Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 20/01/2010 @ 09:50:15, in Italia, visitato 1567 volte)
Li, 19 Gennaio 2010 -
Comunicato Federazione romanì
Sabato 16 gennaio a n. 129 persone rom abitanti nel campo di Via di salone è
stato notificato il trasferimento al C.A.R.A. (Centro di accoglienza richiedenti
asilo) della protezione civile ed attualmente gestito dalla Croce rossa
Italiana.
Mancava la Croce rossa! … ed è arrivata.
Lunedì mattina 60 persone rom del campo di via di Salone sono stati
costretti ad accettare il trasferimento al CARA e sottoscritto un accordo,
mentre oggi diverse famiglie rom della ex Jugoslavia del campo di Casilino 900
sono state trasferite al campo di Salone. Le famiglie rom Macedoni e Kosovari
restano al campo di Casilino 900.
Il solito "travaso" romano che da diversi anni si realizza a Roma per
volontà della politica, di qualsiasi colore, e con la complicità di tanti.
La Federazione romanì, con l’aderente ass. Romà onlus e la
collaborazione dell’organizzazione europea ERRC è presente a Roma nei campi di
Casilino 900 e Salone per sostenere le famiglie rom, per raccogliere
informazioni, per controllare il rispetto dei diritti, per denunciare alle
istituzioni preposte le violazioni.
La Federazione romanì nel sottolineare ancora una volta la NON
CONDIVISIONE delle politiche adottate dal Comune e dal Commissario per
l'emergenza rom di Roma verso la popolazione romanì, denuncia l’utilizzo
strumentale della partecipazione attiva rom per fare propaganda politica e
per perseguire interessi.
Se quando accaduto in questi giorni è il metodo per mettere in atto il piano
nomadi a Roma temiamo una forte crescita del disagio che si riverserà sulla
quotidianità di tutti i cittadini, rom e sinti compresi.
La Federazione romanì fa appello a Rom e Sinti di Roma ed agli amici
del popolo rom di essere co-promotori della prossima iniziativa pubblica in
corso di definizione, inviando email a:
federazioneromani@libero.it
Nazzareno Guarnieri - Presidente Federazione romanì
Sede legale e segreteria: Via Altavilla Irpina n. 34 - 00177 Roma
Codice fiscale 97322590585 – Email:
federazioneromani@libero.it
Tel. 0664829795 – fax 0664829795 Web:
http://federazioneromani.wordpress.com
Presidenza 3277393570 - Coordinamento 3331486005 - Segreteria 3483915709
Di Fabrizio (del 21/01/2010 @ 09:33:47, in Europa, visitato 1595 volte)
Da
British_Roma (vedi anche
QUI)
By Brian Lovett
13/01/2010 - Una strategia di relazioni comunitarie che affronti il razzismo
nell'area del Village è [stata lanciata] dal sindaco onorario a Belfast venerdì
15 gennaio.
Il progetto di alcuni gruppi locali nacque inizialmente in risposta agli
attacchi razzisti dell'anno scorso contro Rom e Polacchi, durante i quali alcuni
Rom furono forzati a fuggire dalle loro case.
La strategia, coordinata dal Greater Village Regeneration Trust (GVRT) e dal
Village Focus Group, sottolinea un impegno allo sviluppo di relazioni
comunitarie nell'area per i prossimi tre anni.
Lo scopo è sviluppare una strategia che renda il Village "un posto più
armonioso dove vivere" e "disinnescare le tensioni razziste e prevenire
ulteriori attacchi/intimidazioni".
La strategia è stata sviluppata attraverso un processo consultivo che ha
coinvolto un'indagine della comunità per campionare le opinioni e vasta
consultazione con i soggetti chiave.
Paula Bradshaw, direttrice di GVRT, ha detto che il gruppo ha iniziato a
lavorare nello sviluppare lo schema, sin da quando gli attacchi hanno avuto
luogo.
"La ragione per cui siamo arrivati ad una strategia formulata è perché
abbiamo capito che c'era una sfida enorme," ha detto. "Detto questo, crediamo
che quanti esprimeranno punti di vista razzisti nel Village saranno sempre meno
in futuro. Ma avevamo bisogno di una robusta strategia per affrontare questi
temi."
[...] GVRT avrà l'appoggio della Northern Ireland Housing Executive
attraverso il programma del Vicinato Condiviso.
