Di Fabrizio (del 16/11/2010 @ 09:35:04, in Italia, visitato 2460 volte)
Antefatto: alla fine del mese scorso diversi giornali
pubblicano la notizia di una ragazzina rapita in Kosovo per essere data in sposa
a Rom che risiedono in Italia nel campo di Coltano (PI). Su Internet ho trovato
la bellezza di
82 articoli, e neanche uno che abbia sentito il bisogno di ascoltare anche
il parere dei diretti interessati. Non per avvallare aprioristicamente la loro
versione, ma per quello che tuttora si chiama "diritto di cronaca". Grazie ad
Agostino Rota Martir, ecco cos'hanno detto:
Questa sera c'è stata la conferenza stampa al campo Rom di Coltano
(PI) sulla vicenda della "sposa-bambina", in seguito alla
campagna discriminatoria e diffamante portata avanti con ferocia, sopratutto
dal Tirreno di Pisa, non ancora finita (ovviamente il Tirreno non era
presente, perché ha ritenuto inutile ascoltare la voce Rom).
E' stato un bel momento perché i Rom finalmente hanno potuto parlare,
raccontare, far sentire la loro voce..una conferenza stampa voluta e gestita
solo da loro, non dalle Associazioni presenti, ma in disparte!
Che ha sorpreso anche i pochi giornalisti presenti, increduli pure loro per
la piega presa dell'intera vicenda, di come è stata presentata dalla stessa
stampa di fronte alle prove inconfutabili di decine e decine di foto e del
racconto stesso dei Rom.
Ciao Ago
Coltano, Pisa, 15 Novembre 2010
Noi come nomadi, nella nostra tradizione di rom, noi da 2000 anni sposiamo i
nostri figli da giovani, di 14, 15, 16, 17 e 18 anni. Per prima cosa noi
conosciamo i genitori della ragazza e dopo, se i ragazzi sono d'accordo,
cominciano a vedersi oppure (se sono lontani) a conoscersi attraverso il
computer, e dopo alcuni mesi facciamo il fidanzamento. Se i ragazzi non sono
d'accordo, non è mai successo tra i nomadi che si sono fatti sposare con la
forza. I ragazzi si sposano se si piacciono, se non si piacciono non succede
nulla e le famiglie cercano un altro sposo e un'altra sposa.
Non siamo gente che prendiamo ragazze con la forza, perché come famiglia
vogliamo che i ragazzi si vogliano bene e vogliamo rimanere in buoni rapporti
con l'altra famiglia.
Quando una ragazza si sposa, la madre della ragazza sceglie una donna di sua
fiducia, spesso la moglie del sacerdote musulmano, che deve rimanere accanto
alla futura sposa, per stare con lei, prepararla al matrimonio, rassicurarla e
assisterla, e anche testimoniare della sua verginità per i suoi genitori. Questa
è nostra tradizione di matrimonio: è una tradizione di cui tutti i rom sono
consapevoli, e che ogni persona rom accetta liberamente. La nuora entra nella
nuova famiglia, e diventa una nuova figlia, da lei si avranno nipoti e
pronipoti, le si vuole bene come una figlia. Le due famiglie diventano come
parenti perché nascono i bambini e il sangue si mischia.
Le cose che abbiamo letto sui giornali non sono vere e ci hanno colpito. Non
sappiamo perché la ragazza ha detto queste cose. Noi vogliamo bene a questa
ragazza, abbiamo fiducia in lei e nella sua famiglia che siamo parenti da trenta
anni, non crediamo a quello che abbiamo letto sui giornali, vogliamo che la
ragazza possa dire la verità. Lo stesso giorno che è successa questa cosa è
stata presa un'altra ragazza minorenne, sposata con un ragazzo del campo, e ora
non sappiamo dove sia finita neppure lei.
Ora con queste cose che si sono lette sui giornali per noi è diventata una
vergogna andare a giro, tutte le genti pensano male di noi rom. Già prima tante
persone ci giudicavano male, adesso per noi è diventato difficile andare a
scuola, andare a lavorare, andare a fare la spesa perché la gente ci giudica e
ci guarda male. Questo succede perché la gente legge le cose che si dicono ma
non conosce le nostre tradizioni. Proviamo vergogna anche rispetto ad altri rom.
Chiediamo all'Italia di avere coscienza che le nostre usanze non sono solo
nostre. Se provano a ricordare, anni fa anche nelle famiglie di italiani c'erano
queste usanze, cioè matrimoni tra persone giovani, matrimoni combinati tra
famiglie, si considerava importante la verginità e tante altre cose simili.
09/11/2010 - Le autorità ungheresi hanno "mancato di registrare, indagare,
perseguire e punire tutti i reati razzialmente motivati contro i Rom," ha
dichiarato oggi Amnesty International.
Il gruppo per i diritti umani chiede all'amministrazione del Primo Ministro
ungherese Viktor Orban di indagare a fondo sui tutti i violenti attacchi a
sfondo razziale contro i Rom e fornire accesso alla giustizia alle vittime.
Uno studio di Amnesty sui violenti attacchi contro i Rom in Ungheria rivela
come le carenze del sistema giudiziario ungherese ostacolino la prevenzione e la
risposti a questi attacchi.
