L'Impronta
L'Aquila 2011/10/31
La stima sul numero di rom presenti in Italia è di 140mila persone, di cui il
60% è costituito da italiani e il 90% è stanziale. Tanti sono arrivati in Italia
già nel 1400. Più della metà è residente e ha la cittadinanza del nostro paese,
tanti vivono in appartamento e svolgono qualsiasi tipo di lavoro. Non è vero
quindi che i rom sono per definizione 'nomadi' e stranieri. Ma la stampa
italiana continua a ignorare questa "verità sostanziale dei fatti", al rispetto
della quale richiamano l'articolo 2 della legge istitutiva dell'Ordine dei
giornalisti e la Carta di Roma del 2008, un protocollo deontologico riferito
alle notizie sui migranti. Il popolo romanì ha chiesto di non utilizzare il
termine 'zingari' perché ha assunto nel tempo una connotazione dispregiativa,
eppure dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi alle principali testate
nazionali è ormai comune parlare di 'zingaropoli'. Per questo nasce un vademecum
per i giornalisti che trattano notizie sui rom, realizzato dall'Associazione
Stampa Romana, con l'Associazione giornalisti Scuola di Perugia, la Comunità di
Sant'Egidio e l'Assessorato Lavoro e Formazione della Regione Lazio. "Che un
cittadino qualunque si esprima in questo modo non sorprende, ma che degli stessi
preconcetti siano portatori i professionisti dell'informazione è inaccettabile"
scrive il segretario di Asr Paolo Butturini nel primo intervento del vademecum.
Il volumetto si intitola: "Ho visto anche degli zingari felici. Di chi parliamo
quando parliamo di rom", è a cura di Titty Santoriello ed è intervallato da
disegni fatti dai bimbi rom delle Scuole della Pace della Comunità di
Sant'Egidio.
Salta però subito agli occhi, scorrendo l'indice, che un solo paragrafo è
redatto da un autore rom. "Questo è un tipico esempio di esclusione cognitiva
della popolazione romanì – scrive subito Nazareno Guarnieri, presidente della
Federazione Romanì – se oggi la condizione della nostra popolazione è peggiorata
rispetto al passato, malgrado le iniziative attivate, la responsabilità è da
attribuire al mancato coinvolgimento dei diretti interessati ed in particolare
delle professionalità rom". Il contributo di Guarnieri spiega le distinzione nel
variegato mondo romanì. Ci sono cinque grandi comunità romanès, Rom, Sinti, Kale,
Manouches e Romanichals. Insieme formano il popolo Rom, chiamato anche 'romanì,
romanò, romanipè', con un'unica lingua che ha al suo interno 18 dialetti. Esiste
la bandiera rom, verde e azzurra con una ruota a 16 raggi, e un inno (gelem
gelem).
"Rendere normale ciò che è percepito come eccezionale" è il titolo del paragrafo
scritto da don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, editore
di Redattore Sociale. "Suscitano allerta e mai simpatia – dice don Vinicio –
vanno raccontati i fatti della realtà semplicemente, senza scelte pregiudiziali
negative, ma nemmeno positive". Di "razzismo democratico" verso i rom parla Luca
Bravi, docente all'Università di Firenze, intervistato per il vademecum. Il
professor Bravi spiega l'origine dello stereotipo del nomadismo, che affonda le
radici nel 'Porrajmos" (il grande divoramento) l'olocausto negato dei rom, che
fece circa 500mila vittime tra campi di concentramento ed esecuzioni sommarie.
"Durante il periodo nazista – spiega – rom e sinti negli Stati europei
praticavano una resistenza di basso profilo che significava trovare le modalità
di permanenza per restare dove si erano stanziati. Si spostavano tra i confini.
In quegli anni si diffusero teorie della razza secondo le quali il nomadismo era
una colpa che stava nel loro sangue. Non era così: si spostavano per ragioni
lavorative, molti ad esempio erano giostrai". Il vademecum si conclude con le
parole del Papa Benedetto XVI. Lo scorso 11 giugno il Pontefice ha ricevuto i
rappresentanti dei Rom da tutta Europa in Vaticano e li ha accolti dicendo:
"siete un'amata porzione del popolo di Dio pellegrinante". La Chiesa cattolica
ricorda anche un beato martire rom, Zefirino Giménez Malla, ucciso con il
rosario in mano durante la guerra civile spagnola. Una sua raffigurazione si
trova nel santuario dei santi Cosma e Damiano a Riace (Rc) ed è meta di un
pellegrinaggio rom ogni anno a fine settembre.
