L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Di Fabrizio (del 10/06/2010 @ 09:16:18, in casa, visitato 1887 volte)
da
martedì 15 giugno 2010 alle ore 16.30 a
lunedì 21 giugno 2010 alle ore 19.00 Museo delle Arti e Tradizioni Popolari,
Piazza Guglielmo Marconi, 8 (EUR)
Roma, Italy
L’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia (IDEA) / Museo Nazionale delle
Arti e Tradizioni Popolari ospita l'evento Campus Rom, c'era una volta Savorengo
Ker, mostra multimediale che racconta due esperienze di ricerca realizzate dal
collettivo Stalker ON in collaborazione con le comunità Rom della capitale. Due
anni di lavoro, vissuti tra intese e malintesi, che hanno visto nascere progetti
coraggiosi e sogni condivisi, narrati dalla mostra fotografica Campus Rom e dal
documentario, presentato in anteprima assoluta, C'era una volta … Savorengo Ker,
la Casa di Tutti, regia di Fabrizio Boni e Giorgio de Finis, prodotto da In
Iride Sfoggio.
La mostra Campus Rom presenta le fotografie di: Simona Caleo, Giorgio de Finis,
Max Intrisano, Massimo Percossi, Maria Stefanek, Maria Teresa Bovino, Hector
Silva Peralta. Alessandro Imbriaco
Nel pomeriggio - oggi 10 giugno 2010, alle ore 15,30 - ci troviamo a Gambolò,
sotto casa di Irene Zappalà per impedire l'esecuzione dello sfratto (la signora
abita a due passi dalla piazza, dietro la confraternita di san Paolo, in via
Magenta 5). Oltre alla comunità Sinti di Gambolò, hanno già confermato la loro
presenza i consiglieri provinciali e il segretario provinciale di Rifondazione
Comunista; i rappresentanti della CGIL, del sindacato inquilini SUNIA e della
lista civica Insieme Per Pavia.
Devastante. Nella provincia di Pavia oltre duemila famiglie sono a rischio di
sfratto. Per la precisione, tra sfratti pendenti (844) e richieste di esecuzione
(1.172) si sommano 2.016 casi. Aumentano del 27 per cento gli sfratti per
morosità (nel 2009 se ne sono avuti 790, di cui 127 a Pavia); calano del 10 per
cento quelli per finita locazione. Da una parte il legittimo diritto dei
proprietari; dall'altra le ragioni di molte famiglie, soprattutto quelle
monoreddito o improvvisamente senza lavoro.
Prendiamo il caso della signora Irene Zappalà di Gambolò. Quarant'anni, due
figli, lavorava come addetta alla cucina presso la casa di riposo "Fratelli
Carnevale" di Marcianò. Dopo una vertenza sindacale nel 2006 nonostante l'asma,
si ritrova relegata alle pulizie degli scantinati («per rappresaglia»), e infine
licenziata nel 2008. Da quel momento per lei solo attività lavorative saltuarie,
pagate in nero (ad esempio, lavora come inserviente di cucina al ristorante
"Quattro stagioni" di Remondò. Venti ore mensili per 360 euro quando, per il
solo affitto, ne dovrebbe esborsare 330) e il progressivo scivolare giù,
nell'indifferenza generale, fino allo sfratto ormai esecutivo.
Soluzioni abitative ce ne sarebbero: in attesa di un alloggio popolare (era
dodicesima; un anno dopo si è ritrovata diciottesima...) la signora potrebbe
trovare provvisoria dimora alla stazione ferroviaria di Remondò, che il Comune
detiene in comodato d'uso; Irene si è offerta di curarne apertura e pulizia. C'è
poi un alloggio presso la Fondazione Fratelli Carnevale, in ristrutturazione.
Irene Zappalà chiede pane e lavoro; in Comune allargano le braccia. Così l'unico
aiuto concreto le è oggi offerto dai Sinti. Sì, gli zingari residenti a Gambolò,
che ogni tanto le portano alimenti. Come racconta Franco Ovara Bianchi, «quando
vado a comprare il pane per le famiglie che vivono nel campo lo prendo anche per
Irene». Il portavoce della comunità Sinti gambolese si è anche offerto di
ospitarla in una delle roulottes del campo lungo il torrente Terdoppio.