Di Fabrizio (del 21/01/2010 @ 09:35:27, in blog, visitato 1430 volte)
Da
Hungarian_Roma
The Morning Star Oriel Myrddin, Carmarthen - 15 gennaio 2010 - by
Len Phelan
Abitazione in una caverna, una delle molte immagini presentate nella mostra
del Galles del Sud
Una delle conseguenze maligne del collasso del socialismo nell'Europa orientale,
è stato il trattamento del popolo rom.
Marginalizzati ed abusati per generazioni, sono anche crescentemente
sotto attacco negli stati dell'Europa centrale.
E in Italia il regime di Berlusconi chiude un occhio, se non incita, i pogrom
contro la popolazione rom che con altri gruppi di migranti sono un capro
espiatorio per i mal di pancia di uno stato quasi-fascista.
Molte delle immagini dei media sui Rom sono sensazionalizzate, tuttavia ancora
provocano pietà e rabbia per il loro trattamento disumano.
Ma l'esposizione di Tina Carr e Anne-Marie Schone rivela sottilmente un'altra
sfaccettatura della realtà che è largamente sconosciuta.
Sponsorizzate dal Consiglio delle Arti, le due hanno passato un lungo periodo
fotografando i Rom in Ungheria, alcuni dei quali hanno resistito a violenti
reinsediamenti.
Le fotografie sono un salutare antidoto all'usuale trattamento di quei soggetti,
con un linguaggio figurato, intimo, rispettoso ed empatico, soffuse con la luce,
i colori e le decorazioni di una ricca cultura.
Molti Rom vivono in appartamenti comuni di cemento, senza acqua corrente,
elettricità o riscaldamento centrale.
Ma ciò che queste fotografe rivelano è un popolo il cui senso d'identità - si
può osare dire ottimismo - trascende il loro ambiente spesso colpito dalla
povertà.
Questo fuoco ispiratore è un marchio di fabbrica delle due artiste, il cui
ultimo progetto è stato uno studio criticamente applaudito su un'altra comunità
estraniata - le generazioni "post-carbone" nel Galles del sud.
Colpisce in questa esposizione anche la gamma delle situazioni, dagli
appartamenti decorati di Budapest ad una remota comunità troglodita.
Anche se sradicati questi soggetti possono apparire in ambienti urbani o
naturali, col titolo dell'esposizione che collega il folklore dei Rom alle loro
origini nomadi, è ciò che fornisce un punto di vista che supera quello del
reportage puramente pittoresco.
Queste interessanti immagini fanno molto nel contrastare i preconcetti negativi
sui Rom nell'evidenziare il loro tenace legame di un'identità da cui,
culturalmente, tutti noi possiamo trarre beneficio.
E contrastano i tentativi razzisti di demonizzare un popolo le cui origini sono
"europee" come quelle di qualsiasi altro.
Per apprezzare pienamente queste foto di grande formato, è necessaria una visita
alla galleria.
Ma potete anche vederle online ed ottenere alcune affascinanti informazioni sui
retroscena del progetto visitando
www.oncewewerebirds.blogspot.com
Until February at Oriel Myrddin, Carmarthen. (01267) 222-775.
Di Fabrizio (del 21/01/2010 @ 09:37:09, in Italia, visitato 2352 volte)
Segnalazione del Centro Sociale SOS Fornace
[...] La giornata di ieri sarà ricordata per sempre come una delle pagine più
vergognose vissute dalla nostra città nella sua storia recente. Dopo lo sgombero
di settimana scorsa, che ha colpito un rom cieco e in dialisi, ieri un nucleo
famigliare allargato composto da un uomo di 22 anni - cittadino italiano e
metalmeccanico -, 4 donne e 10 bambini, tutti di etnia rom, si è visto strappare
quel poco che aveva da un esercito di un centinaio di uomini in divisa che hanno
così portato a compimento la "soluzione finale" prospettata dall'amministrazione
razzista di Rho per la comunità rom, e cioè il progetto scientifico di un loro
allontanamento dal territorio rhodense. La casa dove risiedeva il nucleo
famigliare è stata sgomberata ed abbattuta dalle ruspe, e gli abitanti sbattuti
su una strada. Durante lo sgombero, in spregio ad ogni più elementare diritto umano, non è
stato preposto dall'amministrazione rhodense alcun tipo di intervento di
carattere "sociale" o...
