Segnalazione di Stefano Pasta
Buongiorno,
Sono una mamma milanese, abito al quartiere Feltre, ho tre figli, una libera
professione che mi impegna molto, un marito, una casa; la mia vita insomma, come
tante altre donne milanesi, sempre un po' trafelata e con l'impressione di aver
poco tempo per tutto.
Sabato 20 novembre, insieme ad altre mamme e maestre del mio quartiere,
festeggerò in maniera speciale questa data, da tutti conosciuta come la giornata
dei diritti dei bambini, perché è l'inizio della storia che qui racconto.
ANTEFATTO
Tutto nasce due anni fa nel campo rom di via Rubattino, una vera e propria
favela cresciuta ed autorganizzatasi in un ex centrale Enel abbandonata, nella
nostra zona. Le famiglie di rom romeni sono molte, moltissimi i bambini in età
scolare che a scuola non vanno.
Vista la stabilità del campo la Comunità di Sant'Egidio, che da anni segue la
comunità rom, prende l'iniziativa ed iscrive una decina di bambini nelle tre
scuole della zona: le scuole primarie Toti, Morante e Munari.
Per i bambini è la prima volta nelle scuole dei "gagè", sconosciuti e temuti.
Per le famiglie italiane del quartiere è il primo incontro con i bimbi rom e con
le loro famiglie, altrettanto sconosciute e temute.
Questa semplice esperienza da subito sovverte i pregiudizi. Ci aspettiamo
bambini particolarmente problematici, arrivano invece bambini preoccupati e
timorosi ma che in breve tempo vengono a scuola con contentezza. I bambini rom
hanno nomi, storie, sorrisi e dopo qualche mese si sentono parte dell'esperienza
scolastica legandosi alle classi e alle maestre.
In seconda con mia figlia arrivano due gemelline, Cristina e Florina. Il
primo giorno di scuola piangono spaventate. Viene inviato un bambino romeno a
dir loro che non devono aver paura, la scuola è un bel posto.
Alla recita di Natale di quel primo anno scolastico le vedo felici ed
emozionate sul palco che richiamano l'attenzione dei loro genitori mentre
cantano.
L'anno scolastico si conclude, i bambini sono ben inseriti. I genitori rom
arrivano a prendere le pagelle a scuola eleganti e rispettosi. Sono contenti di
poter mandare a scuola i loro figli.
Molti di loro non sanno né scrivere né leggere e si sentono ciechi, come ci
raccontano.
L'anno scolastico successivo inizia con molti altri bambini rom che vengono a
scuola: nelle tre scuole ce ne sono una trentina. Sono arrivati fratellini e
cugini. La scuola è un bel posto.
LO SGOMBERO DEL 19 NOVEMBRE SCORSO
Ma nel novembre scorso arriva lo sgombero della favela dove ormai vivono quasi
trecento persone. E' pieno inverno, manca un mese a Natale e sono le giornate in
cui in Comune si celebra con gran enfasi la dichiarazione dei diritti
dell'infanzia. Lo sgombero viene effettuato senza nessun ragionamento né
percorso previsto a tutela dell'esperienza scolastica dei minori del campo.
Quel mattino sono in studio, so dello sgombero. Apro le pagine on line dei
quotidiani milanesi ed iniziano a scorrere sotto i miei occhi le foto. Vedo
Cristina e Florina, gli occhi coperti dalla striscetta nera, piangenti accanto
alla loro mamma, con gli zainetti di scuola in spalla.
In quel momento mi rendo conto che quei bambini non potranno più venire a
scuola.
Per un mese settanta bambini, alcuni piccolissimi, e le loro famiglie vivono
dormendo per strada, ovunque, qui in zona, senza neanche più il tetto di una
baracchina sulla testa. Molti spariscono per mesi. A scuola non viene più
nessuno di loro per settimane.
