Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 10/04/2012 @ 09:18:29, in Regole, visitato 1445 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Tanjug

BELGRADO - Circa 30.000 persone in Serbia, soprattutto Rom, non hanno documenti personali. mentre 6.500 non sono iscritti al registro delle nascite, il ché li rende giuridicamente invisibili.

Il responsabile ACNUR in Serbia, Eduardo Arboleda, ha dichiarato lunedì che la Serbia è cosciente di questo problema con gli apolidi, ed assieme all'ACNUR sta lavorando ad una soluzione, aggiungendo che con l'adesione di emendamenti al codice di procedura civile, la Serbia potrebbe essere la prima nella regione a risolvere la questione.

Secondo Arboleda, l'apolidia è un grave problema, con serie conseguenze sulla vita delle persone, dato che impedisce di ottenere i certificati di nascita, limita l'accesso al lavoro, all'assistenza sanitaria ed al rispetto ai diritti umani fondamentali.

Ha detto a Tanjug che questo problema è presente soprattutto per i Rom che vivono nelle baraccopoli,, che non hanno permesso di residenza o nessuna conoscenza delle procedure d'accoglienza, [...].

Secondo i dati di uno studio recente sulla situazione in Serbia, risulta che il 6,5% dei Rom non abbia documenti personali, mentre l'1,5% non è nemmeno presente nei registri delle nascite, dice Arboleda.

Ha aggiunto che da almeno cinque anni l'ACNUR sta lavorando sul problema delle baraccopoli rom e della loro registrazione, sinora in 20.000 hanno ottenuto documenti adeguati.

"Credo che assieme al governo serbo possiamo risolvere questo problema," ha detto Arboleda, aggiungendo che l'ACNUR sta per firmare un memorandum d'intesa col ministero competente, sull'impegno comune nella risoluzione della questione.

A dicembre 2011, la Serbia ha aderito alla Convenzione del 1961 sulla Riduzione dell'Apolidia, e a marzo 2012 il difensore civico Sasa Jankovic ha presentato il rapporto sulla posizione delle persone legalmente invisibili in Serbia.

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Di Fabrizio (del 10/04/2012 @ 09:20:46, in casa, visitato 1512 volte)

OPERA NOMADI DI REGGIO CALABRIA - COMUNICATO STAMPA

Il razzismo contro i rom continua ad essere esercitato nel territorio della nostra provincia per ostacolare l'inserimento abitativo di questi cittadini e quindi il superamento dei ghetti.

Nell'ambito dell'operazione di equa dislocazione delle famiglie rom, pochi giorni fa, il Sindaco del Comune di Melito Porto Salvo ha assegnato un alloggio popolare ad una famiglia rom che abita in una baracca con una bambina affetta da una grave malattia congenita. Ma prima che il Comune potesse consegnare l'alloggio l'immobile è stato occupato abusivamente da un'altra famiglia melitese per impedire l'insediarsi dei rom.

Il sindaco di Melito Porto Salvo è intervenuto tempestivamente sfrattando gli occupanti, ma questi hanno cominciato a protestare contro la famiglia rom e contro l'Amministrazione comunale dichiarando che non intendono accettare dei rom nel loro quartiere. Questa famiglia, che dopo tanti anni è riuscita ad avere un alloggio adeguato dove poter curare la figlia, ora si trova a dover affrontare il rifiuto di questi concittadini con la preoccupazione per quanto potrebbe accadere.

Purtroppo queste azioni razziste sono un copione che si ripete ormai da anni. Altre occupazione abusive di alloggi destinati alle famiglie rom si sono verificate nei mesi passati nel comune di Gioia Tauro e qualche anno fa anche a Reggio Calabria è avvenuta la stessa cosa in concomitanza con l'operazione di equa dislocazione. Nella stessa città di Melito Porto Salvo, pochi anni fa, sei alloggi destinati alle famiglie rom sono stati incendiati. Queste azioni sono state contrastate adeguatamente sia dalle Amministrazioni comunali che dalle stesse famiglie rom e dall'Opera Nomadi e quindi anche se hanno rallentato i progetti di inserimento abitativo non hanno impedito che si raggiungessero dei risultati. Tuttavia è mancata una condanna di queste azioni da parte della comunità civile nel suo complesso. E' chiaro che queste azioni di discriminazione non sono casi isolati, come spesso si vuole lasciare intendere, ma sono l'espressione di un pensiero diffuso nella nostra società secondo il quale i rom sono dei cittadini “inferiori” che non possono vivere insieme alle altre persone. Questo è il motivo della mancata condanna. Nonostante da anni abbiamo recepito le leggi europee contro il razzismo, abbiamo un Ufficio Nazionale contro il Razzismo che dipende dal Governo nazionale, vengono realizzate continue iniziative di contrasto alla discriminazione e dal 28 febbraio 2012 l'Italia ha una strategia nazionale per l'inclusione delle comunità rom che prevede il superamento dei ghetti, in alcuni comuni ( Cosenza, Roma, ecc..) si progettano ancora campi ghetto e si continuano a realizzare azioni razziste.