La legge ungherese sancisce l'incitamento all'odio ed ai crimini razziali.
Invece il numero di rinvii a giudizio e di condanne per attacchi a sfondi
razziali appare basso, rispetto al numero di segnalazioni di queste azioni
raccolte dalle OnG.
La polizia ungherese ha affermato che ci sono stati 12 attacchi a sfondo
razziale nel 2008 contro le comunità rom e sei nel 2009. L'OnG ha registrato 25
attacchi nel 2009 e 17 nel 2008.
Amnesty sottolinea il caso di Robert Cs, 27 anni, e suo figlio di quattro
anni, entrambe colpiti a morte mentre tentavano di scappare dalla loro casa che
era stata data alle fiamme da una molotov nel villaggio di Tatarszentgyorgy alle
prime ore del mattino del 23 febbraio 2009.
Anche se sono stati uditi i colpi, inizialmente la polizia aveva trattato il
caso come un incidente.
L'attivista senior Nicola Duckworth di Amnesty, ha dichiarato: "Le mancate
registrazioni, indagini, prosecuzioni e punizioni dei reati a sfondi razziali e
dei rimedi alle vittime, sta spingendo le comunità rom a lasciare l'Ungheria."
"Le autorità ungheresi hanno il dovere di prevenire la discriminazione ed
assicurare la giustizia alle vittime dei crimini d'odio. Ciò include l'obbligo
di indagare se l'odio o il pregiudizio razziali o etnci abbiano giocato un ruolo
in questo o altri attacchi simili."
Jobbik, il terzo partito nel parlamento ungherese, ha cercato di spostare la
rabbia diffusa per i tagli UE e FMI e per la disoccupazione, sui Rom.
La TV di stato ha mandato in onda uno spot di Jobbik che etichetta come
"parassiti" tanto i grandi banchieri che i "criminali zingari".
Tra gennaio 2008 e agosto 2009, i Rom in Ungheria sono stati oggetto di una
serie di attacchi molotov e sparatorie, col bilancio di sei morti e diversi
feriti gravi.
Tra le vittime una coppia sulla quarantina, un anziano, un padre con suo
figlio di 4 anni e una madre con la figlia di 13 anni.
Caritas, presentato il XX rapporto sull’immigrazione
La Caritas Migrantes diffonde il XX rapporto sull’immigrazione. Cinque milioni
di stranieri incidono per l’11,1 per cento sul Pil italiano. Peccato che per i
Paesi industrializzati "siano visti ancora come problema"...
Bisogna avere il coraggio di dire: basta!
Silvio Berlusconi: "E' meglio essere appassionato di belle ragazze che gay",
questa è l’ultima volgarità che infiamma il dibattito in Italia. Alcune
settimane fa Bossi ha chiamato “porci” i romani, il Senatore Ciarrapico si è
chiesto se Fini abbi...
Slovacchia, Rom: quale futuro senza istruzione?
Amnesty International lancia un appello alle autorità affinché ogni bambino
abbia un'istruzione senza discriminazione. Migliaia bambine e bambini rom in
Slovacchia non ricevono la stessa istruzione dei loro coetanei non rom, perché
ven...
Il puro e l'impuro
Più volte mi hanno chiesto se avessi un dio in cui credere. So bene quanto sia
importante per certe persone riconoscersi in una fede, in una religione, ma so
anche che le religioni e le fedi possono portare all’intolleranza, al se...
Milano, il ruolo della comunicazione nella formazione del pregiudizio antizigano
La Federazione Rom e Sinti Insieme e l’associazione Upre Roma, nell’ambito della
Campagna “Dosta!”, invitano a un dibattito pubblico con il ministro per le Pari
Opportunità e il direttore del Corriere della Sera, giovedì 18 novembre alla
Casa della Cultura di Milano, in via Borgogna 3...
Praga, 10/11/2010 - I gruppi dei diritti umani hanno comunicato mercoledì di
aver presentato una denuncia alla UE, accusando il governo ceco del mancato
rispetto di una sentenza del tribunale, che interrompeva l'immissione di
migliaia di bambini rom in salute nelle scuole per disabili mentali.
Il governo è finito sotto un fuoco accresciuto negli ultimi giorni per il
terzo anniversario della sentenza del 13 novembre 2007 della Corte Europea dei
Diritti Umani. Il Consiglio d'Europa, osservatorio pan-europeo sui diritti
umani, dovrà esaminare il 30 novembre i progressi del paese.
La Repubblica Ceca ha mancato verso i bambini rom, dicono i gruppi dei
diritti umani in una dichiarazione.
I bambini rom nella Repubblica Ceca "hanno continuato ad essere deviati in
scuole sotto gli standard e classi per disabili mentali," ha detto James A.
Goldston, direttore esecutivo della Open Society Justice Initiative, che si è
aggiunta alla denuncia di European Roma Rights Center and del Greek
Helsinki Monitor.
Ha aggiunto che i funzionari UE dovrebbero chiedere il termine della
segregazione dei bambini rom, ed entro sei mesi adottare misure finanziarie e
legali per aiutarli.
Il mancato rispetto della sentenza del tribunale potrebbe portare ad un nuovo
procedimento giudiziario ed eventuali multe o sanzioni.
