Di Fabrizio (del 03/09/2011 @ 09:52:56, in media, visitato 1449 volte)
Qualche anno fa, suggerii ad un amico un
testo (che avevo a mia volta trovato in un altro blog) del keniano Binyavanga Wainaina. Per un po' di tempo avevo usato quel pezzo per descrivere la
difficoltà di interessare i lettori raccontando la realtà al posto degli
stereotipi. La stessa persona a cui l'avevo suggerito, mi segnala che la rivista
Internazionale ha provveduto a fornirne una versione in italiano. Buona
lettura.
Come scrivere d'Africa
Nel titolo, usate sempre le parole "Africa", "nero", "safari". Nel sottotitolo,
inserite termini come "Zanzibar", "masai", "zulu", "zambesi", "Congo", "Nilo",
"grande", "cielo", "ombra", "tamburi", "sole" o "antico passato". Altre parole
utili sono "guerriglia", "senza tempo", "primordiale" e "tribale".
Mai mettere in copertina (ma neanche all'interno) la foto di un africano ben
vestito e in salute, a meno che quell'africano non abbia vinto un Nobel. Usate,
piuttosto, immagini di persone a torso nudo con costole in evidenza. Se proprio
dovete ritrarre un africano, assicuratevi che indossi un abito tipico masai,
zulu o dogon.
Nel testo, descrivete l'Africa come se fosse un paese caldo, polveroso con
praterie ondulate, animali e piccoli, minuscoli esseri umani denutriti. Oppure
caldo e umido, con popolazione di bassa statura che mangia scimmie. Non
perdetevi in descrizioni accurate, l'Africa è grande: cinquantaquattro nazioni e
novecento milioni di persone troppo impegnate a soffrire la fame, morire,
combattere o emigrare per aver tempo di leggere il vostro libro.
Il continente è pieno di deserti, giungle, altipiani, savane e molti altri
paesaggi, ma questo non interessa ai vostri lettori. Fate delle descrizioni
romantiche, evocative, senza esagerare con i dettagli.
Ricordatevi di dire che gli africani hanno la musica e il ritmo nel sangue, e
che mangiano cose che nessun altro uomo è in grado di mangiare. Non citate mai
riso, carne e grano: preferite, tra i piatti tipici del continente nero,
cervello di scimmia, capra, serpente, vermi, larve e ogni sorta di selvaggina. E
ricordatevi anche di aggiungere che voi siete riusciti a mangiare questi cibi e
anzi che avete imparato a farveli piacere.
Soggetti vietati: scene di vita quotidiana, amore tra africani,
riferimenti a scrittori o intellettuali, cenni a bambini scolarizzati che non
soffrano di framboesia, Ebola o abbiano subìto mutilazioni genitali. Nel libro
adottate un tono di voce sommesso e ammiccante con il lettore e un tono triste,
alla "era esattamente quello che mi aspettavo".
Chiarite subito che il vostro progressismo è senza macchia e dite quanto amate
l'Africa e come vi sentite in armonia con quella terra e anzi, non potete
viverne lontani. L'Africa è l'unico continente che si può amare: approfittatene!
Se siete uomini, descrivete le torride foreste vergini. Se siete donne, parlate
dell'Africa come di un uomo in giubbotto multitasche che sparisce nel tramonto.
L'Africa è da compatire, adorare o dominare. Ma qualsiasi punto di vista
scegliate, assicuratevi di dare l'impressione che senza il vostro intervento
l'Africa sarebbe spacciata.
I vostri personaggi possono essere guerrieri nudi, servitori reali, indovini,
sciamani e vecchi saggi che vivono in splendidi eremi. O ancora politici
corrotti, guide turistiche incapaci e poligame o prostitute che avete
frequentato. Il servitore reale deve avere l'atteggiamento di un bambino di
sette anni, bisognoso di una guida, che teme i serpenti e vi trascina di
continuo in oscuri complotti. Il vecchio saggio discenderà sempre da una nobile
tribù, i suoi occhi saranno cisposi e lui sarà vicino al cuore della madre
terra.
L'africano d'oggi è un grassone che lavora (e ruba) all'ufficio visti e nega
permessi di lavoro agli esperti occidentali, che hanno davvero a cuore il bene
del continente. È un nemico dello sviluppo, che ostacola gli africani buoni e
competenti che vorrebbero creare organizzazioni non governative e riserve
protette. Oppure è un intellettuale che ha studiato a Oxford ed è diventato un
serial killer di politici in doppiopetto: è un cannibale a cui piace lo
champagne di marca e sua madre è una ricca maga e guaritrice.
Non dimenticatevi di inserire nel libro la donna africana denutrita che vaga
seminuda nel campo dei rifugiati aspettando la carità dell'occidente: i suoi
figli hanno le mosche sugli occhi e gli ombelichi tondi e lei ha le mammelle
vuote e cadenti. Deve sembrare bisognosa e non deve avere né un passato né una
storia (qualsiasi digressione smorzerebbe la tensione drammatica).
Si deve lamentare ma non deve spendere una parola per sé, tranne i riferimenti
alla sua sofferenza. Inserite anche una figura femminile materna e sollecita,
dalla risata forte, che si occupa di voi e del vostro bene e chiamatela
semplicemente Mama. I suoi figli saranno tutti delinquenti.
Tutti questi personaggi dovrebbero far da contorno al vostro eroe,
aiutandolo a sembrare migliore. È lui che li può istruire, lavare, sfamare. Si
occupa di moltissimi bambini e ha visto la morte. Il vostro eroe siete voi (se
si tratta di un reportage), oppure un generoso aristocratico (o vip) straniero
pieno di fascino tragico, che ormai si è dedicato ai diritti degli animali (se
il vostro libro è di narrativa).
Tra i personaggi occidentali cattivi ci devono essere i figli dei ministri
conservatori al governo, gli afrikaners, gli impiegati della Banca mondiale.
Quando parlate dello sfruttamento esercitato dagli stranieri, citate i
commercianti cinesi e indiani e, in generale, accusate l'occidente per la
situazione del continente africano.