Qualcosa non ha funzionato. A differenza di quello che si dice nei dibattiti e sui media il razzismo fa parte integrante della nostra cultura locale e nazionale. La nostra cultura, come tutte le culture occidentali, contiene come suoi elementi interni sia il razzismo che l'antirazzismo. Pertanto il razzismo si potrà combattere adeguatamente solo dopo che avremmo ammesso la sua esistenza effettiva nella nostra cultura, e quindi non più come elemento estraneo che sporadicamente interessa la nostra società ( Bauman Z., Modernità e Olocausto, 1992) ma quale elemento costituente che va estirpato lavorando dall'interno.

Nonostante il limite esistente nella strategia di lotta al razzismo, nella provincia di Reggio Calabria dei risultati sono stati raggiunti. Negli ultimi 10 anni attraverso il progetto di equa dislocazione circa 20 famiglie rom sono state inserite nel tessuto urbano del comune di Melito Porto Salvo ed oggi abitano civilmente accanto alle famiglie non- rom. Nello stesso periodo, nel comune di Reggio Calabria, circa 102 famiglie sono state inserite in 80 condomini diversi che si trovano su tutto il territorio comunale da Gallico a Pellaro. Anche questi rom di Reggio Calabria vivono bene accanto alle famiglie non rom. Questo ci fa capire che l'opposizione che quasi sempre caratterizza il primo momento dell'inserimento nel quartiere è condizionato dal pensiero razzista comune, ma viene superata gradualmente con il contatto personale e diretto tra rom e non-rom (Teoria del contatto di G. Hallport). Queste 122 famiglie vivono bene con i loro vicini di casa i quali hanno finalmente capito che i rom sono persone come loro, che gli stereotipi negativi diffusi non corrispondo alla realtà e che con loro ci si può vivere assieme nello stesso condominio. Il progetto di equa dislocazione realizzato nei due comuni attraverso la collaborazione tra Amministrazioni comunali, Opera Nomadi e famiglie rom ha quindi permesso a ben 122 famiglie di uscire dai ghetti e di inserirsi nella società. Da pochi mesi anche il comune di Gioia Tauro ha avviato il progetto di equa dislocazione per le famiglie rom e ha già dislocato la prima famiglia.

Alla luce della buona esperienza realizzata a Melito Porto Salvo l'Opera Nomadi prega la comunità del luogo, la Chiesa, le associazioni del terzo settore, i candidati a sindaco e tutta la società civile, da sempre molto sensibile verso i problemi sociali, a prendere una posizione su questo caso di non accoglienza per far capire alle persone che si ostinano a non accettare i rom che bisogna abbandonare i pregiudizi perché i rom sono persone come loro e che respingerli significa respingere se stessi.

Reggio Calabria, 7 aprile 2012
Opera Nomadi di Reggio Calabria
Il presidente Antonino Giacomo Marino

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Di Sucar Drom (del 11/04/2012 @ 09:03:25, in Kumpanija, visitato 1440 volte)

E' venuta a mancare prematuramente Giuseppina "Rumanì" Ciarelli, romnì italiana tra le prime a Milano a diventare mediatrice culturale e attivista per i diritti dei rom e dei sinti. Rumanì ha iniziato il suo impegno come mediatrice a favore delle donne e dei minori rom e sinti nei consultori famigliari, insieme ai mediatori e alle mediatrici di Sucar Drom alla fine degli Anni Ottanta. E' stata una delle prime mediatrici sanitarie italiane, ci mancherà il suo sorriso e ci mancheranno le sue capacità. Pubblichiamo il ricordo della Consulta Rom e Sinti di Milano a firma di Giorgio Bezzecchi, Dijana Pavlovic e Paolo Cagna Ninchi

"Noi siamo belli", questo diceva Rumanì di noi rom, questo è quello che sentiva, che pensava e che diceva quando incontrava, anche in incontri ufficiali i "gagi". Questo ci ha insegnato Rumani, a credere che i rom sono belli, perché liberi, perché portano qualcosa di bello in questo mondo con il loro modi di vedere la vita, con la gioia capace di esprimersi in ogni momento, anche il più difficile.

Rumanì era libera e capace di raccontare la LIBERTA', capace di cancellare i pregiudizi con le sue parole semplici e forti. Traduceva il suo nome RUMANI' in "donna libera". Così noi pensiamo a lei, sorridente e orgogliosa.