Il ministro dell'istruzione Josef Dobes ha difeso il proprio governo,
sostenendo che gli emendamenti alla legislazione che proibirebbero di educare
bambini sani alle stesse condizioni dei disabili mentali, dovrebbero essere
presentati al governo entro la fine del gennaio 2011. Non è chiaro quando
diventerebbero effettivi.
La legislazione dovrebbe "assicurare pari accesso all'istruzione nelle nostre
scuole, e con ciò concordo pienamente," ha detto. Ma ha aggiunto che il suo
ministero era ancora in attesa delle reazioni da parte delle autorità regionali
e degli esperti.
Secondo Amnesty International, [...] i Rom costituirebbero l'80% degli
studenti nelle scuole ceche per disabili mentali. I Rom sono una delle più
grandi, povere e a maggior tasso di crescita minoranze d'Europa. Si stimano che
dai 7 ai 9 milioni vivano nella Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria
ed altri paesi.
"Siamo particolarmente preoccupati per questo terzo anniversario dove il
ministero dell'istruzione sembra aver rinunciato ad ogni pretesa di riformare il
sistema," ha detto Robert Kushen, direttore esecutivo dell'European Roma Rights
Center di Budapest.
Kushen ha detto che la situazione nella Repubblica Ceca "non è unica".
In due altri casi distinti, la corte ha sentenziato che i bambini romanì
affrontano un simile tipo di discriminazione in Grecia e Croazia, ha detto
Kushen, aggiungendo che sono mandati in scuole speciali anche in Slovacchia,
Serbia, Ungheria, Bulgaria e Romania e che persino la Spagna ha "un grave
livello di segregazione".
[...] Amnesty International ha detto in un rapporto che le autorità ungheresi
dovrebbero indagare sugli attacchi a sfondo razziale contro i Rom, e che i Rom
vittime di violenti attacchi spesso mancano di accesso ai servizi di sostegno
per affrontare il loro dolore e altri problemi [vedi
QUI ndr].
"I Rom sono sovra-indagati come potenziali criminali e sotto-indagati come
possibili vittime," ha concluso Nicola Duckworth, direttore regionale di Amnesty
International.
A settembre, i pubblici ministeri hanno nuovamente denunciato quattro uomini
sospettati di aver effettuato una serie di attacchi contro i Rom in diversi
villaggi ungheresi, durante i quali sono state uccise sei persone, ma i cui casi
devono essere ancora portati in tribunale.
Di Fabrizio (del 19/11/2010 @ 09:52:21, in Italia, visitato 1882 volte)
Ricevo da Agostino Rota Martir
E' dura, ma non ci si può arrendere, perché è fondamentale per tutti, non
solo per i Rom ma per tutti noi, riuscire a tenere alta la guardia, anche se
sappiamo di essere in pochi a lottare contro una "macchina del fango" collaudata
e che continua a vomitarlo sopratutto sui rom, con l'intento di manipolare e
condizionare l'opinione pubblica, ma non solo questa... e falsare
deliberatamente la realtà dei fatti.
Ieri mattina (16 Novembre) sull'autobus di linea Livorno-Pisa una mamma rom
di Coltano, viene aggredita verbalmente dai passeggeri presenti, la sua colpa è
di essere Rom e del campo Rom di Coltano, ormai visto dall'opinione pubblica
pisana come luogo infamante e di degrado culturale e umano.
Qualche settimana fa anche in un Centro Caritas vicino ad Ardenza (LI) che
distribuisce abiti, si ripete più o meno la stessa scena, con un'altra donna Rom
di Coltano.
Non vengono nemmeno risparmiati i bambini Rom a scuola, visti e indicati a dito
dai loro compagni come gente pericolosa... bambini che tornano a casa piangendo
e con la tristezza sui loro volti.
Trovare un idraulico disposto a fare dei lavori all'interno del Villaggio, è
un'impresa non certo facile: prevale il timore, la paura di finire chissà
come... oppure il rifiuto come principio.
Penso che la redazione di Il Tirreno di Pisa potrà gioiosamente brindare, per
aver raggiunto lo scopo prefissato, e finalmente premiare la loro giornalista di
punta, C. V. per essere riuscita a creare il clima giusto, di rivolta nei
confronti della comunità Rom di Coltano. Ognuno fa le sue scelte: meglio avere
una città feroce verso i Rom che sondare, confrontare per cercare di capire la
verità dei fatti, come farebbe un serio cronista. Scelte redazionali: tutto in
nome "dell'integrazione" ovviamente, "siamo una testata aperta, democratica e
tollerante", che sa utilizzare, quando è necessario anche la giusta dose di
persecuzione, pur di delegittimare il popolo Rom. Recentemente, alcuni studiosi
e ricercatori non hanno esitato di usare il termine "genocidio", in nome della
sicurezza portata avanti oggi, anche all'interno dei Tribunali minorili in
Italia in materia Rom: "Dalla tutela al genocidio?" (ed. CISU, 2010)
Anche i servizi sociali del comune di Pisa sembrano allinearsi ed adattarsi
perfettamente a questa campagna a senso unico. E' preoccupante il silenzio di
quei operatori che conoscono a sufficienza la realtà dei fatti, e l'infondatezza
delle gravi accuse. Hanno avuto modo di vedere la "bambina sposa", forse anche
di parlarci insieme, di vederla serena e libera di muoversi all'interno del
campo. Con gli stessi indagati, ancora in carcere hanno lavorato insieme,
mangiato insieme, gli hanno aperto le porte di casa loro, hanno anche raccontato
le loro difficoltà, a volte hanno pure litigato insieme. Sono quegli stessi
operatori che non tanto tempo fa, di fronte ai tagli previsti dal comune
riguardante il settore sociale, non hanno esitato a manifestare e protestare per
far valere l'importanza di lavorare per "l'integrazione dei Rom", per non
perdere il cammino fatto finora a fianco dei Rom di Coltano... allora
manifestavano per non perdere un lavoro o una occupazione, che può essere
sacrosanto! Perché ora non sanno (o non vogliono) esprimere un loro parere su
questa vicenda? Il loro silenzio grida forte e lo si sente eccome tra le dimore
dei Rom! Perché si dovrebbe riconoscere la loro professionalità solo quando il
posto di lavoro è minacciato da possibili tagli?
