Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.
Nazzareno Guarnieri, primogenito di una numerosa famiglia rom, ha
iniziato la sua formazione frequentando con successo il prestigioso Istituto
Magistrale «B. Spaventa» di Città S. Angelo (PE), conseguendo nel 1971 il
diploma della qualificazione magistrale.
La sua formazione continua con il corso biennale di operatore psicopedagogico
presso Università di L’Aquila, e successivamente il corso di mediatore culturale
e la Laurea in psicologia sociale. Il costante impegno volontario e
professionale per la popolazione romanì, la promozione e la realizzazione di
importanti esperienze di interazione culturale e la partecipazione a numerose
iniziative italiane ed europee arricchiscono il percorso formativo di
Guarnieri, tale da essere oggi un professionista, un leader ed un attivista rom
riconosciuto a tutti i livelli.
Nell’anno 2000 e e nell’anno 2002 Nazzareno Guarnieri è il vincitore del Premio
Raffaele Laporta, per la sezione progetti educativi. Nell’anno 2003 Nazzareno
Guarnieri è il promotore del «progetto federazione», un’iniziativa per
sollecitare ed incoraggiare la partecipazione attiva di Roma e di Sinti.
Nell’anno 2009 che è stato eletto presidente della Federazione romanì.
Nazzareno Guarnieri, come mai sembra impossibile stabilire con la minoranza
Rom un sistema di regole condivise e di convivenza pacifica?
«La convivenza con la popolazione romanì oggi è difficile per il radicato
pregiudizio, duro a morire, e per le scelte politiche sbagliate. Una sequenza di
deficit mediatico, culturale, politico, istituzionale di partecipazione attiva e
di conoscenza. Deficit che hanno categorizzato i pregiudizi contro la
popolazione rom e sinta e banalizzato la cultura romanì. Deficit che hanno
ostacolato i processi di scambio culturale, di acculturazione e inculturazione
ed hanno impedito una “canalizzazione politico/istituzionale” alla cultura
romanì. Deficit che hanno portato a generalizzare a tutta la popolazione rom e
sinta la responsabilità del singolo. Una sequenza di deficit che richiedono una
risposta urgente e chiara, capace di abbandonare i diritti differenziati e
l’assistenzialismo culturale, oggi riservati a rom e sinti, e costruire le
relazioni umane e di scambio culturale con la popolazione romanì».
La Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2009 al punto 8. riporta:
«La grande maggioranza dei laureati rom non fa ritorno alla propria comunità
dopo il completamento degli studi universitari e che alcuni di essi negano le
proprie origini o non sono più accolti nella loro comunità quando cercano di
farvi ritorno». A Cosa è dovuto questo disconoscimento, forse a discriminazione?
«Questa è una amara verità innegabile non solo per i rom laureati o con al
titolo di studio, ma anche per tanti altri rom che sono riusciti a farcela ad
uscire dalla segregazione e dall’assistenzialismo ed essere protagonisti
positivi e professionisti preparati. La tendenza di addebitare questa scelta di
assimilazione al radicato pregiudizio ed alla discriminazione, così come
attribuire la responsabilità solo alla politica mi pare riduttivo. Credo che
tutto nasca da una perfida combinazione di interventi e di politiche da un lato
limitati agli aspetti sociali, assistenziali e di emergenza, mai culturali.
Questo sta conducendo alla perdita di una identità culturale collettiva,
dall’altro la mancanza di processi di partecipazione reali. Quale possibilità ha
un rom che è riuscito a farcela di rivendicare la propria identità culturale
romanì e collaborare per la crescita sociale e culturale della propria
popolazione? Senza contare gli stereotipi creati ad arte che descrivono lo
zingaro solo come la persona che vive nel campo nomadi, che ruba e non lavora,
ecc. Quindi non solo l’indifferenza e l’assenza di una politica per la cultura
romanì, ma una precisa volontà di gran parte della società civile, che si è
occupata e che si occupa dei rom, di gestire o tutelare, evitando ogni forma di
crescita dell’autonomia e della normalità per i rom. Qualsiasi cultura si evolve
con il contatto e con lo scambio culturale».
Mi faccia capire il vostro punto di forza, da qui l’appello che rivolgete
anche agli stessi Rom è Partecipazione, vuole spiegarmi meglio, cosa vuol dire?
«Dalle esperienze del passato e del progetto federazione, avviata molto
lentamente fin dal dicembre 2003, sono arrivate alcune interpretazioni della
partecipazione attiva dei rom. Non Basta essere Rom ma è necessario che la
partecipazione Rom sia Qualificata. Mi spiego meglio non si tratta di avere o
meno un titolo di studio ma di possedere o acquisire le conoscenze e le
competenze necessarie per una partecipazione qualificata, solo così si può
costruire un processo di formazione alla partecipazione (capacity building) e di
empowerment e di superare la convinzione che la questione rom sia solo una
questione sociale (sicurezza e legalità) e di folclore, effetto delle
improvvisazioni che hanno manipolato la realtà culturale romanì».