Comunicato
Rho, 19 gennaio 2010.. A pochi giorni dalla ricorrenza della Giornata della
Memoria, il Sindaco ciellino Zucchetti ha voluto festeggiare con uno sgombero il
Porrajmos, lo sterminio nazista di Rom e Sinti. La Giunta razzista della città
di Rho, dopo lo sgombero di settimana scorsa di un rom cieco e in dialisi, molto
pericoloso per la sicurezza dei cittadini, questa mattina ha mandato un
dispiegamento impressionante di Polizia Locale, Polizia di Stato e Carabinieri
per sgomberare una decina di bambini e alcuni adulti che vivevano nella propria
casa in via Magenta, abbattuta dalle ruspe.
Nonostante Zucchetti abbia fatto proprio lo slogan di Expo 2015, “Nutrire il
Pianeta”, la solidarietà e l’umanità non abitano a palazzo Visconti, soprattutto
quando si avvicina la campagna elettorale delle regionali e, per nascondere la
servitù degli amministratori leghisti e ciellini alla Fiera e ai palazzinari,
che loro rappresentano contro gli interessi della città, si tenta di puntare il
dito ancora una volta contro i rom, come facevano i nazisti, indicandoli come
capro espiatorio di tutti i mali della città.
Dopo avergli confiscato i terreni che avevano acquistato regolarmente da
italiani, dopo avere incassato diverse rate del condono per alcune migliaia di
euro per poi dichiararlo illegittimo, ora il Sindaco, appena uscito da Messa,
gli ha fatto abbattere la casa, interrompendo così di fatto l’iter scolastico
dei bambini e mettendo a rischio la posizione lavorativa dell’unico uomo della
famiglia, tra l’altro cittadino italiano.
Tutti gli sgomberi di Rom che stanno avvenendo a Rho negli ultimi mesi sono
finalizzati anche a liberare terreni che con il Pgt cambieranno destinazione
d’uso, essendo inseriti in aree di trasformazione che da agricole diventeranno
edificabili. Così nella città vetrina di Expo i razzisti e gli speculatori
viaggiano a braccetto, compiendo l’ennesimo atto disumano.
Alcuni esponenti del centro sociale Fornace, tenuti a distanza dalla Polizia,
hanno assistito alle operazioni di sgombero testimoniando alle persone vittime
di questa ingiustizia, la propria solidarietà. Nei prossimi giorni ci saranno a
Rho iniziative di protesta.
sosfornace@inventati.org
www.sosfornace.org
Da
TheatreRom
Una mattina mi sono svegliato di soprassalto per le urla, esco fuori dalla
roulotte e vedo una scena meravigliosa. Due pantere dei carabinieri di zona, che
ci conoscevano tutti, e un brigadiere che parlava con il vecchio Sefko, che era
considerato l’uomo di fiducia di tutto il campo (se uno vuole far sapere in
giro una cosa, basta raccontarla a Sefko e raccomandargli di non dirlo a nessuno:
stai sicuro che nel giro di un’ora tutti gli zingari, carabinieri, polizia,
pompieri e pure gli autisti dell’Atac sapranno che cosa è successo). Sento
il brigadiere che gli fa delle domande:
Brigadiere: “di chi è tutta questa roba?”, indicando un barile, uno di
quelli di gasolio che era strapieno di rame squagliato.
Sefko: “bambini”, e indicava due ragazzini di 4 -5 anni massimo.
Brigadiere: “ma che, mi stai prendendo per il culo, come cazzo loro possono
portare due quintali e mezzo di rame squagliato?”
Sefko: “ma che ne sanno bambini, signor brigadiere, quanto pesano due
quintali e mezzo, sono solo bambini e ancora non vanno a scuola e non conoscono
matematica.” Quando ho sentito la risposta di Sefko mi sono ammazzato di
risate, ridevo cosi tanto che ho smesso ridere dentro la caserma, perché mi
hanno portato per accertamenti dei documenti, che io regolarmente non avevo.
Di Fabrizio (del 22/01/2010 @ 09:30:43, in casa, visitato 1677 volte)
Segnalazione di Tommaso Vitale
Il villaggio rom a Coltano - Pisa - 14/gen/10
Dal sito della
Fondazione Michelucci:
Terminati i lavori del nuovo villaggio. Un’area residenziale attrezzata per
17 famiglie rom
Un'area residenziale - che sostituisce il fatiscente "campo nomadi" - voluta
dal Comune di Pisa e sostenuta dalla Regione Toscana, per superare l'abitare
inferiore e marginalizzante di una popolazione svantaggiata, stigmatizzata e ad
economia debole.
Il progetto dell’area residenziale per famiglie rom a Coltano nasce all’interno
di un piano di sistemazioni abitative “Le città sottili”, voluto
dall’amministrazione comunale (con riferimento alla L.R. Toscana 2/2000) e
rivolto ai gruppi rom presenti sul territorio con diversi insediamenti.