Un gruppo di genitori italiani e di maestre rimangono sconvolti davanti ad
una così plateale violenza. Questi bambini sono naturalmente bambini come i
nostri, ma di fatto non possono più venire a scuola perché poveri e figli di
senza tetto.
Molte famiglie vengono ospitate nei giorni più freddi dai compagni di classe
italiani e dalle maestre. Le associazioni umanitarie fanno appelli ad una
moratoria degli sgomberi per soccorrere le famiglie più provate. Le istituzioni
cittadine tacciono o addirittura rispondono sprezzanti.
NASCE IL VINO R.O.M.
Nei mesi successivi abbiamo lavorato per ricucire il più possibile di questa
esperienza frantumata e per sostenere le famiglie dei bambini che a fatica e con
tenacia sono tornati a frequentare le nostre scuole nonostante una vera e
propria persecuzione li cacciasse ogni poche settimane da un rifugio ad un
altro. Sempre le stesse famiglie, sempre gli stessi angoli abbandonati di città
dove si nascondevano. Sgomberi costosissimi senza nessun risultato. Cosa si
sperava di ottenere, che sparissero? Per sottrarre queste famiglie alla
indicibile povertà in cui vivono bisogna tendere loro una mano per trarli dal
fango. Non continuare a spezzare i legami che possono aiutarli ad iniziare un
percorso di integrazione.
Con l'appoggio del Gas Feltre, un gruppo di acquisto di zona, e di Intergas,
genitori e maestre hanno ideato un' iniziativa di raccolta fondi per sostenere
con borse di studio e lavoro le famiglie di questi bambini: la vendita del vino
R.O.M. (Rosso di Origine Migrante) messo a disposizione da un viticoltore
toscano la cui cooperativa aveva in comune con i rom una storia di sgomberi.
Il vino R.O.M. ha incontrato tantissima solidarietà e le sottoscrizioni hanno
consentito di approntare le prime borse lavoro e borse di studio. La Comunità di
Sant'Egidio ci ha seguito in ogni passaggio e ci ha supportato con la sua
esperienza nell'intraprendere percorsi di integrazione e di autonomia per le
persone rom che vivono senza tetto in Italia.
BORSE LAVORO, BORSE DI STUDIO, INSERIMENTI ABITATIVI ED AMICIZIE
Durante l'anno che si conclude domani, con le nostre poche forze di semplici
cittadini, il nostro poco tempo, ed i pochi soldi raccolti abbiamo coinvolto
circa dieci famiglie rom di bimbi che vengono nelle nostre scuole in percorsi di
reinserimento lavorativo (tre papà ed una mamma), ripresa di percorsi scolastici
(tre fratelli adolescenti frequentano "scuole bottega" dove imparano un lavoro),
uscita dal campo di quattro famiglie che sono riuscite ad andare a vivere in
casa. E poi le merende fuori da scuola, le feste di compleanno insieme,
l'affetto ed il sostegno nei momenti più duri, che lo scorso inverno sono stati
tantissimi. Quanto freddo nelle tende sotto la neve o cercando vestiti asciutti
nel campo allagato per mandare i bambini a scuola.
CONCLUSIONE
Sono una mamma milanese come tante altre, che un anno fa, insieme ad un manipolo
di genitori e maestre di buona volontà, nell'affanno delle nostre vite
quotidiane, si è detta intimamente "io no" davanti all'espulsione di bambini
poveri da scuola, l'unica possibilità per loro di un futuro diverso.
Mi guardo indietro e quasi incredula vedo quanta strada abbiamo fatto tutti
insieme quest'anno.
Credo che un giorno gli amministratori cittadini saranno chiamati a
rispondere dell'aver scientemente e deliberatamente tanto distrutto (con
centinaia di migliaia di euro dei cittadini spesi inutilmente negli sgomberi)
quando, con pochi soldi e la sola volontà di farlo, si è potuto e si può
costruire tanto nella direzione della giustizia e di un migliore futuro per
tutti.
Bianca Zirulia