Questa vicenda rivela anche la totale mancanza di autonomia da parte di tanti
soggetti attivi nel sociale e pone degli interrogativi molto seri anche sulle
finalità dichiarate di tanti Progetti Rom: migliorare la condizione sociale,
culturale ed economica di rom!?
Al fango i rom, in genere sono abituati, quello dei campi e del nuovo
villaggio... dobbiamo tutti temere invece il fango del pregiudizio,
dell'intolleranza e del razzismo che sta montando senza alcun argine, che decima
senza pietà delle intere famiglie Rom, e che non sa dare spazio al punto di
vista diverso dal nostro, fino a negare il diritto di voce e la loro presunzione
di innocenza. Quando la verità dei fatti sarà accertata sapremo riconoscere il
fango nauseabondo che forse sta anche dentro di noi o abbiamo imparato troppo
rapidamente a conviverci comodamente?
Di Fabrizio (del 20/11/2010 @ 09:37:37, in scuola, visitato 2314 volte)
Segnalazione di Stefano Pasta
Buongiorno,
Sono una mamma milanese, abito al quartiere Feltre, ho tre figli, una libera
professione che mi impegna molto, un marito, una casa; la mia vita insomma, come
tante altre donne milanesi, sempre un po' trafelata e con l'impressione di aver
poco tempo per tutto.
Sabato 20 novembre, insieme ad altre mamme e maestre del mio quartiere,
festeggerò in maniera speciale questa data, da tutti conosciuta come la giornata
dei diritti dei bambini, perché è l'inizio della storia che qui racconto.
ANTEFATTO
Tutto nasce due anni fa nel campo rom di via Rubattino, una vera e propria
favela cresciuta ed autorganizzatasi in un ex centrale Enel abbandonata, nella
nostra zona. Le famiglie di rom romeni sono molte, moltissimi i bambini in età
scolare che a scuola non vanno.
Vista la stabilità del campo la Comunità di Sant'Egidio, che da anni segue la
comunità rom, prende l'iniziativa ed iscrive una decina di bambini nelle tre
scuole della zona: le scuole primarie Toti, Morante e Munari.
Per i bambini è la prima volta nelle scuole dei "gagè", sconosciuti e temuti.
Per le famiglie italiane del quartiere è il primo incontro con i bimbi rom e con
le loro famiglie, altrettanto sconosciute e temute.
Questa semplice esperienza da subito sovverte i pregiudizi. Ci aspettiamo
bambini particolarmente problematici, arrivano invece bambini preoccupati e
timorosi ma che in breve tempo vengono a scuola con contentezza. I bambini rom
hanno nomi, storie, sorrisi e dopo qualche mese si sentono parte dell'esperienza
scolastica legandosi alle classi e alle maestre.
In seconda con mia figlia arrivano due gemelline, Cristina e Florina. Il
primo giorno di scuola piangono spaventate. Viene inviato un bambino romeno a
dir loro che non devono aver paura, la scuola è un bel posto.
Alla recita di Natale di quel primo anno scolastico le vedo felici ed
emozionate sul palco che richiamano l'attenzione dei loro genitori mentre
cantano.
L'anno scolastico si conclude, i bambini sono ben inseriti. I genitori rom
arrivano a prendere le pagelle a scuola eleganti e rispettosi. Sono contenti di
poter mandare a scuola i loro figli.
Molti di loro non sanno né scrivere né leggere e si sentono ciechi, come ci
raccontano.
L'anno scolastico successivo inizia con molti altri bambini rom che vengono a
scuola: nelle tre scuole ce ne sono una trentina. Sono arrivati fratellini e
cugini. La scuola è un bel posto.
LO SGOMBERO DEL 19 NOVEMBRE SCORSO
Ma nel novembre scorso arriva lo sgombero della favela dove ormai vivono quasi
trecento persone. E' pieno inverno, manca un mese a Natale e sono le giornate in
cui in Comune si celebra con gran enfasi la dichiarazione dei diritti
dell'infanzia. Lo sgombero viene effettuato senza nessun ragionamento né
percorso previsto a tutela dell'esperienza scolastica dei minori del campo.