E' stata una delle prime attiviste e leader del movimento per i diritti Civili di Rom e Sinti a Milano. Ciarelli Giuseppina nata Avezzano il 7 Giugno 1957, detta "Rumanì" dalle donne delle Comunità Rom e Sinti di Milano.

Rumanì è stata una delle prime attiviste dell'Opera Nomadi di Milano, iniziava la sua attività già alla fine degli anni '80, nei primi anni '90 seguì un corso di Mediatori Sanitari andando a lavorare per anni nel Consultorio familiare di via Fantoli svolgendo la propria importantissima funzione a favore

Nella prima metà degli anni '90 ritirò a nome dell'Opera Nomadi di Milano l'Ambrogino d'Oro testimoniando orgogliosamente e caparbiamente il desiderio delle Comunità rom e sinte di superare le difficoltà legate alla lotta alla discriminazione e al riconoscimento dei propri diritti. Aveva un grande ruolo all'interno della Comunità e per noi era un punto di riferimento, non solo una grande amica.

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Di Fabrizio (del 11/04/2012 @ 09:52:12, in Italia, visitato 5937 volte)


VICINI DISTANTI cronache da via Idro
a cura di Fabrizio Casavola
LIGERA edizioni - collana Idee
128 pagine - 14 euro

Dall'Introduzione
Ho fatto un calcolo: quasi metà dei gagé che conosco ha scritto almeno un libro. In compenso l'Italia rimane da anni uno dei paesi dove si legge di meno.

Probabilmente è questo il motivo per cui fino ad ora non avevo mai nemmeno provato a scrivere qualcosa. Silenziosamente divoro libri su libri, ma ancora non ho imparato a farne uno.

E infatti, cercavo di tranquillizzarmi mentre scrivevo queste righe, ci vuole coraggio a definire libro le pagine che avete in mano. Non c'è traccia di poesia, e neanche una trama. Di certo non è un saggio o un testo di studio. Inoltre ricordi e considerazioni non hanno una scansione temporanea lineare, e rischierete di vagare avanti e indietro nel tempo, alla ricerca di una logica.

Se accettate il mio suggerimento, prendetele come una serie di istantanee messe in lettera, non sempre conseguenti, da cui potranno sortire (sempre che lo vogliate) ragionamenti, riflessioni o un semplice cazzeggio. Il tipo di scrittura è molto simile a quella che ho imparato ad adoperare in Internet: più da blog e facebook che da twitter. Amo la sintesi ma il limite dei 140 caratteri non fa per me.

Ci sono poi dei motivi per cui ho deciso di rivolgermi a voi in questo modo:

Come vedrete andando avanti, scriverò di Rom, o almeno di quel poco che conosco di loro, sapendo che posso sbagliare ed essere corretto a mia volta. Quelli di cui parlo non sono Rom immaginari o da rotocalco, ma persone reali con cui ho agito, discusso, riso, litigato per anni.

A volte mi chiedo quanto ha influito la loro cultura orale nel creare questo rapporto, così che non mi limitassi a considerarli solo carne da studiare sui libri, ma persone con una ricchezza interiore da conoscere "sul campo". Purtroppo la bellezza di una cultura orale è impotente di fronte alla protervia degli amministratori e delle "giacche blu". Per questo, circa 10 anni fa cominciai a raccogliere quanti più documenti e testimonianze scritte possibili, sapendo che questo tipo di memoria orale è destinata a soccombere nel confronto con una società esterna molto più numerosa, organizzata e strutturata.

Internet ha fatto il resto, mettendo in rete e rendendo disponibili tutta una serie di informazioni che altrimenti sarebbero rimaste patrimonio di pochi circoli ristretti.
Arrivo al secondo punto. Anche se si crede che le società nomadi (o le comunità straniere in genere: basta pensare a tutto quello che si dice dei cinesi) siano società chiuse ed impermeabili alle novità – progresso – mondo esterno ecc., ho constatato di persona che non è così. Come evolve la nostra società, evolve la loro, al doppio della velocità. Ci mischiamo e interagiamo di continuo, anche senza accorgercene.

La storia dei Rom che segue è scandita da numerosi e ripetuti tentativi di contatto con il mondo dei gagé. Conosco molte persone che hanno raccolto il loro richiamo, ma a livello mediatico e della cosiddetta opinione pubblica è come se si continuasse a vivere in mondi impermeabili.

Prima che risorse, i Rom rappresentano un problema, posto in quartieri problematici a loro volta. Lo sa bene chi conosce via Padova (ed il quartiere attorno a via Idro) che li accoglie da decenni. Ora che qualcosa s'è mosso, ci sono studiosi ed universitari che studiano la via, alcuni li ho accompagnati al campo di via Idro. Magari hanno poi scritto cose bellissime, ma non hanno avuto il coraggio di studiare assieme i due piani del problema, che potrà (può, per i più ottimisti) evolvere a risorsa se viene affrontato nella sua globalità.

