Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 27/11/2009 @ 09:39:02, in media, visitato 2040 volte)
Corriere.it Dal Sudafrica all’Italia di oggi, la paura del diverso genera
intolleranza di Gian Antonio Stella - 25 novembre 2009
«A l centro del mondo», dicono certi vecchi di Rialto, «ghe semo
noialtri: i venessiani de Venessia. Al de là del ponte de la Libertà, che porta
in terraferma, ghe xè i campagnoli, che i dise de esser venessiani e de parlar
venessian, ma no i xè venessiani: i xè campagnoli».
«Al de là dei campagnoli ghe xè i foresti: comaschi, bergamaschi,
canadesi, parigini, polacchi, inglesi, valdostani... Tuti foresti. Al de là
dell’Adriatico, sotto Trieste, ghe xè i sciavi: gli slavi. E i xingani: gli
zingari. Sotto el Po ghe xè i napo’etani. Più sotto ancora dei napo’etani ghe xè
i mori: neri, arabi, meticci... Tutti mori». Finché a Venezia, restituendo
la visita compiuta secoli prima da Marco Polo, hanno cominciato ad arrivare i
turisti orientali. Prima i giapponesi, poi i coreani e infine i cinesi. A quel
punto, i vecchi veneziani non sapevano più come chiamare questa nuova gente.
Finché hanno avuto l’illuminazione. E li hanno chiamati: «i sfogi». Le sogliole.
Per la faccia gialla e schiacciata.
Questa idea di essere al centro del mondo, in realtà, l’abbiamo dentro
tutti. Da sempre. Ed è in qualche modo alla base, quando viene stravolta e
forzata, di ogni teoria xenofoba. Tutti hanno teorizzato la loro centralità.
Tutti. A partire da quelli che per i veneziani vivono all’estrema
periferia del pianeta: i cinesi. I quali, al contrario, come dicono le parole
stesse «Impero di mezzo», sono assolutamente convinti, spiega l’etnografo russo
Mikhail Kryukov, da anni residente a Pechino e autore del saggio Le origini
delle idee razziste nell’antichità e nel Medioevo, non ancora tradotto in
Italia, che il loro mondo sia «al centro del Cielo e della Terra, dove le forze
cosmiche sono in piena armonia».
Č una fissazione, la pretesa di essere il cuore dell’«ecumene», cioè
della terra abitata. Gli ebrei si considerano «il popolo eletto», gli egiziani
sostengono che l’Egitto è «Um ad-Dunia» cioè «la madre del mondo», gli indiani
sono convinti che il cuore del pianeta sia il Gange, i musulmani che sia la Ka’ba
alla Mecca, gli africani occidentali che sia il Kilimangiaro. Ed è così da
sempre. I romani vedevano la loro grande capitale come caput mundi e gli antichi
greci immaginavano il mondo abitato come un cerchio al centro del quale, «a metà
strada tra il sorgere e il tramontare del sole», si trovava l’Ellade e al centro
dell’Ellade Delfi e al centro di Delfi la pietra dell’ omphalos , l’ombelico del
mondo.
Il guaio è quando questa prospettiva in qualche modo naturale si traduce
in una pretesa di egemonia. Di superiorità. Di eccellenza razziale. Quando
pretende di scegliersi i vicini. O di distribuire patenti di «purezza» etnica.
Mario Borghezio, ad esempio, ha detto al Parlamento europeo, dove è da anni la
punta di diamante della Lega Nord, di avere una spina nel cuore: «L’utopia di
Orania, il piccolo fazzoletto di terra prescelto da un pugno di afrikaner come
nuova patria indipendente dal Sudafrica multirazziale, ormai reso invivibile dal
razzismo e dalla criminalità dei neri, è un esempio straordinario di amore per
la libertà di preservazione dell’identità etnoculturale».
Anche in Europa, ha suggerito, «si potrebbe seguire l’esempio di questi
straordinari figli degli antichi coloni boeri e 'ricolonizzare' i nostri
territori ormai invasi da gente di tutte le provenienze, creando isole di
libertà e di civiltà con il ritorno integrale ai nostri usi e costumi e alle
nostre tradizioni, calpestati e cancellati dall’omologazione mondialista. Ho già
preso contatti con questi 'costruttori di libertà' perché il loro sogno di
libertà è certo nel cuore di molti, anche in Padania, che come me non si
rassegneranno a vivere nel clima alienante e degradato della società
multirazziale». La «società multirazziale»? Ma chi l’ha creata, in Sudafrica, la
«società multirazziale»? I neri che sono sopravvissuti alla decimazione dei
colonialisti bianchi e sono tornati da un paio di decenni a governare
(parzialmente) quelle che erano da migliaia di anni le loro terre? O i bianchi
arrivati nel 1652, cioè poco meno di due millenni più tardi rispetto allo
sfondamento nella Pianura Padana dei romani che quelli come Borghezio ritengono
ancora oggi degli intrusi colonizzatori, al punto che Umberto Bossi vorrebbe che
il «mondo celtico ricordasse con un cippo, a Capo Talamone » la battaglia che
«rese i padani schiavi dei romani»? Niente sintetizza meglio un punto: il
razzismo è una questione di prospettiva. (...) Non si capiscono i cori negli
stadi contro i giocatori neri, il dilagare di ostilità e disprezzo su Internet,
il risveglio del demone antisemita, le spedizioni squadristiche contro gli
omosessuali, i rimpianti di troppi politici per «i metodi di Hitler», le
avanzate in tutta Europa dei partiti xenofobi, le milizie in divisa paranazista,
i pestaggi di disabili, le rivolte veneziane contro gli «zingari» anche se sono
veneti da secoli e fanno di cognome Pavan, gli omicidi di clochard bruciati per
«ripulire» le città e gli inni immondi alla purezza del sangue, se non si parte
dall’idea che sta manifestandosi una cosa insieme nuovissima e vecchissima. Dove
l’urlo «Andate tutti a ’fanculo: negri, froci, zingari, giudei co!», come capita
di leggere sui muri delle città italiane e non solo, è lo spurgo di una società
in crisi. Che ha paura di tutto e nel calderone delle sue insicurezze mette
insieme tutto: la crisi economica, i marocchini, i licenziamenti, gli scippi, i
banchieri ebrei, i campi rom, gli stupri, le nuove povertà, i negri, i pidocchi
e la tubercolosi che «era sparita prima che arrivassero tutti quegli
extracomunitari ». Una società dove i più fragili, i più angosciati, e quelli
che spudoratamente cavalcano le paure dei più fragili e dei più angosciati,
sospirano sognando ognuno la propria Orania. Una meravigliosa Orania ungherese
fatta solo di ungheresi, una meravigliosa Orania slovacca fatta solo di
slovacchi, una meravigliosa Orania fiamminga fatta solo di fiamminghi, una
meravigliosa Orania padana fatta solo di padani.
