Dalla newsletter di
Articolo 3, di Maria Bacchi
Il mio formaggio preferito lancia su tutti gli schermi uno spot che mi fa
andare di traverso il boccone. Lo racconto con le parole che presentano il video
sul web:
Come vi sentireste se vi trovaste a cena un completo sconosciuto? È
proprio quello che raccontano Grana Padano e Leo Burnett con la loro nuova
campagna pubblicitaria, il cui spot tv è on air da ieri. In un contesto in
cui le imitazioni prendono sempre più spazio, Grana Padano ha voluto
ribadire la propria originalità, mostrandoci scene intime e quotidiane, in
cui viene portato in tavola un formaggio non autentico. Ed ecco che con
questo appaiono all'improvviso degli sconosciuti, a interrompere la scena:
un motociclista malizioso, un pescatore appena uscito da una tempesta, un
fantino che si ritrova a un pranzo di Natale. Tutti guardano sgomenti il
personaggio. Non c'entra niente ed è uno sconosciuto: proprio come un
formaggio non originale. Chiude il claim: ‘Grana Padano DOP. Fatto di
un'altra pasta'. Hanno lavorato per l'agenzia gli executive creative
directors Riccardo Robiglio e Paolo De Matteis, gli art directors Matteo
Fabi e Barbara Cangemi, i copywriters Joseph Menda e Lucia Ceccolini.
La coppia, la casa, la cucina, l'intimità. Lui porta in tavola un formaggio
dall'aria ambigua: grana o non grana? Con il perturbante formaggio compare nella
stanza un estraneo, un intruso, un selvaggio, un naufrago. La donna lo guarda
atterrita. Poco importa che l'uomo di casa – elegante, apparentemente
inappuntabile – cerchi di rifilare alla bella compagna un formaggio tarocco. La
vera minaccia è che a tavola con voi si siedano sconosciuti, quelli che con
l'intimità ‘non c'entrano niente' e che "rovineranno la serata". "Non portare a
tavola uno sconosciuto", scorre in sovrimpressione.
E dire che da piccola, in parrocchia, specialmente sotto Natale, ci
incoraggiavano a fare esattamente il contrario.
Oggi, invece, chi non si conosce deve essere per forza una minaccia, soprattutto
se malvestito o, quantomeno, poco convenzionale.
Forse la famosa agenzia pubblicitaria che ha concepito lo spot non voleva
esplicitamente incrementare il senso di paura dell'altro, di diffidenza verso
l'estraneo che permea il senso comune prevalente nel nostro Paese, dove molti
strepitano che dobbiamo essere ‘padroni a casa nostra'. L'impatto immediato però
è questo, nonostante l'intelligente evocazione di un padrone di casa ‘furbetto'
che tenta di fregare la sua donna.
Del resto siamo circondati da fantasmi e da acchiappafantasmi.
Il signor Dario Casali, responsabile stampa e comunicazioni delle società
sportive giovanili di Sant'Egidio e San PioX, ha inviato a giornalisti e
amministratori dichiarazioni che francamente mi appaiono un po' allucinate
(oltre che cariche di pregiudizi e insulti) e che la Voce riporta sotto il
raffinato titolo "Una sbarra che scoraggi i culattoni". Fin dove arriva il
signor Casali? Cosa ci mette di suo la Voce? "Intorno al campetto sportivo di
via Learco Guerra dove i ragazzini delle due squadre si allenano c'è un
intollerabile via vai di malintenzionati e comunque di personaggi sospetti". Sì,
tra i rifiuti abbandonati "forse da nomadi di passaggio", si materializzano mane
e sera "pederasti (in altri passaggi dell'articolo meno elegantemente definiti
"culattoni"), donne di malaffare, pedofili". Una folla da Notte dei morti
viventi che assedia "i piccoli atleti", affidati alle cure del signor Casali e
dei suoi collaboratori della CSI.
Non deve essere facile distinguere un pedofilo dal cliente delle "donne di
malaffare" o dai cosiddetti pederasti: ma Casali ci riesce. Fa un inventario
livido e feroce degli intrusi e informa allarmato le autorità competenti. Che
finiscono fotografate sotto l'infame titolo che riportavamo.
Infinitamente più garbati i bambini sinti dell'area di sosta di via Learco
Guerra. Che anni fa, raccontandomi le loro paure, mi avevano confidato
timidamente di aver visto una volta aggirarsi intorno al campo un "gagio
maniaco"[1]. Ma degli intrusi nostrani che potrebbero insidiarli nessun
giornalista o politico si preoccuperebbe. Se mai, secondo molti, sono loro il
corpo estraneo da cui la comunità maggioritaria e i suoi ‘giovani atleti' devono
guardarsi: sembrano bambini, in realtà sono piccoli "zingari". Che non ci capiti
di trovarceli a cena.
[1] In lingua romanes, il "gagio" è la persona non appartenente alla comunità
rom e sinta.