Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Non che si stia bene, ma anche con l'affitto da pagare e il conto in rosso,
si può vivere una tranquilla e calma ignoranza. Forse, anche se non hai
una casa e non hai un conto. Poi, ti svegli una mattina e, vedi una tromba
d'aria che si avvicina, è la GUERRA che torna. A dire il vero, la guerra
c'è da un po' di tempo: è come quei fulmini improvvisi con cui il tornado ti
dice: "Eccomi, sono QUA." (ma, mi chiedo, se non mobilitavano gli
USA si continuava a dormire?)
Scrivo di questa impotenza da osservatore. Perché una volta, tanti e tanti
anni fa, le comunicazioni non erano istantanee come oggi, e il quadro di
Guernica sollevava ancora scandalo e indignazioni REALI. Oggi, io posso solo
immaginare che i bambini gasati nelle foto che stanno circolando, siano REALI (e
la cosa dovrebbe farmi orrore),
ma non ne ho alcuna certezza, né tantomeno ho la certezza di chi possa aver
compiuto una strage simile (so solo che non è la prima strage e non sarà
l'ultima), So che se potessi, in certi momenti vorrei cancellarmi la
memoria, perché l'orrore dell'oggi e del domani non si sommi a quello che sono
riuscito ad anestetizzare negli anni scorsi.
Ottant'anni dopo Guernica, scrivo, al computer, collegato in tempo REALE a
ogni fonte possibile di informazione, della mia IGNORANZA. Ignoranza,
...disperata, perché non solo non ho i mezzi per capire, ma se anche ne fossi in
grado (o volessi cullarmi in qualche certezza) questo mondo e questa
informazione (reale?) mi/ci hanno tolto qualsiasi capacità di reagire.
Condivido una riflessione di Tahar Lamri:
Guardo i notiziari della televisione siriana e vedo che
l'esercito siriano avanza e vince sulle orde di jihadisti e takfiristi venuti da
ogni dove. Vince su queste orde che comunque hanno sconfitto l'Unione Sovietica
in Afganistan e gli Stati Uniti in Iraq. L'esercito siriano opera lontano dai
titoloni dei giornali e dalle esperterie degli esperti. Forse fra qualche ora,
forse qualche giorno, questo esercito sarà polverizzato dalla potenza dei
potenti. Forse non ci sarà più - il difficilmente difendibile - Bashar Al-Assad.
Forse, come sappiamo da altrove, allora si aprirà in Siria la guerra dei "tawaif",
cioè le varie comunità che compongono il popolo siriano: sunniti, alawiti,
sciiti, drusi, ismaeliti, ortodossi, melchiti, armeni, cattolici, maroniti,
caldei, assiri, curdi... e che, da sempre, convivono su quella terra
condividendo i loro 32 antipasti, bevendo il maté o qualche Barada fresca sotto
i gelsomini. Si sa, la convivenza non è necessaria né possibile sotto la
democrazia delle bombe. Noi, avremo, come sempre, quel senso di impotenza che ci
accompagnerà per un po'. Poi dimenticheremo.
Sunniti, alawiti, sciiti... Succede con tutti gli stati, non
solo in Medio Oriente. A guardarli da vicino sono entità geografiche tracciate
coi righelli, e dentro ci trovi di tutto, popoli i più diversi, arrivati chi
prima e chi dopo. Perché i confini sono statici, i popoli no. Cosa ne sappiamo
di loro?
Apro una parentesi a tal proposito: già in Italia si sa poco del popolo rom,
che pure è un ingrediente fondamentale di ogni stato-macedonia. Figuriamoci se
si sa qualcosa dei
Dom, o Domari. Sono il corrispondente mediorientale del popolo rom, e sono
lì presenti, ed ignorati, da circa un millennio. Sono pochi, pochissimi,
ignorati e discriminati come da noi. Al di là della conoscenza accademica, venni
a contatto con la loro esistenza FISICA, una decina d'anni fa, in occasione di
un'altra guerra scatenata da (una scusa? una certezza? difficile da dire...).
Erano sempre gli USA che stavano regolando i conti col loro ex alleato Iraq.