Insomma, una inedita solidarietà tra marginali "storici" – come appunto gli
zingari – e questi nuovi marginalizzati, la cui interazione supera finalmente le
categorie peraltro mobili di "etnia", "cultura", "identità". Interazione che
smentisce l'artificio dei presunti "conflitti culturali", branditi come clave da
élite politiche che soffiano sul fuoco dell'intolleranza e del pregiudizio,
istigando all'odio "razziale" nei confronti degli zingari e degli stranieri.
In Lomellina e in particolare in paesi come Tromello e Gambolò troviamo "gagi"
che sembrano Sinti (ovvero gli zingari lombardo-piemontesi) e Sinti che sembrano
"gagi". Il processo di assimilazione è favorito anche dai numerosi matrimoni tra
zingari e gambolesi. Per chi non lo sapesse, nel gergo degli scarpinanti i gagé
(«contadini») sono coloro che non appartengono al popolo dei Rom (gli «uomini»
per antonomasia); dunque gagé sono tutti gli «altri».
La storia dei primi insediamenti viene raccontata da Nevina Andreta in un saggio
("Nel paese dei dritti", ne L'albero del canto) di cui sono stato editore nel
lontano 1985. Andreta li colloca al 1879, «quando vennero in territorio
gambolese gli appartenenti alle famiglie Allegranza e Vinotti, che
s'imparentarono con altri ceppi di nomadi, famiglie che in seguito richiesero la
residenza a Gambolò». Erano giostrai, artisti da circo, suonatori ambulanti,
sensali di cavalli, maniscalchi... Insomma, il mondo dei marginali – Sinti o
gagi – contiguo a quello della piazza, modo frequentato dai cantastorie di
Tromello Giacinto Cavallini e Vincenzina Mellini, o Adriano Callegari di Pavia,
o Antonio Ferrari di Belgioioso; quel microcosmo della "leggera" magistralmente
raccontato dall'imbonitore mantovano Arturo Frizzi nell'autobiografico Il
ciarlatano (1902). Un mondo altrettanto contiguo ad altre figure di marginali:ad
esempio i cercatori d'oro, i ghiaiaroli e i navaroli di Po e Ticino; ad esempio
i cordai di Calvatone nel cremonese e Castelponzone nel mantovano. Insieme a
Gambolò, Castelponzone viene ricordata da Glauco Sanga come il «paese dei
dritti». L'elenco comprende anche Sant'Angelo Lodigiano, Pozzolo Formigaro in
provincia di Alessandria e Vescovato presso Cremona. Sono paesi popolati da
marginali borderline, «quelli che nel periodo di passaggio dall'età medievale
all'età moderna non vivevano del lavoro della terra, ma si dedicavano ad altre
svariate attività che si potrebbero definire "di servizio"» (Sanga), attività
alternative alle consolidate forme di reddito o agricolo o industriale. Gli
abitanti di questi paesi erano considerati «"ladri e furfanti" […] Né
Castelponzone né gli altri "paesi di ladri" sono paesi di contadini; le attività
economiche erano altre»: ad esempio, lo spettacolo; come a Gambolò, il paese dei
giostrai.
Il Paese dei giostrai e – sia pure tra molte contraddizioni – il paese della
convivenza e della solidarietà. Lo sottolinea Nevina: il Comune aveva «la fama
di grande lungimiranza nel concedere l'iscrizione all'interno delle proprie
liste anagrafiche a nomadi di ogni categoria» tanto che ne arrivavano persino
dall'estero: ai nuclei storici delle famiglie ormai sedentarie degli Allegranza,
Vinotti, Picci, Bianchi, Sambiase, Ruffini, Sabino, Costantini, Delli, Vacchina
si sono poi aggiunti gli Hudorovich e gli Offman, originari di San Pietro del
Carso (la slovena Pivka) e Budapest; persone che, prima di trovare dimora a
Gambolò, erano apolidi.
Da 84 anni la comunità Sinti di Gambolò dimora in riva al Terdoppio, poco fuori
il paese. Lungo il torrente incontriamo cinque delle numerose famiglie qui
residenti, ma ancora pochi anni fa tra queste roulottes c'erano più di venti
casati: sono giostrai, venditori ambulanti di scope centrini fiori e piante;
alcuni vanno per ferro; altri stagionalmente lavorano nell'allestimento
invernale delle luminarie natalizie o, in agricoltura, nella raccolta di
pomodori uva e ortaggi; qualcuno ha trovato impiego nell'edilizia.
Se questo è il retroterra, allora non deve stupire la solidarietà fra compaesani
in sostituzione della pubblica amministrazione di centrodestra, che oggi non
prevede welfare locale, arrivando persino a minacciare la chiusura della fontana
a cui vanno i Sinti del campo.