Cercate però di non entrare troppo nello specifico. I ritratti rapidi e
approssimativi vanno benissimo. Evitate che gli africani ridano, o educhino i
loro bambini, e non ritraeteli in circostanze frivole. Fategli dire qualcosa
d'interessante sull'impegno europeo o statunitense nel continente. I personaggi
africani dovrebbero essere pittoreschi, esotici, più grandi della vita, ma vuoti
dentro, senza contrasti, conflitti e scelte nelle loro esistenze, nessuna
profondità o desideri che confondano le idee.
Descrivete nel dettaglio i seni nudi, i genitali sottoposti a mutilazione e
quelli di grosse dimensioni. E i cadaveri. O, meglio ancora, i cadaveri nudi. E
soprattutto i cadaveri nudi in putrefazione. Ricordatevi: qualsiasi opera in cui
la gente africana sembri miserevole e ripugnante sarà vista come l'Africa
"vera", ed è proprio questo che volete sulla copertina del vostro libro. Non
fatevi troppi scrupoli in proposito: state cercando di aiutare il continente
chiedendo aiuto agli occidentali.
Il massimo tabù quando si scrive di Africa è descrivere la sofferenza e
la morte di un bianco. Anche gli animali devono essere ritratti in modo
complesso e articolato. Parlano e hanno nomi, ambizioni e desideri. Sono anche
bravi genitori: "Vedete come i leoni istruiscono i figli?", gli elefanti sono
altruisti, le femmine sono vere matriarche e i maschi dei dignitosi capibranco.
E lo stesso per i gorilla: non dite mai niente di negativo sugli elefanti o sui
gorilla. Difendeteli sempre, anche quando invadono terre coltivate, distruggono
raccolti e uccidono gli uomini. Descrivete i grandi felini con enfasi. Le iene
invece sono un bersaglio consentito e devono avere un vago accento
mediorientale.
Qualunque piccolo africano che viva nella giungla o nel deserto va descritto
sempre di buon umore. Dopo gli attivisti vip e i volontari, in Africa le persone
più importanti sono quelle che si battono per la tutela dell'ambiente. Non
offendetele. Avete bisogno che v'invitino nelle loro riserve da diecimila metri
quadrati, perché è l'unico modo a vostra disposizione per incontrare e
intervistare gli attivisti vip.
Mettere in copertina l'immagine di uno (o una) che si batte per l'ambiente, con
l'aria intrepida e lo sguardo ispirato, funziona benissimo in libreria e vi farà
vendere un sacco. Chi può essere considerato così? Be', qualsiasi bianco,
abbronzato, con vestiti tinta kaki, che almeno una volta abbia accudito un
antilope o possegga un ranch è uno (o una) che sta cercando di tutelare il ricco
patrimonio naturale dell'Africa. Quando l'intervistate, non fate domande sul
denaro; non chiedete quanti soldi ne ricava. Soprattutto, evitate qualsiasi
riferimento alla paga che dà ai suoi lavoranti.
Se vi dimenticate di citare la luce africana, i vostri lettori rimarranno
stupiti. E i tramonti. Il tramonto africano è d'obbligo. È sempre grande e rosso
e il cielo è vastissimo. Gli enormi spazi aperti e gli animali da cacciare sono
i punti focali. L'Africa è la terra degli enormi spazi aperti. Quando descrivete
la flora e la fauna, ricordatevi di dire che l'Africa è sovrappopolata.
Invece, quando il vostro protagonista si trova nel deserto o nella giungla in
mezzo agli indigeni è bene avvisare il lettore che l'Africa è stata spopolata
dall'aids e dalla guerra. Vi servirà anche un nightclub chiamato Tropicana dove
s'incontrano i mercenari, i malvagi parvenu indigeni, le prostitute, i
guerriglieri e gli esuli. In ogni caso, chiudete il vostro libro con Nelson
Mandela che dice qualcosa sugli arcobaleni e sulle speranze di rinascita. Perché
voi ci tenete.
Binyavanga Wainaina uno scrittore e giornalista keniano. Ha vinto il
Caine prize for african writing.
Di Fabrizio (del 23/09/2011 @ 09:55:35, in media, visitato 1331 volte)
Fotografie di Ippolita Franciosi Inaugurazione venerdì 30 settembre alle 18.30 con le danze rom "Ciceko" di
Afrim e Julfidana Beizaku - Cafè de la paix in piazzetta Corelli 24
FERRARA dal 30 settembre al 9 ottobre h. 18-24
Dopo la guerra del Kosovo negli anni '90 i Rom sono stati costretti a fuggire:
spostandosi con loro incontreremo i quartieri rom distrutti a Pristina, i
villaggi dove ora risiedono, le feste rituali in Macedonia, dove molti Rom sono
rifugiati e l'attaccamento alla propria cultura nella vita quotidiana in Italia,
in provincia di Ferrara.
Saranno esposte anche le fotografie dei piccoli fotografi che hanno
frequentato i laboratori fotografici in Kosovo e in Italia.
Di Fabrizio (del 24/09/2011 @ 09:24:57, in media, visitato 2244 volte)
Innanzitutto mi scuso con i lettori abituali: in queste settimane sto
seguendo ed elaborando quasi unicamente le notizie che arrivano da Dale Farm e
sono anche preso da urgenze milanesi, così non ho più tempo per le solite
traduzioni su quanto avviene fuori dall'Italia.
Tra i fatti più importanti che ho letto ma non ho riferito:
in Repubblica Ceca da fine mese scorso c'è stata una recrudescenza di
manifestazioni e atti di violenza da parte di associazioni e partiti
paranazisti locali, principalmente nel nord del paese. Di fronte al rischio
di vedersi sfuggire totalmente la situazione di mano, la polizia ceca sta
operando arresti di massa negli ambienti della destra estrema (anche 41 in
una volta sola);
in Ungheria sta facendo molto discutere il piano governativo di
"assicurare" un lavoro obbligatorio ai Rom disoccupati, pena la perdita dei
benefici sociali. A qualcuno ricorda i primi anni del New Deal di Roosevelt,
ma già ci sono polemiche sulle condizioni di lavoro e sulle paghe e si parla
di "lavori forzati";
per terminare, la conferenza dei sindaci a Strasburgo lo scorso 22
settembre. L'ho seguita poco, perché sin dall'inizio mi ha dato
l'impressione dell'ennesima passerella dei soliti noti (se riesco, vedrò di tradurre il discorso di Thomas Hammarberg).