I Dom, in Iraq, c'erano come tutti gli altri popoli e, per quanto Saddam
Hussein non fosse l'esempio del padrone di casa che ognuno vorrebbe, avevano
trovato il modo di conviverci. Furono le bombe USA, fu l'arrivo al potere degli
sciiti (cioè, quelli che gli USA temevano), che fecero terra bruciata attorno a
loro. E dieci anni fa, con ritardo di mesi, mi arrivavano le notizie del loro
nuovo migrare in cerca di lidi tranquilli. Cioè: SIRIA, Aleppo.
Credo che la sfiga sia un tratto genetico inscritto in questa gente
condannata ad un continuo migrare: stanno scappando nuovamente,
chi in Libano e chi in Turchia, nei campi profughi o all'addiaccio. REALI,
loro, forse più dei dispacci d'agenzia o delle dichiarazioni dei politici.
REALI, perché il migrare sotto le bombe o inseguiti dalla cavalleria, è nel loro
DNA, ma anche nella nostra memoria (con l'affitto da pagare e il conto in
rosso).
Di Fabrizio (del 30/08/2013 @ 09:00:03, in media, visitato 1641 volte)
di Stefano Pasta -
La città nuova, Milano Corriere
Urlando "mortacci sua" ad una "mangiaterra", il protagonista ci svela che,
nonostante tutto, Roma è anche la sua città. Anche per un ragazzino che vive nel
campo attrezzato di Via Salone, il campo rom più grande d'Europa, posto fuori
dalla città, addirittura oltre il Grande Raccordo Anulare. Qui, come racconta il
documentario "Campososta" di Stefano Liberti e Enrico Parenti, prodotto da ZaLab,
vivono 1200 persone rom di varia nazionalità. Il campo non è collegato con i
mezzi pubblici e non ha alcuno spazio comune. La distanza tra i container dove
vivono le famiglie è di circa due metri. I bambini vanno la mattina a scuola in
istituti molto lontani grazie a un servizio di pulmini e, date le distanze e il
traffico, arrivano sempre in ritardo di almeno un'ora ed escono un'ora prima.
"Qua non ho una vita sociale", spiega una madre ricordando quando nel loro
vecchio quartiere incontrava le mamme dei compagni di suo figlio all'uscita
della scuola, prima che l'amministrazione li trasferisse fuori città.
Il campo è un ghetto, con tutti i problemi sociali del
ghetto.
Così, i ragazzi cresciuti ai margini della città soffrono maggiormente
l'esclusione sociale di cui è vittima il gruppo a cui appartengono. All'interno
del campo, la tensione è alta. Le varie comunità non comunicano, il livello di
istruzione è bassissimo, altissimo quello di disoccupazione. "Campososta" segue
la quotidianità degli abitanti: i bambini che vanno a scuola, gli adolescenti
che trascorrono le giornate a non far nulla (molti, pur essendo nati in Italia
non hanno la cittadinanza, quella di origine l'hanno perduta in seguito
all'implosione dell'ex Jugoslavia); gli adulti, uomini e donne, che tentano di
sbarcare il lunario con lavori di fortuna.
Secondo i registi, "Via Salone è l'emblema della politica di ghettizzazione su
base etnica operata dalle amministrazioni comunali di Roma dal 1994 a oggi".
E anche del ripetersi di una scelta italiana sbagliata, quella dei campi
"nomadi" per famiglie che non sono più nomadi da vari decenni. Una scelta di
politica abitativa fatta dalle città italiane a partire dagli anni Settanta, che
ci ha reso "il Paese dei campi". Ma i campi nomadi non c'entrano nulla con una
presunta "cultura rom".
Del resto, in via Salone i rom sono originari della Romania, Serbia, Montenegro
e Bosnia: in nessuno di questi Paesi esistono campi nomadi.
Ma i ghetti in cui confiniamo i rom delle nostre città non sono solo quelli
fisici, fuori dal Grande Raccordo Anulare. Ci sono anche quelli mentali. Secondo
l'Eurobarometro, solo il 7% degli italiani risponde positivamente alla domanda:
"Sei disponibile ad avere amici rom?". È uno dei valori più bassi in tutta
Europa.