Infine vorrei capire, vista anche la sua formazione professionale, cosa
propone per contribuire a una maggiore scolarizzazione dei bambini e bambine
Rom?
«Il fallimento delle politiche del passato per la popolazione romanì dimostra,
anche in questo caso, che senza la partecipazione attiva, propositiva e
professionale di Rom e Sinti ogni iniziativa è destinata al fallimento, bisogna
passare dalla mediazione culturale alla partecipazione.
Le iniziative di scolarizzazione dei bambini rom e sinti devono porsi
l’obiettivo del successo scolastico e non impegnarsi solo per la frequenza. Sono
troppi gli alunni rom e sinti che completano la scuola elementare senza aver
acquisito la strumentalità minima di base: saper leggere, scrivere e far di
conto e nel contempo ritenere che le abilità del bambino rom costituiscano un
handicap. La presenza di bambini Rom nella scuola Italiana è condizionata da
stereotipi e pregiudizi che conducono al fallimento del progetto educativo, e
troppo spesso, è gestita con distanza dalle dinamiche della diversità culturale
e della strategia interculturale. Quindi in breve: formazione per gli
insegnanti, produzione di materiale didattico specifico, realizzazione di un
osservatorio nazionale e regionale, sostenere le sperimentazioni mirate partendo
dalla cultura di origine».
Nei vostri interventi spesso vi pronunciate contro i campi nomadi come
ostacolo alla integrazione, ironia della sorte spesso se ne giustifica la
nascita per preservare la cultura romanì?
«In Abruzzo non vi sono campi rom, i rom che arrivano vengono inseriti in civili
abitazioni con l’ausilio del volontariato sociale. Il campo nomadi è la nostra
tomba non rappresenta la cultura romanì. Spesso proponiamo l’autogestione dei
campi nomadi e usare le ingenti risorse per la gestione dei campi nella
costruzione di politiche abitative serie».
Quale sono i prossimi impegni della Federazione?
«In Spagna a Cordoba il prossimo 8 e 9 Aprile 2010 si svolgerà il secondo
vertice europeo sui rom ed il fatto che si realizzi durante la Presidenza
Spagnola dell’Unione Europea è un buon auspicio perchè la Spagna negli ultimi
anni è stato il paese europeo che più ha investito in politiche sociali e
culturali per la popolazione romanì. Per la grave condizione e discriminazione
della popolazione romani in molti stati Europei, dal secondo vertice europeo sui
rom ci attendiamo conclusioni politiche con la esplicitazione di una strategia
politica chiara ed efficace, strategia che da una parte impegni la Commissione
europea e gli Stati membri dell’UE ad una forte e coordinata azione politica e
degli strumenti giuridici per contrastare l’antiziganismo, dall’altra parte
definisca il ruolo attivo delle organizzazioni rom nei piani d’azione europei e
nazionali, nella progettazione/realizzazione delle politiche per i rom, nel
monitoraggio dei progetti destinati alla popolazione romanì. Vi invitiamo a
consultare il nostro spazio Web:
http://federazioneromani.wordpress.com».
S.V.
LA SCHEDA
Alla popolazione rom si applica, se cittadini stranieri, il decreto legislativo
25 luglio 1998 (Testo unico sull’immigrazione).
Non esistono censimenti ufficiali che dicano con esattezza quanti sono.
In Europa la minoranza rom/sinta è definita «la minoranza più numerosa
dell’Unione europea».
In Italia ci sono una dozzina di etnie molto radicate in precisi territori,
ognuna con proprie tradizioni. Partiti dal nord dell’India e dal Pakistan
intorno all’anno mille, gli zingari si sono stabilizzati nell’est europeo da
dove hanno poi ricominciato altre migrazioni. In Italia i primi arrivano alla
fine del 1300. Quella rom è una delle società più chiuse e tribali che si
conoscano esistono diversi gruppi.
I rom abruzzesi e molisani: i più tradizionalisti, conservano intatto
l’uso del romanì e sono arrivati in Italia dopo la battaglia del Kosovo nel 1392
a seguito dei profughi arbares’h (albanesi). Si dedicano ai mestieri
tradizionali come l’allevamento e il commercio di cavalli ed è molto diffusa tre
le donne (rumrià) la chiromanzia.
I rom napoletani (detti napulengre). Fortemente mimetizzati nel
capoluogo, fino a una trentina d’anni fa fabbricavano arnesi per la pesca e
facevano spettacoli ambulanti. Esistono anche i rom cilentani (una grande
comunità di 800 persone vive a Eboli), lucani (una delle comunità più
integrate), pugliesi, calabresi e i camminanti siciliani.