Ma che cos’è, Orania? Č una specie di repubblichina privata fondata nel
1990, mentre Nelson Mandela usciva dalla galera in cui era stato cacciato oltre
un quarto di secolo prima, da un po’ di famiglie boere che non volevano saperne
di vivere nella società che si sarebbe affermata dopo la caduta dell’apartheid.
Niente più panchine nei parchi vietate ai neri, niente più cinema vietati ai
neri, niente più autobus vietati ai neri, niente più ascensori vietati ai neri e
così via. (...) «Il genocidio dei boeri»: titolano oggi molti siti olandesi
denunciando le aggressioni ai bianchi da parte di bande criminali di colore
gonfie di odio razziale che da Durban a Johannesburg sono responsabili dal 1994
al 2009, secondo il quotidiano «Reformatorisch Dagblad », di oltre tremila
omicidi. Il grande paradosso sudafricano, quello che mostra come la bestia
razzista possa presentarsi sotto mille forme, è qui. I boeri, protagonisti di
tante brutalità contro le popolazioni indigene e oggi vittime di troppe
vendette, sono gli stessi boeri che furono vittime del primo vero genocidio del
XX secolo. Perpetrato dagli inglesi che volevano liberarsi di quei bianchi
africani nati da un miscuglio di olandesi, francesi, tedeschi... (...) Č tutto,
la memoria: tutto. Č impossibile parlare del razzismo di oggi se non si ricorda
il razzismo di ieri. Sull’uno e sull’altro fronte. Non puoi raccontare gli
assalti ai campi rom se non ricordi secoli di pogrom, massacri ed editti da
Genova allo Jutland, dove l’11 novembre 1835 organizzarono addirittura, come si
trattasse di fagiani, una grande caccia al gitano. Caccia che, come scrivono
Donald Kenrick e Grattan Puxon ne Il destino degli zingari, «fruttò
complessivamente un 'carniere' di oltre duecentosessanta uomini, donne e
bambini». Non puoi raccontare della ripresa di un crescente odio antiebraico,
spesso mascherato da critica al governo israeliano (critica, questa sì,
legittima) senza ricordare quanto disse Primo Levi in una lontana intervista al
«Manifesto»: «L’antisemitismo è un Proteo». Può assumere come Proteo una forma o
un’altra, ma alla fine si ripresenta. E va riconosciuto sotto le sue nuove
spoglie. Così com’è impossibile capire il razzismo se non si ricorda che ci sono
tanti razzismi. Anche tra bianchi e bianchi, tra neri e neri, tra gialli e
gialli...
Di Fabrizio (del 27/11/2009 @ 09:49:19, in Europa, visitato 2218 volte)
Da
Hungarian_Roma (con un
link per chi conosce un po' d'inglese)
TheBudapestTime.hu by Alice Müller
Sabato, 21 novembre 2009 - Un villaggio vicino al confine ungherese con una
popolazione di 200 abitanti e affetto da disoccupazione e povertà, si sta
preparando a diventare un'attrazione turistica. No, non si tratta di turismo del
disastro. Il villaggio spera di attrarre turisti con i suoi murales. Ispirati
alla rabbia.
"Due anni fa vidi in televisione la Guardia Ungherese marciare davanti al
palazzo di Sólyom. La totale ignoranza ed intolleranza di quella gente mi rese
così furioso che la rabbia mi portò a questo," dice Eszter Pásztor,
iniziatrice del progetto "Freszkófalu". Pásztor è arrivata all'idea di un
villaggio di affreschi per quello che aveva visto in villaggi egiziani che
vivevano di turismo. La possibilità che i turisti vengano a Bodvalenke non è per
niente irragionevole.
La rete di caverne Aggtelek è a meno di 20 km., e non lontano dal villaggio
c'è una strada gotica con un diverse chiese attrattive. Proprio ai margini del
villaggio inizia una palude con rari animali e specie di piante. Attualmente si
stanno completando i programmi per i percorsi turistici attraverso la Grande
Pianura.
Povertà zingara
"Quando arrivammo in questa -Ungheria da terzo mondo- e preparavamo da
mangiare nella cucina dell'ufficio, i bambini del villaggio si allineavano di
fronte alla nostra finestra per vederci mangiare. Comprendemmo che un gran
numero di bambini avevano fame, mentre gli altri erano gonfi, ma completamente
malnutriti," ricorda Pásztor. "Se vuoi davvero combattere la povertà, allora
devi attaccarla da tutti i fronti," aggiunge. Dei 200 residenti del villaggio,
il 58% sono Zingari, ma la percentuale schizza se si guarda la popolazione con
meno di 60 anni: i non-Rom sono solo l'8% della popolazione del villaggio sotto
i 60 anni.
Su tutta la popolazione del villaggio, ci sono due persone con lavori
regolari: uno nell'ufficio del governo locale e l'altro in una succursale di una
clinica. Due donne del villaggio impiegate in una fabbrica di vestiti, hanno
perso il loro lavoro quando la ditta si è spostata in Ucraina perché là ci sono
oneri salariali più bassi. E' davvero sorprendente che il reddito medio è di
soli 16.000 fiorini (59 €u.). Come risultato a malapena ci si può permettere
l'autobus verso il villaggio vicino.