Quando si parla di rom, si è tutti bravi a urlare, a chiedere sgomberi e a
confinare. Si dimentica che sono prima di tutto persone, appena 160mila, non più
nomadi, la metà ragazzini, la metà di tutti italiani. I problemi ci sono. Ma c'è
un dato da cui si potrebbe ripartire: sono un popolo di bambini, il 40% è in età
scolare. Per questo sarebbe bene decidere che una questione di 80mila minorenni
va affrontata con la scolarizzazione per tutti e con un forte impegno sociale e
di monitoraggio. Ci vuole l'attuazione di un progetto di lungo periodo e non
qualche sgombero con grancassa, o il ripetersi di scelte sbagliate come i grandi
ghetti ai margini delle città. Altrimenti, i piccoli rom vanno verso un futuro
simile a quello dei genitori. E il problema non si risolve, come dice la mamma
del protagonista di "Campososta":
"Vorrei qualcosa di meglio per i miei figli, non vorrei che anche loro crescano
così, no".
Campososta (doc, 8', Italia, 2013) di Stefano Liberti e Enrico Parenti;
montaggio: Chiara Russo
Di Fabrizio (del 31/08/2013 @ 09:00:29, in casa, visitato 1697 volte)
Segnalazione di Giacomo Marino
di Silvia Ragusa | 29 agosto 2013
Il Fatto Quotidiano
Si chiama "Obra social" il manuale rivolto agli spagnoli che si sono visti
pignorare la propria abitazione a causa di debiti contratti con le banche.
Venticinque pagine che spiegano, passo dopo passo, come prendere possesso di un
edificio e e come affrontare le conseguenze legali del gesto
La chiamano "disobbedienza civile". Ma per molti non sono altro che
"okupas":
uomini e donne che vivono della carità delle mense sociali e hanno un
enorme
debito da saldare con la banca, che ha loro sequestrato la casa. E che adesso
cominciano ad occupare gli edifici vuoti.
La Charcha, ad esempio, è uno di questi: si trova nel quartiere popolare
Carabanchel di Madrid ed è di proprietà del Banco popular. L'edificio, vuoto da
quando è stato costruito (circa due anni fa), è stato occupato da 40 persone,
tra bambini, coppie e attivisti. Gli inquilini hanno messo su un orto e, anche
se alcuni lavorano, la maggior parte vive di donazioni e
"ricicla" il cibo,
cercando nei bidoni della spazzatura o andando a procurare la merce in scadenza
nei grandi magazzini.
In Spagna di edifici così se ne contano già 14. Oltre 600 le persone che, grazie
alla "Pah", la piattaforma per le vittime degli sfratti, hanno riavuto un tetto
sotto la testa.
Ma occupare un edificio non è certo cosa semplice. Adesso però è tutto scritto,
nero su bianco, sulla nuova guida pratica chiamata "Obra social" che
l'associazione ha reso pubblica. "I motivi sono semplici: ci rubano la casa e ci
condannano a pagarla lo stesso", spiegano gli attivisti che vogliono legalizzare
le occupazioni delle abitazioni rimaste vuote per sfratto.
L'obiettivo è che, una volta preso l'edificio, i nuovi inquilini, sprovvisti di
chiavi, riescano a "negoziare un affitto sociale in base al reddito" con
l'entità finanziaria di turno. Insomma un processo di "recupero" delle case dal
basso.
Guida alla mano, le 25 pagine spiegano, passo dopo passo,
come prendere possesso
di un edificio, consigliando, ad esempio, in primis la scelta stessa dello
stabile: che sia vuoto da almeno un anno, che sia di proprietà di una banca che
rischiava di affondare e che è stata salvata coi soldi dell'Ue. Poi al vaglio
c'è anche il luogo da non sottovalutare: "L'appoggio del vicinato sarà diverso
nei quartieri popolari che in quelli residenziali o in centro". Nel documento la
piattaforma spiega anche in maniera schematica cosa fare dal momento
dell'insediamento e come affrontare legalmente la presa di possesso di una casa:
è necessario "rivendicare pubblicamente l'azione per evitare che venga
considerata come 'furto di proprietà', affinché la polizia non possa intervenire
senza un mandato per flagranza di reato". Ma anche "causare il minor danno
possibile" alla porta d'ingresso. L'edificio infatti rientra sotto la
responsabilità del gruppo.
