Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Segnalazione di Paolo Ciani
GLI ZINGARI IN LIBANO, COMUNITA' AI MARGINI
In Europa li chiamiamo Rom, in Medio Oriente Dom. Ma per i popoli arabi sono
semplicemente "nawar". Sono zingari, una volta nomadi, ora stanziali, in Libano
sono tra le comunità più emarginate. DI BARBARA ANTONELLI
Roma, 15 Luglio 2011 – Nena News – Sono 2,2 milioni in tutto il Medio
Oriente, tra Libano, Giordania, Territori Palestinesi, Turchia, Iran e Iraq.
In Libano sono una delle comunità più emarginate. Rom in Europa, Dom in Medio
Oriente è il nome che designa le comunità "zingare"*. I loro
antenati, secondo la teoria ormai accettata, sono migrati verso ovest,
dall'India, più di 1000 anni fa. Quando si parla di loro nei paesi arabi, ci si
riferisce a "nawar". Un termine che se usato per designare queste comunità,
assume una connotazione negativa, spesso associato a sporcizia, pigrizia, furto,
elemosina e una moralità discutibile. Vale a dire che, anche il più povero tra i
libanesi, si sente superiore ad un Dom.
Si calcola, secondo uno studio fatto nel 2000, che nel paese dei Cedri, ve ne
siano circa 8000; famiglie numerose con una media di 7, 8 bambini per nucleo,
vivono ai margini delle città, in baraccopoli, in prossimità di altri gruppi
marginalizzati dalla società, come i profughi palestinesi o i libanesi poveri.
A differenza dei profughi palestinesi e dei beduini però, con i quali vengono
spesso erroneamente confusi, sono stati "naturalizzati" dal governo libanese nel
1994; ma la cittadinanza non gli assicura l'accesso ai più basilari diritti
umani. Né li tutela dall'emarginazione e la discriminazione. Sono infatti più
poveri dei profughi palestinesi, secondo una recente ricerca della ONG Terre des
Hommes (basata su interviste a comunità in 4 diversi luoghi del paese dei Cedri)
in collaborazione con la libanese Insan; se infatti secondo i dati rilasciati
dall'American University di Beirut, in media un profugo palestinese in Libano
vive con 2,7 dollari al giorno, il 30% dei Dom sopravvive con meno di 1 dollaro
al giorno. Un alto tasso di disoccupazione, dato che oltre il 44% non lavora, e
il resto sopravvive tra elemosina e "lavoretti" improvvisati, tra cui suonare a
feste e matrimoni.
Un popolo nomade che dopo la naturalizzazione è diventato stanziale, come i
beduini, stabilendosi in ricoveri precari, fatti di latta, zinco, e legno. Il
36,4% di loro non riceve acqua potabile e la maggior parte delle abitazioni non
è connessa al sistema fognario. Circa il 68% dei minori di 18 anni non ha mai
messo piede in un'aula scolastica. Sono i minori i più vulnerabili nella
comunità Dom: esposti a violenze, malnutrizione, condizioni di lavoro precarie,
quando non pericolose, sfruttamento.
Secondo il direttore della ONG Insan, Charles Nasrallah, "l'accesso di queste
comunità all'assistenza legale, al sistema sanitario ed educativo e ad
un'adeguata quantità di cibo, non è garantito". Problemi a cui si aggiunge la
marginalizzazione sociale. Ignorati dai libanesi, ma anche dalle ONG e dalle
agenzie umanitarie.
E non è un caso che poco si sappia su di loro, e che in questo senso la
ricerca congiunta di Insan e TDH rappresenti uno dei pochi documenti disponibili
su questo gruppo etnico. Uno studio volto ad individuare bisogni e necessità
delle comunità Dom, ma anche a valutare l'impatto sulla società libanese e la
percezione che se ne ha.