I riferimenti dell'intervento di superamento del vecchio campo (il cui progetto
preliminare è stato realizzato dalla Fondazione Michelucci) trovano i loro
presupposti nella particolare localizzazione dell’area di intervento
(all’interno di un parco naturale) e nell’esigenza di dare una risposta concreta
alla richiesta di un abitare non più precario e marginalizzante per una
popolazione svantaggiata ad economia debole.
A fronte di una scelta localizzativa, che non presenta le condizioni più
favorevoli che a favorire il difficile processo di inserimento urbano e sociale
dei Rom (prossimità urbana, servizi territoriali, vicinanza di istituti
scolastici, ecc.), l’attenzione è stata rivolta a ribaltare l’attuale situazione
di “apartheid” geografico e sociale, pensando l’intervento come realizzazione di
un borgo abitato nella campagna, in prossimità della via Aurelia, e di un
complesso di abitazioni con servizi in relazione col parco.
In tal senso le scelte progettuali sono andate nella direzione di un progetto
naturalisticamente integrato e rispettoso del territorio inteso come risorsa,
rifacendosi nelle tipologie all’edilizia presente in maniera diffusa nell’area:
la casa colonica a un piano a pianta generalmente quadrata con un corpo basso
che si estende su di un lato e utilizzato in passato per l’attività agricola.
L’intervento prevede 17 unità abitative in muratura, aggregate in tre corpi di
fabbrica in linea, distribuiti lungo un percorso pedonale che attraversa
longitudinalmente il lotto; dal punto di vista costruttivo è stato previsto un
sistema a muratura facilitata, ipotizzato per un intervento in autocostruzione,
con elementi in polistirene espanso a riempimento in calcestruzzo, integrato a
pannelli-cassero in materiale sintetico e cemento armato per i solai.
Nell’ottica di facilitare una vita di relazione aperta al proprio gruppo
parentale allargato e un luogo dove i bambini e gli adolescenti possano trovare
la piena sicurezza di una crescita non necessariamente penalizzante come quella
dei classici campi, è stata realizzata una netta divisione fra la viabilità
pedonale e carrabile, mentre gli alloggi hanno una fascia di pertinenza a verde
in grado di garantire continuità fra interno ed esterno dell’alloggio.
I tre corpi di fabbrica si articolano intorno allo sviluppo di un modulo
abitativo standard di 60,3 mq., che variando per disposizione e diminuzione dei
locali crea un disegno d’insieme articolato che pure in una situazione di
contiguità, garantisce un buon livello di privacy.
Nella definizione dell’alloggio tipo, le indicazioni progettuali - condivise
anche con i futuri abitanti - hanno tenuto conto della particolare utenza
sfruttando al massimo l’utilizzo delle superfici disponibili.
Nonostante il progetto sia stato pensato ipotizzando un intervento in
autocostruzione, la realizzazione finale con il cantiere aperto ad aprile 2007 è
stata affidata esternamente a seguito di appalto pubblico.
La base d'asta per la realizzazione del villaggio è stata di 920.000 euro.
Il cantiere con la realizzazione completa delle opere previste è stato
consegnato all'Amministrazione comunale di Pisa il 9 dicembre 2009.
SCHEDA TECNICA
superficie coperta
tipo A = 60,3 mq.
tipo B = 45,9 mq. (sopraelevazione)
tipo A = 12 moduli = totale mq. 723,6
tipo B = 5 moduli = totale mq. 229,5 (sopraelevazione)
totale superficie coperta mq. 723,6
volume coperto
tipo A = 60,3 X 2,70 = mc. 162,81
tipo B = 45,9 X 2,70 = mc. 123,93
tipo A = 12 moduli = totale mc. 1953,72
tipo B = 5 moduli = totale mc. 619,65
totale tipo A + totale tipo B = mc. 2573,37
Progetto definitivo
Studio Tecnico Mugello (con la collaborazione della Fondazione Michelucci)
Progettazione: Geom. Stefano Zanieri
Progettazione e direzione dei lavori: Geom. Gianfranco Chiarelli
Progettazione strutturale: Ing. Paolo Collini
Le varie fasi progettuali che hanno portato alla realizzazione del progetto sono
state attuate in collaborazione con gli uffici tecnici dell’ASL 5 (Ing. Stefano
Bonechi)
MC
Allegati:
Dopo le polemiche seguite alla chiusura del progetto Città
Sottili di Pisa, ho chiesto un parere informato ad Agostino Rota Martir, che i
lettori di questo blog già conoscono, e che vive ed opera con i Rom di Coltano
da molti anni. Ecco cosa m'ha scritto:
Caro Fabrizio, grazie dell'attenzione e la gentilezza di chiedere un mio
parere, ecco ci tengo a sottolineare che è innanzitutto un mio parere, anche se
nasce molto dal sentire dei Rom di Coltano e sono anche il frutto di tanti anni
di ascolto, di pazienza, di delusioni e amarezze e prese in giro, di sotterfugi
che contraddistingue il comune di Pisa, in primis i responsabili del progetto
denominato "Città Sottili". Non è ancora il momento di fare (almeno per me) una valutazione complessiva sul
Progetto del Villaggio Rom di Coltano, cosa che penso di fare più avanti, farlo
ora forse significa mettere a disagio... (per non dire altro) delle famiglie
Rom: è anche per questo che voglio parlare solo a titolo personale.