Nei giorni successivi l'occupazione, spiega il manuale, è importante andare a
parlare con i vicini e spiegare loro la situazione perché "in futuro potrebbero
essere chiamati a testimoniare". E per dimostrare "la nostra
volontà di pagare,
prima di qualsiasi accordo con la proprietà dell'immobile, possiamo aprire un
conto in quella stessa banca dove versare ogni mese una quantità di denaro in
corrispondenza di un affitto sociale", aggiunge la "Pah". Un canone che non
dovrà mai superare il 30 per cento del reddito familiare.
Più complicata la seconda parte della guida che espone le conseguenze giuridiche
all'indomani dell'occupazione visto che "il diritto alla casa dell'articolo 47
della Costituzione spagnola non è un diritto fondamentale, come si crede",
mentre lo è il diritto alla proprietà privata. La guida allega dei fac-simile di
documenti da poter consegnare al giudice. E incoraggia a chiarire che "l'azione
è una risposta all'assenza di alternative per le famiglie in difficoltà".
Insomma la pressione sociale e mediatica - perché non bisogna dimenticare di
chiamare la stampa e srotolare cartelli fuori dallo stabile - è, per
l'associazione, una delle armi più efficaci per una buona difesa. Ma soprattutto
per permettere alle famiglie di restare nell'edificio. "Non possiamo rimanere
con la braccia incrociate", dicono dalla "Pah".
Twitter @si_ragu
Di Fabrizio (del 01/09/2013 @ 09:03:20, in blog, visitato 1555 volte)
Se ve lo siete perso o se siete troppo lontani da Milano per richiederlo (la
distribuzione è un po' così) ora potete scaricarlo
QUI.
Edizione con testo e note riveduti e aggiornati, una rassegna fotografica
inedita e un epilogo sugli ultimi due anni.
Copyright Fabrizio Casavola (Attribuzione Creative Commons 2.0)
Edizione seconda edizione Pubblicato 3 agosto 2013
Lingua Italiano Pagine 99 Formato
del file PDF Dimensioni del file 6.75 MB
Prezzo 4,00 euro
Altre info:
Di Fabrizio (del 02/09/2013 @ 09:05:20, in casa, visitato 1405 volte)
Associazione 21 luglio 29 agosto 2013 (in foto: Dragan Trajlovic)
In una lettera inviata al sindaco di Roma Ignazio Marino, la comunità rom
insediata dallo scorso giugno in via Salviati, nella periferia est della
Capitale, chiede di non essere più costretta a vivere nei "campi" e di iniziare
nuovi percorsi condivisi di inclusione sociale. Per l'Associazione 21 luglio,
l'appello rappresenta la possibilità, per Roma, di mettere in atto quelle nuove
politiche di integrazione previste dalla "Strategia Nazionale di Inclusione dei
Rom, Sinti e Camminanti", adottata dall'Italia nel 2012.
"Caro sindaco, siamo e ci sentiamo cittadini di questa città, dove viviamo da
trent'anni - si legge in uno dei passaggi chiave della lettera, che porta la
firma di Sandor Dragan Trajlovic, portavoce della comunità -. Siamo orgogliosi
di essere cittadini italiani e cittadini d'Europa. Siamo cittadini rom che
credono nell'inclusione e che sognano di poter avere piena cittadinanza in
questa bella città. Per questo le chiediamo di ascoltare il nostro desiderio di
essere cittadini come gli altri, senza discriminazione e senza ghettizzazione".
(Guarda
il video su YOUTUBE)
Lo scorso giugno i 152 rom che attualmente si trovano nell'insediamento
informale di via Salviati sono fuggiti dal "villaggio attrezzato" di Castel
Romano, dove vivevano dal 2010, in seguito a ripetuti episodi di violenza da
parte di altri abitanti del "campo".