Quindi, questa è una storia disordinata di cui sta a voi rintracciare i tanti fili. Una storia che spero possa svelarvi qualcosa su chi rimane sconosciuto e misterioso, nonostante oltre 40 anni di presenza in zona. Racconti, comunicati, frammenti di discorsi, gioie ed amarezze, che sarebbe bello condividere, e magari tramandare.
E', in poche parole, la testimonianza di un tentativo forse unico, di comunicare e crescere con la società esterna, però nel costante rispetto della propria cultura ed identità. Con tutte le contraddizioni affrontate e da affrontare.

E non mancherà qualche incursione nella cronaca nazionale, o nel dibattito eterno su cosa significhi vivere in periferia (su cosa sia la periferia, visto che i centri storici sono ormai quasi ovunque territori residuali e disabitati). Nessuno vive su un'isola.

Leggendo potreste trovarvi a scorgere voi stessi dall'oblò di una roulotte, quasi foste voi per una volta rinchiusi in un campo o in uno zoo.

Tutto questo, avevo bisogno di metterlo su carta. Il resto, le notizie quotidiane dai Rom e dai Sinti di tutto il mondo, potete sempre trovarle sul mio blog [...]

    Non sono bravo nei ringraziamenti: sicuramente vanno agli abitanti del villaggio di via Idro, con cui ne ho fatte di tutti i colori... alle persone ed alle organizzazioni citate (qualcuno/a l'avrò sicuramente dimenticato/a). Un grazie particolare a Stefania Ragusa, che non solo mi ha aiutato nella correzione delle bozze, ma ha anche tentato di spiegarmi qualcosa dello strano mondo dell'editoria.
    Infine, un grazie in anticipo a chi, per qualsiasi motivo, mi darà una mano a presentare queste storie.

Attualmente disponibile presso:

 

  • la Libreria del Mondo Offeso non l'ha voluto (evitate quindi di perdere tempo lì e di farlo perdere a loro)
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Di Fabrizio (del 12/04/2012 @ 09:21:21, in Europa, visitato 1548 volte)

Ticinonline Denunce penali contro Weltowoche per presunto razzismo anti-rom
Il settimanale uscito giovedì, titola: "Arrivano i rom: razzie in Svizzera"

BERNA - La fotografia sulla copertina dell'ultima edizione della Weltwoche di un bimbo di etnia rom che punta una pistola in direzione del lettore sta suscitando aspre reazioni. A livello penale sono state inoltrate denunce in Svizzera, Austria e, stando a informazioni diffuse su Twitter, anche Germania.

Sotto la fotografia, il settimanale uscito giovedì, titola: "Arrivano i rom: razzie in Svizzera". Giovedì pomeriggio una donna domiciliata nel cantone di Basilea Campagna ha inoltrato denuncia perché a suo avviso immagine e titolo ledono la norma antirazzista (articolo 261 del Codice penale), ha spiegato oggi all'ats.

Dal canto suo il giornalista austriaco Klaus Kamolz ha sporto querela per istigazione al razzismo nel suo paese, dove la Weltwoche è pure distribuita. La denuncia va intesa come un "atto simbolico", ha detto all'ats facendo riferimento all'informazione pubblicata oggi da Bund e Tages-Anzeiger. Il settimanale diffonde "l'idea che l'intero popolo rom sia costituito di criminali".

Kamholz auspica che le autorità del suo paese prendano finalmente l'iniziativa dato che l'istigazione al razzismo ("Verhetzung" nel codice penale austriaco) per Vienna è un reato perseguito d'ufficio, ha detto. Il giornalista spera però che anche le autorità penali elvetiche si decidano a perseguire il settimanale.

Stando ad un'informazione pubblicata oggi sulla rete sociale Twitter una denuncia in relazione all'ultima edizione della Weltwoche sarebbe stata inoltrata anche in Germania.

L'immagine incriminata è stata realizzata dal fotografo italiano Livio Mancini, che sul suo sito internet spiega di averla scattata nel 2008 ai margini di una discarica non lontano dalla città di Gjakova, in Kosovo. Sul sito vivono varie famiglie rom e i bambini giocano tra i rifiuti.

L'illustrazione ha scioccato anche i giovani del Partito ecologista, che in una lettera aperta hanno manifestato la loro indignazione a Roger Köppel, redattore capo della Weltwochwe.

La fotografia indispone anche l'esperto di media Peter Studer, che sulle onde dell'emittente zurighese Radio 1 ne ha denunciato il carattere razzista. Studer precisa però che la pubblicazione è "molto ben documentata".

Philipp Gut, vice del caporedattore e coautore dell'articolo, fatica a capire il malumore sollevato dalla foto, ha indicato per iscritto all'ats. L'immagine simbolizza il fatto che "bande rom abusano dei loro bambini per scopi criminali".