Quanto a Dale Farm, vi sto scrivendo giovedì 22 settembre,
oggi sono a Bolzano e senza accesso al computer. Ieri è scaduto il rinvio
imposto dal giudice allo sgombero di lunedì scorso, dovreste quindi avere già
aggiornamenti su cosa è successo.
Mi limito a fare un bilancio di come i media hanno trattato la
vicenda:
Bene Sky news, più di parte la BBC (niente comunque a che
vedere con gli obbrobri che abitualmente trasmettono i nostri TG).
Riguardo alla stampa, The Guardian si conferma di una spanna
superiore ai concorrenti.
Vergognosi il Daily Mail, The Sun e la stampa locale dell'Essex
in generale: allarmisti, diffamatori e pieni di dichiarazioni smentite
regolarmente dagli interessati; se tutto ciò non bastasse, mettiamoci anche le provocazioni vere e proprie. Sufficiente per la buona volontà che ci mette, il Morning Star (un mito della mia gioventù).
In Italia, un discreto ad Euronews, che ogni tanto ha preso
qualche cantonata, ma è stata anche la testata online che ha dedicato più
attenzione alla faccenda. Insufficienti gli altri media italiani, che
non solo non hanno inviati in loco, ma spesso riportano notizie dalla stampa
inglese senza prima verificarle.
Purtroppo, è il medesimo atteggiamento di molti blog italiani, anche
quotati. La palma del peggiore va a
Il Post, che prima pubblica un articolo su Dale Farm pieno di errori,
poi in seguito ad un mio commento critico ma educato, ha cancellato post e
commento.
Nel complesso, buona la prestazione di Facebook, Twitter e Youtube
nel far circolare notizie di prima mano e favorirne la diffusione.
Di Sucar Drom (del 25/09/2011 @ 09:04:10, in media, visitato 2339 volte)
Pubblicazioni L'Istituto di Cultura Sinta su mandato della Sucar Drom ha pubblicato libri,
cortometraggi, mostre e cd musicali. Alcune pubblicazioni sono disponibili e
possono essere richieste, altre sono disponibili solo in visione presso
l'Istituto, dove potete trovare anche una biblioteca catalogata con centinaia di
titoli che speriamo in un futuro di rendere disponibile on-line.
Di seguito il catalogo delle pubblicazioni e delle produzioni dell'Istituto
"Animanomade, un paesaggio di passaggio", anno 2000 (001)
Catalogo della mostra di pittura di Angelo Proietti detto Liga Vacche, sinto
marchigiano. La pubblicazione è stata realizzata nel mese di maggio e presentata
in concomitanza dell'esposizione delle opere naif di Angelo Proietti dal 10
giugno e al 15 luglio, presso il Palazzo del Plenipotenziario a Mantova. La
pubblicazione e la mostra sono state curate dal pittore Luca Dotti, la critica è
del pittore Nedo Consoli. La pubblicazione è stata realizzata con il contributo
dell'Assessorato alle Politiche Sociali della Provincia di Mantova.
"Porrajmos", anno 2003 (002)
Il libro di Virginia Donati tratta la persecuzione su base razziale subita da
sinti e rom durante il periodo nazifascista. Pubblicato nel mese di gennaio è
stato presentato Il Giorno della Memoria nella Sala degli Stemmi di Palazzo
Soardi a Mantova. Il libro, oltre a un approfondito excursus storico sul
Porrajmos (divoramento) ma anche sulla nascita del razzismo, tratta il concetto
di memoria all'interno delle comunità sinte e rom italiane con diverse
interviste inedite sia a leader sinti e rom che a sopravvissuti al Porrajmos.
L'introduzione è di Giovanna Boursier e sulla copertina del libro è riprodotta
l'opera "Porrajmos" (olio su tela, metri 2 x 1,50) donata all'Istituto dal
pittore Luca Dotti. La pubblicazione è stata realizzata con il contributo del
Comune e della Provincia di Mantova.
"La mediazione culturale: una scelta, un diritto", anno 2004 (003)
Atti del convegno tenutosi a Mantova nel marzo 2003 e organizzato dall'Istituto
in collaborazione con il Comune e la Provincia di Mantova, patrocinato dalla
Regione Lombardia. Il libro pubblicato nel mese di novembre con il contributo
della Provincia di Mantova è una summa delle diverse esperienze di mediazione
culturale realizzate in alcune Città italiane a partire dagli Anni Novanta. Uno
dei concetti che emerge con più forza dal libro è il considerare "i sinti e i
rom che pensano i sinti e i rom", restituendo a loro la dignità di soggetti del
pensiero ed interrompere, per loro mano, un'antica sequenza in cui essi sono
stati pensati da altri. E' uno dei primi convegni in Italia dove sinti e rom
sono protagonisti. Il libro, dedicato all'amico scomparso Peppe Collu, contiene
anche un cd multimediale con approfondimenti storici e legislativi, progetti e
altro materiale.
"Live in Mantova", anno 2004 (004, quattro ristampe)
Cd musicale del fisarmonicista e cantante Aleksandar Stojkovic. Nato nella ex
Yugoslavia, discendente da una famiglia di musicisti rom rumeni. Fin da piccolo
suona la fisarmonica insieme alla propria famiglia nelle feste di paese. Negli
anni diventa un virtuoso dello strumento che accompagna con una caratteristica
voce blues, raccontando le storie rom tramandate oralmente per secoli. La sua
musica nasce dalla contaminazione di diverse tradizioni, da cui emerge la
tradizione balcanica. E’ in Italia dall’inizio degli anni novanta, scappato
dalla guerra, e vive a Mantova da alcuni anni.
"Medi@zione", anno 2005 (005)
Cortometraggio sulla mediazione culturale, realizzato da Giancarlo Antonioli.
Medi@zione è nato durante le riprese di un cortometraggio su una favola sinta ed
è stato girato nell'estate del 2000 a Mantova. Offre uno spaccato del lavoro dei
mediatori culturali della Sucar Drom nel cosiddetto "campo nomadi".