Quel mattino sono in studio, so dello sgombero. Apro le pagine on line dei
quotidiani milanesi ed iniziano a scorrere sotto i miei occhi le foto. Vedo
Cristina e Florina, gli occhi coperti dalla striscetta nera, piangenti accanto
alla loro mamma, con gli zainetti di scuola in spalla.
In quel momento mi rendo conto che quei bambini non potranno più venire a
scuola.
Per un mese settanta bambini, alcuni piccolissimi, e le loro famiglie vivono
dormendo per strada, ovunque, qui in zona, senza neanche più il tetto di una
baracchina sulla testa. Molti spariscono per mesi. A scuola non viene più
nessuno di loro per settimane.
Un gruppo di genitori italiani e di maestre rimangono sconvolti davanti ad
una così plateale violenza. Questi bambini sono naturalmente bambini come i
nostri, ma di fatto non possono più venire a scuola perché poveri e figli di
senza tetto.
Molte famiglie vengono ospitate nei giorni più freddi dai compagni di classe
italiani e dalle maestre. Le associazioni umanitarie fanno appelli ad una
moratoria degli sgomberi per soccorrere le famiglie più provate. Le istituzioni
cittadine tacciono o addirittura rispondono sprezzanti.
NASCE IL VINO R.O.M.
Nei mesi successivi abbiamo lavorato per ricucire il più possibile di questa
esperienza frantumata e per sostenere le famiglie dei bambini che a fatica e con
tenacia sono tornati a frequentare le nostre scuole nonostante una vera e
propria persecuzione li cacciasse ogni poche settimane da un rifugio ad un
altro. Sempre le stesse famiglie, sempre gli stessi angoli abbandonati di città
dove si nascondevano. Sgomberi costosissimi senza nessun risultato. Cosa si
sperava di ottenere, che sparissero? Per sottrarre queste famiglie alla
indicibile povertà in cui vivono bisogna tendere loro una mano per trarli dal
fango. Non continuare a spezzare i legami che possono aiutarli ad iniziare un
percorso di integrazione.
Con l'appoggio del Gas Feltre, un gruppo di acquisto di zona, e di Intergas,
genitori e maestre hanno ideato un' iniziativa di raccolta fondi per sostenere
con borse di studio e lavoro le famiglie di questi bambini: la vendita del vino
R.O.M. (Rosso di Origine Migrante) messo a disposizione da un viticoltore
toscano la cui cooperativa aveva in comune con i rom una storia di sgomberi.
Il vino R.O.M. ha incontrato tantissima solidarietà e le sottoscrizioni hanno
consentito di approntare le prime borse lavoro e borse di studio. La Comunità di
Sant'Egidio ci ha seguito in ogni passaggio e ci ha supportato con la sua
esperienza nell'intraprendere percorsi di integrazione e di autonomia per le
persone rom che vivono senza tetto in Italia.
BORSE LAVORO, BORSE DI STUDIO, INSERIMENTI ABITATIVI ED AMICIZIE Durante l'anno che si conclude domani, con le nostre poche forze di semplici
cittadini, il nostro poco tempo, ed i pochi soldi raccolti abbiamo coinvolto
circa dieci famiglie rom di bimbi che vengono nelle nostre scuole in percorsi di
reinserimento lavorativo (tre papà ed una mamma), ripresa di percorsi scolastici
(tre fratelli adolescenti frequentano "scuole bottega" dove imparano un lavoro),
uscita dal campo di quattro famiglie che sono riuscite ad andare a vivere in
casa. E poi le merende fuori da scuola, le feste di compleanno insieme,
l'affetto ed il sostegno nei momenti più duri, che lo scorso inverno sono stati
tantissimi. Quanto freddo nelle tende sotto la neve o cercando vestiti asciutti
nel campo allagato per mandare i bambini a scuola.
CONCLUSIONE
Sono una mamma milanese come tante altre, che un anno fa, insieme ad un manipolo
di genitori e maestre di buona volontà, nell'affanno delle nostre vite
quotidiane, si è detta intimamente "io no" davanti all'espulsione di bambini
poveri da scuola, l'unica possibilità per loro di un futuro diverso.
Mi guardo indietro e quasi incredula vedo quanta strada abbiamo fatto tutti
insieme quest'anno.
Credo che un giorno gli amministratori cittadini saranno chiamati a
rispondere dell'aver scientemente e deliberatamente tanto distrutto (con
centinaia di migliaia di euro dei cittadini spesi inutilmente negli sgomberi)
quando, con pochi soldi e la sola volontà di farlo, si è potuto e si può
costruire tanto nella direzione della giustizia e di un migliore futuro per
tutti.
Di Fabrizio (del 21/11/2010 @ 09:23:25, in Kumpanija, visitato 1745 volte)
Inviato da Patrizia Ciuferri 18 Novembre, 2010
"… in classe è venuto il mediatore culturale, Graziano e ci ha spiegato le
diverse usanze tra Roma e italiani. Io sono sinto e le mie usanze sono ancora
diverse, perché sono mezze zingare. Questo argomento mi è piaciuto perché per
una volta hanno parlato di una cosa che mi riguarda e per questo mi sono sentito
importante…" Daniele (ragazzo sinto)
E' con queste parole, testimonianza di un ragazzo di etnia sinti, che si apre il
sito dell'associazione di promozione sociale, Romà Onlus, nata nel 2008 (www.romaonlus.it).