RAI Televideo Rom e Sinti, non zingari di Rita Piccolini
Il pregiudizio passa anche dalle parole
E' stato presentato, nella sede della Federazione Nazionale della Stampa
Italiana, un vademecum rivolto ai professionisti dell'informazione sul delicato
tema dei rom. La pubblicazione, che ha il bel titolo di una canzone del '77 di
Claudio Lolli, "Ho visto anche degli zingari felici", offre contributi di
esperti della materia e dell'informazione, arricchiti anche dall'intervento di
Benedetto XVI all'audizione dei Rom, e si propone come strumento di lavoro per
tutti i giornalisti che, fedeli allo spirito della loro professione, si
prefiggano lo scopo di raccontare la realtà sociale senza usare stereotipi
frutto dell'ignoranza, perché è anche con le parole giuste che si sconfiggono i
pregiudizi.
Sull'autobus diretto al centro di Roma, per raggiungere la sede della FNSI,
salgono alla fermata due donne rom con una nidiata di bambini, di un'età
compresa tra i 2 e i 10 anni. "Occhio al portafoglio!" esclama una signora al
marito in piedi accanto a lei. La donna dà voce al pensiero comune e la reazione
di tutti è spontanea, di allerta contro un'eventuale possibilità di borseggio,
così come spontaneamente si indossano gli occhiali scuri quando la luce troppo
forte del sole ci acceca, o il berretto di lana ai primi fiocchi di neve.
E' difficile sconfiggere i pregiudizi che nascono dalla non conoscenza. In
realtà pochi di noi sanno, quasi nessuno conosce la cultura di questo popolo,
perché sui mezzi di informazione si parla di rom soltanto per raccontare di
tragedie di bimbi che muoiono nel rogo delle baracche o delle roulotte, oppure
quando si raccontano efferati episodi di cronaca nera, o si descrivono
raccapriccianti realtà sociali di un'infanzia costretta a mendicare e a vivere
nell'indigenza e nella sporcizia. Certo la miseria può generare disagio,
violenza, criminalità, ma questo vale in tutte le comunità. Chi ha fame può
rubare, o delinquere, ma questo ovunque e da che mondo e mondo. Solo questo sono
per noi i Rom o i Sinti, una serie infinita di pregiudizi e luoghi comuni che
non fanno distinzione tra le responsabilità individuali e quelle di un intero
popolo. Per questo non diamo loro neanche la dignità di essere chiamati con il
loro vero nome e li definiamo semplicemente zingari, o nella migliore delle
ipotesi nomadi, descrivendo così una caratteristica che non esiste, perché la
maggior parte di loro vive qui ed è italiana, e solo una piccolissima parte è
nomade nel senso vero del termine.
Zingari generalmente sporchi, brutti e cattivi, ci ricorda nel suo intervento
Paolo Ciani della Comunità di Sant'Egidio, e ladri, aggiungiamo, e secondo una
leggenda infamante dura a morire, persino ladri di bambini. Ogni tanto ci capita
ancora di raccontare di piccole comunità in allerta per questo che è un motivo
ricorrente di pregiudizio e rancore le cui radici affondano in secoli di
ignoranza e superstizione.
Ricordate la orrenda menzogna dei secoli scorsi secondo cui gli ebrei uccidevano
i bambini cristiani per il loro sangue, e che nella mente di molti europei si
trasformò in una tragica convinzione, che fu alla base della "distrazione"
pressoché generale nei confronti della persecuzione prima e della Shoah poi? Il
meccanismo è sempre lo stesso e continua a ripetersi contro chi viene
considerato diverso, quindi "non persona". L'alternativa all'ignoranza è
conoscere per non diffidare, accettare i valori di una cultura diversa che può
arricchirci, apprezzandone le peculiarità e senza avere la presunzione di
imporre la nostra come la migliore possibile, nel tentativo di un'omologazione a
valori che spesso sarebbe meglio rileggere alla luce di una sensibilità nuova e
altra.