Sinti giostrai – Sparsi soprattutto tra il nord e il centro Italia sono almeno
trentamila. Arrivati in Italia all’inizio del 1400, sono i depositari del più
antico dei mestieri rom, quello dei giostrai. Un mestiere però che sta
scomparendo trasformandoli in rottamatori di oggetti recuperati tra i rifiuti e
venditori di bonsai artificiali.
I Rom harvati e il sottogruppo dei kalderasha, circa 7 mila
persone arrivate dal nord della Jugoslavia dopo le due guerre mondiali, e i
rom lovara (non più di mille) chiudono il gruppo dei rom con cittadinanza
italiana.
I rom jugoslavi – È possibile suddividerli in due grandi ceppi, i
khorakhanè (musulmani) e i dasikhanè (i cristiano-ortodossi). Vivono
per lo più nei campi nomadi del nord e del centro Italia.
I rom romeni – Quello dalla Romania è ormai un flusso continuo e
inarrestabile. Le più grandi comunità sono a Milano, Roma, Napoli, Bologna,
Bari, Genova ma ormai il fenomeno è in crescita in tutta Italia.
A livello europeo esiste il Dipartimento Rom and Travellers (Rom e
camminanti, due delle varie etnie zingare). L’ufficio, nato nel 1993 a
Strasburgo nell’ambito del Consiglio Europeo per fronteggiare la questione rom,
ogni anno produce pagine e pagine di relazioni, rapporti internazionali,
raccomandazioni.
Se in Italia non è ancora stata affrontata la questione rom, l’Europa è messa
più o meno nelle stesse condizioni.
Negli anni, attraverso numerose Raccomandazioni – ad esempio sulle condizioni
abitative (2005), sulle condizioni economiche e lavorative (2001), sui campi e
sul nomadismo (2004) – si è cercato di dare almeno una cornice di riferimento,
linee guida ai vari stati per gestire la continua emergenza rom.
Uno dei file più aggiornati dell’ufficio europeo sono i numeri. In Europa si
calcola che viva un gruppo di circa 9-12 milioni di persone, nei paesi del
Centro e dell’Est Europa – Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia –
arrivano a rappresentare fino al 5 per cento della popolazione. Scorrendo i
fogli delle statistiche ufficiali europee (aggiornate al giugno 2006), colpisce
come nei paesi della vecchia Europa, nonostante la presenza e l’afflusso
continuo di popolazione rom, manchi del tutto un loro censimento. Sono censiti
solo gli zingari che vivono nei paesi dell’est Europa: dal 1400 la «casa» dei
popoli nomadi in arrivo dall’India del nord est.
La Romania guida la classifica dei paesi con maggior numero di gitani: l’ultimo
censimento ufficiale del 2002 parla di una minoranza che si aggira tra il
milione e 200 mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria
a pari merito (800 mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520 mila), Francia e
Russia (tra i 340 e 400 mila).
L’Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa in assenza di un
censimento, che si aggira sui 120 mila. Sappiamo che oggi quel numero è salito
fino a 150-170 mila. Facendo un confronto con i paesi della vecchia Europa, è
una stima inferiore rispetto a Spagna e Francia, Regno Unito e Germania. Sui
motivi di queste concentrazioni la Storia conta poco: se è vero che la Germania
nazista pianificò, come per gli ebrei, lo sterminio degli zingari (porrajmos) e
nei campi di concentramento tedeschi morirono 500 mila rom, in Spagna la
dittatura di Franco ha tenuto in vigore fino agli anni settanta la legislazione
speciale contro i gitani eppure gli zingari continuano ad essere, e sono sempre
stati, tantissimi.
Lo statuto francese – Nonostante «la grande preoccupazione» del Consiglio
europeo «per i ritardi e l’emarginazione», la Francia (con 340 mila o un milione
di manouche) sembra aver adottato il modello migliore sul fronte
dell’accoglienza per i rom. Un modello che si muove tra l’accoglienza e la
tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la
legge Besson che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia
dotato di un’area di accoglienza; dall’altra la stretta in nome della sicurezza.
Chi non rispetta le regole dei campi e dell’accoglienza è fuori per sempre. E
chi occupa abusivamente un’area può essere arrestato e il mezzo sequestrato. La
legge Besson immagina i campi come una soluzione di passaggio e prevede,
contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani
stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune
famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.
Il caso tedesco – In Germania i 130 mila circa tra Rom e camminanti sono
considerati per legge «minoranza nazionale». Dagli anni sessanta, con la caduta
del modello socialista titino e con le prime diaspore rom dall’est europeo verso
l’occidente europeo che poi si sono ripetute negli anni ottanta e novanta con le
guerre nei Balcani, la Germania ha accolto queste migliaia di persone in fuga
con un progetto di welfare. Sono state assegnate case, singole o in palazzine
popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in
condizione di lavorare.
La Spagna – La Spagna ha una delle comunità gitane più popolose e in
Europa occupa il terzo posto dopo Romania e Bulgaria con 800 mila presenze.