Come risposta all'emarginazione, i Dom hanno interiorizzato gli stereotipi
negativi che gli sono stati "appiccicati" addosso in questi anni, tanto da
rifiutare la loro cultura e le loro tradizioni, sottolinea la ricerca. Secondo
TDH, i pregiudizi contro questa comunità sono un macigno tale che i Dom stessi
desiderano lasciarsi alle spalle la loro "identità etnica". Lo dimostra il fatto
che la lingua Domari, ciò che li accumuna ad altre comunità in tutto il Medio
Oriente (sebbene coesistano altri dialetti), quindi il marchio indelebile della
loro identità, sta rapidamente lasciando terreno all'arabo. Tra gli
intervistati, metà degli adulti, ma solo un quarto dei bambini, parlano il
Domari; una lingua, di cui non esistono né libri, né testimonianze (i Dom in
Medio Oriente usano infatti l'arabo per scrivere). Nena News
* Dom è una parola di origine indiana; secondo lo storico
britannico Donald Kenrick, , la coesistenza di entrambi le parole si deve al
fatto che la prima lettera era pronunciata "dr"; ma altri studiosi rifiutano
tale tesi.
NDR: Contemporaneamente è uscito un articolo (in inglese) sui Dom del
Libano su
MiddleEast.com
Molti dei lettori della Mahalla conoscono il significato
della data "2 agosto": anche se per molti (me compreso) la memoria torna alla
bomba alla stazione di Bologna nel 1980, Rom e Sinti lo ricordano per il
massacro di 3.000 di loro nel campo di Auschwitz nel 1944. Di questa memoria se ne è
scritto
in passato. Resta lungo e difficile ricostruire l'eredità "reale"
di questa memoria, che ha portato alla situazione attuale; alle discriminazioni
che continuano, ai campi sosta comunali cintati da sbarre e sorvegliati dalle
telecamere, in Germania ai nazisti colpevoli di esperimenti aberranti riciclati
come esaminatori delle richieste dei danni patiti da Rom e Sinti...
Storie dimenticate che continuano a pesare. Quest'anno il 2 agosto lo
ricordo con un libro:
LIBRI INCHIESTA JORGE CAMARASA
Josef Mengele fu riconosciuto colpevole della morte di 400 mila deportati ad
Auschwitz. Era «superbo e antisemita». Non esitava a mettere in questione «la
capacità intellettuale degli ebrei». Si sentiva un bell'esemplare ariano e
beveva molto (forse troppo) caffè. Il suo più imperdonabile errore è stato
confondere il sadismo con la scienza. Adesso questo piccolo libro riferisce
quanto occorre sapere di Mengele, criminale nazista che non esitò a far di
bambini, ebrei e zingari cavie da sacrificare senza pietà. Jorge Camarasa,
ricercatore e giornalista argentino, fa incominciare la sua narrazione nel cuore
d'una notte del gennaio 1945. Josef Mengele, il cui nome vale da solo come
titolo di richiamo per queste pagine (Mengele. L'angelo della morte in
Sudamerica , Garzanti), lascia Auschwitz incalzato dall'avanzare dell'Armata
Rossa. Porta con sé, in due valige di cartone e una borsa di cuoio, tutto quanto
crede utile conservare per documentare il suo lavoro. A solo ricordarlo, quel
lavoro, fa venire la pelle d'oca! Mengele in persona, alias l'«Angelo della
Morte», accoglieva le sue future vittime all'arrivo dei vagoni piombati.