Mi limito a rispondere-commentare i contenuti della pagina che ho scaricato dal
link che mi hai mandato.
Partiamo dal titolo: "Autocostruzione": niente di più falso e fuorviante. Era
nelle intenzioni iniziali quello di coinvolgere i Rom nell'autocostruzione, ma è
sempre rimasto sulla carta, una semplice buona intenzione. E si è fatto
veramente poco per coinvolgere i Rom in questo, anche perché gran parte dei Rom
erano privi di un Regolare Permesso di Soggiorno: senza Soggiorno, niente
Party!!
Quindi il villaggio è stato interamente costruito dalle ditte Italiane. Non è
vero che è la costruzione è iniziata nel 2007!! I Rom stanno aspettando dal 2002
e i primi lavori sono incominciati (se ricordo bene) nel 2004.
Nella presentazione si parla di "coinvolgimento" dei Rom, anche questa è
risultata una bella intenzione, posso dire che il comune ha creduto pochissimo
coinvolgere i Rom, semplicemente ha dato la priorità ad Associazioni, "esperti"
Rom, operatori, Cooperative che spesso hanno gestito con ambiguità la vita dei
Rom: decidere al posto loro, pensare al loro futuro con schemi e visioni
discutibili e anti-Rom. Spesso il coinvolgimento si limitava a chiedere ai Rom
di ubbidire a promesse che venivano poi spesso disattese dai stessi responsabili
del Progetto. Il Progetto ha di fatto diviso la comunità dei Rom, creando
rivalità e sospetti tra gli stessi, e la cosa triste è il sospetto che spesso
tutto questo rispondeva a tattiche che i responsabili operavano deliberatamente:
"Dividi et impera". In nome dell'integrazione spesso vengono calpestati e
silenziati i diritti dei Rom. Perché è più importante far vedere alla
cittadinanza che i Rom sono sotto "controllo", e sbandierare quei risultati che
vogliamo vedere...ma in questi lunghi anni le condizioni di vita sono forse
migliorate? Si, è vero c'è a fianco un bel villaggio in muratura, tutto cintato,
asciutto..mentre i Rom che vivono accanto da anni vivono allagati alla prima
pioggia, le fogne che escono maleodoranti, e tante famiglie sono ancora senza
servizi igienici, messi in attesa dal 2003 con la promessa di avere un alloggio,
di pazientare, di collaborare... mentre ora il Comune fa sapere che deciderà una
commissione (l'ennesima), tutta nuova, completamente inesperta e priva di
memoria storica, che ancora una volta stabilisce nuovi criteri, arbitrari e
discriminatori... perché la maggioranza delle famiglie sembra che verrà esclusa!
Altra grossa delusione (più corretto dire constatazione) è il ruolo della
Fondazione Michelucci di Firenze. Sinceramente mi chiedo come una Istituzione
così famosa e ricercata possa pensare che il Villaggio appena realizzato tenga
conto dello stile di vita, ma sopratutto dell'abitare Rom. Sarebbe bene che la
stessa Fondazione si pronunci in merito e risponda ad alcune domande precise:
"Il Villaggio così com'è è adesso, è lo stesso progetto che la Fondazione ha
presentato al comune quando le fu chiesto la consulenza?" Ritiene la Fondazione Michelucci che la realizzazione finale del Villaggio di Coltano è pensato e
adatto per famiglie Rom?"