Dalla fine degli anni Ottanta il governo centrale ha elaborato un Programma di
sviluppo per la popolazione rom. Anche in Spagna ogni regione ha un Ufficio
centrale che coordina gli interventi e le politiche per gli zingari in cui
lavorano sia funzionari del governo che rom con funzioni di mediatori culturali.
Il risultato è che non esistono quasi più campi nomadi, quasi tutti vivono in
affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche
nelle città. Dipende dal livello di integrazione. Che è in genere buono anche se
resta alto il tasso di criminalità.
Il 24 marzo (2008 ndr) il vicesindaco Decorato dichiara ai giornali
che il comune di Milano spende ogni anno 6milioni di euro solo per i campi
nomadi regolari; visto che sono 12 i campi in Milano siamo andati a vedere come
sono stati spesi nel campo di Via Bonfadini i circa 500.000 euro che dovrebbe
costare mantenere questo campo.
Degli altri campi milanesi, ne avevamo parlato in passato:
Di Fabrizio (del 20/03/2010 @ 09:55:52, in Italia, visitato 1938 volte)
Oggi alle 11.30, sono arrivati al campo il sig. Quagliarone, della segreteria
della Belviso, un'addetto alla sala operativa sociale del V dip. e due vigilesse
del GSSU, comandato da Di Maggio, ed hanno voluto parlare con i portavoce per
annunciare l'inizio del fotosegnalamento, a gruppi di 30/40 persone, per LUNEDI'
22 MARZO, al quale dovranno sottoporsi tutti gli abitanti del campo,
maggiorenni e minorenni, con o senza permesso, anche coloro che hanno, da tempo,
ottenuto la cittadinanza italiana.
Per i senza permesso è stato promesso l'avvio di regolarizzazione per motivi
umanitari, a meno che non abbiano dei decreti di espulsione o precedenti per
reati gravi, per i quali è prevista una "fermata" al CIE di Ponte Galeria.
I rom hanno chiesto la solidarietà e la presenza della stampa e delle
associazioni a garanzia che l'operazione, obbligatoria se si vuole avere il
permesso di rimanere nel campo "tollerato" o la garanzia di inserimento nel
futuro campo, venga svolta nel rispetto dei diritti umani.
Paolo e Davide dell'arci solidarietà onlus
L'appuntamento (anche su
Facebook) è per lunedì 22 marzo alle 8.00
La cronaca ha le sue crude leggi: dopo un morto ce n'è sempre un altro, alla commozione ed all'indignazione del momento segue sempre l'oblio, sino
alla prossima notizia. Ci sono morti pesanti ed altre leggere e per chi come me
di Rom, Sinti e del loro mondo scrive da anni, la frustrazione di dover sempre
ricominciare da capo, sino a perdere la parole, o rischiare di perdere la
lucidità, quando tanti sforzi e fatiche di tanta gente (ripeto: di anni, non di
oggi) vengono liquidati
così. Quello che è scritto resta, il resto si disperde.
Mi sento afono, mi sento DEBOLE anch'io, di fronte alla conta dei morti,
senza che se ne ricordi un nome o una storia. Per questo torno (anche se lo so
che poco o niente cambierà) a riproporre quel video sul presidio che abbiamo
fatto lo scorso
15 marzo.
Perché, almeno qui, resti qualcosa, che non sia solo rabbia o dolore.
La manifestazione tenutasi in Svezia il 3 marzo contro i rimpatri forzati di
300 rifugiati verso il Kosovo, ha visto dimostrazioni simili a Londra, Seattle,
Washington DC, Oregon, Colorado USA e Vancouver in Canada. Se i rimpatri
avessero luogo, i rifugiati rom si troverebbero a vivere nei campi inquinati dal
piombo di Osterode o Cesmin Lug nel Kosovo settentrionale. Di seguito la
cronologia [...]
10 giugno 1999: Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU vota la Risoluzione
1244, mettendo il Kosovo sotto l'autorità della Missione ONU nel Kosovo (UNMIK)
e la Forza Nato del Kosovo (KFOR).
Giugno 1999: La Mahalla Rom è attaccata dall'etnia albanese: tutti
i suoi abitanti fuggono prima dell'attacco per aura delle loro vite. La KFOR non
interviene per prevenire i saccheggi e la distruzione di tutte le case e le
infrastrutture nella Mahalla.
Fase 1: Incarico all'UNHCR.
Giugno 1999: I Rom dispersi occupano l'edificio della scuola primaria
di Zvecan ed altri edifici pubblici nella regione di Mitrovica. L'UNHCR inizia
ad organizzare sistemazioni provvisorie per i dispersi Interni (IDPs) così che
possano lasciare la scuola occupata prima dell'inizio dell'anno scolastico.