Sorridente, selezionava i deportati raggruppandoli in due file: una formata «da
uomini, donne e bambini destinati immediatamente alle camere a gas, l'altra
composta da meno fortunati... che lui stesso sceglieva per i suoi esperimenti»
in laboratori che erano vere camere di tortura. Basti dire che Mengele fu più
tardi riconosciuto colpevole della morte di quattrocentomila deportati nel lager
di Auschwitz. Leggendo Camarasa risulta chiaro che la fuga e l'esilio di Mengele
furono favoriti da scandalose complicità neonaziste. Il mostro di Auschwitz
diventa prima un insignificante Helmut Gregor. Con un passaporto intestato a
questo nome, dopo essere stato ospitato a Roma «in un convento di via Sicilia»,
si imbarca per l'Argentina. Sapendosi ricercato dalle polizie di mezzo mondo e
soprattutto dal temutissimo Simon Wiesenthal, cambia molti indirizzi e assume
nuove identità. Soggiorna in Paraguay e Brasile. Fra un viaggio e l'altro Beppo,
come lo chiamavano gli amici, ha modo di continuare i suoi delittuosi
esperimenti sui gemelli. Un indizio più che eloquente? A Candido Godòi, un
villaggio popolato all'80 per cento di immigrati tedeschi, dopo una visita del
boia in camice bianco i parti di gemelli monozigoti biondi e con occhi azzurri
hanno un'impennata. Un fenomeno scientificamente inspiegabile. Quando è morto
Mengele? Oggi Beppo avrebbe cent'anni, era nato nel marzo 1911. L'età lascia
dunque sperare che di lui rimangano solo cenere e vermi. Nel 1979 fu comunque
data notizia della sua fine, un po'banale perché dovuta a annegamento mentre
l'ex SS faceva una nuotatina nelle acque antistanti la località balneare di
Bertioga. A non credere però nell'avvenuto decesso furono, fra gli altri, la sua
dentista e Simon Wiesenthal. Chissà! Anche i mostri, come gli eroi, fanno di
tutto per garantirsi un finale da leggenda!
Il libro: Jorge Camarasa, «Mengele. L'angelo della morte in Sudamerica», Garzanti,
traduzione di Stefania Cherchi, pagine 138, 18
di Božidar Stanišić 26 luglio 2011
Il fenomeno dell'immigrazione in Italia viene spesso descritto in bianco e
nero. Božidar Stanišić, scrittore e drammaturgo bosniaco da anni residente in
Italia, si addentra nello spazio grigio arrivando a conclusioni amare
Non credo di poter né voler dimenticare: il giorno di Pasqua del 2010, a
Spilimbergo, città friulana nota in Italia e nel mondo per la lavorazione dei
mosaici, un episodio di razzismo ha suscitato l'interesse nazionale. Nel bar
Commercio, nel centro storico, un cittadino del Burkina Faso ha pagato il suo
caffè 10 centesimi in più. Quel bar spilimberghese era gestito da un anno da
un'esercente cinese, la quale ha spiegato ai giornalisti, con una chiarezza
tagliente, che non appartiene alle cronache di ordinario ma di straordinario
razzismo, che "non si tratta di razzismo, sono i clienti italiani a dirmi di
scoraggiare l'ingresso delle persone che non curano la propria igiene personale.
Me l'hanno insegnato a Padova, dove ho lavorato in un bar di italiani.
Maggiorare le ordinazioni di chi non si comporta bene. D'altronde i miei clienti
sono italiani, ed è loro che intendo tutelare". Anche l'immigrato del Burkina
Faso è stato chiaro: "Mi è stato detto: tu paghi un euro perché hai la pelle
nera, e ringrazia che ti facciamo entrare".
Grazie alla denuncia dello stesso negro alle autorità, è emerso uno degli
ennesimi comportamenti razzisti nei confronti dell'altro e diverso. Lui stesso,
da molti anni in Italia, ha raccontato sia ai giornalisti che ai carabinieri,
che si sono recati al bar per fare i controlli degli scontrini, che "quello che
mi ha fatto arrabbiare è che ad essere razzisti siano stati degli immigrati." Ed
ha aggiunto di non aver mai vissuto un attacco razzista così forte. Per quel
motivo si era recato direttamente dai carabinieri, chiedendo il loro intervento.
Tragicommedia?
Un giornale, commentando l'episodio di Spilimbergo, ha sottolineato l'aspetto
tragicomico della vicenda: un immigrato è stato razzista nei confronti di un
altro immigrato! Credo che queste parole siano state scritte in buona fede, per
invitare gli stessi immigrati ad una maggiore solidarietà e comprensione
reciproca. Però mi hanno spinto ad un'osservazione più complessa del fenomeno
dell'immigrazione in Italia. In realtà, nelle numerose analisi e ricerche sul
tema, sia recenti che del passato, manca quasi del tutto la questione dei
rapporti sociali e culturali all'interno della popolazione immigrata. Ciò vale
anche per la maggior parte della narrativa scritta dagli stranieri in Italia
(che ormai i professionisti della tematica amano definire soltanto letteratura
migrante). Le descrizioni sono quasi sempre in bianco e nero. Immigrato: buono,
povero, nostalgico; italiano: cattivo, quasi-buono o indifferente. Per i miei
atteggiamenti critici nei riguardi di questa letteratura è da anni che vengo
marginalizzato: niente inviti ai festival o a serate letterarie "migranti"...
