Corriere.it Dal Sudafrica all’Italia di oggi, la paura del diverso genera
intolleranza di Gian Antonio Stella - 25 novembre 2009
«A l centro del mondo», dicono certi vecchi di Rialto, «ghe semo
noialtri: i venessiani de Venessia. Al de là del ponte de la Libertà, che porta
in terraferma, ghe xè i campagnoli, che i dise de esser venessiani e de parlar
venessian, ma no i xè venessiani: i xè campagnoli».
«Al de là dei campagnoli ghe xè i foresti: comaschi, bergamaschi,
canadesi, parigini, polacchi, inglesi, valdostani... Tuti foresti. Al de là
dell’Adriatico, sotto Trieste, ghe xè i sciavi: gli slavi. E i xingani: gli
zingari. Sotto el Po ghe xè i napo’etani. Più sotto ancora dei napo’etani ghe xè
i mori: neri, arabi, meticci... Tutti mori». Finché a Venezia, restituendo
la visita compiuta secoli prima da Marco Polo, hanno cominciato ad arrivare i
turisti orientali. Prima i giapponesi, poi i coreani e infine i cinesi. A quel
punto, i vecchi veneziani non sapevano più come chiamare questa nuova gente.
Finché hanno avuto l’illuminazione. E li hanno chiamati: «i sfogi». Le sogliole.
Per la faccia gialla e schiacciata.
Questa idea di essere al centro del mondo, in realtà, l’abbiamo dentro
tutti. Da sempre. Ed è in qualche modo alla base, quando viene stravolta e
forzata, di ogni teoria xenofoba. Tutti hanno teorizzato la loro centralità.
Tutti. A partire da quelli che per i veneziani vivono all’estrema
periferia del pianeta: i cinesi. I quali, al contrario, come dicono le parole
stesse «Impero di mezzo», sono assolutamente convinti, spiega l’etnografo russo
Mikhail Kryukov, da anni residente a Pechino e autore del saggio Le origini
delle idee razziste nell’antichità e nel Medioevo, non ancora tradotto in
Italia, che il loro mondo sia «al centro del Cielo e della Terra, dove le forze
cosmiche sono in piena armonia».
È una fissazione, la pretesa di essere il cuore dell’«ecumene», cioè
della terra abitata. Gli ebrei si considerano «il popolo eletto», gli egiziani
sostengono che l’Egitto è «Um ad-Dunia» cioè «la madre del mondo», gli indiani
sono convinti che il cuore del pianeta sia il Gange, i musulmani che sia la Ka’ba
alla Mecca, gli africani occidentali che sia il Kilimangiaro. Ed è così da
sempre. I romani vedevano la loro grande capitale come caput mundi e gli antichi
greci immaginavano il mondo abitato come un cerchio al centro del quale, «a metà
strada tra il sorgere e il tramontare del sole», si trovava l’Ellade e al centro
dell’Ellade Delfi e al centro di Delfi la pietra dell’ omphalos , l’ombelico del
mondo.
Il guaio è quando questa prospettiva in qualche modo naturale si traduce
in una pretesa di egemonia. Di superiorità. Di eccellenza razziale. Quando
pretende di scegliersi i vicini. O di distribuire patenti di «purezza» etnica.
Mario Borghezio, ad esempio, ha detto al Parlamento europeo, dove è da anni la
punta di diamante della Lega Nord, di avere una spina nel cuore: «L’utopia di
Orania, il piccolo fazzoletto di terra prescelto da un pugno di afrikaner come
nuova patria indipendente dal Sudafrica multirazziale, ormai reso invivibile dal
razzismo e dalla criminalità dei neri, è un esempio straordinario di amore per
la libertà di preservazione dell’identità etnoculturale».