Non è la prima volta che la Weltwoche è oggetto di denuncia. Nel 2009 la Gioventù socialista svizzera (GISO) aveva sporto una querela contro Köppel per violazione della norma antirazzismo. La GISO aveva giudicato illegali le affermazioni che il caporedattore aveva fatto attorno a islam e iniziativa "Contro l'edificazione di minareti". Il ministero pubblico zurighese ha archiviato il dossier poche settimane fa.

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Di Fabrizio (del 12/04/2012 @ 09:50:50, in Regole, visitato 1505 volte)

Da Roma_Daily_News

L'articolo completo è su Migrationonline.cz

Ai Rom cittadini comunitari è vietato chiedere asilo in un altro stato membro, ma questo potrebbe cambiare in futuro. Per dimostrare che i Rom dovrebbero essere trattati in modo più equo, l'articolo sottolinea il fatto che, secondo una recente decisione della Corte irlandese, negare l'istruzione ad un bambino rom, per la Convenzione di Ginevra è una forma di persecuzione (vedi QUI ndr)), cosa che potrebbe portare ad un interessante precedente.

I Rom in quanti cittadini provenienti da stati membri UE sono esclusi dalla possibilità di richiedere asilo in un altro stato membro. Il sistema di asilo UE su procedure, condizioni di accoglienza e direttiva sulle qualifiche che si applicano esclusivamente a paesi terzi. La logica alla base di ciò sarebbe che tutti gli stati membri seguono gli standard internazionali sui diritti umani e la non-discriminazione. Presunzione, però, che è andata distrutta in diversi contesti dal caso MSS (e confermato dal caso NS e ME, presentato alla Corte Europea di Giustizia), secondo cui i paesi membri UE non possono automaticamente presumere che gli standard dei diritti umani siano rispettati negli altri stati membri, quando si tratta di rimpatri, secondo il Regolamento di Dublino. Argomenti simili potranno ora essere usati dai Rom richiedenti asilo nella UE.

Inoltre, un recente caso irlandese avrebbe confermato che la negazione dell'istruzione primaria, secondo la Convenzione di Ginevra comporterebbe persecuzione. Situazioni simili possono ritrovarsi nella Repubblica Ceca, Slovacchia ed Ungheria.

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Di Fabrizio (del 13/04/2012 @ 09:38:58, in conflitti, visitato 1448 volte)

La Stampa Quattro mesi fa l'assalto alle baracche della Continassa. Le prime foto la ritraevano in lacrime. Ora lavora con i bimbi
09/04/2012 - MARIA TERESA MARTINENGO - TORINO

Andriana, al centro Vides Main delle Vallette, i bambini ormai la chiamano «maestra». Ogni pomeriggio pulisce, mette in ordine, fa giocare i piccoli mentre i fratelli grandi fanno i compiti e le madri chiacchierano nel salone. È una «maestra» con le trecce lunghe, la gonna colorata fino ai piedi. E la pazienza di chi di bimbi ne ha cresciuti parecchi e sa che cosa li fa divertire o annoiare. Andriana Tudor è la giovane mamma rom che la sera del rogo della Continassa, e nella desolazione dei giorni seguenti, è stata fotografata con la sua bellissima Maria tra le braccia davanti alle rovine dell'accampamento abitato da una cinquantina di persone.

Quando l'odio razzista è esploso come a Torino non era mai successo, Andriana si è nascosta dietro ad un cespuglio di rovi ed è rimasta lì per un tempo incalcolabile, con la mano premuta sulla bocca di Maria perché non piangesse. Perché gli esaltati che stavano appiccando il fuoco ad ogni baracca apparentemente abitata, non sentissero la loro presenza. In quel momento, la paura di Andriana era doppia: delle fiamme e di soffocare la sua bambina.

L'incubo che ritorna
«Uscite che vi bruciamo», sono le parole che le rimbombano nella testa. Quattro mesi dopo, questa donna di 29 anni sta entrando - assistita da uno psicologo - in un nuovo capitolo della sua vita. Attraverso la rete di solidarietà che si è creata intorno agli abitanti del campo, l'associazione Idea Rom e la Comunità di Sant'Egidio sono riusciti a darle la speranza di una svolta con un lavoro e una casa. «Ho sempre desiderato lavorare, uscire dal campo, dare una prospettiva di vita diversa ai miei figli. Ma non sapevo come fare, a chi rivolgermi», spiega Andriana nel salone delle Figlie di Maria Ausiliatrice, frequentato ogni pomeriggio da oltre cento bambini e ragazzi italiani e si origine straniera assistiti nello studio da educatori e volontari.