Ottenere vantaggi
L'unico negozio del villaggio sfrutta la situazione vendendo al doppio del
prezzo normale.
Il fenomeno degli usurai è fin troppo facile da comprendere in un simile
retroscena. Non stupisce che non tutti non sono contenti del progetto, che
minaccia di portar via loro dei clienti.
Resistenze da superare
Ma ci sono anche altri ostacoli da superare. "All'inizio, nel marzo 2009, non
è stato facile. Non volevo e non potevo iniziare a cercare i finanziamenti prima
del beneplacito del villaggio. La reazione iniziale di molti residenti è stata:
"Non puoi dipingere la mia parete." "Poi, alcuni dell'assemblea del villaggio
hanno ricordato che c'era un tale János che aveva un cavallo ed un carro che si
potevano usare per trasportare i turisti, mentre una donna di nome Zsusza
avrebbe potuto cuocere il vakaró (focaccia tradizionale) per gli ospiti, ed il
resto è seguito a valanga."
Attualmente non ci sono infrastrutture per i turisti; ristoranti, ostelli e
campeggi esistono solo nell'immaginazione, perché non c'è mai stata l'esigenza
di migliorare le infrastrutture per i residenti. Diverse famiglie del villaggio
sono già state in grado di trasferirsi dalle case a rischio di crollo o senza
riscaldamento, in case ristrutturate nel centro del villaggio.
Già questa è stata una piccola rivoluzione sociale, dato che nel centro
villaggio vive la popolazione di etnia ungherese, che non voleva dei Rom in
questa parte "pulita". I ragazzi vengono a giocare e fare i compiti
nell'ufficio. Nel retro c'è persino un'azienda agricola per i bambini, dove
prendersi cura di conigli, lepri e due capre. La squadra di quattro operatori
sociali assieme a Pásztor assiste i residenti del villaggio nella nutrizione e
nelle visite ai pubblici uffici.
L'arte
Pareti dipinte dai 10 ai 25 metri decorano il villaggio.
La Fondazione Laboratorio Culturale Europeo ha finanziato i creatori di
questi lavori, tutti Rom, tramite una competizione nazionale. Perché non è stato
approcciato nessun artista ungherese? "Hanno avuto le possibilità di esibirsi.
Non si tratta di questo," dice asciutta Pásztor. Il progetto infatti significa
molto di più: è sulla cultura rom, spesso disprezzata in Ungheria e messa in
primo piano. Alcuni affreschi presentano leggende zingare, ma rimarranno un
mistero per molti visitatori se nessuno le spiegherà.
Così un tour dei dipinti apre un mondo unico di immaginazione, per esempio,
la credenza che originariamente i Rom volassero per aria come uccelli. Come
risultato di una ricca festa, le ali ali diventano braccia, e da allora in poi
hanno viaggiato a piedi. O che la luna ed il sole siano stati rubati da un
mostro e liberati da due suonatori di tromba:uno trasportò la luna diventando
sempre più pallido fino a divenire l'uomo nella luna, mentre l'altro che
trasportò il sole ne fu bruciato - diventando con la sua pelle scura l'antenato
degli zingari. Ma vengono rappresentati anche argomenti attuali: la striscia di
uccisioni di Rom l'anno scorso è il motivo di un affresco nel centro del
villaggio.
Ancora da fare
Camminare con Pásztor per Bodvalenke fornisce un'idea di che cosa si
prospetta avanti. La fontana della piazza del villaggio sarà adornata con un
drago che verrà dipinto una volta l'anno da residenti ed ospiti, in occasione
del festival di primavera. Pásztor spiega come un cortile semi abbandonato
diventerà un giardino con uno spazio per i falò. Un edificio in abbandono
diventerà un negozio di oggetti costruiti dagli abitanti, come cesti intessuti e
gioielli.
Tuttavia, ci sono ancora da sviluppare accordi di cooperazione con i villaggi
attorno, e con gli operatori turistici sulle possibili offerte. La speranza che
il villaggio possa reggersi sulle sue gambe è visibile sulle facce di molti dei
suoi abitanti.
Donazioni
European Workshop Cultural Society, 1121 Budapest,Konkoly- Thege M. út 50.
Registry number: 9511
Account number:
Unicredit Bank
10918001-00000046- 61280007
Di Fabrizio (del 28/11/2009 @ 09:44:42, in Italia, visitato 2253 volte)
Segnalazione di
Eugenio Viceconte
OstiaNews.com
Si avvia a conclusione la storia quarantennale del campo rom Casilino 900,
che dovrebbe essere sgomberato nel prossimo mese di gennaio, per «celebrarla»
gli abitanti dell’insediamento propongono una tre giorni di festa, dal 15 al 17
dicembre. La proposta è stata avanzata all’interno del tavolo che il sindaco
di Roma Gianni Alemanno sta tenendo in questo momento in Campidoglio con i
rappresentanti delle comunità Rom della capitale. La riunione sancisce anche la
nascita del ‘Coordinamento Rom di Romà, su proposta dell’associazione Nova Vita
di Najo Adzovic, portavoce proprio del Casilino 900. Fanno parte del
coordinamento i campi di via dei Gordiani, via di Salone, Ciampino, Casilino
900, Arco di Travertino, Pontina, Cesarina, Tenuta Piccirilli, via della Martora
e via Tor de Cenci.
Di Fabrizio (del 28/11/2009 @ 09:49:25, in Europa, visitato 2106 volte)
Da
British_Roma
24 Dash.com Published by Jon Land
25/11/2009 - Oggi quindici bambini sono ritornati e sei persone sono state
rilasciate senza accuse, dalla polizia che investigava su un presunto traffico
infantile.
I giovani della comunità rom di Manchester erano stati presi in carico dopo
che la polizia li aveva trovati a tre diversi indirizzi all'inizio di questa
settimana.