"Vivere nel campo ci fa sentire come all'interno di un ghetto, riservato a 1300
rom - scrive al sindaco la comunità -. Sì, il campo di Castel Romano è
effettivamente un ghetto, isolato dalla città, insicuro, recintato, chiuso, dove
non esiste alcuna possibilità di inclusione sociale. Abbiamo paura per noi e per
i nostri figli, perché vivere a Castel Romano significa vivere nella sofferenza
e rinunciare al futuro. Dopo trent'anni non ce la facciamo più a vivere nei
ghetti. Costringerci a farlo rappresenta per noi un atto di discriminazione".
In seguito a un'ordinanza del sindaco, il 12 agosto scorso le forze dell'ordine
avrebbero dovuto sgomberare l'insediamento di via Salviati. Lo sgombero,
tuttavia, è stato sospeso e rimandato di alcuni giorni.
La comunità rom, ad oggi, vive nella costante tensione per un imminente
sgombero
e per il rischio di essere trasferita nuovamente a Castel Romano. Consapevole
della necessità di non poter e non voler restare nell'attuale insediamento di
via Salviati, la comunità lancia quindi un appello al sindaco per iniziare una
nuova stagione di dialogo e un percorso all'insegna dell'inclusione.
"La mia comunità è disponibile a rimboccarsi le maniche e ad assumersi delle
responsabilità per intraprendere un percorso che non ci porti più a vivere nei
campi e nel degrado, per essere inclusi, per integrare i nostri figli, per avere
un futuro migliore. Ci chiamano nomadi ma non è quello che siamo e ci
sentiamo", prosegue la lettera.
"Questo appello rappresenta la possibilità di trasformare il "problema dei rom
di via Salviati" in una opportunità storica per sperimentare
percorsi virtuosi
di inclusione sociale così come previsto e richiesto dalla Strategia
Nazionale di Inclusione di Rom, Sinti e Camminanti", afferma
l'Associazione 21 luglio.
La politica dei "campi", alimentata dalla passata Amministrazione con il Piano
Nomadi, non ha prodotto che segregazione abitativa e concentrazione su base
etnica. "È il momento che anche a Roma, come già avviene in altre città
italiane, ai rom vengano offerte soluzioni diverse da quelle dei "campi"".
"Passare dalla ghettizzazione all'inclusione sociale: è questa la grande
occasione che Roma ha davanti a sé per dimostrarsi Capitale europea attenta ai
diritti umani e ai bisogni delle categorie più svantaggiate", conclude
l'Associazione.
SCARICA la lettera al sindaco Marino
Sinti in viaggio per il diritto e la cultura Pubblicato da Claudio
Gennari a 09:50 -
27 agosto 2013 Gazzettadimodena.it
Il bilancio dopo i primi mesi da ministro dell'integrazione. "Non solo Ius Soli,
in questi 100 giorni ho preparato importanti progetti per i giovani, il dialogo
tra religioni e i diritti" strategia nazionale d'inclusione dei Rom, Sinti e
Camminanti.
di Andrea Marini
Fino all'anno scorso c'era anche lei tra le decine di volontari quotidianamente
impegnati nei turni tra gli stand, i ristoranti, o a distribuire materiale a
Ponte Alto. Ecco quindi che quella di oggi per Cecile Kyenge, ministro modenese
dell'Immigrazione nel governo Letta, sarà una serata speciale. Sarà lei infatti
a tagliare il nastro della festa provinciale del Pd. Una festa che cade a
ridosso della scadenza dei primi 100 giorni di vita del govern o delle larghe
intese, in cui il suo nome è stato citato un numero di volte probabilmente
minore soltanto a quello di Letta, per via della sua battaglia per favorire
l'integrazione degli stranieri e per lo Ius Soli .
Ministro, bentornata a Modena. Con quale bilancio di questa sua esperienza?
"Sono molto soddisfatta. In questi 100 giorni sono riuscita a lavorare sull'idea
di un cambiamento culturale della società e su progetti ben specifici
dall'integrazione delle politiche migratorie, in senso molto ampio, e di
integrazione delle minoranze, tra le diversità. E in ultimo sulle politiche
giovanili e per le adozioni internazionali, settori per me nuovi ma in cui c'è
tanto da fare"
La cosa che l'ha resa più orgogliosa?