La mission di Romà Onlus che riunisce soci rom (in maggioranza) e
non rom, è
quella di promuovere gli aspetti positivi della cultura rom e la capacità dei
Rom di interagire con la collettività attraverso la riscoperta e la
valorizzazione della storia e delle loro tradizioni., nonché la loro
partecipazione attiva e propositiva alla vita sociale.
Attraverso la conservazione della memoria e della storia dei rom, lo scopo
dell'associazione è sostenere il processo di integrazione dei Rom per mezzo di
progetti e attività volte a promuovere l' all'accrescimento spirituale,
politico, sociale della comunità Rom e Sinti nei vari ambiti dell'istruzione,
della consapevolezza culturale, della mediazione sociale e culturale, del
sostegno all'impiego.
Impegnata nel sostegno all'istruzione e nel tutoraggio finalizzato all'accesso
all'istruzione superiore e alla creazione di luoghi di aggregazione per
adolescenti di origine rom, Romà Onlus è anche volta alla promozione e allo
sviluppo di attività no-profit come fattore di coesione sociale, impegno civico,
emancipazione delle donne rom, diffusione dei valori di pace e cittadinanza
attiva, contrasto alla discriminazione e all'esclusione sociale.
Lo staff di Romà Onlus si avvale di un nutrito gruppo di professionisti tra cui
mediatori linguistici e interculturali, registi e progettisti specializzati nel
reinserimento sociale di giovani in difficoltà e nella realizzazione di
corsi di
formazione.
Tra i molteplici servizi messi a disposizione dell'associazione, laboratori che
spaziano dall'intercultura alla gastronomia, passando per l'arte, il cinema
digitale e la lavorazione del rame. Attraverso le molteplici professionalità
presenti nello staff di cui si avvale l'associazione, Romà Onlus ha elaborato
una serie di attività volte a incentivare l'integrazione e il dialogo reciproco
tra bambini e ragazzi rom e non, attività estive per bambini e ragazzi,
interventi di mediazione culturale nelle scuole, formazione per insegnanti,
tutoraggio e accompagnamento all'istruzione superiore.
Allo scopo di favorire la partecipazione e la cittadinanza attiva dei rom, è
nata Rete Rom, che promuove a livello locale il coordinamento Rom a Roma,
essendo anche fondatrice della Federazione Romanì e, a livello internazionale,
membri di Ternype, fondata nel gennaio 2010 da diverse organizzazioni Rom
giovanili provenienti da Albania, Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia,
Slovacchia, Spagna e Polonia.
Nell'ambito di un progetto per un Istituto di cultura Rom, un angolo dedicato
all'approfondimento della cultura rom, chiamato Romanipé, una sezione web
dedicato alle pillole di approfondimento sulla cultura, la storia e la lingua
del popolo rom.
Romà Onlus, in collaborazione con Stalker – Osservatorio Nomade ha inoltre
ideato e realizzato Romano Hapé, il catering di cucina romanes che nasce con
l'idea di raccontare la diversità culturale attraverso il cibo e la gastronomia
e di creare un momento di condivisione in cui le donne rom e le giovani
partecipanti possano scambiarsi pratiche e saperi.
Visto l'enorme successo, tale progetto si è proposto e si propone come catering
per occasioni pubbliche e private. Ha visto coinvolti gli studenti dello IED –
Istituto Europeo di Design, che hanno messo a disposizione le loro conoscenze
per pensare, insieme alle giovani donne rom, un piano di presentazione e
comunicazione attraverso blog, volantini e al packaging dei piatti preparati.
Da allora il Romano Hapè ha preso parte a numerose iniziative pubbliche quali il
Primo Congresso Nazionale della Federazione Rom e Sinti, l'edizione 2009 del
Festival Internazionale di Fotografia di Roma.
Contatti:
Romà Onlus Via Altavilla Irpina, 34/36
00177 Roma
Tel 0664829795
Fax 0664829795 info@romaonlus.it
Ennesimo sgombero a Segrate. Per Cristina, la bimba nomade di dieci anni
di cui una maestra ha parlato a "Vieni via con me", è lo sgombero numero
diciassette.
Un momento dello sgombero del 18 novembre, a
Segrate.
La mattina del 18 novembre, sotto una pioggia battente e implacabile, polizia e
carabinieri hanno sgomberato gli 80 rom rumeni che abitavano in via Fermi, a
Segrate, ricco comune alla periferia est di Milano. Qui, seguiti dalla Comunità
di Sant’Egidio, 14 bambini andavano regolarmente a scuola, 15 uomini lavoravano
con contratto regolare nell’edilizia e 4 adolescenti, dopo anni di dispersione
scolastica, avevano intrapreso un percorso di avviamento professionale. Marius,
a 17 anni, è passato dall’elemosina a un corso di idraulica e a un tirocinio per
riparare le tubature di molte case milanesi. Ora l’ennesimo sgombero mette a
rischio questi passi concreti verso l’integrazione.