"Chilape di ressa", anno 2005 (006)
Gioco da tavolo su modello del gioco dell'oca (chilape di ressa nella lingua
sinta lombarda), prodotto in alcune migliaia copie e distribuito a tutti i
bambini frequentanti le scuole primarie (elementari) di Mantova. Il gioco è
stato realizzato partendo dal testo teatrale sul fidanzamento e sul matrimonio
nella cultura sinta, scritto nel 2004 dagli adolescenti sinti nel laboratorio
teatrale ideato da Vittoria Dubinina a Mantova. Il testo teatrale e il gioco
sono in lingua sinta. La produzione del gioco è stata guidata dal pittore Luca
Dotti. La stampa è stata curata dall'Istituto con il contributo del Comune di
Mantova.
"Farba & Ghia", anno 2005 (007)
Mostra di lavori pittorici e di ceramica (18 pezzi) realizzati dai bambini sinti
che vivono a Mantova. L'evento si è tenuto nel mese di dicembre al Centro
Culturale ARCI Tom. La mostra è il frutto del laboratorio di creatività e
auto-narrazione "colori e canzoni, fantasia e creatività dell'infanzia sinta",
organizzato dall'Istituto e tenuto dalla dott.ssa Maria Bacchi e dal prof.
Andrea Sola. Obiettivo del laboratorio e della mostra è stato quello di offrire
visione delle diverse interpretazioni della realtà e dare spazio a differenti
modi di comunicare la propria identità culturale.
"...con gli occhi dei bambini", anno 2006 (008)
Mostra fotografica curata da Paola Dispoto, formata da 45 pannelli in formato A3
(297 x 420 mm) e realizzata con le foto realizzate da adolescenti sinti. Le foto
sono state prodotte in due anni di lavoro, grazie al progetto dell'Istituto,
denominato "pringiarasmi" (conosciamoci, in lingua sinta). Il progetto
fotografico realizzato in collaborazione con diverse Comunità sinte nel Nord
Italia è diventato una mostra fotografica grazie al contributo dell'Associazione
Nevo Drom e la Fondazione ODAR di Bolzano. La mostra è stata presentata per la
prima volta nel mese di maggio, durante la festa "mari festa" (la nostra festa)
che ha presentato alla Città di Bolzano l'associazione Nevo Drom, fondata poche
settimane prima.
"Porrajmos, altre tracce sul sentiero per Auschwitz", anno 2006 (009,
ristampa in preparazione)
E' il secondo libro dell'Istituto dedicato al Porrajmos (divoramento). E' un
testo didattico-documentaristico che raccoglie documenti, fotografie e
testimonianze, alcune delle quali per la prima volta rese pubbliche. E' stato
curato da tutto lo staff dell'Istituto e presentato il 27 gennaio a Mantova. Il
libro offre uno squarcio inedito sul Porrajmos sopratutto su quanto successo
nell'Italia fascista, grazie al contributo dello storico Luca Bravi. Di
particolare interesse sono le interviste alle sopravvissute mantovane al
Porrajmos che nel 2005 sono state insignite dell'Edicola di Virgilio dal Sindaco
di Mantova che a loro ha chiesto scusa a nome di tutta la Città per le
sofferenze patite durante il fascismo. Il libro, dedicato all'amica scomparsa
Nives Gabrieli, è stato pubblicato con il contributo del Comune e della
Provincia di Mantova.
"Porrajmos, altre tracce sul sentiero per Auschwitz", anno 2007 (010,
quattro ristampe)
Mostra fotografica-documentaria sul Porrajmos (divoramento) in Germania e in
Italia, formata da 22 pannelli (100 x 70 cm). E' stata curata da Carlo Berini, a
partire dal lavoro svolto nella preparazione del libro "Porrajmos, altre tracce
sul sentiero per Auschwitz" (ICS, 2006). La mostra, presentata per la prima
volta a Bolzano il 27 gennaio, negli anni è stata esposta in diverse Città
italiane e copie, su concessione dell'Istituto, sono state realizzate
dall'Associazione Nevo Drom di Bolzano, dalla Regione Piemonte, dal Sistema
Bibliotecario di Brescia e Cremona e dal Comune di Venezia. La mostra è stata
realizzata dall'Istituto in collaborazione con l'Associazione Nevo Drom di
Bolzano e con il contributo del Comune di Mantova e del Sistema Bibliotecario
della Provincia di Mantova.
"Mengro labatarpe", anno 2008 (011)
Cortometraggio sulla condizione lavorativa dei sinti lombardi a Mantova. Mengo
labatarpe (il nostro lavoro) documenta le storie lavorative di alcuni sinti e
alcune sinte mantovane che lavorano come dipendenti di aziende o come
padroncini. Il cortometraggio è stato realizzato per promuovere il progetto
lavoro della Sucar Drom ed è stato distribuito a tutti i decisori pubblici della
Provincia di Mantova. Prodotto dall'Istituto su un'idea di Carlo Berini è stato
realizzato da Giancarlo Antonioli, Luca Dotti e Davide Gabrieli.
"Mengar nial", anno 2010 (012)
Mostra fotografica multimediale (20 fotografie + testo audio) realizzata dai
preadolescenti sinti di Mantova. La mostra è stata esposta nel mese di settembre
durante l'evento "idea 9m²" sulla riva del Lago Superiore di Mantova. Mengar
nial (la nostra estate) è frutto di un laboratorio di fotografia e narrazione
realizzato per offrire memoria dello spaccato di vita, totalizzante, vissuta dai
bambini sinti nella segregazione abitativa del cosiddetto "campo nomadi". Il
lavoro fotografico è stato guidato dalla fotografa Anna Maria Volpi, mentre le
narrazioni dalla scrittrice Elena Borghi. La voce narrante della mostra è di
Alisea Gabrieli mentre la parte tecnica è stata realizzata da Nico Proietti.
"The Bibiena Concert", anno 2011 (013)
Cd musicale del concerto tenuto dal Django's Clan nell'ottobre 2010 al Teatro
Bibiena a Mantova, durante la Campagna Dosta!. Il cd offre il punto di svolta di
questo gruppo musicale che da trio diventa quintetto. Dieci anni di attività
concertistica per far rivivere e innovare la magia e la poetica di Django
Reinhardt che ha offerto uno dei contributi più importanti alla cultura
occidentale. Prodotto dall'Istituto con il contributo dell'Unione europea.