"È stata quella di aver posto con forza un tema che è diventato un punto
fondamentale nel Paese: la cittadinanza al di là della nazionalità. Una nuova
cittadinanza e una nuova convivenza, un nuovo modo di coesione sociale.
Evidenziare un punto fondamentale: ci sono diritti e doveri in tutti i settori.
Ponendo all'attenzione la questione delle seconde generazioni, fondamentale per
tutto il territorio".
Le è stato utile il bagaglio di esperienza accumulato sui temi come immigrazione
e integrazione qui a Modena, da sempre avanti su questo settore?
"Direi che l'esperienza, il bagaglio che mi sono portata dietro è importante e
aiuta a concretizzare alcuni progetti del ministero. Soprattutto sul fronte
dell'integrazione, quanto fatto a Modena mi risulta utile; così come è utile
confrontarlo con il cammino e i percorsi di altre realtà italiane. Su Modena è
stato importante il progetto di formazione, sensibilizzazione approccio
multiculturale, il settore sanitario, così come la preparazione degli operatori
della scuola, ma anche per gli studenti, i giovani. Questo percorso locale e
regionale mi aiuta, sono molto fiera di portare avanti le buone pratiche di
questo territorio".
E la cosa che più l'ha ferita in questi 100 giorni?
"Occorre distinguere tra i due piani: personale e istituzionale. Sul piano
personale ho sempre tenuto a non farmi trascinare e toccare da offese e
provocazioni alla mia persona. Cerco di far capire che serve un cambiamento
culturale che riguarda tutta la società non ci si deve riferire a una sola
persona. Ma tutti insieme si deve lottare per combattere razzismo, xenofobia e
altre discriminazioni. Ecco quindi che sul piano istituzionale, al di là della
mia persona, sto lavorando per far sì che chi riveste una carica istituzionale
sia protetta e rispettata, proprio per il ruolo istituzionale che riveste e
perché abbia gli strumenti per fare bene il suo lavoro".
Cosa le è mancato in più in questi mesi della vita normale. Nel rapporto con la
famiglia, le figlie.
"Sicuramente l'autonomia, la semplice quotidianità. Quanto alla famiglia sono
fiera del supporto molto forte che mi sta dando. Noi siamo sempre stati molto
insieme, ora hanno capito che è un po' più difficile, sono spesso lontano, ma mi
stanno agevolando molto.
Le manca il lavoro da oculista a Modena?
"Soprattutto il contatto con i miei pazienti, perché andava oltre la
professione. Si diventava un po' i confidenti. Sento la mancanza di questo
contatto umano. Anzi approfitto della Gazzetta per mandare un caro saluto a
tutti i miei pazienti e far presente loro che pur essendo nel ministero li penso
spesso e me li ricordo uno a uno".
In questi mesi del suo lavoro si è parlato praticamente solo di Ius soli, ma lei
fa anche altre cose. Ad esempio?
"La prima cosa che affronteremo a settembre sarà il rilancio del servizio
civile nazionale Uscirà un bando nazionale per il quale abbiamo trovato i fondi
per 92 milioni per impegnare 15mila 500 giovani, 14mila 500 per un servizio nel
sociale e partecipare a progetti di coop sociali, 850 per progetti di
cooperazione internazionale. Poi un'altra quota, circa 300, per l'assistenza ad
invalidi civili o non vedenti o ciechi civili, di questo progetto sono
orgogliosa. Dopo un anno e passa di immobilismo si è ripreso a lavorare in
questo settore con un segnale del Senato, che ha approvato un ulteriore milione
per il servizio civile".
Si occupa anche di politiche giovanili. Come vede la situazione dei giovani in
Italia.
"È inutile nascondere il momento difficile. Posso assicurare, come ha più volte
ribadito il presidente Letta, che loro sono tra le priorità del governo. Sono
tanti i progetti interministeriali. Ad esempio stiamo per lanciare la creazione
di un Fondo rotatorio per concedere mutui a giovani coppie e single con figli.