A me sembra che la Fondazione Michelucci si è mostrata attenta a rispettare la
vocazione dell'area del Parco naturale di Coltano, cosa senz'altro lodevole e
meritevole, ma pensare di superare la logica dei campi forse ci vuole ben altro,
non basta certo sostituire una parola con "villaggio Rom" per far credere chissà
quale novità, quando tutto il resto non fa altro che ripetere le stesse logiche
dei campi...
Termino qui, pur avendo tante altre cose da dire, preferisco rimandarle ad
un'altra occasione, scusami la poca chiarezza e un po' di imprecisione.
Ciao Ago
Di Fabrizio (del 22/01/2010 @ 09:36:36, in Europa, visitato 1665 volte)
Segnalazione di Paolo Ciani
Budapest (Ungheria): "Zingari, europei senza patria". Un convegno
all'Accademia della Scienze, promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, raccoglie
le voci solidali con il popolo rom
La Comunità di Sant’Egidio dell'Ungheria promuove un convegno dal titolo:
“Zingari: europei senza patria”, il 22 gennaio, all’Accademia delle Scienze di
Budapest.
L'iniziativa nasce dall'esigenza di reagire alla serie di attentati compiuti
in Ungheria negli ultimi due anni contro gli zingari, esprimendo la vicinanza al
dolore delle vittime, contro il pregiudizio e la violenza verbale e fisica, che
feriscono tragicamente non solo i loro bersagli, ma anche i loro portatori e la
società nel suo insieme.
La Comunità di Sant’Egidio ha inteso così raccogliere le voci solidali con la
popolazione rom, e offrire le motivazioni per opporre alle derive antigitane una
vera cultura dell’accoglienza e della dignità della persona, insieme a piste di
integrazione.
Al convegno intervengono, tra gli altri: Péter Szőke, responsabile della
Comunità di Sant’Egidio in Ungheria e funzionario del Ministero degli Affari
Esteri; Katalin Katz, della Hebrew University, Jerusalem, esperta di prestigio
internazionale dell’olocausto dei rom; Ceija Stojka, scrittrice rom di
nazionalità austriaca, sopravvissuta all’olocausto; János Ladányi,
dell'Università Corvinus di Budapest; mons. Marco Gnavi, della Comunità di
Sant’Egidio; mons. János Székely, vescovo ausiliare di Esztergom-Budapest,
responsabile della Conferenza episcopale ungherese per la pastorale degli
zingari e una rom ungherese, madre e nonna di due zingari uccisi lo scorso anno
a Tatárszentgyörgy.
Di Django Reinhardt s'è raccontato (qui e altrove)
praticamente tutto. Per chi volesse ripassare la sua vicenda...
di Giordano Montecchi 18 gennaio 2010
La storia è di quelle che fanno palpitare: avventura e sventura mescolate
insieme, di quelle storie che non basta un film per raccontarle. Perché è vita
vera, sofferenza, passione, sogni, miseria, fortuna, genio e sregolatezza.
Insomma: Django Reinhardt. Era il 23 gennaio di cent’anni fa. A Liberchies,
qualche centinaio di anime poco a nord di Charleroi, Belgio, faceva un freddo
cane. Appena fuori dal villaggio da qualche giorno c’era una carovana di
zingari, cinque o sei roulottes malandate, coi loro cavalli smagriti, i falò per
scaldarsi, e, al centro, una piccola tenda da circo. Quel giorno, in una delle
roulotte, Laurence Reinhardt partorì un maschietto. Laurence era così scura di
pelle da essere soprannominata «Negros». Era l’acrobata del circo ed rimasta
incinta di Jean Vées, acrobata anche lui e, quando poteva, musicista: chitarra,
violino, un po’ di tutto. Lei però non volle saperne di sposarlo. Il bambino si
chiamò Jean-Baptiste, ma presto gli fu affibbiato l’immancabile soprannome:
Django.
IL BANJO A DODICI ANNI. La carovana viaggò ancora molto. Girovagarono per
l’Italia, poi furono in Algeria e infine si fermarono alla periferia di Parigi.
Sua madre gli regalò un banjo, e a dodici anni Django accompagnava già suo padre
e suo zio che si esibivano al caffé del mercato delle pulci di Clignancourt,
poco fuori Parigi. Django era bravo, molto bravo, suonava la chitarra con una
grinta e una velocità da lasciare a bocca aperta. A diciotto anni aveva già
registrato qualche traccia, aveva la sua piccola fama, ma era e restava uno
zingaro e ogni notte tornava a dormire nella sua vecchia roulotte. La sua
seconda nascita avvenne nel 1928 e fu tragica. Era ottobre, il 26. Jack Hylton,
leader di un’orchestra alla Paul Whiteman piuttosto famosa, gli offrì di entrare
nella sua band per una tournée in Inghilterra. Era fatta!