L'Istituto e la Sucar Drom hanno collaborato, a partire dagli Anni Novanta,
alla realizzazione di diverse pubblicazioni di cui prossimamente pubblicheremo
un elenco.
TOL 03/10/2011 - Reporter bulgara bersaglio su Facebook per la copertura
delle violenze etniche Mirolyuba Benatova
Le tensioni etniche che hanno preso piede in Bulgaria (vedi
QUI ndr) hanno portato ad un incidente online particolarmente brutto.
Una delle prime giornaliste ad occuparsi dei disordini a Katunitsa, Mirolyuba Benatova
per bTV, ha detto che la sua pagina Facebook è stata cancellata dagli
amministratori del sito dopo che qualcuno s'era lamentato definendola
"dannosa ed offensiva".
Mentre la sua pagina veniva cancellata, la giornalista subiva "una settimana
di terrore verbale, odio, intimidazioni e dichiarazioni apertamente antisemite"
in un'altra pagina sempre su Facebook, dal titolo
Mirolyuba Benatova
Nemica del Popolo Bulgaro, commenta "Omicidio
su Facebook" postando sul sito web della società civile Online Parliament.
Il grilletto è stato la caratterizzazione su bTV dei manifestanti e dei teppisti
del calcio che hanno distrutto le proprietà del boss rom.
"Hanno chiesto che mi scusassi perché avevo chiamato quanti loro vedevano
come rappresentanti della società civile -tifosi di calcio che si sono
comportati oltraggiosamente-. Ragazzi che si erano fotografati mentre facevano
saluti nazisti di fronte alla fiamme, chiedevano che dicessi che loro erano
cittadini giustamente arrabbiati."
I tifosi di calcio sono stati al centro dei disordini che si sono scatenati
il 23 settembre quando un uomo è stato investito ed ucciso da un minivan. Il
conducente era legato a
Kiril Rahskov, Rom ritenuto un boss della mafia. Nelle proteste che sono
seguite, persone descritte come hooligan hanno dato alle fiamme le proprietà di
Rashkov nel villaggio centro-meridionale di Kanunitsa. Ci sono state
manifestazioni in tutto il paese, la polizia ha arrestato circa 350 persone.
Anche i fan dello Zenit St. Pietroburgo hanno potuto dire la loro sulla
questione. In una partita casalinga, hanno issato uno striscione che recitava,
in bulgaro: "La Bulgaria è per i Bulgari, non per lo sporco" come scrive
novinite.com.
Non è chiaro se i fan fossero russi o bulgari.
Due giorni dopo, secondo le agenzie stampa, sostenitori del Politechnica Timisoara,
squadra rumena di seconda divisione, hanno innalzato uno striscione con la prima
strofa di un popolare motivo bulgaro del XIX secolo: "Alzati, alzati eroe dei
Balcani! Vai, Bulgaro!"
Domenica 2 ottobre ha visto a Sofia ed altrove tanto marce per la pace che
proteste anti-rom. Circa 5.000 tifosi di calcio e studenti si sono riuniti in
una piazza nel centro di Sofia, per protestare contro quella che chiamano
l'inazione del governo contro il crimine.
Il mio formaggio preferito lancia su tutti gli schermi uno spot che mi fa
andare di traverso il boccone. Lo racconto con le parole che presentano il video
sul web:
Come vi sentireste se vi trovaste a cena un completo sconosciuto? È
proprio quello che raccontano Grana Padano e Leo Burnett con la loro nuova
campagna pubblicitaria, il cui spot tv è on air da ieri. In un contesto in
cui le imitazioni prendono sempre più spazio, Grana Padano ha voluto
ribadire la propria originalità, mostrandoci scene intime e quotidiane, in
cui viene portato in tavola un formaggio non autentico. Ed ecco che con
questo appaiono all'improvviso degli sconosciuti, a interrompere la scena:
un motociclista malizioso, un pescatore appena uscito da una tempesta, un
fantino che si ritrova a un pranzo di Natale. Tutti guardano sgomenti il
personaggio. Non c'entra niente ed è uno sconosciuto: proprio come un
formaggio non originale. Chiude il claim: ‘Grana Padano DOP. Fatto di
un'altra pasta'. Hanno lavorato per l'agenzia gli executive creative
directors Riccardo Robiglio e Paolo De Matteis, gli art directors Matteo
Fabi e Barbara Cangemi, i copywriters Joseph Menda e Lucia Ceccolini.
La coppia, la casa, la cucina, l'intimità. Lui porta in tavola un formaggio
dall'aria ambigua: grana o non grana? Con il perturbante formaggio compare nella
stanza un estraneo, un intruso, un selvaggio, un naufrago. La donna lo guarda
atterrita. Poco importa che l'uomo di casa – elegante, apparentemente
inappuntabile – cerchi di rifilare alla bella compagna un formaggio tarocco. La
vera minaccia è che a tavola con voi si siedano sconosciuti, quelli che con
l'intimità ‘non c'entrano niente' e che "rovineranno la serata". "Non portare a
tavola uno sconosciuto", scorre in sovrimpressione.
E dire che da piccola, in parrocchia, specialmente sotto Natale, ci
incoraggiavano a fare esattamente il contrario.
Oggi, invece, chi non si conosce deve essere per forza una minaccia, soprattutto
se malvestito o, quantomeno, poco convenzionale.
Forse la famosa agenzia pubblicitaria che ha concepito lo spot non voleva
esplicitamente incrementare il senso di paura dell'altro, di diffidenza verso
l'estraneo che permea il senso comune prevalente nel nostro Paese, dove molti
strepitano che dobbiamo essere ‘padroni a casa nostra'. L'impatto immediato però
è questo, nonostante l'intelligente evocazione di un padrone di casa ‘furbetto'
che tenta di fregare la sua donna.
Del resto siamo circondati da fantasmi e da acchiappafantasmi.