Del resto viviamo in Italia, Paese che, nell'Europa a 15, è penultima nella
classifica delle spese sociali per il contenimento del rischio di povertà e
l'unica – insieme alla Grecia – a non prevedere un assegno minimo per chi versa
nel disagio: l'aiuto arriva solo al 4 per cento della popolazione, mentre in
Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Germania e Irlanda la percentuale
sale al 50 per cento. In Italia, una famiglia su cinque è oggi in seria
difficoltà. L'indebitamento totale dei 23 milioni e mezzo di famiglie italiane
ammonta a 490 miliardi di euro (dal 2002 al 2007 è quasi raddoppiato), per una
media di 15.764 euro a famiglia.
In Europa e negli Stati Uniti la perdita della casa – per l'impossibilità di
pagare il mutuo – sta spingendo milioni di famiglie nell'indigenza. In Italia va
anche peggio. Anche in provincia di Pavia molti anziani con la pensione sociale
«non si possono più permettere di mangiare due volte al giorno e altri in
estremo tentativo di risparmio la sera diluiscono la scodella del latte con un
po' d'acqua», come ha rilevato Fabrizio Merli (La Provincia Pavese, 3 maggio
2008). E Maria Grazia Piccaluga così scrive: «Alla mensa dei poveri si è
presentato solo una volta a mezzogiorno. Quando il bisogno ha superato la
vergogna. Ha mangiato a testa bassa, guardando solo il suo piatto. E non è più
tornato [...] Il pensionato timido e imbarazzato non si è più fatto vedere.
"Sono in tanti gli anziani che hanno bisogno, ma in genere non chiedono.
Piuttosto vanno a rovistare tra gli scarti del mercato" spiega una volontaria
corrucciando la fronte. Un dato però è significativo: gli italiani che siedono
alla mensa dei poveri sono ormai diventati numerosi quanto gli stranieri.
Anziani soli, ma anche giovani senza lavoro, uomini (e qualche donna) con un
vissuto travagliato alle spalle che non riescono più a reinserirsi nel mondo del
lavoro» (20 agosto 2008).
La precarizzazione dei lavoratori imporrebbe alle amministrazioni locali
politiche volte a contenere la disoccupazione, e la ricerca di una via che porti
al reinserimento nel mondo del lavoro. Quanto meno servirebbe il tampone di un
fondo sociale di solidarietà.
Invece piove sul bagnato. Nei primi mesi di quest'anno in provincia di Pavia
sono andati in cassa integrazione altri 1.600 lavoratori. In crisi sono 75
aziende edili e meccaniche, che vanno a sommarsi alle 237 dei mesi scorsi, 160
delle quali appartenenti al settore artigianato. Si salvano i settori
lattiero-caseario, risiero e viti-vinicolo; sono in sofferenza le imprese con
meno di 50 dipendenti, il 90 per cento delle fabbriche della provincia.
In Italia, in un anno la cassa integrazione è cresciuta del 443 per cento! Ma è
più inquietante il destino dei 4.121.000 lavoratori precari – il 15 per cento
della forza lavoro – 300.000 dei quali rischiano la disoccupazione. Analogamente
ai dati nazionali, sono precari il 15 per cento di quanti lavorano in provincia;
sono altresì precari buona parte dei 12.000 pendolari che lavorano a Milano.
Il già sterile tessuto produttivo pavese si deve così misurare con la crisi
globale e patisce un calo degli ordini tra il 20 e il 25 per cento. Meno soldi
in busta paga significa meno consumi durevoli (auto -16 per cento;
elettrodomestici -6,9) e non poche difficoltà ad affrontare gli aumenti delle
tariffe di alcuni servizi: a Pavia si sono avuti rincari per trasporti,
refezione scolastica, centri estivi delle materne e delle elementari, scuole
materne a tempo pieno, parcheggi, ecc.
Se a Pavia si piange, a Roma c'è poco da ridere. Le retribuzioni italiane sono
oggi inferiori di 8 punti rispetto alla media europea, ma il calo complessivo è
del 13 per cento (nel 2000 erano di oltre 4 punti sopra) e, come lamenta
Guglielmo Epifani, «cresce sempre di più il senso di insicurezza della
popolazione, la precarietà del lavoro, la sfiducia nel futuro e la paura di
perdere il benessere e la qualità delle proprie condizioni di vita».