Forse quella sera Django era eccitato, fatto sta che rovesciò la candela accesa
e i fiori di celluloide da vendere l’indomani davanti al cimitero presero fuoco
e in un baleno la roulotte fu avvolta dalle fiamme. Bella Baumgartner, la sua
compagna, se la cavò con poco, ma Django riportò ustioni gravissime sul lato
destro del corpo e alla mano sinistra. Diciotto interminabili mesi di ospedale,
e alla fine, mignolo e anulare della mano sinistra rimasero paralizzati. I
medici furono unanimi: la sua carriera di musicista era finita. Ma non sapevano
con chi avevano a che fare. Perché da quel rogo di miseria ed emarginazione,
qualcosa che ben conosciamo ancora oggi, era nato Django Reinhardt, il dio
zingaro della chitarra. Dio, perché nessun essere umano avrebbe potuto essere
così testardo, inventarsi un modo di suonare con solo due dita e diventare un
virtuoso impressionante, rivoluzionando la tecnica e il destino della chitarra.
La carriera fu sfolgorante. Incontrò il suo alter ego in Stéphane Grappelli,
violinista tanto per bene quanto Django fu sempre imprevedibile, sbruffone,
spendaccione. Col loro celeberrimo Quintette du Hot Club de France furono i
protagonisti assoluti del trapianto del jazz in Europa, con Monsieur Grappelli
perennemente imbarazzato per le figuracce cui lo costringeva Django: analfabeta
vero, per il quale un contratto era solo carta; nomade nell’anima, bisognoso
ogni tanto di sparire per tornare alla sua roulotte e alle sue radici. Django
era fin troppo «fenomeno» per accodarsi a una musica altrui qual era in fondo il
jazz. Andò in America, ma il suo idolo Duke Ellington fu una delusione: tutto
troppo ordinato, ufficiale, per lui che non volle mai leggere una nota di
musica. Django era un sinti, che in Francia sono detti manouche, ricchi come
tutte le etnie zingare di una loro tradizione musicale tutta chitarre e violini.
Django la «contaminò» e nacque il jazz manouche, jazz portatile: chitarra e
violino solisti, niente batteria ma due chitarre e contrabbasso per la pompe,
così si chiama quel ritmo indiavolato che ti scortica e sale su dalle piante dei
piedi.
INCIDENTE PITTORESCO Curioso sfogliare le pagine di allora. Per André Hodeir,
grande jazzologo, Django non era jazz, ma solo un «incidente pittoresco». Ma
girate oggi per dischi, o per locali. I gruppi di giovani e giovanissimi,
calamitati da questo modo sfrenato di scoparsi la chitarra, sono una schiera e
gli scaffali, quelli che restano, pieni di questa musica, un po’ jazz un po’
world music, con protagonisti dai nomi così inesorabilmente diasporici: Bireli
Lagrène, Stochelo Rosenberg, Angelo Debarre, Tchavolo Schmitt ecc. Hodeir toppò,
ma non Eric Hobsbawm, che nascosto dietro lo pseudonimo di Francis Newton nel
1959 pubblicava The Jazz Scene, magnifica storia del suo oggetto amato. Dice
Hobsbawm: «è significativo che Reinhardt sia fino ad ora il solo europeo che
abbia conquistato un posto nell’Olimpo del jazz... ed è significativo che si
tratti di uno zingaro». Perché insistere su quel «significativo»? Perché un
grande storico come Hobsbawm aveva capito che il destino del jazz non era quello
di essere solo la musica dei neri. Il jazz era l’annuncio che una nuova musica
alzava la voce: la musica di quelli che il «primo mondo» ha sempre ignorato o
odiato. Django è storia di adesso.
Di Fabrizio (del 23/01/2010 @ 09:27:02, in Italia, visitato 1830 volte)
Noblogo
Jan. 20th, 2010 at 12:47 PM
Il Casilino 900 è giusto che sia chiuso.
Sarebbe giusto che chi c'ha vissuto in questi anni trovasse una condizione di
vita diversa dall'eterna condanna al "campo nomadi", una casa vera e non un
container. Fuori da un recinto presidiato da telecamere ... fuori dal
pregiudizio. Ma questo non è permesso. Non qui a Roma.
Riporto un bel pezzo da ReteRom, il sito degli amici di Stalker, accompagnandolo
da mie fotografie.