Dice Nazareno Guarnieri, presidente della Federazione romanì, nel corso della
conferenza stampa:"Io so per certo che non morirò in uno ospizio, perché la
nostra è una cultura che mette sempre al centro la persona". Come dire, vogliamo
stabilire chi tra noi è più civile? Solo conoscendo e quindi accettando si
possono fare percorsi insieme che portino al miglioramento delle condizioni
sociali di Rom e Sinti e al superamento del disagio sociale. "E a proposito-
aggiunge ancora Guarnieri - non siamo nomadi, e il 50% di noi è italiano da
sempre. Occorre una politica abitativa pubblica normale, basta con i campi
nomadi che alimentano il distacco, la segregazione, l'isolamento, il disprezzo e
l'odio sociale".
Il segretario dell'Associazione Stampa Romana, Paolo Butturini, racconta della
percezione sbagliata che molti cittadini hanno rispetto ai Rom e Sinti. "Sono un
milione e mezzo" gli ha detto sconsolato un tassista romano suggerendo
l'immagine di una paese ormai in preda a un'invasione barbarica inarrestabile e
devastatrice, e vengono quasi tutti dalla Romania, ed essere rom romeni, si sa,
è "il peggio del peggio". Nel nostro Paese in realtà questa popolazione è
composta da circa 140 mila persone, la metà delle quali sono italiane e donne e
bambini con "ansia di normalità", non di omologazione e integrazione forzata, ma
della semplice e naturale normalità della casa, della scuola, degli amici,
dell'accettazione sociale che non faccia sentire stranieri a casa propria.
L'assessore al lavoro e alla Formazione della Regione Lazio, Mariella Zezza, fa
suo l'appello di Roberto Natale, presidente della FNSI, a promuovere una
comunicazione libera da ogni pregiudizio, ricordando che informare "vuol dire
rendersi conto che tutto ciò che c'è dall'altra parte non è una minaccia, ma una
risorsa.
Il fatto è che persiste in tutta Europa la convinzione che il rom non sia uguale
agli altri, per questo, ammonisce Roberto Chinzari, segretario dell'Associazione
giornalisti Scuola di Perugia, è necessario almeno usare le parole giuste per
descrivere la loro realtà e non "barricarci nelle nostre convinzioni, scrivendo
e dicendo imprecisioni. Sui quotidiani, nei servizi radio-televisivi il binomio
"rom-romeno è diventato un marchio di fabbrica per brutti episodi, un'etichetta
che definisce quello che succede "prima che se ne abbia la certezza". E così il
pregiudizio dilaga, e con esso la discriminazione, mentre una buona conoscenza
culturale di ciò che abbiamo di fronte "è il miglior scudo per proteggere dagli
errori e dalla superficialità". "E poi ricordarsi sempre - conclude Chinzari,
che anche di fronte al peggiore dei crimini la responsabilità è sempre di un
individuo, mai di una popolazione o di un'etnia".
E se alla base di ogni espressione artistica c'è il patrimonio culturale e la
cultura dell'informazione, importanti sono gli interventi di una
giornalista-scrittrice, Bianca Stancanelli, che sull'argomento ha scritto un
libro: "La fortuna e la vergogna" edito da Marsilio, e quello di Moni Ovadia, un
artista che al teatro Quirino di Roma ha presentato uno spettacolo: "Senza
confini - ebrei e zingari", che ha dato voce soprattutto alla musica di grandi
musicisti rom.
Spiega Moni Ovadia: "E' un recital di canti, musiche, storie di Rom, Sinti, ed
Ebraiche che mettono in risonanza la comune vocazione delle genti in esilio, una
vocazione che proviene dai tempi remoti e che in tempi più vicini a noi si fa
solitaria, si carica di un'assenza che sollecita un ritorno, un'adesione, una
passione, una responsabilità urgenti, improcrastinabili. "Senza Confini" è la
nostra assunzione di responsabilità".
Avvicinarsi quindi, anche e soprattutto attraverso il linguaggio della musica e
del teatro, a un popolo di pace, che non ha mai dichiarato guerra a nessuno, che
"per questo meriterebbe il premio Nobel per la pace". Persino la loro
persecuzione da parte dei nazisti è misconosciuta e sottovalutata (ne morirono
nei campi di sterminio centinaia di migliaia). "I Rom vivono la vita, non la
consumano - spiega Moni Ovadia - e ci danno lezione di civiltà". Li percepiamo
solo come un problema perché non sappiamo quasi niente della loro cultura e solo
la conoscenza può aiutarci a capire ancora una volta che non c'è il buio oltre
la siepe.