Anche in Europa, ha suggerito, «si potrebbe seguire l’esempio di questi
straordinari figli degli antichi coloni boeri e 'ricolonizzare' i nostri
territori ormai invasi da gente di tutte le provenienze, creando isole di
libertà e di civiltà con il ritorno integrale ai nostri usi e costumi e alle
nostre tradizioni, calpestati e cancellati dall’omologazione mondialista. Ho già
preso contatti con questi 'costruttori di libertà' perché il loro sogno di
libertà è certo nel cuore di molti, anche in Padania, che come me non si
rassegneranno a vivere nel clima alienante e degradato della società
multirazziale». La «società multirazziale»? Ma chi l’ha creata, in Sudafrica, la
«società multirazziale»? I neri che sono sopravvissuti alla decimazione dei
colonialisti bianchi e sono tornati da un paio di decenni a governare
(parzialmente) quelle che erano da migliaia di anni le loro terre? O i bianchi
arrivati nel 1652, cioè poco meno di due millenni più tardi rispetto allo
sfondamento nella Pianura Padana dei romani che quelli come Borghezio ritengono
ancora oggi degli intrusi colonizzatori, al punto che Umberto Bossi vorrebbe che
il «mondo celtico ricordasse con un cippo, a Capo Talamone » la battaglia che
«rese i padani schiavi dei romani»? Niente sintetizza meglio un punto: il
razzismo è una questione di prospettiva. (...) Non si capiscono i cori negli
stadi contro i giocatori neri, il dilagare di ostilità e disprezzo su Internet,
il risveglio del demone antisemita, le spedizioni squadristiche contro gli
omosessuali, i rimpianti di troppi politici per «i metodi di Hitler», le
avanzate in tutta Europa dei partiti xenofobi, le milizie in divisa paranazista,
i pestaggi di disabili, le rivolte veneziane contro gli «zingari» anche se sono
veneti da secoli e fanno di cognome Pavan, gli omicidi di clochard bruciati per
«ripulire» le città e gli inni immondi alla purezza del sangue, se non si parte
dall’idea che sta manifestandosi una cosa insieme nuovissima e vecchissima. Dove
l’urlo «Andate tutti a ’fanculo: negri, froci, zingari, giudei co!», come capita
di leggere sui muri delle città italiane e non solo, è lo spurgo di una società
in crisi. Che ha paura di tutto e nel calderone delle sue insicurezze mette
insieme tutto: la crisi economica, i marocchini, i licenziamenti, gli scippi, i
banchieri ebrei, i campi rom, gli stupri, le nuove povertà, i negri, i pidocchi
e la tubercolosi che «era sparita prima che arrivassero tutti quegli
extracomunitari ». Una società dove i più fragili, i più angosciati, e quelli
che spudoratamente cavalcano le paure dei più fragili e dei più angosciati,
sospirano sognando ognuno la propria Orania. Una meravigliosa Orania ungherese
fatta solo di ungheresi, una meravigliosa Orania slovacca fatta solo di
slovacchi, una meravigliosa Orania fiamminga fatta solo di fiamminghi, una
meravigliosa Orania padana fatta solo di padani.
Ma che cos’è, Orania? È una specie di repubblichina privata fondata nel
1990, mentre Nelson Mandela usciva dalla galera in cui era stato cacciato oltre
un quarto di secolo prima, da un po’ di famiglie boere che non volevano saperne
di vivere nella società che si sarebbe affermata dopo la caduta dell’apartheid.
Niente più panchine nei parchi vietate ai neri, niente più cinema vietati ai
neri, niente più autobus vietati ai neri, niente più ascensori vietati ai neri e
così via. (...) «Il genocidio dei boeri»: titolano oggi molti siti olandesi
denunciando le aggressioni ai bianchi da parte di bande criminali di colore
gonfie di odio razziale che da Durban a Johannesburg sono responsabili dal 1994
al 2009, secondo il quotidiano «Reformatorisch Dagblad », di oltre tremila
omicidi. Il grande paradosso sudafricano, quello che mostra come la bestia
razzista possa presentarsi sotto mille forme, è qui. I boeri, protagonisti di
tante brutalità contro le popolazioni indigene e oggi vittime di troppe
vendette, sono gli stessi boeri che furono vittime del primo vero genocidio del
XX secolo. Perpetrato dagli inglesi che volevano liberarsi di quei bianchi
africani nati da un miscuglio di olandesi, francesi, tedeschi... (...) È tutto,
la memoria: tutto. È impossibile parlare del razzismo di oggi se non si ricorda
il razzismo di ieri. Sull’uno e sull’altro fronte. Non puoi raccontare gli
assalti ai campi rom se non ricordi secoli di pogrom, massacri ed editti da
Genova allo Jutland, dove l’11 novembre 1835 organizzarono addirittura, come si
trattasse di fagiani, una grande caccia al gitano. Caccia che, come scrivono
Donald Kenrick e Grattan Puxon ne Il destino degli zingari, «fruttò
complessivamente un 'carniere' di oltre duecentosessanta uomini, donne e
bambini». Non puoi raccontare della ripresa di un crescente odio antiebraico,
spesso mascherato da critica al governo israeliano (critica, questa sì,
legittima) senza ricordare quanto disse Primo Levi in una lontana intervista al
«Manifesto»: «L’antisemitismo è un Proteo». Può assumere come Proteo una forma o
un’altra, ma alla fine si ripresenta. E va riconosciuto sotto le sue nuove
spoglie. Così com’è impossibile capire il razzismo se non si ricorda che ci sono
tanti razzismi. Anche tra bianchi e bianchi, tra neri e neri, tra gialli e
gialli...