Un omaggio alla memoria che viene negata allo sfortunato popolo Rom.
Ho avuto il privilegio di parlare circa un anno fa con chi abitava questa
bellissima casa.
Persone di una profondissima umanità, in particolare la padrona di casa che mi
parlava delle speranze in un futuro migliore con la saggezza di chi atavicamente
è abituato a seguire con rassegnata sopportazione l'eterno ciclo degli eventi.
MERCOLEDÌ 20 GENNAIO 2010
Tabula rasa
Oggi è il 19 gennaio del 2010
È cominciato lo sgombero del Casilino 900
È anche l’anniversario dell’occupazione della facoltà, la Pantera
20 anni di stalker e non riesco a dormire
Poche ore fa la demolizione della casa di Hakya
La casa in cui è nata Savorengo Ker
Ho visto saltare in aria di seguito
Le lamiere del tetto, i montanti in legno, un divano rosso, le scale
La ruota simbolo dei Rom al centro della facciata
Il cavallino accanto, ricordo dell’antico mestiere della famiglia
I gocciolatoi intagliati alla maniera di Hakya
Una stufa di ferro incastrata nei denti della ruspa
Un quadro ad olio con signora, un manifesto di Eminem
Un manifesto di Benito Mussolini, si davvero
Hakya ridendo ha detto ad Azzurra “era un parente.
La foto di un antenato!”
Ho immaginato il punto di vista di chi demolisce
Un video ripreso dalla cabina del macchinista
Di chi sono le mani su quelle leve?
Di chi guarda il video.
Telespettatori educati a non sapere
ora deformano la realtà guidando il video
Sicuri dietro il vetro del parabrezza
il macchinista esegue, demolisce la casa
magari una casa non ce l’ha nemmeno lui.
Una signora dice “io non ci voglio andare nei campi”
Un poliziotto “il campo di Salone
è un albergo a cinque stelle rispetto a questo”
indica la casa di Hakja in macerie,
io penso di no, sono sicuro di no, perché lo so, io so
una poliziotta aggiunge “ma a Salone ora c’è anche la ludoteca,
l’asilo dei bambini dentro al campo”
un’altra poliziotta “ d’estate ci mettono anche la piscina”
le signore Rom ci scherzano sopra, loro non lo sanno
non sono mai state a Salone, nessuno le ha mai portate
a vedere i container, neanche i mariti
Gli daranno un container di 18 metri quadri per sei persone
tre metri quadri a testa
riscaldamento, bagno, acqua e luce elettrica
e tutto intorno, stretti ogni 3 metri,
solo container e spazi tra i container
un posto dove incontrarsi è stato soppresso
per fare posto ai nuovi container per il Casilino 900
sulla recinzione ci sono 50 telecamere
non ci sono gli spazi per i mercatini
né dove lavorare i metalli, riciclare oggetti
sono tu non ci sono altre persone oltre ai Rom,
alle guardie e alle associazioni che li sorvegliano
e li portano a scuola, in città, città?
insomma oggi abbiamo visto demolire la casa di Hakya
e Azzurra dice di aver visto Mussolini
f.c.
Venerdì 29 gennaio alle ore 21.15 la
SVOBODA ORCHESTRA sarà in
concerto per la Giornata della Memoria con lo spettacolo:
Canzoni e musiche della memoria, all’Oratorio di San Filippo Neri in
via Maria Vittoria 5 – Torino – ingresso libero.
Per l’Orchestra sarà anche l’occasione per presentare il suo ultimo cd “Graditi
Ospiti” appena pubblicato e interamente dedicato alle musiche degli ebrei e dei
rom.
Il concerto sarà arricchito dall’accompagnamento di letture ispirate alla Shoah
ebraica e al Porrajmos dei rom.
Il cd Graditi Ospiti nasce da una passione di lunga data per la musica yiddish e
per quella rom, e vuole essere un omaggio a due popoli che, con la loro cultura
e le loro tradizioni, hanno composto musiche e canzoni che a tutt’oggi sono
apprezzate per la bellezza delle melodie, per le armonie suggestive, per la
ritmica coinvolgente e per il cuore con cui vengono interpretate.
Da sempre ebrei, rom e sinti sono, loro malgrado, popoli erranti e le loro
musiche sono frutto di scambi tra le loro culture e quelle dei paesi in cui si
sono trovati a vivere. Il titolo – volutamente ironico – è in realtà un sentito
ringraziamento rivolto a chi ci ha regalato canzoni così belle.
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