Ottobre 1999: L'UNHCR sposta alcuni dei Rom dispersi che risiedevano
nella Mahalla e che ancora rimanevano nella regione di Mitrovica, in due campi
lì situati: Cesmin Lug e Zitkovac. I rimanenti IDPs occupano spontaneamente
delle baracche a Kablare e Leposavic, creando due altri campi. Lo spostamento è
inteso come temporaneo.
Agosto 2000: Viene chiuso il complesso minerario di Trepka per i
motivi di sanità pubblica, dopo uno studio ONU che indica alti livelli di
contaminazione da piombo nell'area circostante.
Fase 2: Incarico all'UNMIK
Ottobre 2001: L'UNMIK assume la responsabilità dall'UNHCR della
gestione dei campi. I Rom dispersi risiederanno nei campi per due anni.
2004 (mese non definito): L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
facilita i primi esami del sangue su di un gruppo di circa 50 bambini nei campi
di Cesmin Lug, Kablare, Zitkovac e Leposavic, condotti da dottori serbi del
luogo.
Settembre 2004: L'OMS rilascia un rapporto che mostra livelli
estremamente alti di contaminazione da piombo tra la popolazione rom in tutti i
campi. I Rom dispersi hanno risieduto nei campi per circa cinque anni.
Aprile 2005: L'UNMIK mette in atto una task-force di diversi soggetti,
chiamata Mitrovica Action Team-MAT (in cooperazione con Ministero della
Salute del Kosovo, UNHCR, OMS,UNICEF e OCSE) per sviluppare un quadro di lavoro
per la rilocazione temporanea dei Rom IDPs da Cesmin Lug, Zitkovac e Kablare nei
baraccamenti vacanti della KFOR di Osterode.
2005: La MAT conclude che il ritorno nella Mahalla ricostruita è la
soluzione più sostenibile. Mira ad inventare un programma della gestione dei
rischi per gli accampamenti, minimizzare l'esposizione al piombo mentre vengono
sviluppate soluzioni per rilocare i campi esistenti. Iniziano negoziati con le
autorità di Mitrovica sud (controllata da Kosovari di etnia albanese), circa il
ritorno alla Mahalla. Vengono prese nei campi alcune misure di rimedio ad
interim, inclusa la distribuzione di cibo e kit sanitari, la distribuzione di
stufe a legna e l'installazione di distributori d'acqua addizionali.
2005 (mese non definito): L'OMS facilita i secondi esami del sangue su
un gruppo di circa 50 bambini nei campi di Cesmin Lug, Kablare, Zitkovac e Leposavic, condotti da dottori serbi del
luogo.
Settembre 2005: Un'attivista rom locale, Argentina Gidzic, apre una
causa contro ignoti al tribunale di Pristina, per la violazione dell'articolo
291 del Codice Penale Provvisorio del Kosovo (che proibisce le azioni che hanno
impatto sull'ambiente e mettono in pericolo vita umana).[1] In risposta alla
causa non viene intrapresa nessuna azione.
Dicembre 2005: La Norwegian Church Aid (NCA) viene incaricata dall'UNHCR
per la gestione dei campi di Cesmin Lug ed Osterode. La KFOR consegna il campo
di Osterode (terreno ed edifici) all'UNMIK.
Febbraio 2006: L'European Roma Rights Center ricorre alla Corte Europea ei
Diritti Umani a nome dei Rom IDPs, accusando violazioni della Convenzione
Europea sui Diritti Umani: articolo 2 (diritto alla vita), articolo 3
(proibizione della tortura), articolo 6 (diritto ad un processo equo), articolo
8 (diritto al rispetto dell'individuo e della vita familiare), articolo 13
(diritto ad un rimedio effettivo) ed articolo 14 (proibizione di
discriminazione). La denuncia in qualche settimana è ritenuta inammissibile dal
Tribunale, sulla base di legislazione difettosa.
Marzo-aprile 2006: Vengono chiusi i campi di Zitkovac e Kablare (a
seguito di un incendio a fine marzo nel campo di Kablare) ed i loro residenti
spostati nel campo Osterode, come sistemazione provvisoria nell'attesa di una
soluzione durevole nella Mahalla Rom. I residenti di Cesmin Lug rifiutano di
andare ad Osterode.
Maggio 2006: Partenza della prima parte del progetto di ricostruzione
della Mahalla Rom - 2 edifici (che contengono 48 appartamenti) e 54 case
monofamiliari costruite sul terreno della Mahalla distrutta a Mitrovica sud. Gli
appartamenti sono destinati ai Rom IDPs che non possono provare di aver
posseduto proprietà nella Mahalla a giugno 1999. quanti possono provarlo avranno
la loro casa ricostruita.
2006 (mese non definito): L'OMS facilita i terzi esami del sangue su
un gruppo di circa 50 bambini nei campi di Cesmin Lug, Osterode e Leposavic, condotti da dottori serbi del
luogo.
Agosto 2006: L'OMS organizza la prima delle due distribuzioni di
terapie orali celiache ad un gruppo di bambini del campo di Osterode (il periodo
della seconda distribuzione non è nota a Human Rights Watch). In totale, vengono
curati circa 40 bambini a due riprese.