Certo, c'è un prezzo da pagare, per tutto.
Un'altra parentesi: alla fine degli anni novanta, un amico d'infanzia mi scrisse
una lunga lettera. Lui, fuggito dalla guerra in Bosnia, aspettava la risposta
dell'ambasciata del Canada in una città della Vojvodina. Appassionato del
risveglio di numerosi giovani nella Serbia anti Milošević, frequentava degli
incontri organizzati presso le università aperte, il cui contributo alla
resistenza civile era di notevole importanza. Una sera ascoltò la relazione di
un professore polacco (di cui, purtroppo, non notò il nome) sul razzismo nei
paesi slavi (nota: slavi nel senso più ampio, quindi russi, cechi, polacchi, ex
jugoslavi ed altri...) Avendo ascoltato la relazione, il mio amico rimase
stupefatto di fronte ai fatti presentati e alle descrizioni precise esposte dal
professore, a partire dall'antisemitismo, per arrivare a razzismo, xenofobia e
progetti vari su come liberarsi dagli zingari.
Malgrado la mia conoscenza dei fatti non fosse limitata, dato che avevo avuto
occasione di trovarmi in circostanze in cui emergevano sia xenofobia che
razzismo e antisemitismo da parte di immigrati provenienti dell'ex Jugoslavia
presenti in Italia e in altri Paesi dell'Unione, capii che i fenomeni che
facevano parte della ricerca di quel professore polacco, esperto in materia,
fossero molto più ampi e radicati di quanto non pensassi nel tessuto sociale di
ogni singola società dell'ex Est Europa, inclusi i nuovi Stati del mio ex Paese.
Dall'inizio del mio, ormai lunghissimo, soggiorno in Italia, in primis grazie
alle attività di mediazione linguistico-culturale, poi agli incontri di vario
genere in tutta l'Italia, non mi ero mai staccato dalla realtà della vita degli
immigrati, non solo di provenienza dell'ex Jugoslavia. Già da tempo mi era
chiaro cosa fossero il razzismo e la xenofobia striscianti presenti negli
atteggiamenti e nel modo di pensare dei croati, bosniaci, serbi, macedoni,
kosovari ed altri sugli altri e sui diversi.
Certo, la cosa non è piacevole, ma io la riporto sia nei miei discorsi pubblici
che nella narrativa. Purtroppo non si tratta di casi isolati, ma frequenti,
presenti non solo nell'immigrazione ex jugoslava proveniente dalle periferie
urbane o dalle campagne, ma pure da una parte della cosiddetta gente colta
oppure almeno formalmente scolarizzata.
La forza delle parole
Mi è capitato chissà quante volte di sentire i termini e le espressioni: crnčuga
(negrone); mrki (di colore); žuta njuška (muso giallo); zašto ih je toliko ovdje?
(perché ce ne sono così tanti?); trebalo bi im postaviti zabranu ulaska!
(bisognerebbe non farli entrare); oni nisu kao mi! (loro non sono come noi!);
prljavi su (sono sporchi); legisti imaju pravo (i leghisti hanno ragione);
ne znaju stanovati u kučama (non sanno abitare nelle case), ecc... Chi, come me, è
ancora memore della crisi profonda a cavallo fra gli anni ottanta e novanta in
cui era sorto il linguaggio dell'odio come ouverture alla pazzia bellica
fratricida del 1991-95, chi ancora ricorda le parole dell'amico scrittore Filip
David, che scrisse che prima delle pallottole da noi si incominciò a sparare con
le parole, non può sottovalutare questi fenomeni, anche se finora
prevalentemente limitati all'uso di questo linguaggio.