La solidarietà
«Paradossalmente, da un grande male è nato per qualcuno un po' di bene», dice Vesna Vuletic, presidente di Idea Rom, la mediatrice culturale che ha conosciuto Andriana subito dopo il rogo e non l'ha più abbandonata. La sera del 10 dicembre e nei giorni seguenti le famiglie della Continassa avevano ricevuto molta solidarietà espressa con numerose visite: il ministro Riccardi, l'arcivescovo, don Ciotti e don Fredo Olivero, padre Lucian Rosu, il rabbino capo, volontari di tante associazioni. La Comunità di Sant'Egidio è rimasta, insieme ad altre e ad alcuni singoli. «La Compagnia di San Paolo aveva dato immediatamente un contributo di cinquemila euro - ricorda Vesna Vuletic -: con la sottoscrizione pubblica curata e vigilata dal Centro Sereno Regis sono arrivati alla fine poco meno di novemila euro. Con questo denaro sono state assistite sette persone con contributi mensili, sono stati rifatti all'estero documenti andati distrutti, si è avviato l'inserimento lavorativo di Andriana». Ancora: «È stata la Comunità di Sant'Egidio a trovare, sul mercato, il monolocale dove Andriana spera di accogliere anche il più piccolo degli altri quattro figli che vivono in Romania. Nei prossimi giorni, poi, un'altra donna della Continassa dovrebbe entrare in una casa».

Diversi ma uguali
«Al lavoro - dice Andriana tutti mi trattano bene, nessuno fa caso ai miei vestiti. Sento che qui le persone mi accettano per quello che sono, per quello che posso dare». Nel salone dove i bambini mangiano le fette di pane e marmellata preparate da nonna Lucia, aggiunge: «Purtroppo tanta gente non si fida dei rom. Eppure, chi ci dà lavoro sa tutto di noi, ha i nostri documenti. Perché dovremmo tradire la sua fiducia, mettendoci nei guai da soli? Tanti giovani, vogliono fare una vita diversa da quella dei nostri genitori, sperano davvero di lavorare. A me piacciono i bambini, credo che sarei una brava baby sitter».

Ogni pomeriggio suor Carmela apre il centro che si popola via via di bambini che escono da scuola. Prima del loro arrivo, Andriana riordina. «I bambini la chiamano "maestra" - dice suor Carmela - ed è normale... Nessuno sottolinea le differenze: le Vallette sono cambiate da quando, vent'anni fa, noi suore siamo arrivate. Ora sono il mondo».

Il monolocale azzurro
Finito il lavoro, Andriana fa salire Maria sul passeggino e dopo un lungo viaggio in autobus, mamma e figlia ritornano nel minuscolo appartamento azzurro che la Comunità di Sant'Egidio ha trovato. «Per me è un po' strano vivere sola, ma col tempo, se potrò avere qui anche un altro dei miei figli, mi abituerò». «Noi di Sant'Egidio - racconta Daniela Sironi - siamo andati alla Continassa dopo aver appreso la notizia dell'incendio. Andriana era l'unica con una bambina così piccola. Occuparci di lei ci sembra una restituzione, saldare un debito che la città ha. Cerchiamo di farla uscire dalla marginalità: ce la può fare, ha volontà e intelligenza. La accompagneremo per il tempo necessario, il salto che deve fare è grande».

Trovare soluzioni
Giulio Taurisano di Idea Rom: «Anche altri possono sperare in una vita meno misera, sono tantissime le persone che chiedono di uscire dai campi. Eliminare i campi vorrebbe anche dire attenuare l'esasperazione dei residenti, perché è innegabile che un campo porti dei problemi. Oggi alla Continassa sono rimaste 19 persone, 19 che hanno rischiato di morire. Per loro non solo la società civile, ma anche il governo del territorio dovrebbe trovare soluzioni».

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Di Fabrizio (del 14/04/2012 @ 09:15:49, in Italia, visitato 1295 volte)

CivitaNews - di dr. Nazzareno Guarnieri

Nell'anno 2003 con altri amici abbiamo avviato il "progetto federazione" al quale abbiamo dedicato tempo e risorse personali per promuovere il suo sviluppo.

Con le iniziative del progetto federazione sono emerse con chiarezza le motivazioni che impediscono il perseguimento di obiettivi utili alla causa romanì italiana, e le difficoltà per una "riforma morale, intellettuale e politica" essenziale allo sviluppo della cultura romanì e alla partecipazione attiva e qualificata di rom e sinti.

Motivazioni e difficoltà anche per la partecipazione attiva di rom e sinti, in questi anni pessimamente interpretata e realizzata, ponendola al rischio di delegittimazione.