Giugno 2007: Una novantina di famiglie (circa 450 persone)
ritornano alla Mahalla da tutti i campi di Mitrovica, come pure dalla Serbia e
dal Montenegro. Il ritorno è organizzato dalla task force della MAT sotto il
comando dell'UNMIK.
Maggio 2008: L'UNMIK passa la gestione dei campi di Cesmin Lug ed
Osterode al Ministero del Kosovo per le Comunità ed il Ritorno. Norwegian Church Aid
continua a gestire i due campi. Alcuni dei Rom espulsi dalla Mahalla hanno
risieduto nei campi contaminati dal piombo per oltre 8 anni.
Fase 3: incarico al Ministero del Kosovo per le Comunità ed il Ritorno
Luglio 2008: Viene aperta una causa da un attivista per i diritti delle
famiglie rom di tutti i campi (Cesmin Lug, Osterode, Leposavic) assieme all'Human
Rights Advisory Panel con l'accusa di negligenza criminale che porta a severa
contaminazione ambientale, causando seri rischi alla salute negli abitanti del
campo, come pure la violazione del diritto alla vita e alla vita familiare, con
la mancanza di un rimedio legale.
Ottobre 2008: I leader rom chiedono all'Istituto della Salute di
Mitrovica di condurre esami del sangue a Cesmin Lug, Osterode e Leposavic. Su 53
test, 21 mostrano livelli di piombo che richiedono intervento medico immediato
causa significative minacce di vita (oltre 65 mcg/dl, che è il più alto livello
misurabile), 18 hanno livelli di 45 mcg/dl e soltanto due bambini hanno
risultati nella norma. I risultati di Leposavic (il quarto campo, situato a
circa 50 km dagli altri tre) sono più bassi, comunque ancora sopra la norma di mcg/dl.
Gennaio 2009: L'OMS visita il Kosovo per esaminare la situazione nei
campi e parlare con interlocutori chiave locali ed internazionali. Al termine
chiede pubblicamente la chiusura di Osterode e Cesmin Lug.
Gennaio 2009: Norwegian Church Aid passa la gestione dei campi di
Cesmin Lug ed Osterode all'OnG locale Kosovo Agency for Advocacy and Development (KAAD),
fondata dal Ministero del Kosovo per le Comunità ed il Ritorno.
Giugno 2009: Alcuni dei Rom dispersi dalla Mahalla hanno vissuto un
decennio in campi contaminati dal piombo.
5 giugno 2009: Lo Human Rights Advisory Panel giudica ammissibile la causa
dei Rom sotto diversi aspetti, inclusa l'accusa di violazioni al diritto alla
vita, la proibizione di trattamenti inumani e degradanti, il rispetto per la
vita privata e familiare, il diritto ad un'udienza giusta, il diritto ad
un'effettiva proibizione della discriminazione in generale, la proibizione della
discriminazione contro le donne ed i diritti dei bambini, il diritto ad un
alloggio adeguato, salute e standard di vita adeguati.
Di Fabrizio (del 21/03/2010 @ 09:52:18, in casa, visitato 2065 volte)
Da Verona, una segnalazione di Franco Marchi. In calce il
suo commento
19-03-2010 (ASCA)
- Verona, 19 mar - E' stato finanziato dal Ministero dell'Interno con 1 milione
400 mila euro il progetto del Comune di Verona per la riqualificazione dei campi
nomadi di Forte Azzano e piazzale Atleti Azzurri d'Italia. Lo rende noto il
Sindaco di Verona, che oggi insieme al Prefetto Perla Stancari e all'assessore
ai Servizi demografici ha illustrato il progetto, cui il Prefetto di Venezia,
Commissario straordinario per l'emergenza nomadi sul territorio veneto, ha
assegnato il finanziamento ministeriale. Grazie all'erogazione della prima
tranche di contributi, pari a 230 mila euro, gia' nei prossimi giorni partiranno
i lavori di sistemazione dello storico campo nomadi di Forte Azzano di strada La
Rizza 65, che ospita attualmente 12 nuclei familiari, per un totale di 70
persone di cui 15 minori, tutti cittadini italiani presenti in loco gia' dagli
anni '80. L'intervento per complessivi 400 mila euro prevede: la sistemazione
delle 8 piazzole esistenti con il rifacimento completo dei servizi; la messa a
norma delle altre 4 piazzole irregolari esistenti con relativi servizi; la
delimitazione dell'area e la realizzazione di un accesso protetto con sbarra
apribile; la realizzazione degli allacciamenti alla rete esistente; il
rifacimento di parte della fognatura con la realizzazione dei nuovi allacci alle
piazzole in costruzione; la sistemazione del piazzale e delle aree di accesso
con relativa bitumatura; la bonifica delle piante di vegetazione spontanea che
creano problemi ai sottoservizi.