Gli investigatori ritenevano che fossero obbligati a commettere piccoli
crimini, ma la polizia metropolitana di Manchester ha ora appurato che non
c'era alcuna evidenza di sfruttamento o criminalità.
La polizia ha eseguito gli accertamenti nell'area di Agnes Street a Gorton e
di Stockport Road a Longsight nelle prime ore di lunedì.
C'è una numerosa comunità rom nelle aree di Gorton e Longsight, che si stima
in 1.000 persone.
Un portavoce della polizia metropolitana di Manchester ha detto: "Due uomini
e quattro donne, di età compresa tra i 23 e i 32 anni, che erano stati arrestati
per il sospetto di traffico di persone, sono state tutte rilasciate senza
carichi pendenti."
"Pure i quindici bambini [...] che erano stati temporaneamente presi in
carico dai Servizi Infantili Comunali, sono ritornati alle loro famiglie."
Il soprintendente Paul Savill, che ha condotto l'operazione, ha detto:
"Avevamo il dovere di agire per il sospetto che i bambini che vivono nella
comunità rom potessero essere vittime di traffici nella cintura di Manchester.
Dovevamo verificare che non ci fossero problemi ed assicurarci che i bambini non
fossero sfruttati."
"Assieme al Consiglio Municipale abbiamo condotto le indagini e siamo
soddisfatti di non avere trovato prove di sfruttamento o criminalità, così
abbiamo rilasciato tutti gli arrestati, senza che vi sia alcun carico nei loro
confronti, ed i bambini sono stati riportati alle loro famiglie."
"Vorrei elogiare tutti quanti sono stati coinvolti per la loro cooperazione
offerta alla nostra indagine."
"Il nostro scopo primario è stato di salvaguardare il benessere di questi
bambini, ed abbiamo cercato di condurre le indagini nel modo più rapido
possibile, per minimizzare la disgregazione sia dei bambini, che dei loro
genitori e della comunità rom."
"Vorrei ancora sottolineare che questa operazione non intendeva stigmatizzare
i Rom insediati nella nostra comunità. Stiamo lavorando molto duramente, assieme
a tutti i nostri partner, per aiutarli ad inserirsi qui e continueremo a dar
loro tutto l'appoggio possibile per programmare una nuova vita a Manchester."
Segnalazione di Nadia Marino (Post indicato per una gustosa
domenica, anche se più che di cucina rom, si potrebbe parlare di cucina dell'est
Europa)
Unicoop Firenze I piatti tipici, le usanze. Chi sono e quanti sono in
Italia
Di Giulia Caruso
Frutto variegato di mille culture è la cucina del popolo nomade, risultato di
peregrinazioni secolari tra Oriente e Occidente. Ogni etnia romani ha
infatti un proprio patrimonio di ricette, mutuato dalle tradizioni culinarie dei
paesi attraversati, interpretate alla luce di un'antichissima arte di
arrangiarsi.
Il risultato è una cucina povera all'apparenza ma ricca di sapori. I dolma
e i sarma, ad esempio, sono i due piatti più popolari, comuni a molte
etnie. I dolma sono peperoni ripieni di riso, carne tritata e
pomodoro. Per la cottura vengono disposti verticalmente in una pentola chiusa,
con dell'acqua sul fondo. I sarma sono involtini di cavolo cappuccio,
preparati con lo stesso ripieno.
La pitta è un'altra golosità, diffusa tra i rom di molti paesi d'Europa.
Si tratta di una sfoglia di acqua e farina da cui vengono ricavati lunghi
cilindri, successivamente riempiti di bietola e ricotta o di carne, patate e
cipolle oppure di uova e ricotta, che vengono adagiati in una teglia da forno a
mo' di spirale e successivamente cotti in forno.
Il bosanskibonaz è invece uno spezzatino di carne con peperoni, verza,
patate, cavolfiore. Interessante l'abitudine di bollire sempre la carne prima di
utilizzarla nei soffritti o nelle zuppe. Ragioni igieniche di sicuro, ma anche
opportunità dietetiche: molto meglio i grassi vegetali di quelli animali.
La ricorrenza della Natività è occasione per gli zingari di mezza Europa di
grande convivialità: si fa il pane in casa e si preparano dolci da consumare
tutti insieme. Secondo tradizione è consuetudine cuocere allo spiedo una pecora
intera, dopo averla riempita di patate al rosmarino, spennellata di birra
durante la cottura, che generalmente avviene su un grande letto di braci
ardenti. La pecora così preparata fa parte anche del menu abituale dei banchetti
nuziali, altra grande tradizione rom.
Così come è consuetudine diffusa l'uccisione di un agnello in segno di
gratitudine e di buon augurio, ad esempio quando un bambino guarisce da una
malattia. In quest'occasione, genitori e parenti stretti del piccolo si toccano
la fronte con le dita intinte nel sangue dell'animale e distribuiscono a tutti
la carne cruda a pezzi, che ognuno provvederà a cuocere e consumare, in segno di
ringraziamento per il felice evento. La tradizione è di origine musulmana, ma è
diventata pratica comune a molti gruppi.
Un dolce antico, da consumare in occasioni di feste e matrimoni, è l'halvava,
simile alla nostra polenta, fatto con farina cotta nell'olio a cui si aggiunge
sciroppo di zucchero, frutta secca, pinoli.
Altro dolce abbastanza diffuso è il baklave, formato da una sorta di
lasagne di pasta sfoglia con uva passita, noci, pinoli, miele, aromatizzato con
rum e cotto in forno.
A tavola ci si siede all'orientale, con tutte le portate servite insieme sulla
tavola a cui ogni commensale attinge.
E' pratica diffusa concludere il pasto con grappa prodotta dalla distillazione
della frutta, soprattutto delle prugne.
La storia
Gli zingari in Italia, come nel resto del mondo, rappresentano una comunità
estremamente eterogenea.