Il 18 novembre non è solo la data dello sgombero di via Fermi: è anche il
diciassettesimo sgombero subito da Cristina, 10 anni, in un solo anno. Quando
nel settembre 2008 abitava al campo di via Rubattino, Cristina ha iniziato a
frequentare la quarta elementare. Nell’ultimo anno, a causa degli sgomberi, ha
perso molti giorni dell’anno scolastico e ha dovuto cambiare tre scuole. La sua
famiglia è molto povera; per questo, e non certo per scelta, ha una baracchina
al posto della casa. Quando uno sgombero rade al suolo anche quella, rimangono i
cavalcavia o un telo di plastica fissato su dei legni. Ha provato a vivere anche
sottoterra, sgomberata anche da lì. Cosa perde Cristina ad ogni sgombero?
Giocattoli? No, non ne possiede. Vestiti? Ben pochi. Perde invece un riparo dal
freddo e dalla pioggia, la bombola e il fornello che le consentono di mangiare
qualcosa di caldo.
Ma perde anche le sue radici: il luogo dove tornare e che riconosce come "casa",
gli amici rom, che si disperderanno, gli amici italiani, da ritrovare ogni
giorno a scuola, le maestre che l'aspettano per accompagnarla a scuola, quella
scuola che le consentirà un giorno di essere una cittadina al pari degli altri,
di essere rispettata, di comprendere e difendersi. La maestra Flaviana Robbiati
aveva letto l’elenco degli sgomberi subiti da Cristina durante la trasmissione
Vieni via con me di Fazio e Saviano. Dice: “Don Lorenzo Milani sostiene che chi
conosce mille parole è più libero di chi ne conosce cento. É forse per questo
che oggi si sgombera Cristina? Per impedirle di essere domani libera e con una
dignità riconosciuta e rivendicata? Intanto, ancora oggi, si è svegliata con i
lampeggianti blu della polizia.”
I diciassette sgomberi subiti da Cristina in un anno danno un volto al caso
zingari, all’emergenza nomadi. Il rifiuto degli zingari è diffuso negli ambienti
più diversi, criminalizza un piccolo popolo sostanzialmente indifeso. In nome
della preoccupazione per la sicurezza dei cittadini, lo zingaro diventa spesso
la personificazione del male. Ma il caso zingari ci pone di fronte a una domanda
decisiva, quella del modo in cui vogliamo vivere. Avere un nemico facilmente
identificabile può perfino essere rassicurante, ma dobbiamo sapere che spesso ha
il volto di Cristina.
Le famiglie di via Fermi sono una parte dei rom che da un anno, con costi
enormi, sono alternativamente respinte dall’area di via Rubattino (Milano) e da
Segrate. Si sceglie ripetutamente lo strumento dello sgombero, effettuato in
assenza di reali proposte alternative, sgomberando per sgomberare, per poi
lasciare rioccupare la medesima zona e ricorrere successivamente, con clamore
mediatico, a un ulteriore allontanamento. Quando illusoriamente si parla dei
luoghi sgomberati come “restituiti alla città” o “liberati”, si dimentica spesso
che i rom sono uomini, donne, anziani, bambini, soprattutto bambini.
Elenco degli sgomberi subiti da Cristina, 10 anni, Rom
19 novembre 2009: sgomberata del campo di via Rubattino
20 novembre 2009: sgomberata da un edificio abbandonato a Segrate
21 novembre 2009: sgomberata da un capannone fatiscente sotto la tangenziale di Rubattino
2 febbraio 2010: sgomberata da via Siccoli
4 febbraio: sgomberata da Quarto Oggiaro, torna a Segrate in un capannone
24 febbraio: sgomberata da via Carlo Reale
25 febbraio: sgomberata da via Bovisasca
10 marzo: sgomberata dall'area di via Durando.
6 aprile: sgomberata da Segrate.
7 settembre 2010: sgomberata dell'area ex Innocenti di via Rubattino. È la
stessa area da cui era stata sgomberata dieci mesi prima.
8 settembre 2010: sgomberata da via delle Regioni a Redecesio (Segrate).
9 settembre 2010: dorme per strada in zona Lambrate, ma al mattino è
allontanata.
10 settembre 2010: allontanata dal ponte della tangenziale di Rubattino.
21 ottobre 2010: sgomberata del campo di via Umbria a Redecesio (Segrate).
22 ottobre 2010: allontanata da un parcheggio nelle vicinanze dell’ospedale
Sacco.
23 ottobre 2010 – 27 ottobre 2010: Cristina e la sua famiglia dormono in vari
punti della città (Bovisa, Lambrate, …) e sono allontanati tutti i giorni.
18 novembre 2010: sgomberata da via Fermi a Segrate.
Che il popolo zigano (rom e sinti, in particolare) sia stato vittima
dell'Olocausto nazista nella Seconda guerra mondiale è cosa relativamente nota.
Ma, al contrario di quanto avvenuto per lo sterminio degli ebrei e persino degli
omosessuali (pensiamo al magnifico Bent) non ha avuto grande rappresentazione
cinematografica. Strano che a cogliere il testimone sia un regista (ma prima
ancora, musicista. Ci tiene a sottolinearlo) come Tony Gatlif, conosciuto nel
mondo della settima arte come "il principe degli zigani", francese di origini
algerine, premi Cesar per la musica dei suoi Gadjo dilo e Demone flamenco,
migliore regia a Cannes nel 2004 per il bellissimo Exils. In questi giorni è a
Roma, ospite del Medfilm, Festival del cinema mediterraneo, dove porta in
concorso il suo Freedom, canto di libertà sulla deportazione zigana nella
Francia di Vichy.