Per la sistemazione del campo nomadi di piazzale Atleti Azzurri d'Italia, che
presenta una situazione piu' complessa, saranno destinati 800 mila euro: il
campo ospita attualmente circa 90 persone di etnia sinti e circa 150 giostrai,
che vi soggiornano stabilmente solo nei mesi invernali. I restanti 200 mila euro
del finanziamento ministeriale assegnato saranno impiegati per garantire una
costante azione di censimento e di controllo della popolazione, al fine di
regolarizzarne la permanenza, con particolare attenzione alla tutela dei minori
presenti.
''Ringrazio il Prefetto -ha detto il sindaco- che ha ben rappresentato le
esigenze di Verona e che ha il merito principale per le importanti risorse
assegnate a questo progetto, che coniuga rigore e integrazione. Grazie a questo
intervento, la comunita' di sinti che risiede da molti anni nello storico campo
di Forte Azzano potra' avere condizioni piu' vivibili e servizi adeguati, nel
pieno rispetto del regolamento che abbiamo varato di recente, per favorire la
pacifica convivenza e garantire la sicurezza e la tranquillita' dei residenti
del quartiere''. ''E' un progetto concreto -commenta il prefetto- che mette a
disposizione risorse ingenti per migliorare la qualita' della vita di queste
persone, quasi tutte di nazionalita' italiana, ed offrire loro reali
opportunita' di integrazione: in questo modo diminuiranno le situazioni
conflittuali sul territorio, a vantaggio di tutti i cittadini''.
fdm/mcc/ss (Asca)
È molto interessante la notizia. È certamente frutto della presenza e del
lavoro del prefetto
Perla Stancari. Sono e siamo disposti a sotterrare i precedenti del sindaco
Tosi se, affiancato dal prefetto, inizierà un nuovo rapporto con i cittadini rom
e sinti di Verona. I campi di Verona, si vedono i numeri nell'articolo, non sono
mai stati enormi e attraverso una "cogestione" con gli abitanti sono sempre
stati decentemente puliti ed ordinati. I sinti veronesi sono da sempre presenti
in zona, con scambi con le province vicine, i rom di forte Azzano provengono in
massima parte dalla Slovenia e zone vicine e sono a Verona, vado a memoria e mi
riferisco alla famiglia più vecchia, dal 1961. Sono tutti cittadini italiani e
pertanto hanno superato i criteri di reddito e di certificati penali. Auguro
pertanto agli amici rom e sinti veronesi che inizi un nuovo periodo di buoni
rapporti con le amministrazioni locali. Della delibera una cosa sola mi crea
dispiacere: "200 mila euro del finanziamento ministeriale assegnato saranno
impiegati per garantire una costante azione di censimento e di controllo della
popolazione". Una parte di questo concetto non mi piace, entre è accettabile la
seconda parte: "al fine di regolarizzarne la permanenza, con particolare
attenzione alla tutela dei minori presenti". Se oltre al controllo vi saranno
azioni positive ben vengano.
Di Fabrizio (del 22/03/2010 @ 09:04:57, in Italia, visitato 2024 volte)
Lunedì 29 marzo ore 21.00 presso Cooperativa La Liberazione -
via Lomellina, 12 MILANO
La cultura Rom e le sue trasformazioni all'interno del contesto italiano. Cosa
rimane della figura romantica dello zingaro e quali spazi esistono ancora per
loro?
Organizzano: Convergenza delle culture - zona 4
Fabrizio Casavola - redattore di Mahalla
Comitato di sostegno Forlanini
Di Fabrizio (del 22/03/2010 @ 09:12:02, in blog, visitato 2516 volte)
Nata in Serbia nel 1976, laureatasi all’Accademia di Belgrado, è venuta in
Italia, a Milano, nel 1999. Attrice di teatro, è stata interprete anche in
fiction televisive e film.
A Milano prende consapevolezza delle condizione dei rom e inizia così
l’impegno per il suo popolo come mediatrice culturale per i bambini rom nelle
scuole elementari. Questa esperienza la segna e da essa iniziano le tappe della
sua attività di militante per i diritti dei rom sia sul piano artistico, che la
vede protagonista e autrice di spettacoli sullo sterminio dei rom e sulla
condizione zigana in Italia, sia su quello più politico con l’impegno a livello
nazionale e internazionale con associazioni e istituzioni che si occupano di
lotta alla discriminazione e al razzismo.
Questo impegno la vede candidata alle ultime elezioni politiche ed europee,
mentre la sua attenzione si allarga alla condizione dei migranti nel nostro
paese, alla precarietà dell’assistenza sanitaria e all’impoverimento della
scuola pubblica. In questo vede il degrado prima di tutto culturale di un paese
che non offre futuro ai propri figli e riporta le condizioni sociali indietro di
decenni, quando scuola, salute e sicurezza sociale erano discriminanti di
classe, per cui i ricchi avevano tutto e ai poveri toccava la carità.