Che cosa spinge, ad esempio, un sindacalista bosniaco (non importa di che etnia)
in una cittadina fra Udine e Trieste a dirmi che i mrki (stavolta bengalesi)
sono privilegiati e lui, che per gli aspetti somatici assomiglia agli italiani,
è un residente di serie B? E un'altra persona, un ex profugo del mio ex Paese, a
chiedersi, in compagnia di un friulano doc, quanti mali ci porterà la gente
fuggita dall'inferno libico? E una dottoressa a dire che deve vendere
l'appartamento perché l'edificio pullula di stranieri? E lo dice perché ormai ha
ottenuto la cittadinanza italiana? E un giovane che ha comprato la macchina da
una persona di colore, a dirmi, mentre firmavano l'atto di passaggio, che quel
mrki faceva troppe domande?
In gran parte queste parole vengono dette in presenza dei figli. Che, per
fortuna, nei banchi di scuola, vivono un'altra realtà, molto più positiva. Ieri,
ad esempio, ho ascoltato un bambino afgano, un bambino bosniaco e uno di origine
honduregna parlare e giocare insieme... Sono loro che risvegliano delle speranze
coraggiose, credo non solo in me.
Credo sia giusto che ognuno di noi immigrati rifletta su questi fenomeni, a
partire dal contesto che sente più vicino. Compresi i cosiddetti "scrittori
migranti" e "buonisti" di tutte le parti, disinteressati da questi fenomeni di
una realtà, quella dell'immigrazione, in cui esistono anche lo sfruttamento e
l'assenza di solidarietà.
Cingeneyiz.org di Salih Kocatepe
Osman Kaplan, che appartiene alla seconda generazione di migranti arrivati
con lo scambio di popolazione Turchia-Grecia, è anche conosciuto come Osman
Pescatore o Kurdo Osman. Da molto tempo ha smesso col bere. Ora prega, anche
troppo. Era mezzogiorno. Stava pregando. Una persona senza tatto gli si
avvicinò:
- Che Allah accetti la tua preghiera, Osman.
- Che Dio ti benedica.
- C'è Murat İzmirian tra i vostri (Romanì). Gli ho affittato la casa, e
ora voglio mandarlo via. Ma lui non accetta di andarsene.
Osman era così arrabbiato. Era pronto ad esplodere. Ma si ricordò di essere
in una moschea.
- Dio non separò l'umanità in vostri e ai nostri. Possa Dio donare la
pazienza ai nostri e vostri.
***
Stavo parlando coi miei amici. Birol disse improvvisamente:
- Siete zingari, siete umani a metà.
In quel momento mi sentii malissimo. Era la stessa persona con cui avevo
diviso il mio pane? Non riuscii a controllarmi ed iniziai a rispondergli
violentemente. Da quella volta non ho più parlato con lui.
***
Un giorno un uomo stava riempiendo il suo accendino col gas. Pagò dieci lire.
Roman Ertan, che riempiva gli accendini, si preparava a dargli il resto. L'uomo
chiese:
- Cos'è questa? Mi stai dando soldi zingari?
Ertan andò fuori di testa. Spense la macchina per riempire gli accendini.
- Guarda, c'è scritto "Lira Turca" su quella che hai chiamato moneta
zingara. Non ne posso più delle espressioni con cui ci umiliate. "Prestito
zingaro: furto"."Campo zingaro: luogo sporco". Si usano ancora espressioni
simili e si discrimina la società rom con queste parole.
Le persone con questa mentalità discriminatoria non saranno di successo.
Anche noi siamo cittadini turchi come gli altri. Chi si ritiene superiore agli
altri farà fatica a capire la realtà degli zingari liberi. Siamo elementi
fondanti di questo paese anche se ci ignorate.
E' un peccato che i gagé, anche quelli che si credono più sinceri degli
altri, ci siano ostili...
Segnalazione di Esméralda Romanez
Nell'antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza. Un
giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse:
- Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?
- Un momento - rispose Socrate. - Prima che me lo racconti, vorrei farti un
test, quello dei tre setacci.
- I tre setacci?
- Ma sì, - continuò Socrate. - Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è
bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test
dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi
dirai è vero?
- No... ne ho solo sentito parlare...
- Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo
setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di
buono?
- Ah no! Al contrario
- Dunque, - continuò Socrate, - vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non
sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il
terzo setaccio, quello dell'utilità. E' utile che io sappia cosa mi avrebbe
fatto questo amico?