Con apertura anche per i lavoratori atipici. Ad oggi lo stanziamento è di 50
milioni ma potrà salire a 110 entro il 2015. Il tutto in concerto con il
ministro Lupi e la collaborazione dell'Abi. In pratica lo Stato sarà Garante dei
mutui di giovani coppie e single con figli, anticipando anche le somme che
giovani e single si impegneranno poi a restituire ".
E che altro?
"Daremo un'occasione di lavoro a tanti giovani neolaureati che impegneremo
assumendoli per lavorare al piano straordinario per l'informatizzazione e
digitalizzazione del patrimonio artistico nazionale".
È vero che il decreto del fare ha snellito le procedure per ottenere la
cittadinanza?
"Questa norma riguarda prima di tutto il fatto di mettere i diritti al centro
dell'attenzione. I giovani stranieri, in possesso dei requisiti, al compimento
del 17 esimo anno e 6 mesi di età riceveranno una lettera che li informa di
questa possibilità Per avere la cittadinanza non basterà presentare solo la
residenza, ma si potrà testimoniare il proprio percorso all'interno del paese si
potrà con i certificati scolastici e poi c'è l'obbligo agli enti locali di usare
gli strumenti informatici per velocizzare le procedure".
E sul fronte delle religioni e della discriminazione?
"Abbiamo avviato un percorso per il piano triennale contro la discriminazione
razziale a settembre terremo un incontro con le Associazioni e i ministeri
interessati, le Regioni, gli enti locali e le associazioni sindacali e dei
datori di lavoro. Inoltre con il supporto dell'Unar – Ufficio Nazionale
antidiscriminazione razziale, sono in fase di monitoraggio l'avvio dei tavoli
regionali e locali per l'attuazione della strategia nazionale d'inclusione dei
Rom, Sinti e Camminanti. Ma lavoriamo anche sull'inclusione delle diverse
religioni con iniziative congiunte in tema d'integrazione tramite il dialogo
interreligioso. E ci saranno tavoli europeo e incontri all'Onu, a New York".
Uno dei problemi, anche a Modena, è la gestione dei tanti minori stranieri non
accompagnati che giungono nelle varie città.
"È la nuova emergenza, noi siamo mobilitati anche per supportare il lavoro degli
enti locali, anche dal punto di vista economico e ricordo anche il lavoro che
stiamo facendo sul fronte delle adozioni internazionali".
Questo governo durerà per riuscire a fare tutte queste cose?
"Mi auguro di sì. Io fino a quando saremo in carica lavorerò su tutti questi
progetti".
Di Fabrizio (del 04/09/2013 @ 09:04:06, in sport, visitato 1835 volte)
Segnalazione di Paolo Teruzzi
E' lo sponsor sulla nuova maglia
Calcio, il presidente del Monza con la bozza della maglia con la scritta
"Stop racism" (Foto by RADAELLI)
Il cittadino MONZA BRIANZA
Monza - "Stop racism". Non ci sarà uno sponsor commerciale
sulla maglia del Monza per la stagione 2013-2014, ma un messaggio importante:
"Stop al razzismo". Lo ha annunciato il presidente Anthony Armstrong-Emery
lunedì in municipio in occasione della presentazione di "Playing for Children",
in programma mercoledì 4 settembre allo stadio Brianteo alle 20.30.
In programma la presentazione della squadra di mister Asta e di tutte le
giovanili, la partita tra la Nazionale Piloti e i Giornalisti Sky (che
trasmetterà l'evento) per il centenario dell'Ac Monza Brianza. Il presidente ha
acquistato i biglietti di entrambe le curve per l'intero evento, per regalarli
ai tifosi e trasformare la partita in una festa dello sport. Il ricavato
sostiene il Comitato Maria Letizia Verga Onlus e l'Associazione Dynamo Camp per
il progetto Radio Dynamo in aiuto ai bambini ricoverati in ospedale.
Il presidente ha già chiamato più volte a raccolta i monzesi dalla sua pagina
facebook.