Da questo punto di vista la Lombardia è un modello negativo che va rovesciato
perché proprio l’investimento nella scuola, nella salute, in quello che si
chiama stato sociale è la risposta concreta alla drammatica crisi occupazionale
e insieme al bisogno di sicurezza sociale che è il fondamento di una società
giusta.
Contro la barbarie della Lega, la politica anti-immigrati, la desolazione
culturale della giunta lombarda manda una "zingara" al Pirellone
Dijana Pavlovic è un personaggio
molto noto ai lettori della Mahalla.
Chi vuole, potrà conoscerla meglio e dialogare con lei, via chat su
questo sito (vedi colonna a destra), giovedì 25 marzo dalle 21.00 alle 22.00. Siete tutti invitati a partecipare. Il risultato di questa chiacchierata sarà poi messa
online.
Chi non potesse collegarsi, può scrivere le sue domande in un commento a
questo post, ed io gliele porrò
14 marzo, Incontro Rom, - Abdi Ipekci Spor Salonu, Istanbul 12:00-16:00
Oggi, circa 16.000 Rom di tutte le parti della Turchia sono stati letteralmente
stipati nel Centro Sportivo Abdi Ipekci per ascoltare il Ministro Faruk Çelik,
Eleni Tsetsekou (Programma di Gestione del Consiglio d'Europa - Unità Roma e
Viaggianti), il Dr. Ivan Ivanov (Direttore di ERIO) ed il Primo Ministro Recep
Tayyip Erdogan, riguardo la situazione del popolo rom ed il loro desiderio di un
cambio positivo per il futuro. L'impegno del governo AKP nel raggiungere cambi
significativi nel campo della salute, delle opportunità educative, dell'impiego
e dell'alloggio in Turchia per i Rom del paese, è una delle priorità del governo
con la sua "apertura democratica".
Erdogan ha raccontato la sua infanzia nel quartiere rom di Kasimpasha
(Istanbul), crescendo con i Rom come "fratelli e sorelle" e imparando presto la
loro situazione da questa esperienza. In particolare è stata importante la sua
amicizia con Balik Ayhan, che oggi era presente all'incontro col Prima Ministro
ed alla sua iniziativa per i Rom. Il discorso di Erdogan è stato accolto con
enorme entusiasmo dai Rom, ogni punto sottolineato da fragorosi applausi e dal
suono dei tamburi "davul", associati sin dai tempi dell'impero ottomano alla
musica rom. Quando Erdogan ha sottolineato la situazione dei Rom in molti paesi
europei, menzionando le persecuzioni che affrontano e le sofferenze che hanno
provato attraverso deportazioni ed esclusione, stava attirando esplicitamente
l'attenzione sulle variazioni nelle politiche che questo incontro annuncia per
la Turchia, portando in primo piano la posizione di un approccio positivo verso
i Rom, in un periodo in cui crescono le attitudini sempre più negative nel resto
d'Europa.
Resta da vedere l'impatto reale dell'iniziativa di Erdogan e "dell'apertura
democratica" per il popolo rom, come pari cittadini della Repubblica davanti
alla legge e alla Costituzione. Se i recenti attacchi alla comunità rom di
Manisa, o la distruzione dei quartieri rom ad Istanbul, Mersin, Diyabakir ed
altre città negli ultimi anni cesseranno, particolarmente nel contesto della
complessa situazione politica aperta con questa serie di iniziative democratiche
(con i popoli Kurdi e degli Alevi), è una questione aperta. L'aumentata
polarizzazione della società turca attorno a questi temi ha portato ad un
rottura potenzialmente divisoria, dove quanti appoggiano questi cambiamenti sono
contrapposti a chi rappresenta la vecchia, tradizionalmente secolarista alleanza
politico-militare.
Queste versioni contrastanti della modernizzazione in Turchia stanno lottando
per il dominio ed è ancora possibile che i Rom si trovino presi tra due fuochi.
L'enorme riunione di oggi indica che le forze per la democratizzazione sono
capaci di guidare l'agenda dell'inclusione sociale in questa direzione
particolare ed incoraggiare l'appoggio alle altre organizzazioni rom europee ed
alle istituzioni che promuovono i diritti dei Rom. D'altra parte, in Turchia
queste innovazioni sono spesso state fatte deragliare come insegna la storia del
tardo impero ottomano e della Repubblica.
Però oggi l'atmosfera era una delle positive promesse ed il tanto atteso
riconoscimento del popolo Rom, come degni di pari diritto e rispetto in Turchia.
Oggi, i cittadini rom turchi si sentono così come sono stati descritti dal loro
Primo Ministro. Cittadinanza ed eguaglianza in Turchia, "Ille'de Roman olsun!"
ha detto Erdogan, e la folla ha ruggito la sua approvazione; "Insisto che questo
sarà Romani!"
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