Si suddividono essenzialmente in 5 gruppi: rom, sinti, kalé (gitani della
penisola iberica), manouche (francesi) e romanichals (inglesi).
A questi gruppi principali si ricollegano i sottogruppi, affini e diversificati,
ognuno con proprie peculiarità ma con un'origine unica, l'India del Nord, e una
lingua comune, il romanès.
La popolazione romani, in Italia, rappresenta lo 0,16% circa dell'intera
popolazione nazionale. Secondo recenti stime sarebbero 130.000, tra sinti
e rom con i loro sottogruppi.
I sinti sono soprattutto presenti a nord, mentre nel resto d'Italia,
soprattutto al centro e al sud, sono presenti rom di antico insediamento
(XV secolo circa) a cui si sono aggiunti gruppi di recente e di recentissima
immigrazione, soprattutto dalla ex Jugoslavia e dalla Romania.
Circa il 75% è di religione cattolica, il 20% di religione musulmana e il 5%
raggruppa ortodossi, testimoni di Geova e pentecostali.
Di Fabrizio (del 29/11/2009 @ 09:48:00, in Italia, visitato 3121 volte)
Tre giornate di condivisioni tra i residenti del campo e tutta la
cittadinanza, concerti di gruppi musicali, una mostra fotografica e un mercatino
dove gustare i cibi della cultura rom e acquistare oggetti di artigianato.
Così il Casilino 900 si congeda da Roma, con una proposta avanzata dai
rappresentanti del campo durante l’incontro di presentazione del
Coordinamento rom di Roma.
Gli abitanti del Casilino, nell’invito alla festa, hanno ripercorso la storia
del campo ma soprattutto rivolgono le «scuse e il rammarico per fatti che
possono avere accresciuto la diffidenza, favorito la chiusura verso la cultura
rom e contribuito a creare quello stereotipo per cui rom è uguale a
delinquenza».
Così i nomadi che vivono nel campo la cui storia è iniziata negli anni Sessanta
invitano i cittadini del quartiere, il 15, il 16 e il 17 dicembre dalle 15 alle
23 perchè «sarà una gioia per noi condividere le iniziative, i traguardi, le
ansie e i progetti. Per arrivare insieme a capire che siamo davvero tutti figli
di uno stesso padre».
Da
Roma_Daily_News (leggi anche
QUI e
QUI)
The Montreal Gazette By Salam Faraj, Agence France-Presse
25 novembre 2009, AL-ZUHOOR, Iraq – Stretta tra una discarica ed il letto
prosciugato di un fiume, Al-Zuhoor non ha acqua corrente o elettricità e gli
zingari che lì vivono sono ai margini del nuovo, ultra conservatore Iraq.
Nei vicoli puzzolenti delimitati da casupole di mattone, senza porte o vetri
alle finestre, gli uomini vagano senza lavoro, una ragazzina gioca dondolandosi
ed una donna ritorna da un giorno di elemosine a Diwaniyah, 180 km. a sud di
Baghdad.
Da lontano, il fumo dell'immondizia annerisce il cielo e, quando gira il
vento, l'odore nauseabondo è dappertutto.
Prima del 2003, sotto il regime baatista di Saddam Hussein, la situazione era
migliore. Il pugno di ferro del dittatore non pesava sugli zingari.
Gli uomini erano cantanti o musicisti professionisti e le donne erano
invitate ai balli, ai matrimoni e alle feste in Iraq, dove erano migrati
dall'India secoli fa.
Con l'ascesa degli islamisti radicali nel 2004, sono stati marginalizzati,
attaccati e derubati dall'esercito del Mahdy, una milizia sciita leale a Moqtad al-Sadr,
e che vede gli zingari come moralmente ripugnanti.
Oggi, con il paese dilaniato dalla guerra soprattutto gestita dai capi
religiosi, una volta regolati dalla società più secolare che esisteva sotto
Saddam, la comunità rom si sente vittima di ostracismo.
Anche se sono musulmani, i "Kawliya" - come è conosciuta la comunità in Iraq
- sono visti come emarginati.
"Viviamo peggio dei cani," dice Ragnab Hannumi Allawi, che vive nel
villaggio; vestita di scuro, circondata da un gruppo di donne e seduta su di un
tappeto polveroso.
Ora rifiuta di andare a Diwaniyah, capitale della omonima provincia, a
cercare aiuto. "Le autorità dicono -voi non avete diritto a niente- e ci
cacciano via. Quando andiamo in città a comprare da mangiare, ce lo rifiutano."
L'unica cosa che queste donne possono fare per mendicare pochi dinari è di
coprire interamente la loro faccia per evitare di essere riconosciute.
"Partiamo alle 5.00 di mattina e torniamo verso le 3.00 del pomeriggio, per
due anni ci hanno chiuso tutte le porte in faccia e ci hanno lasciato ad
agonizzare," dice Lamia Hallub, con la faccia avvilita.
Invece gli uomini ricordano con nostalgia i matrimoni e gli eventi dove
suonavano e cantavano la notte per le famiglie ricche.
Prima del 2003 "potevamo lavorare nella musica e nei festival folk," dice Khalid Jassim,
con la testa adornata da una kefya bianca e rossa.
"Ma da allora, più niente. Perché? Perché le nostre tradizioni non si
accordano con i valori islamici," si lamenta il vecchio.
"Ci dicono che gli artisti non hanno posto in Iraq. L'arte è finita, ma quale
paese è senza artisti?" ci dice, con la voce che si fa più animata.
"Datemi un lavoro - militare, polizia, security o operaio."
A causa di attacchi regolari, la polizia ha installato dei controlli
all'ingresso del villaggio, ma nonostante ciò molti zingari continuano ad
andarsene.
"Nel villaggio, le infrastrutture sono state distrutte, incluse la rete
idrica e l'elettricità," spiega Abbas al-Sidi, membro della Commissione per i
Diritti Umani della provincia.