Il signor Dario Casali, responsabile stampa e comunicazioni delle società
sportive giovanili di Sant'Egidio e San PioX, ha inviato a giornalisti e
amministratori dichiarazioni che francamente mi appaiono un po' allucinate
(oltre che cariche di pregiudizi e insulti) e che la Voce riporta sotto il
raffinato titolo "Una sbarra che scoraggi i culattoni". Fin dove arriva il
signor Casali? Cosa ci mette di suo la Voce? "Intorno al campetto sportivo di
via Learco Guerra dove i ragazzini delle due squadre si allenano c'è un
intollerabile via vai di malintenzionati e comunque di personaggi sospetti". Sì,
tra i rifiuti abbandonati "forse da nomadi di passaggio", si materializzano mane
e sera "pederasti (in altri passaggi dell'articolo meno elegantemente definiti
"culattoni"), donne di malaffare, pedofili". Una folla da Notte dei morti
viventi che assedia "i piccoli atleti", affidati alle cure del signor Casali e
dei suoi collaboratori della CSI.
Non deve essere facile distinguere un pedofilo dal cliente delle "donne di
malaffare" o dai cosiddetti pederasti: ma Casali ci riesce. Fa un inventario
livido e feroce degli intrusi e informa allarmato le autorità competenti. Che
finiscono fotografate sotto l'infame titolo che riportavamo.
Infinitamente più garbati i bambini sinti dell'area di sosta di via Learco
Guerra. Che anni fa, raccontandomi le loro paure, mi avevano confidato
timidamente di aver visto una volta aggirarsi intorno al campo un "gagio
maniaco"[1]. Ma degli intrusi nostrani che potrebbero insidiarli nessun
giornalista o politico si preoccuperebbe. Se mai, secondo molti, sono loro il
corpo estraneo da cui la comunità maggioritaria e i suoi ‘giovani atleti' devono
guardarsi: sembrano bambini, in realtà sono piccoli "zingari". Che non ci capiti
di trovarceli a cena.
[1] In lingua romanes, il "gagio" è la persona non appartenente alla comunità
rom e sinta.
Di Fabrizio (del 24/10/2011 @ 09:11:19, in media, visitato 1310 volte)
ART NEWSLink al video(Trailer Magazzini - 2011 - Durata: 01' 03')
Giovedì 20 ottobre, RAI 3 ore 00:40. Nel 2007 la Biennale d'Arte di Venezia
ospita per la prima volta un padiglione di Arte Rom. Un'esposizione a suo modo
storica, che rimette in discussione le tradizionali frontiere identitarie
dell'arte contemporanea. La curatrice di quel padiglione, Timea Junghaus (sinta
ungherese, studiosa e storica dell'arte) ci guida oggi attraverso le opere e la
vita degli artisti che hanno dato vita a questo nuovo movimento nel panorama
artistico internazionale: l'arte contemporanea Rom. Gli artisti contemporanei
Rom, la cui capitale culturale è Budapest, utilizzano l'arte come strumento per
sottoporre a critica e ribaltare l'immagine che la cultura maggioritaria e i
media europei hanno costruito intorno alla minoranza Rom. L'arte contemporanea
Rom in Ungheria diviene pertanto uno strumento di lotta politica in un contesto
fortemente razzista, connotato dalla presenza minacciosa di gruppi paramilitari
xenofobi legati a movimenti di estrema destra. Raccontata dalla viva voce dagli
artisti riuniti a Budapest per una mostra sui nuovi media, il documentario
racconta questa sfida che si muove a cavallo tra politica ed estetica.
Di Fabrizio (del 28/10/2011 @ 09:43:14, in media, visitato 1776 volte)
e nota finale
Ieri alle ore 9.00 gli agenti hanno notato la presenza di tre donne di cui due
di esse vestite in maniera consona e di giovane età mentre la terza di chiara
etnia rom che si aggiravano per il centro cittadino con fare sospetto. Gli
agenti dopo un breve pedinamento le fermavano già all’interno di un cortile in
viale Caduti. Prontamente fermate sono state accompagnate in ufficio ancora
prima che mettessero in atto i loro chiari intenti illegali.
Al termine degli accertamenti le tre donne, con diversi precedenti di polizia
per reati contro il patrimonio, sono state munite di Foglio di Via Obbligatorio
dal Comune di Sassuolo della durata di tre anni.
C.A. del 1984 residente in un campo nomade in Desenzano del Garda (BS) e T.B.
classe 58 e T.S. classe 77 residente in un campo nomadi di Reggio Emilia sono
state foto segnalate e accompagnate fuori dalla Provincia.
Parere da lettore:
Per chi se lo ricorda, il conte di mai dire gol, era un aristocratico, ma
non disdegnava le "donne facili". Letto l'articolo, ho capito molto di quel
personaggio:
sono aristocratico: se non avessero inventato i computer e ci
fossero ancora macchine da scrivere e telescriventi, probabilmente non vi
ammorberei con i miei scritti, ma il giornalismo sarebbe ancora una
professione dove un minimo d'impegno è richiesto;
quanto alle "donne facili": probabilmente si prostituiscono
per qualcosa di più (e forse con più etica) di tanti giornalisti.
Come fa notare chi ha segnalato la notizia (insomma... sembra che in
certi paesoni del nord, anche un fatto simile diventi cronaca da mettere sul web)
a tre donne di aspetto incerto, ma una sicuramente rom, viene impedito l'accesso
ad un mercato, si suppone pubblico, dato che una di loro era vestita in maniera
un po' troppo zingaresca e ovviamente aveva un "fare sospetto".
Dato che avevano precedenti penali, vengono allontanate per tre anni da
Sassuolo. Cos'hanno fatto di male? Niente.
E cosa fa il nostro impavido giornalista? Chiede, indaga, si informa?
Macché: da per assodato sin dall'inizio che gli intenti fossero "chiaramente"
illegali, così accontenta in un colpo solo polizia e direttore, e buonanotte
alla professione!