Motivazioni e difficoltà che mi hanno convinto alle dimissioni da presidente della Federazione romanì e ad abbandonare la stessa associazione per progettare, con alcuni amici, una radicale evoluzione del progetto federazione con la costituzione di una fondazione, denominata Fondazione romanì Italia con sede legale a Roma in Via Z. Fontana n. 220, per sostenere e/o realizzare azioni di sistema visibili ed utili alla causa romanì.

Una fondazione aperta, con le modalità previste dallo statuto, a tutti coloro che condividono le finalità e lo scopo.

Il materiale di comunicazione della fondazione è stato progettato da un'agenzia di comunicazione gestita da un giovane rom, ed è in corso di realizzazione.

Il 03 Maggio 2012 è stata programmata, a Roma, la presentazione pubblica della fondazione.

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Di Fabrizio (del 15/04/2012 @ 09:00:13, in conflitti, visitato 1434 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Sarajevo il 2 aprile, visto attraverso il foro di uno shrapnel di 20 anni fa
The New York Times Sarajevo delle tensioni permanenti - by EMMA DALY*

SARAJEVO, Bosnia and Herzegovina - Visitare un insediamento rom a nord di Sarajevo settimana scorsa è stato come tornare al tempo di guerra - cinque persone in piccola stanza, la legna accatastata in un angolo, la stufa in un altro, un consunto divano che serve da letto.

Elettricità fornita da un sistema improvvisato, una "finestra" di teli di plastica col logo dell'ONU e l'acqua fredda che scorre in un bagno comune. Ovviamente, niente armi e nessuna esplosione, ma una familiare litania di lamentele: "Non abbiamo cibo, lavoro, niente di niente."

La guerra che rese popolare il termine "pulizia etnica" iniziò 20 anni fa, quando i cecchini serbi  spararono contro pacifici manifestanti a Sarajevo. In poche settimane, la città fu assediata e le immagini televisive di europei che morivano scioccarono l'occidente - anche se non abbastanza da agire prima che fossero passati quasi quattro anni e decine di migliaia fossero i morti.

Ma nel 1995, ii leader delle fazioni in guerra si riunirono nella base militare USA di Dayton, Ohio, per concordare un accordo di pace che ponesse fine ai combattimenti - e condannando la Bosnia ad un futuro basato su politiche etniche.

Gran parte della città è stata ricostruita, anche se i segni dei proiettili e degli incendi ancora marcano come cicatrici strade ed edifici, come i parchi dove furono seppelliti i morti parlano del costo umano.

Nonostante la pace, la Bosnia Erzegovina rimane un paese profondamente diviso lungo linee etniche, basate non solo su dispute preesistenti, ma anche sulla separazione per etnie nella vita pubblica e politica. Secondo la costituzione del dopoguerra, i cittadini "costituenti" sono identificati in Bosgnacchi (conosciuti come Bosniaci musulmani durante la guerra), Croati e Serbi. Non c'è spazio per le minoranze di Bosnia.

Ho passato due anni a Sarajevo per trasmettere la guerra, e sono tornata settimana scorsa per il XX anniversario e lanciare il rapporto Human Rights Watch, "Cittadini di seconda classe" che precisa la discriminazione contro le minoranze nazionali, o "altri". Si pensa rappresentino sino al 5% dei 4 milioni di abitanti di Bosnia - soprattutto Rom, ma anche Ebrei, Ucraini ed altri originari dai paesi dell'est e sud-est Europa.

Molta di questa discriminazione deriva dalla costituzione del 1995, redatta in inglese dai negoziatori di pace americani, che ha istituito un sistema di governo basato sull'appartenenza etnica e che esclude questi gruppi dalle alte cariche politiche.

I Rom, che sono di gran misura la più grande minoranza nazionale in Bosnia Erzegovina,  soffrono sproporzionalmente questa discriminazione etnica. La discriminazione diretta contro i Rom presente nella struttura politica, rafforza la discriminazione indiretta cui spesso si trovano di fronte nell'accesso a sevizi come alloggio, cure sanitarie, istruzione ed impiego.

"Durante la guerra era dura per tutti," dice Muljo Fafulic, che gestisce un'organizzazione rom. "Nessuno aveva cibo o elettricità, si viveva nella paura, eravamo tutti nello stesso fango. Oggi non è così, ma per i Rom le condizioni rimangono davvero difficili."

Di certo non sono solo le minoranze a vivere ancora come rifugiati - circa 5.600 degli oltre 100.000 rimanenti sfollati rimangono in centri collettivi squallidi ed angusti, assistiti dall'ONU. In un quartiere periferico di Sarajevo, tenuto dai Serbi durante la guerra ed ora parte dell'entità "Repubblica Serba" all'interno della Bosnia, incontriamo dei Serbi di Sarajevo che ancora non sono tornati nelle loro case d'anteguerra, ad un paio di chilometri di distanza.