"Gli attacchi, la maggior parte di milizie armate, hanno obbligato le
famiglie a fuggire verso altre province. Il numero delle famiglie è sceso da 450
a 120. Sono rimaste le più povere."
Il numero dei Rom in Iraq, secondo i capi tribù, è stimato in 60.000.
Appaiono flebili le loro speranze di una vita migliore in un paese popolato da
30 milioni di persone.
"L'Islam li considera esseri devianti," dichiara Hafiz Mutashar, dignitario
religioso a Diwaniyah.
"Sono coinvolti nella prostituzione, che sotto l'Islam è proibita. E' normale
che la nostra comunità li consideri inferiori e insista nell'isolarli."
Di Fabrizio (del 30/11/2009 @ 10:21:13, in Regole, visitato 3918 volte)
di
Giancarlo Ranaldi - 27 novembre 2009
Ieri Angelica (vedi
QUI e
QUI ndr) ha compiuto 17 anni: gli ultimi due vissuti da detenuta nel
carcere minorile di Nisida.
Angelica viene da Bistrita-Nasaud in Transilvania (Romania Nord Occidentale).
Era arrivata in Italia da pochi mesi (presumibilmente inizi di aprile 2008) in
compagnia del giovane marito (21 anni) Emiliano, del fratello di lui con sua
moglie ed il loro figlio di otto anni. La figlia, Alessandra Emiliana (3 anni) è
rimasta, invece, con i nonni paterni in Romania. Non conoscevano nessuno.
Vivevano sopratutto di elemosina ma anche di piccoli furti.
Il 25 aprile del 2008, infatti, Angelica è sorpresa con un paio di orecchini,
probabilmente, rubati in una casa sempre a Ponticelli. Viene fermata e “messa”
in una casa famiglia dalla quale scappa subito dopo.
Pochi giorni dopo, il 10 maggio, l’accusa “infamante” di aver tentato di rubare
una neonata. Viene rinchiusa a Nisida.
In tutti e due i casi subisce due tentativi di linciaggio, “provvidenzialmente”
salvata dalla polizia. Nessuno dei suoi aggressori è stato mai identificato.
Il processo: tutto si basa sul racconto della Sig.ra Flora Martinelli. Nessuno
ha visto Angelica con la bambina in braccio se non la Martinelli. Oggettivamente
il racconto della mamma è poco verosimile. Non credo sia stata effettuata una
“perizia tecnica” sui luoghi: se fatto si sarebbe facilmente potuto verificare:
- per entrare in quella casa, senza essere vista, si sarebbero dovute verificare
tutta una serie di circostanze favorevoli: cancello d’ingresso al cortile
aperto, portone d’ingresso del fabbricato aperto, porta di casa con serratura di
sicurezza aperta;
- le distanze sono così minime che Angelica si doveva muovere al rallentatore
per poi ritrovarsi, immobile, sull’uscio della casa con la bambina in braccio
senza, tra l’altro, opporre alcuna reazione o minaccia alla mamma di lei;
- si è giudiziariamente accertato che era da sola e, quindi, se anche fosse
riuscita ad allontanarsi dall’abitazione dei Martinelli con la bambina in
braccio avrebbe dovuto percorrere a piedi circa 2 km per raggiungere il campo
più vicino rendendosi “invisibile” alla gente del quartiere.
L’accusa si fonda anche sulla testimonianza di un poliziotto al quale lei
avrebbe riferito che voleva prendere la bambina per venderla in Romania.
Probabilmente voleva solo dire che aveva una figlia in Romania e c’è, dall’altro
canto, una testimonianza della mediatrice culturale che accerta che all’epoca
dei fatti Angelica non era in grado di parlare e capire l’italiano, anche se
oggi dopo quasi due anni di detenzione riesce ad esprimersi molto bene.
Tutto si basa, quindi, sul racconto della mamma e non è stato tenuto in nessun
conto che la Martinelli ha precedenti giudiziari per “falso ideologico” ed anche
il padre di lei, Ciro Martinelli detto ‘O Cardinale, nel 1999 condannato a nove
mesi per associazione a delinquere. è un “collaboratore” del Clan Sarno, come
riferiscono Marco Imarisio del Corriere della Sera e Miguel Mora de El Pais.
Tutti sanno che i Rom a Ponticelli vivevano in un clima di sottomissione e
nessuno si sarebbe mai sognato di fare un’azione del genere in un quartiere
interamente gestito dalla camorra. E’ vero, invece, che i terreni dovevano
essere liberati al più presto, servivano per un piano urbanistico di recupero
(Ospedale, parco e centro commerciale a firma dell’Architetto Renzo Piano), con
un finanziamento pubblico di milioni di euro e proprio là dove era il campo
“bruciato” dai camorristi sull’onda dell’emozione popolare per il tentato
rapimento, si realizzerà un grandissimo centro commerciale o Città della Musica
(Palaponticelli).
Angelica giudiziariamente è una “minore non accompagnata”. Il legislatore
ritiene che un minore di età debba rimanere in Istituto il minor tempo
possibile, favorendo tutte le possibilità di reinserimento sociale, ed Angelica
è detenuta dal maggio 2008. Non le è stata mai concessa alcuna misura
alternativa la carcere. Diverse sono, quindi, le opportunità fra un minore a
rischio italiano ed un minore a rischio straniero, anche se in un primo momento
Angelica era stata affidata ad una casa famiglia ma, evidentemente, senza nessun
serio “progetto” di sostegno: semplicemente parcheggiata.
Non le è stata concessa “la messa alla prova”, un importante istituto
giudiziario che pone come alternativa al carcere un “percorso” di studio e
lavoro. Paradossalmente, infatti, è difficile trovare un giudice minorile che
disponga un simile “azione” se non in presenza dell’ammissione della colpa, ed
Angelica ha sempre detto e sostenuto con convinzione che quella bambina proprio
non la voleva “rubare”. Vale a dire che se uno si dichiara innocente non ha
possibilità di essere messo alla prova (ma questo vale per tutti).