Come mai ci ha messo tanto tempo a fare un film sull'Olocausto zigano, popolo
che da sempre è protagonista del suo cinema? Eppure era un tema rimasto
scoperto... Da quando ho iniziato a fare cinema ho pensato di realizzare un film sulla
persecuzione nazista del popolo gitano. Ma sono un cineasta libero, moderno, mi
piace lasciare libera la camera e non amo per nulla le sofisticazioni né
tantomeno le ricostruzioni. L'Olocausto richiedeva per forza di cose una
ricostruzione e questo mi ha frenato a lungo. Se non ci fosse stata l'urgenza di
parlarne, probabilmente non lo avrei fatto nemmeno ora.
E l'urgenza le è venuta dalle scelte di espulsione di Sarkozy ? Ho iniziato a pensare a questo film tre anni fa, quando nulla in Francia era
ancora successo, ma si sentiva che i tempi erano maturi, e che si sarebbe
arrivati a scelte estreme. Volevo fare un film che parlasse di un passato capace
di fare da forte eco nel presente.
Vuol dire che c'è un parallelo tra la Francia di Vichy e quella di oggi? Assolutamente no. Voglio però dire che oggi in Francia si respira un'aria da
anni Trenta, cioè di quegli anni che vengono prima dello scoppio della guerra,
quando si gettano le basi per quello che sarebbe successo.
La Francia, come l'Italia, ha al momento le politiche tra le più dure in
Europa verso le minoranze etniche. Ci sono dei motivi specifici che legano i due
paesi in questa intolleranza? Bisogna dire che prima dell'inasprimento di questa estate, la Francia è
stata in realtà molto tollerante con il popolo gitano. Ci sono situazioni ben
peggiori in Romania, ma anche in Slovacchia o in Ungheria. E gli inasprimenti
non dipendono mai dai popoli, ma dai governi che li guidano. Quando la politica
ha bisogno di capri espiatori, i gitani funzionano sempre.
Ad essere sinceri, rispetto al popolo zigano, francesi e italiani danno
spesso il "meglio" della loro intolleranza... Per quanto riguarda la Francia, che conosco meglio dell'Italia, a favore
della politica di espulsione di Sarkozy è il 55% della popolazione, contro il
45% più tollerante. Una percentuale che va benissimo, è normale che sia così.
Perché normale? Anzi, mi permetta di chiedere, cosa è che rende così
difficile "il vicinato" con il popolo zigano? Prima di tutto bisogna sottolineare che il popolo dei gitani è europeo al
cento per cento. Sono in questo continente da sempre, dal tempo degli ottomani,
da quando le province dovevano ancora formarsi. C'è un problema di convivenza,
di vicinato diciamo, è vero. Ma il problema non sta nel popolo gitano,
estremamente tollerante verso gli altri. Piuttosto nel popolo dei sedentari, nel
popolo gadjo. E' questo che andrebbe psicanalizzato per cercare le ragioni di
tanto odio.
Un'eccezione in Europa è rappresentata dalla Grecia, dove rom e sinti vivono
senza grandi difficoltà. la Grecia è una terra frastagliata, fatta di migliaia di isole, e non ha una
struttura industriale forte. Insomma, è una terra con meno regole dove i gitani
si muovo liberamente, lavorando a stagione da isola a isola e fornendo un
servizio itinerante molto apprezzato dai greci.
In "Freedom" racconta la storia di un piccolo gruppo di zingari arrestati e
internati durante il loro viaggio per i villaggi francesi dove un tempo andavano
tranquillamente a vendemmiare. Sceglie di non mostrare lo sterminio
direttamente, ma in modo laterale, attraverso le conseguenze quotidiane della
repressione. L'Olocausto è un tema complesso da trattare e, appunto, io non amo un cinema
statico, di ricostruzione. Anche se qui ho dovuto comunque ricostruire ambienti,
costumi, oggetti, abitudini. Però ho cercato di manenere al massimo il mio
spazio di libertà, per me e per la camera.
La musica di solito ha una parte preponderante nel suo lavoro, qui l'ha
lasciata più al servizio delle immagini e del racconto. Perché quest'ultimo, il racconto appunto, era più importante e voleva il suo
spazio. Ho dovuto quindi creare una musica che semplicemente sottolineasse gli
eventi. Mentre di solito la uso proprio come forma primaria di racconto delle
emozioni. Ma anche in questo film c'è un momento in cui si capisce cos'è la
musica per il popolo zigano. Quando trasformano la canzoncina fascista Marechal
nous voilà in una allegra ballata. Senza intenti denigratori, solo perché per
loro la musica è viva ed è capace di trasformare la realtà.
A proposito:ricordo ai milanesi e dintorni, che stasera alle 21 si
proietterà SWING di Toni Gatlif, al circolo Arci Martiri di Turro in via
Rovetta 14. Ingresso libero con tessera ARCI
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