Una donna che vive in una stanza con i suoi genitori e i due bambini, sarebbe felice di andare nel settore bosniaco-croato, se trovasse un appartamento e un lavoro, cosa non facile quando il tasso nazionale di disoccupazione viaggia sul 40%.

"Non avrei problemi a vivere in un quartiere misto - sono nata a Sarajevo e prima della guerra non sapevamo chi fosse cosa," dice. "Questa è la Bosnia Erzegovina, un unico paese."

Secondo la costituzione, non ci sono "Bosniaci". Ma provate a dirlo a chi proviene da matrimoni misti o non vuole essere etichettato come Bosgnacco, Croato o Serbo, perché non crede nelle politiche etniche.

Jakob Finci, Ebreo, e Dervo Sejdic, Rom, (vedi QUI ndr) hanno provato a candidarsi alle alte cariche, ma sono stati rigettati su base etnica ed hanno portato il caso alla Corte Europea dei Diritti Umani. Il tribunale ha riconosciuto che l'esclusione politica delle minoranze nazionali costituisce un'illegittima discriminazione etnica. Nonostante questa sentenza del 2009, la costituzione non è stata cambiata.

Sarajevo appare certamente come una moderna città europea, nuove torri di vetro, ingorghi e luccicanti centri commerciali si mischiano con le strade acciottolate dei vecchi quartieri ottomani e lo splendore austro-ungarico. C'e persino un evento del tipo Occupy Sarajevo, una manciata di tende piantate di fronte all'edificio del parlamento, dove furono sparati i primo colpi della guerra 20 anni fa.

E' un raduno dei veterani di tutte e tre le fazioni combattenti, alcuni ancora in uniforme, uniti in una protesta comune per chiedere le pensioni che furono loro promesse per il loro servizio in tempo di guerra. Un segno di speranza, è uno dei pochi luoghi in Bosnia dove tutte le parti lavorano assieme. Ma finché la Bosnia non riscriverà la sua costituzione per togliersi le etichette etniche, sarà dura vedere come si riunirà il resto del paese.

Emma Daly is communications director at Human Rights Watch. She covered the war in Sarajevo for the Independent.

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Di Fabrizio (del 16/04/2012 @ 09:34:24, in Kumpanija, visitato 2884 volte)

La provincia pavese - Casteggio, sinti da tutto il Nord Italia per i funerali del leader di Piazzale Europa di Anna Ghezzi

CASTEGGIO. Sinti ce n'erano almeno ottocento a riempire la piazza della chiesa di Casteggio, ma tra loro anche i pavesi - e non solo - che con Paolo Casagrande hanno lavorato, condiviso un pezzo di strada, progettato nuove sfide per far vivere il campo di piazzale Europa e l'integrazione con la città. Le serate di conoscenza, i progetti per i più piccoli, lui era il contatto con istituzioni e le associazioni.

Settanta corone di fiori rossi, bianchi, gialli, viola, arancio da cui, nel corteo lunghissimo, verso il cimitero, sono stati tolti i fiori, e gettati per terra, secondo la tradizione. Cappelli tradizionali,secchi di petali che le ragazze gettavano in terra al passaggio del feretro di paolo Casagrande, 52 anni, diretto successore della regina Mafalda e leader del campo nomadi di piazzale Europa. È morto potando un albero pericolante sopra la roulotte della suocera, lasciando nello sconforto tutta la comunità.

La chiesa piena, i bambini del campo vestiti da chierichetti sull'altare a cantare sulle note della chitarra dell'amico Davide Gabrieli di Trento. Sull'altare c'era don Vittorio Pisotti, parroco del Sacro Cuore: «È il nostro parroco - spiega Aurora Casagrande, la decana della famiglia, sorella di Paolo - ci vuole bene. Ha celebrato tutti i nostri funerali». Da lui un saluto commosso: «Era una persona così attenta, così piena di fede. Lascia un ricordo speciale, era sempre disponibile ad aiutare prima di tutto la sua comunità, ma non solo». A fianco di fra Franco Marocchi di Canepanova anche padre Rafaelangel Radice: «Con Paolo, chiunque arrivasse al campo era accolto come un fratello», ricorda il frate, che ora è a Busto Arsizio ma spesso tornava a Pavia. C'era anche don Massimo Mostioli, una figura di riferimento: «È uno di noi, parla la nostra lingua», raccontano amici e parenti. All'uscita dalla chiesta un corteo di fiori e canti, la musica della banda di Noceto (Parma) che scandiva il ritmo con canzoni funebri alternati a canti popolari come "Rose rosse per te". Fino al cimitero: davanti alla bara la foto di Paolo con Papa Benedetto XVI, la lettera di saluto inviata al campo dopo l'incontro a Roma. E poi la corona di rose screziate con il nome con cui lo conoscevano tutti i sinti: Zito.

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