La stima sul numero di rom presenti in Italia è di 140mila persone, di cui il
60% è costituito da italiani e il 90% è stanziale. Tanti sono arrivati in Italia
già nel 1400. Più della metà è residente e ha la cittadinanza del nostro paese,
tanti vivono in appartamento e svolgono qualsiasi tipo di lavoro. Non è vero
quindi che i rom sono per definizione 'nomadi' e stranieri. Ma la stampa
italiana continua a ignorare questa "verità sostanziale dei fatti", al rispetto
della quale richiamano l'articolo 2 della legge istitutiva dell'Ordine dei
giornalisti e la Carta di Roma del 2008, un protocollo deontologico riferito
alle notizie sui migranti. Il popolo romanì ha chiesto di non utilizzare il
termine 'zingari' perché ha assunto nel tempo una connotazione dispregiativa,
eppure dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi alle principali testate
nazionali è ormai comune parlare di 'zingaropoli'. Per questo nasce un vademecum
per i giornalisti che trattano notizie sui rom, realizzato dall'Associazione
Stampa Romana, con l'Associazione giornalisti Scuola di Perugia, la Comunità di
Sant'Egidio e l'Assessorato Lavoro e Formazione della Regione Lazio. "Che un
cittadino qualunque si esprima in questo modo non sorprende, ma che degli stessi
preconcetti siano portatori i professionisti dell'informazione è inaccettabile"
scrive il segretario di Asr Paolo Butturini nel primo intervento del vademecum.
Il volumetto si intitola: "Ho visto anche degli zingari felici. Di chi parliamo
quando parliamo di rom", è a cura di Titty Santoriello ed è intervallato da
disegni fatti dai bimbi rom delle Scuole della Pace della Comunità di
Sant'Egidio.
Salta però subito agli occhi, scorrendo l'indice, che un solo paragrafo è
redatto da un autore rom. "Questo è un tipico esempio di esclusione cognitiva
della popolazione romanì – scrive subito Nazareno Guarnieri, presidente della
Federazione Romanì – se oggi la condizione della nostra popolazione è peggiorata
rispetto al passato, malgrado le iniziative attivate, la responsabilità è da
attribuire al mancato coinvolgimento dei diretti interessati ed in particolare
delle professionalità rom". Il contributo di Guarnieri spiega le distinzione nel
variegato mondo romanì. Ci sono cinque grandi comunità romanès, Rom, Sinti, Kale,
Manouches e Romanichals. Insieme formano il popolo Rom, chiamato anche 'romanì,
romanò, romanipè', con un'unica lingua che ha al suo interno 18 dialetti. Esiste
la bandiera rom, verde e azzurra con una ruota a 16 raggi, e un inno (gelem
gelem).
"Rendere normale ciò che è percepito come eccezionale" è il titolo del paragrafo
scritto da don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, editore
di Redattore Sociale. "Suscitano allerta e mai simpatia – dice don Vinicio –
vanno raccontati i fatti della realtà semplicemente, senza scelte pregiudiziali
negative, ma nemmeno positive". Di "razzismo democratico" verso i rom parla Luca
Bravi, docente all'Università di Firenze, intervistato per il vademecum. Il
professor Bravi spiega l'origine dello stereotipo del nomadismo, che affonda le
radici nel 'Porrajmos" (il grande divoramento) l'olocausto negato dei rom, che
fece circa 500mila vittime tra campi di concentramento ed esecuzioni sommarie.
"Durante il periodo nazista – spiega – rom e sinti negli Stati europei
praticavano una resistenza di basso profilo che significava trovare le modalità
di permanenza per restare dove si erano stanziati. Si spostavano tra i confini.
In quegli anni si diffusero teorie della razza secondo le quali il nomadismo era
una colpa che stava nel loro sangue. Non era così: si spostavano per ragioni
lavorative, molti ad esempio erano giostrai". Il vademecum si conclude con le
parole del Papa Benedetto XVI. Lo scorso 11 giugno il Pontefice ha ricevuto i
rappresentanti dei Rom da tutta Europa in Vaticano e li ha accolti dicendo:
"siete un'amata porzione del popolo di Dio pellegrinante". La Chiesa cattolica
ricorda anche un beato martire rom, Zefirino Giménez Malla, ucciso con il
rosario in mano durante la guerra civile spagnola. Una sua raffigurazione si
trova nel santuario dei santi Cosma e Damiano a Riace (Rc) ed è meta di un
pellegrinaggio rom ogni anno a fine settembre.
E' stato presentato, nella sede della Federazione Nazionale della Stampa
Italiana, un vademecum rivolto ai professionisti dell'informazione sul delicato
tema dei rom. La pubblicazione, che ha il bel titolo di una canzone del '77 di
Claudio Lolli, "Ho visto anche degli zingari felici", offre contributi di
esperti della materia e dell'informazione, arricchiti anche dall'intervento di
Benedetto XVI all'audizione dei Rom, e si propone come strumento di lavoro per
tutti i giornalisti che, fedeli allo spirito della loro professione, si
prefiggano lo scopo di raccontare la realtà sociale senza usare stereotipi
frutto dell'ignoranza, perché è anche con le parole giuste che si sconfiggono i
pregiudizi.
Sull'autobus diretto al centro di Roma, per raggiungere la sede della FNSI,
salgono alla fermata due donne rom con una nidiata di bambini, di un'età
compresa tra i 2 e i 10 anni. "Occhio al portafoglio!" esclama una signora al
marito in piedi accanto a lei. La donna dà voce al pensiero comune e la reazione
di tutti è spontanea, di allerta contro un'eventuale possibilità di borseggio,
così come spontaneamente si indossano gli occhiali scuri quando la luce troppo
forte del sole ci acceca, o il berretto di lana ai primi fiocchi di neve.
E' difficile sconfiggere i pregiudizi che nascono dalla non conoscenza. In
realtà pochi di noi sanno, quasi nessuno conosce la cultura di questo popolo,
perché sui mezzi di informazione si parla di rom soltanto per raccontare di
tragedie di bimbi che muoiono nel rogo delle baracche o delle roulotte, oppure
quando si raccontano efferati episodi di cronaca nera, o si descrivono
raccapriccianti realtà sociali di un'infanzia costretta a mendicare e a vivere
nell'indigenza e nella sporcizia. Certo la miseria può generare disagio,
violenza, criminalità, ma questo vale in tutte le comunità. Chi ha fame può
rubare, o delinquere, ma questo ovunque e da che mondo e mondo. Solo questo sono
per noi i Rom o i Sinti, una serie infinita di pregiudizi e luoghi comuni che
non fanno distinzione tra le responsabilità individuali e quelle di un intero
popolo. Per questo non diamo loro neanche la dignità di essere chiamati con il
loro vero nome e li definiamo semplicemente zingari, o nella migliore delle
ipotesi nomadi, descrivendo così una caratteristica che non esiste, perché la
maggior parte di loro vive qui ed è italiana, e solo una piccolissima parte è
nomade nel senso vero del termine.