Nonostante la sua condizione di minore non accompagnata in evidente difficoltà,
in un paese straniero non le è stata concessa alcuna attenuante anzi, per il
fatto che secondo l’accusa la mamma si trovava nell’altra stanza e la neonata
era quindi da sola, le è stata data l’aggravante della “minorata difesa della
persona offesa” che in verità viene riconosciuta soltanto in presenza di
particolari requisiti di tempo e spazio, come nel caso di un reato commesso di
notte e in un luogo isolato. Senza questa aggravante, probabilmente, sarebbe già
potuta uscire dal carcere.
Non le è stato possibile capire bene in quale situazione si trovava perché
nessun atto d’imputazione le è stato tradotto nella sua lingua ed, in ultimo,
non le è stato concesso il “patrocino gratuito” perché era impossibile stabilire
le sue condizioni “finanziarie” in Romania (ma anche questo pare un fatto comune
a tanti altri casi).
A dicembre il giudizio di Cassazione…
Di Fabrizio (del 01/12/2009 @ 08:55:58, in Europa, visitato 1767 volte)
Da
Roma_Francais
OSTROVANY - Lucia Kucharova non vuole più guardare dalla finestra da quando
la vista è ostruita dal muro che separa le capanne circondate di rifiuti dove
vivono circa 1.200 Rom, dal resto del villaggio di Ostrovany, nella Slovacchia
dell'est
Due Rom dietro il muro costruito per isolarli dal villaggio di Ostravany in
Slovacchia, 11 novembre 2009
La costruzione di cemento di 150 metri di lunghezza e due di altezza,
eretta il mese scorso con un costo di 13.000 euro, suscita l'indignazione dei
Rom e dei difensori dei diritti umani.
"E' discriminazione. Il sindaco avrebbe piuttosto dovuto spendere quei soldi
per costruire delle abitazioni per noi," protesta Lucia Kurachova, Rom di 25
anni. Cyril Revak, sindaco dal 1991 di questo villaggio di 1.800 abitanti, evita
prudentemente di parlare di "muro". Ma ne giustifica la costruzione accusando la
comunità rom di furti.
"Il recinto non impedisce ai Rom di venire al villaggio. Impedisce loro
giusto di penetrare nei giardini privati per rubare. Non sono che piccoli furti,
soprattutto d'autunno. La gente non può più coltivare legumi nei giardini,
perché vengono rubati," afferma il sindaco.
Anche se largamente maggioritaria a Ostrovany, la comunità rom non partecipa
affatto alla vita pubblica, affermando che non cambierebbe niente. "Ho votato
per il muro, dato che il consiglio municipale l'avrebbe deciso in ogni modo,"
riconosce d'altra parte Dezider Duzda, l'unico Rom tra i nove consiglieri
municipali.
Ai piedi del muro, Alena Kalejova cerca dei mozziconi. "Le sigarette sono
troppo care. Si vive a mala pena con i 150 euro al mese della disoccupazione,"
spiega questa giovane madre rom di 21 anni.
Quasi tutti i membri della comunità sono senza lavoro.
Di Fabrizio (del 02/12/2009 @ 00:25:31, in Italia, visitato 1970 volte)
Da Milano Città Aperta
Buongiorno,
l’azione di mail bombing contro lo sgombero di Rubattino a cui avete
partecipato ha avuto molte adesioni: migliaia di mail hanno raggiunto il
prefetto, il vicesindaco e l’assessore Moioli. La situazione per le persone
sgomberate, però, non è cambiata affatto: il Comune, anzi, ostenta fieramente le
modalità dello sgombero e non intende prendere in considerazione trattative.
Pensiamo che questo patrimonio di indignazione-centinaia e centinaia di
cittadini che hanno scritto come te nel giro di poche ore- non debba
andare disperso.
Ti proponiamo dunque di partecipare a una Fiaccolata per mercoledì 2 dicembre
alle ore 18. Partiremo da Piazza San Babila. Č importante essere in
tanti, per questo ti chiedo di venire e di diffondere l’invito.
Grazie ancora per aver mandato la mail,
spero di vederti mercoledì
Natascia
di Milano Città Aperta
P.s. Ti riporto qua sotto l’appello della Fiaccolata.
“Gentile Assessore Moioli, mio figlio vorrebbe sapere perché i bambini Rom
hanno meno diritto di lui di stare insieme alle loro mamme, ai loro papà e ai
loro fratelli e sorelle”
“Non posso sentirmi rappresentata da autorità che violano i diritti dei più
deboli, non è questa la città che voglio!”
“Continuate a parlare del valore della famiglia e poi pretendete che le famiglie
rom si dividano donne e bambini da una parte, uomini dall'altra…”
Queste sono solo alcune delle frasi delle migliaia di mail che in questi giorni
sono state inviate al vicesindaco De Corato, all’Assessore Moioli e al Prefetto
Lombardi da centinaia e centinaia di cittadini di Milano indignati per lo
sgombero del campo Rom di via Rubattino dello scorso 19 novembre e per
quello successivo di via Forlanini del 26 novembre.
Sgomberi che hanno lasciato al freddo e senza un tetto centinaia di uomini,
donne e bambini, senza prospettare per loro soluzioni alternative accettabili e
condivise. Sgomberi che soffiano sul fuoco per creare artificialmente una finta
emergenza che nasconda i problemi reali di Milano. Sgomberi che hanno interrotto
preziosi percorsi di conoscenza reciproca tra cittadini italiani e Rom. Sgomberi
che hanno negato ai bambini Rom di continuare ad andare a scuola assieme ai loro
compagni italiani. Sgomberi che hanno violato i diritti (alla casa, alla salute,
all’istruzione...) e le libertà fondamentali di centinaia di persone. Ma anche
sgomberi che mai come in passato hanno suscitato l’indignazione e il rifiuto di
una fetta consistente della cittadinanza milanese che ha deciso di affidare alle
mail la proprie parole di sdegno e protesta.