- No, davvero.
- Allora, - concluse Socrate, - quello che volevi raccontarmi non è né vero,
né buono, né utile; perché volevi dirmelo?
Se ciascuno di noi potesse meditare e metter in pratica questo piccolo
test... forse il mondo sarebbe migliore.
Da
Roma_Italia
Roma, 12 agosto 2011. Il Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale per i
diritti umani, chiede alle autorità della Romania di avviare una ricerca di Ipat
Ciuraru, nato in Romania il 17 giugno 1990, alto 1.70, carnagione olivastra,
fisico molto robusto, occhi e capelli neri. Ipat Ciuraru, che appartiene al
popolo Rom, vive da alcuni anni in Italia, con la famiglia, a Pesaro. L'ultimo
giorno in cui la famiglia l'ha visto, il 23 luglio 2011, il ragazzo vestiva una
maglia nera e pantaloni bianchi con disegni verdi. La sorella di Ipat ha sporto
oggi denuncia di scomparsa in Italia (...), ma è
possibile che Ipat si trovi in Romania, dove la sua famiglia ha acquistato un
terreno a Costanta.
EveryOne Group
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Da
Gazeta Romaneasca
Pe data de 23 iulie a dispărut din localitatea Pesaro un tânăr român de
origine romă, Ipat Ciuraru, de 21 de ani.
Tânărul (foto) era cunoscut drept unul din cei mai activi reprezentanţi ai
comunităţii de romi din care făcea parte, colaborând cu diferite organizaţii
umanitare, printre care şi EveryOne.
EveryOne a lansat un apel către autorităţile româneşti, pentru a deschide o
anchetă cu scopul de a-l găsi pe Ipat, după ce familia a semnalat poliţiei
italiene dispariţia tânărului.
"Ipat este un tânăr extraordinar, nu s-a
indepărtat niciodată de acasă fara sa
anunte familia, dispariţia sa a surprins pe toată lumea. Noi suntem foarte
ingrijoraţi cu privire la soarta lui. Ar putea fi in Romania, unde familia sa a
cumparat un teren langa Constanta"- ne-a spus Roberto Malini, unul din
responsabilii ONG-ului italian.
Prin intermediul Gazetei, EveryOne a lansat un apel catre toti cei care ar putea
informatii cu privire la tanarul Ipat: "s-a născut în România pe 17 iunie 1990.
Are 1.70m , ten măsliniu, fizic foarte robust, ochii negri. Ultima oara a fost
văzut pe data de 23 iulie 2011. Băiatul purta un tricou negru şi pantaloni albi
cu modele verzi."
INOLTRE: segnalazione di Marcello Zuinisi
16 agosto, 16:22 - Ragazza di 17 anni scomparsa da campo rom in Versilia.
Stava giovando con i fratelli. Ricerche da ieri sera
(ANSA)
- TORRE DEL LAGO (LUCCA), 16 AGO - Una ragazza di 17 anni, Vandana Orban, di
origine rom, e' sparita da ieri sera dal campo comunale di Torre del Lago
(Lucca). I genitori hanno presentato denuncia ai carabinieri. Prima di
scomparire, la ragazzina stava giocando insieme ai fratelli e alle sorelle. I
genitori si sono accorti che non c'era piu' intorno alle 21. La ragazzina era
vestita con pantaloncini e maglia verde. Chi l'avesse vista chiami i
carabinieri.
Domenica scorsa discutevo via Facebook su come sia facile scatenare
commenti razzisti quando la comunicazione da parte nostra è troppo retorica.
Spero di non aver ecceduto nell'animosità e nel caso me ne scuso. Ragionando a
mente fredda, sono seguiti alcuni "pensieri laterali" a quello scambio di idee.
L'anno scorso ho avuto la fortuna di conoscere
Paul Polansky e di accompagnarlo in alcune presentazioni a Milano delle sue
opere. I lettori della Mahalla lo dovrebbero conoscere bene, perché ho scritto
spesso di lui.
