittadina.

Molte organizzazioni internazionali e della società civile hanno presentato rapporti di denuncia nei confronti di tale politica in Italia, e delle connesse operazioni di sgombero (Commissione per i diritti umani del Consiglio d'Europa nel 2009 e 2011, Associazione 21 luglio nel 2010, Osservatorio Internazionale per i diritti umani nel 2011), promuovendo il sostegno all'inserimento abitativo. In questo senso, alcune sperimentazioni alternative al campo sono state fatte, a livello locale. Esempi di politiche abitative, rivolte a rom e sinti poveri, sono a Venezia, Padova e Bologna, dimostrando quanto la dignità di un alloggio sia prerequisito necessario all'integrazione.

Nelle grandi città italiane, il modello del campo (sorto negli anni '60 in risposta a un'emergenza e poi diffusosi ampiamente negli anni '80) è ancora oggi prevalente, anche perché permangono pregiudizi e stereotipi nei confronti di rom e sinti, indistintamente, come il nomadismo e l'inconciliabilità culturale. In realtà, oggi è stanziale l'80% dei rom e dei sinti europei, in Italia gran parte di loro sono residenti da più di un secolo e almeno 80 mila hanno cittadinanza italiana. Circa 12 milioni sono stimati i rom europei, di cui 140 mila nel nostro Paese. Tra loro, successi professionali ed economici, occultando però la propria origine per paura di discriminazioni, ma anche gruppi molto poveri e altri, provenienti dalla ex Jugoslavia, dalla Bulgaria e dalla Romania, fuggiti dalle guerre. Tutti sono per noi "zingari", sebbene rom e sinti siano gruppi molto differenti e con una storia europea che dura da almeno 6 secoli. In particolare, Rom è uno dei principali gruppi etnici della popolazione di lingua romanes/romani, originaria dell'India del Nord. Elementi costanti nella loro storia sono la persecuzione, la riduzione in schiavitù, la deportazione e lo sterminio.

Al loro primo apparire in Europa, il nomadismo è stato considerato come una maledizione di Dio, la pratica di certi mestieri (come forgiatori di metalli) ricondotta per superstizione alla magia e le arti divinatorie alla stregoneria.

Perciò, tendenzialmente, le società moderne hanno cercato di liberarsene, anche con l'eliminazione fisica e tutti i Paesi europei hanno adottato bandi di espulsione, fino a giungere agli estremi del genocidio dei rom, insieme a quello degli ebrei, durante il nazismo in Germania.

In Italia, gli ultimi trent'anni di pratiche assistenziali e servizi esclusivi, sebbene tramite operatori motivati e competenti, hanno determinato un ampliamento della distanza fra rom e resto della società.

Si potrebbe, invece, prendere spunto da alcuni Paesi europei dove la questione rom è stata affrontata sulla base di un principio di garanzia dell'uguaglianza. In Spagna, ad esempio, i gitani meno abbienti vivono in case popolari come ogni altro cittadino svantaggiato. In Germania, una legge riconosce i rom come "minoranza nazionale", a differenza dell'Italia che con la legge 482 del 1999, escluse i rom e i sinti dalle 12 minoranze linguistiche riconosciute, e quindi dalle tutele che ne derivavano.

Dopo il censimento del 2008, effettuato in Italia negli insediamenti di nomadi, il Governo Maroni ha dichiarato lo stato di emergenza nelle Regioni di Campania, Lombardia e Lazio (prorogato poi fino al 2011) ed esteso successivamente al Veneto ed al Piemonte. I Prefetti di Roma, Milano e Napoli sono stati nominati commissari delegati per la realizzazione degli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza nei propri territori regionali, sono assistiti dalla forza pubblica e possono collaborare con altri soggetti pubblici e, per i profili umanitari e assistenziali, con la Croce Rossa Italiana. Le linee guida per l'attuazione, emanate dal Ministro Maroni, ribadivano che il fine delle ordinanze era di rimuovere le situazioni di degrado esistenti nei campi e promuovere condizioni di vivibilità nella legalità per le comunità nomadi, consentendo l'accesso ai servizi di carattere sociale, assistenziale, sanitario e scolastico, soprattutto per i minori, maggiormente esposti a rischi di abuso e di sfruttamento. I principi fondamentali e le modalità da seguire nell'identificazione di chi risiede nei campi nomadi tengono conto delle indicazioni e delle raccomandazioni formulate dal Garante per la protezione dei dati personali. "Il Governo, dichiarava Maroni, "vuole la tutela di chi vive in queste situazioni di degrado, la tutela dei minori, per toglierli dalla clandestinità, per toglierli dall'ombra, per dare loro un futuro".

A seguito della dichiarazione di stato di emergenza, sono state stanziate risorse straordinarie per Roma, Napoli e Milano, con la maggiore presenza di rom, che sono state gestite in modo straordinario per identificare le popolazioni rom, sgomberare i campi abusivi, monitorare quelli autorizzati e costruirne nuovi, promuovendo interventi di inserimento sociale all'interno di questi ultimi.

Finalmente, l'anno scorso, è stata adottata per la prima volta, una strategia nazionale che sottolinea il carattere discriminatorio ed escludente dei campi nomadi e si pone l'obiettivo del loro superamento. Nonostante tale novità e la sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l'illegittimità dello stato di emergenza avviato nel 2008, le politiche continuano ad affrontare la questione con una logica emergenziale e di sicurezza.

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