Parole, che di fronte all’ostinato persistere del Comune nella medesima politica
di chiusura e di rifiuto di ogni soluzione condivisa e concertata con la
comunità Rom, invitiamo tutti a venire a ripetere e rendere visibili alla
città in una
Fiaccolata in Piazza San Babila
mercoledì 2 dicembre alle 18
per denunciare il carattere brutale degli sgomberi di via Rubattino e via
Forlanini
sollecitare al più presto misure umanitarie nei confronti dei cittadini Rom
sgomberati.,
chiedere la cessazione di ogni politica di sgomberi ciechi dei campi Rom da
parte dell’Amministrazione comunale
Perché la convivenza pacifica si coltiva con il dialogo e la
solidarietà, non con le ruspe!
Ricevo da Tommaso Vitale
Campo nomadi via Rubattino, Ledha scrive al sindaco
In seguito ai recenti avvenimenti di via Rubattino, ovvero lo sgombero di un
campo nomadi da parte del Comune di Milano, Ledha, Federazione che da oltre 30
anni tutela le persone con disabilità della Lombardia, interviene con una
lettera aperta al Sindaco Letizia Moratti per chiedere il rispetto dei diritti
umani di tutti.
Quanto è accaduto giorni fa a Milano, lo sgombero di un campo nomadi in via
Rubattino, deciso dal Comune senza rispettare le principali garanzie previsto
dal diritto internazionale (ossia la predisposizione di un'alternativa
abitativa, e lo sradicamento dei bambini dal quartiere, nel quale erano inseriti
da tempo, anche nella frequenza scolastica) ci interroga da vicino, come persone
impegnate, rispetto ai temi della disabilità, a diffondere e difendere i diritti
previsti dalla Convenzione Onu.
Il principio di non discriminazione, la pari dignità delle persone, sono
questioni essenziali, rispetto alle quali non possiamo far finta di non vedere e
di non sentire, e dunque non reagire come cittadini. Una comunità nella quale
chi detiene l'autorità - non solo per quanto concerne il tema della sicurezza e
dell'igiene, ma anche per quanto riguarda i servizi sociali e l'aiuto alle
famiglie - decide consapevolmente di limitare e violare i diritti minimi delle
persone che vivono nel territorio, è una comunità più povera in termini di
qualità della convivenza e del rispetto d elle regole per tutti.
Non è sufficiente sapere che il potere civico gode del consenso di una vasta
parte dell'opinione pubblica, impaurita e comunque insofferente di fronte alla
presenza di minoranze come quella dei nomadi, specialmente di etnia rom.
Il consenso popolare è stato, nella storia del nostro Paese e dell'Europa, la
premessa dei totalitarismi e della persecuzione delle minoranze: rom, ebrei,
omosessuali, disabili. Ignorare questa storia, e soprattutto non cogliere per
tempo il nesso con il tempo presente non è solo negligenza o pigrizia
individuale e collettiva.
E' venire meno alla coerenza con il nostro impegno, di singoli e di
associazioni, in favore di una società inclusiva, attenta alle fragilità, vicina
ai diritti dei più deboli. Come non indignarsi di fronte al destino incerto di
bambini e di mamme del tutto incolpevoli?
E' evidente la complessità delle risposte da fornire a gruppi che faticano a
vivere rispettando le regole della cittadinanza. Ma non si comprende in questo
caso l'esibizione di forza, il non ascolto delle associazioni di solidarietà, e
perfino della Chiesa e dei suoi esponenti più responsabili e competenti.
Come LEDHA, Lega dei diritti delle persone con disabilità, abbiamo il dovere di
difendere i diritti di tutti, di uscire da una tutela "corporativa" per
condividere, con assoluta serenità, forme di pressione civica affinché la
qualità della convivenza civile a Milano non sia indebolita da episodi che sono
destinati a pesare come precedenti gravi anche per le politiche che più ci
riguardano da vicino.
Fulvio Santagostini - Presidente LEDHA
Franco Bomprezzi - Portavoce LEDHA
30 Novembre 2009 Proposta controcorrente della pediatra che ha dedicato la
vita ad aiutare i più sfortunati
Elena Sachsel ai sindaci del Magentino: "Ospitiamo i rom sgomberati da via
Rubattino!"
Magenta Come conciliare solidarietà e rispetto della legalità? Sulla questione
rom ormai si dibatte da tempo con opposte teorie. Riportiamo fedelmente la
lettera che Elena Sachsel, pediatra che ha dedicato una vita intera all'aiuto
delle popolazioni più sfortunate, ha inviato ai sindaci del Magentino.
Alla cortese attenzione dei signori Sindaci
del Territorio del Magentino e Milano Ovest
Milano 26 novembre 2009
carissimi,
non meravigliatevi di questa mia. Ho pensato a voi e vi spiego il perché.
Ho condiviso con il Naga e tante altre Associazioni Milanesi che si occupano dei
Rom e Sinti (Tavolo Rom) il dolore , l'indignazione e la vergogna per lo
sgombero forzato e violento campo dei Rom romeni di via Rubattino : rimanevano
all' addiaccio donne, con bambini piccolissimi, con proposte del Comune di
Milano assolutamente insufficienti.
Nell'incontro col Prefetto i Rom hanno chiesto un pezzetto di terra dove le
famiglie potessero autocostruirsi delle casette monofamiliari chiedendo al
Comune i servizi essenziali ( acqua, luce, gas, raccolta rifiuti) che loro sono
assolutamente disposti a pagare.
Ma il Comune di Milano verso i Rom e Sinti ha un atteggiamento assolutamente
negativo.
E allora ho pensato a voi, che amministrate con coraggio i nostri piccoli Comuni
...forse in Provincia le cose possono andare meglio.
Le famiglie interessate sono 60. Forse, adesso che arriva il difficile e duro
mese di dicembre, un piccolo numero di queste potrebbero venire ospitate da voi.
Vi chiedero' un appuntamento presso di voi per potervi illustrare a voce la
situazione.
GM
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