Diciamo che il personaggio è quantomeno singolare: fotografo, giornalista,
sociologo, scrittore, poeta, premio Günther Grass
nel 2004, e soprattutto amico e conoscitore dei Rom.
Però anche lui ha un suo lato oscuro, se dovessimo giudicarlo (che brutta
parola!) con i nostri occhi di "intellettuali democratici", sempre pronti a
dividere i buoni dai cattivi.
Polansky è stato anche un pugile dilettante e, da quello che racconta di se
stesso, non ne è per niente pentito. Amava e ama tuttora la violenza fisica, i
pugni, il sangue, anche quando oggi, a quasi 70 anni, si trova nuovamente a
combattere la violenza delle istituzioni e l'indifferenza della società.
C'è un suo libro:
Boxing poems, edizioni Velo Press, in cui la sua asciutta poesia non viene
messa al servizio di un'ennesima causa civile, ma descrive in prima persona il suo
rapporto con la violenza, alla ricerca di quelle che ne sono le radici. Ricerca
che si risolve (forse, ma non si sa) nelle ultime due poesie.
Rispetto alla discussione che ricordavo all'inizio, mi è tornato in mente un
curioso episodio raccontato nell'introduzione di Boxing poems: Polansky
si trovava a Praga a leggere le sue poesie su
una delle tante tragedie nascoste della storia dei Rom. Nella sala si fecero
avanti alcuni skinhead con atteggiamento minaccioso. Il vecchio pugile capì cosa
poteva succedere, una volta la storia sarebbe sicuramente finita in rissa, ma
stavolta Polansky mollò il suo libro e si mise a recitare a quel pubblico
insolito le sue poesie sulla boxe.
"...novello pifferaio magico, catturò l'attenzione di quei teppisti,
suscitando la loro ammirazione, anche per il valore letterario dell'opera.
Era dunque riuscito ad aprire un dialogo, trasformando dunque un libro di
sola e pura violenza in un'opera frutto di un atto estremamente umano,
capace di acquietare, e soprattutto di far riflettere anche quelle persone
che sfogano in malo modo il lato aggressivo del proprio carattere. Come dire
che non basta rinchiudere un cane che morde, ma si deve cercare di parlarne
e curarlo" [pag. 9]
Perché le radici della violenza che Polansky ha cercato, non erano
ipoteticamente in qualcuno e qualcosa di estraneo, ma appartengono saldamente a
ciascuno di noi. Comprenderlo è la strada per capire gli altri.
Termino anticipandovi che sto facendo in modo di riportare Paul Polansky a
Milano per la fine di settembre.
Guardateli bene, sono una famiglia di circo, di certo al lavoro in Italia ma non
è detto che siano di nazionalità italiana. Qualcuno sa riconoscerli? Chi è in
grado di identificarli o ha qualche spunto per risalire alla loro identità,
scriva a redazione@circo.it
In questa nuova rubrica –
Tendoni d’Italia – andremo anche alla ricerca di circensi senza
identità, quantomeno per noi. L’ideale sarebbe che i più giovani stampassero la
foto per farla vedere agli anziani, e chissà che a qualcuno non si accenda la
scintilla.
Dare una identità a chi custodisce personaggi noti solo in fotografia, è una
possibilità per tutti: se avete volti sconosciuti da “battezzare”, inviateci le
vostre foto e le pubblicheremo.
Buon lavoro e buon divertimento.
Short URL:
http://www.circo.it/?p=8828
Ancora a
Dale Farm, ultimo giorno. Se non mi perdo, domani dovrei essere in
Italia.
Considerata la dichiarazione fatta il 2 settembre 2011 riguardo Dale Farm dal
Comitato delle Nazioni Unite sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale,
noi sottoscritti richiediamo al Consiglio di Basildon di trovare una
soluzione pacifica ed appropriata per gli Zingari e Viaggianti residenti a Dale
Farm, che comprenda l'identificazione di una sistemazione culturalmente
appropriata, nel pieno rispetto dei diritti umani delle famiglie coinvolte ed
inoltre, che il Consiglio di Basildon non intraprenda nessuna azione contro i
residenti di Dale Farm, fintanto che non avrà adempiuto a questa richiesta.
FIRMA
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