Che il popolo zigano (rom e sinti, in particolare) sia stato vittima
dell'Olocausto nazista nella Seconda guerra mondiale è cosa relativamente nota.
Ma, al contrario di quanto avvenuto per lo sterminio degli ebrei e persino degli
omosessuali (pensiamo al magnifico Bent) non ha avuto grande rappresentazione
cinematografica. Strano che a cogliere il testimone sia un regista (ma prima
ancora, musicista. Ci tiene a sottolinearlo) come Tony Gatlif, conosciuto nel
mondo della settima arte come "il principe degli zigani", francese di origini
algerine, premi Cesar per la musica dei suoi Gadjo dilo e Demone flamenco,
migliore regia a Cannes nel 2004 per il bellissimo Exils. In questi giorni è a
Roma, ospite del Medfilm, Festival del cinema mediterraneo, dove porta in
concorso il suo Freedom, canto di libertà sulla deportazione zigana nella
Francia di Vichy.
Come mai ci ha messo tanto tempo a fare un film sull'Olocausto zigano, popolo
che da sempre è protagonista del suo cinema? Eppure era un tema rimasto
scoperto... Da quando ho iniziato a fare cinema ho pensato di realizzare un film sulla
persecuzione nazista del popolo gitano. Ma sono un cineasta libero, moderno, mi
piace lasciare libera la camera e non amo per nulla le sofisticazioni né
tantomeno le ricostruzioni. L'Olocausto richiedeva per forza di cose una
ricostruzione e questo mi ha frenato a lungo. Se non ci fosse stata l'urgenza di
parlarne, probabilmente non lo avrei fatto nemmeno ora.
E l'urgenza le è venuta dalle scelte di espulsione di Sarkozy ? Ho iniziato a pensare a questo film tre anni fa, quando nulla in Francia era
ancora successo, ma si sentiva che i tempi erano maturi, e che si sarebbe
arrivati a scelte estreme. Volevo fare un film che parlasse di un passato capace
di fare da forte eco nel presente.
Vuol dire che c'è un parallelo tra la Francia di Vichy e quella di oggi? Assolutamente no. Voglio però dire che oggi in Francia si respira un'aria da
anni Trenta, cioè di quegli anni che vengono prima dello scoppio della guerra,
quando si gettano le basi per quello che sarebbe successo.
La Francia, come l'Italia, ha al momento le politiche tra le più dure in
Europa verso le minoranze etniche. Ci sono dei motivi specifici che legano i due
paesi in questa intolleranza? Bisogna dire che prima dell'inasprimento di questa estate, la Francia è
stata in realtà molto tollerante con il popolo gitano. Ci sono situazioni ben
peggiori in Romania, ma anche in Slovacchia o in Ungheria. E gli inasprimenti
non dipendono mai dai popoli, ma dai governi che li guidano. Quando la politica
ha bisogno di capri espiatori, i gitani funzionano sempre.
Ad essere sinceri, rispetto al popolo zigano, francesi e italiani danno
spesso il "meglio" della loro intolleranza... Per quanto riguarda la Francia, che conosco meglio dell'Italia, a favore
della politica di espulsione di Sarkozy è il 55% della popolazione, contro il
45% più tollerante. Una percentuale che va benissimo, è normale che sia così.
Perché normale? Anzi, mi permetta di chiedere, cosa è che rende così
difficile "il vicinato" con il popolo zigano? Prima di tutto bisogna sottolineare che il popolo dei gitani è europeo al
cento per cento. Sono in questo continente da sempre, dal tempo degli ottomani,
da quando le province dovevano ancora formarsi. C'è un problema di convivenza,
di vicinato diciamo, è vero. Ma il problema non sta nel popolo gitano,
estremamente tollerante verso gli altri. Piuttosto nel popolo dei sedentari, nel
popolo gadjo. E' questo che andrebbe psicanalizzato per cercare le ragioni di
tanto odio.
Un'eccezione in Europa è rappresentata dalla Grecia, dove rom e sinti vivono
senza grandi difficoltà. la Grecia è una terra frastagliata, fatta di migliaia di isole, e non ha una
struttura industriale forte. Insomma, è una terra con meno regole dove i gitani
si muovo liberamente, lavorando a stagione da isola a isola e fornendo un
servizio itinerante molto apprezzato dai greci.
In "Freedom" racconta la storia di un piccolo gruppo di zingari arrestati e
internati durante il loro viaggio per i villaggi francesi dove un tempo andavano
tranquillamente a vendemmiare. Sceglie di non mostrare lo sterminio
direttamente, ma in modo laterale, attraverso le conseguenze quotidiane della
repressione. L'Olocausto è un tema complesso da trattare e, appunto, io non amo un cinema
statico, di ricostruzione. Anche se qui ho dovuto comunque ricostruire ambienti,
costumi, oggetti, abitudini. Però ho cercato di manenere al massimo il mio
spazio di libertà, per me e per la camera.
La musica di solito ha una parte preponderante nel suo lavoro, qui l'ha
lasciata più al servizio delle immagini e del racconto. Perché quest'ultimo, il racconto appunto, era più importante e voleva il suo
spazio. Ho dovuto quindi creare una musica che semplicemente sottolineasse gli
eventi. Mentre di solito la uso proprio come forma primaria di racconto delle
emozioni. Ma anche in questo film c'è un momento in cui si capisce cos'è la
musica per il popolo zigano. Quando trasformano la canzoncina fascista Marechal
nous voilà in una allegra ballata. Senza intenti denigratori, solo perché per
loro la musica è viva ed è capace di trasformare la realtà.
A proposito:ricordo ai milanesi e dintorni, che stasera alle 21 si
proietterà SWING di Toni Gatlif, al circolo Arci Martiri di Turro in via
Rovetta 14. Ingresso libero con tessera ARCI