Zingari generalmente sporchi, brutti e cattivi, ci ricorda nel suo intervento
Paolo Ciani della Comunità di Sant'Egidio, e ladri, aggiungiamo, e secondo una
leggenda infamante dura a morire, persino ladri di bambini. Ogni tanto ci capita
ancora di raccontare di piccole comunità in allerta per questo che è un motivo
ricorrente di pregiudizio e rancore le cui radici affondano in secoli di
ignoranza e superstizione.
Ricordate la orrenda menzogna dei secoli scorsi secondo cui gli ebrei uccidevano
i bambini cristiani per il loro sangue, e che nella mente di molti europei si
trasformò in una tragica convinzione, che fu alla base della "distrazione"
pressoché generale nei confronti della persecuzione prima e della Shoah poi? Il
meccanismo è sempre lo stesso e continua a ripetersi contro chi viene
considerato diverso, quindi "non persona". L'alternativa all'ignoranza è
conoscere per non diffidare, accettare i valori di una cultura diversa che può
arricchirci, apprezzandone le peculiarità e senza avere la presunzione di
imporre la nostra come la migliore possibile, nel tentativo di un'omologazione a
valori che spesso sarebbe meglio rileggere alla luce di una sensibilità nuova e
altra.
Dice Nazareno Guarnieri, presidente della Federazione romanì, nel corso della
conferenza stampa:"Io so per certo che non morirò in uno ospizio, perché la
nostra è una cultura che mette sempre al centro la persona". Come dire, vogliamo
stabilire chi tra noi è più civile? Solo conoscendo e quindi accettando si
possono fare percorsi insieme che portino al miglioramento delle condizioni
sociali di Rom e Sinti e al superamento del disagio sociale. "E a proposito-
aggiunge ancora Guarnieri - non siamo nomadi, e il 50% di noi è italiano da
sempre. Occorre una politica abitativa pubblica normale, basta con i campi
nomadi che alimentano il distacco, la segregazione, l'isolamento, il disprezzo e
l'odio sociale".
Il segretario dell'Associazione Stampa Romana, Paolo Butturini, racconta della
percezione sbagliata che molti cittadini hanno rispetto ai Rom e Sinti. "Sono un
milione e mezzo" gli ha detto sconsolato un tassista romano suggerendo
l'immagine di una paese ormai in preda a un'invasione barbarica inarrestabile e
devastatrice, e vengono quasi tutti dalla Romania, ed essere rom romeni, si sa,
è "il peggio del peggio". Nel nostro Paese in realtà questa popolazione è
composta da circa 140 mila persone, la metà delle quali sono italiane e donne e
bambini con "ansia di normalità", non di omologazione e integrazione forzata, ma
della semplice e naturale normalità della casa, della scuola, degli amici,
dell'accettazione sociale che non faccia sentire stranieri a casa propria.
L'assessore al lavoro e alla Formazione della Regione Lazio, Mariella Zezza, fa
suo l'appello di Roberto Natale, presidente della FNSI, a promuovere una
comunicazione libera da ogni pregiudizio, ricordando che informare "vuol dire
rendersi conto che tutto ciò che c'è dall'altra parte non è una minaccia, ma una
risorsa.
Il fatto è che persiste in tutta Europa la convinzione che il rom non sia uguale
agli altri, per questo, ammonisce Roberto Chinzari, segretario dell'Associazione
giornalisti Scuola di Perugia, è necessario almeno usare le parole giuste per
descrivere la loro realtà e non "barricarci nelle nostre convinzioni, scrivendo
e dicendo imprecisioni. Sui quotidiani, nei servizi radio-televisivi il binomio
"rom-romeno è diventato un marchio di fabbrica per brutti episodi, un'etichetta
che definisce quello che succede "prima che se ne abbia la certezza". E così il
pregiudizio dilaga, e con esso la discriminazione, mentre una buona conoscenza
culturale di ciò che abbiamo di fronte "è il miglior scudo per proteggere dagli
errori e dalla superficialità". "E poi ricordarsi sempre - conclude Chinzari,
che anche di fronte al peggiore dei crimini la responsabilità è sempre di un
individuo, mai di una popolazione o di un'etnia".
E se alla base di ogni espressione artistica c'è il patrimonio culturale e la
cultura dell'informazione, importanti sono gli interventi di una
giornalista-scrittrice, Bianca Stancanelli, che sull'argomento ha scritto un
libro: "La fortuna e la vergogna" edito da Marsilio, e quello di Moni Ovadia, un
artista che al teatro Quirino di Roma ha presentato uno spettacolo: "Senza
confini - ebrei e zingari", che ha dato voce soprattutto alla musica di grandi
musicisti rom.
Spiega Moni Ovadia: "E' un recital di canti, musiche, storie di Rom, Sinti, ed
Ebraiche che mettono in risonanza la comune vocazione delle genti in esilio, una
vocazione che proviene dai tempi remoti e che in tempi più vicini a noi si fa
solitaria, si carica di un'assenza che sollecita un ritorno, un'adesione, una
passione, una responsabilità urgenti, improcrastinabili. "Senza Confini" è la
nostra assunzione di responsabilità".
Avvicinarsi quindi, anche e soprattutto attraverso il linguaggio della musica e
del teatro, a un popolo di pace, che non ha mai dichiarato guerra a nessuno, che
"per questo meriterebbe il premio Nobel per la pace". Persino la loro
persecuzione da parte dei nazisti è misconosciuta e sottovalutata (ne morirono
nei campi di sterminio centinaia di migliaia). "I Rom vivono la vita, non la
consumano - spiega Moni Ovadia - e ci danno lezione di civiltà". Li percepiamo
solo come un problema perché non sappiamo quasi niente della loro cultura e solo
la conoscenza può aiutarci a capire ancora una volta che non c'è il buio oltre
la siepe.
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