VIDEO
Di Fabrizio (del 05/09/2013 @ 09:03:21, in scuola, visitato 1418 volte)
Slovacchia, rapporto di Amnesty International sui diritti violati degli alunni
rom (CS104 - 04/09/2013)
In Slovacchia, migliaia di alunne e alunni rom stanno iniziando un altro anno
scolastico in classi e scuole separate e la continua mancanza d'azione da parte
del governo contro la segregazione di migliaia di bambini è un vergognoso e
illegale affronto nei confronti della società.
È quanto ha dichiarato oggi Amnesty International, presentando il rapporto
"Promesse non mantenute: la segregazione degli alunni rom continua", nel quale
denuncia la continua e neanche riconosciuta assenza di iniziative per eliminare
la duratura discriminazione dei rom nel sistema scolastico.
"È giunto davvero il momento che le autorità slovacche pongano fine alla prassi
discriminatoria della segregazione nel campo dell'istruzione e riconoscano che
hanno la responsabilità di garantire che tutti i bambini e le bambine abbiano
uguale accesso a un'istruzione di qualità" - ha dichiarato Jezerca Tigani,
vicedirettrice del Programma Europa e Asia Centrale di Amnesty International.
Secondo una ricerca del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, circa il
43 per cento dei rom iscritti alle scuole ordinarie è stato posto in classi
etnicamente segregate. In assenza di una riforma complessiva del sistema, il
governo slovacco sta tollerando una discriminazione illegale basata sull'etnia
nel campo dell'istruzione.
Il 30 ottobre 2012 il tribunale regionale di Presov, nella Slovacchia orientale,
aveva dato alla comunità rom un segnale di speranza, stabilendo che
l'inserimento di alunni rom in classi separate di una scuola elementare del
villaggio di Sharishské Micha'any violava l'Atto antidiscriminazione ed era
contrario alla dignità umana. Il tribunale aveva ordinato alla scuola di
modificare la prassi per l'inizio dell'anno scolastico 2013-14.
Questo caso ha messo in evidenza quanto le singole scuole e le autorità locali
non siano consapevoli di cosa costituisca discriminazione e segregazione. Ha
inoltre posto in luce la mancanza di fondi aggiuntivi per garantire
un'istruzione uguale e inclusiva a beneficio dell'intera popolazione scolastica.
"Le autorità nazionali devono assistere la scuola di Sharishské Micha'any con
direttive chiare e coi fondi extra, necessari per rispettare la sentenza. In
questo modo, incoraggeranno altre scuole a spezzare il circolo della
segregazione per motivi etnici e invieranno al resto della società il segnale
che la segregazione etnica non sarà tollerata" - ha commentato Tigani. "Spetta
al governo slovacco dare attuazione al diritto di accedere all'istruzione senza
discriminazione, attraverso una riforma complessiva e forme di assistenza mirata
all'interno del sistema educativo".
La diffusa e continua segregazione dei bambini e delle bambine rom nelle scuole
della Slovacchia ha implicazioni più ampie, poiché mediante essa le autorità
slovacche stanno anche violando il diritto internazionale dei diritti umani e la
legislazione antidiscriminazione dell'Unione europea. La Commissione europea ha
la responsabilità, l'obbligo e gli strumenti per assicurare che gli stati membri
rispettino le norme dell'Unione europea, anche attraverso procedure
d'infrazione.
"E' ora che la Commissione europea assuma una posizione più incisiva e agisca
direttamente verso quei paesi, come la Slovacchia, i cui governi non fermano una
segregazione diffusa e sistematica che non ha alcun posto nell'Europa del XXI
secolo e che contraddice completamente le leggi dell'Unione europea e i principi
del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali su cui l'Unione
europea è orgogliosa di essere stata fondata" - ha concluso Tigani.
Approfondisci la campagna per i diritti dei rom in Europa
FINE DEL COMUNICATO Roma, 4 settembre 2013
Per interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
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Di Fabrizio (del 06/09/2013 @ 09:04:45, in Regole, visitato 1678 volte)
Metodologia della formazione "Pretend Your Rights!" - Popica Onlus -
Metropoliz
Pubblicato in data 03/set/2013
Di Sucar Drom (del 07/09/2013 @ 09:05:21, in blog, visitato 1744 volte)
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