Tuttavia qualcosa non quadra: negli ultimi vent'anni 120 miliardi di euro – l'8
per cento del Pil – sono passati dai salari ai profitti, 5.200 euro in media
all'anno a lavoratore, 7.000 euro se escludiamo i lavoratori autonomi. La crisi
finanziaria era da tempo in incubazione. La casta politico-economica ha pensato
di spalmarla sui lavoratori e sulla piccola e media borghesia al collasso, e
sposta su comodi capri espiatori l'«eccesso di paura» di chi si sente scivolare
lungo la china della povertà. La frammentazione sociale, la politica del
rattoppo, della finta "sicurezza", delle "ordinanze creative" e la pressione
mediatica sono strumenti per nascondere la portata ideologica e politica della
crisi a cui siamo di fronte: una crisi di civiltà che, allargando lo sguardo,
porta a muovere gli eserciti per il controllo delle fonti energetiche,
dell'acqua e del cibo.
Me Sem Rom: il documentario di tre giovani registi arriva in studio. Ne
parliamo con Davide Falcioni che ci spiegherà perché questo lavoro è stato
realizzato all'interno del Casilino 900. Ci occupiamo anche della mostra "Campus
Rom, c'era una volta Savorengo Ker" il lavoro organizzato all'interno della
festa dell'architettura.
Di Fabrizio (del 14/06/2010 @ 09:46:09, in casa, visitato 1649 volte)
Dopo tante parole al vento, sotterfugi e promesse non mantenute ora, il
Sindaco di Rho vorrebbe dare il ben servito alle persone che con pieno diritto e
contratto alla mano abitano nella struttura di via Sesia, per far posto ad una
discarica o a qualcosa di simile.
In questi giorni ci siamo imbattuti nel Sindaco di Trezzo che, come il Nostro,
non ha trovato di meglio che annunciare alle famiglie sinte che abitano in quel
comune, come residenti, da oltre vent'anni, che al loro posto sarà previsto
l'allargamento della ricicleria limitrofa. Sloggiandoli.
Un caso o un cattivo esempio di come si amministrano le città di questi tempi?
I bambini di via Sesia li ho visti nascere e crescere a Rho, non altrove,
insieme ai tanti loro coetanei che frequentano le scuole.
Qualcuno nel frattempo è diventato più grandicello e ora frequenta un istituto
superiore, una specie di "miracolo" tra gli zingari..
Ho anche assistito a molti degli accordi sottoscritti con le famiglie rom dagli
ultimi 3 sindaci che hanno governato la città. Patti sempre osservati con
rispetto e solennità dagli zingari ma spesso travisati dai funzionari pubblici
con la menzogna, l'arroganza, il menefreghismo.
Il Comune di Rho ha incassato una bella somma, oltre un milione di euro, dal
Ministro degli Interni, Maroni, Lega Nord, per promuovere l'integrazione sociale
di persone che hanno un nome e cognome, una storia di lunga permanenza a Rho,
non degli ultimi arrivati che nessuno conosce, attraverso interventi precisi di
sostegno abitativo, lavorativo, scolastico e sociale.
Che cosa è stato fatto? Nulla di quanto scritto e dichiarato e nulla o poco
verrà fatto in futuro, al di là delle chiacchiere di circostanza, perché senza
un ruolo di mediazione sociale delle istituzioni (ma capiscono cos'è?), ogni
altro intervento è destinato al fallimento.
Come (e in che misura) verranno spesi i soldi pubblici assegnati? Un progetto è
un po' come un "contratto", definisce cosa devi fare, come, in quanto tempo
ecc., per evitare che i soldi di tutti noi vengano inutilmente dispersi, o siano
trattati come merce di scambio clientelare.
Ma se invece del televisore che hai acquistato in occasione dei prossimi
mondiali di calcio, ti consegnassero a casa solo un disco dvd "vergine"
dicendoti: "adesso puoi registrartele se vuoi… le partite, s'intende", voi cosa
rispondereste al negoziante che vi sta "raggirando" mettendovi tra le mani una
"scatola vuota"?
Di Fabrizio (del 16/06/2010 @ 09:23:19, in casa, visitato 1926 volte)
Segnalazione di Monica Rossi
INURA sta per International Network for Urban Research and Action. Quest'anno
a Zurigo si terrà un'importante conferenza sull'urbanesimo contemporaneo alla
quale parteciperanno ricercatori di tutto il mondo.
Titolo della conferenza è: "The New Metropolitan Mainstream", Zurich, June 27 to 30, 2010
The last 20 years of urban development were marked by enormous urbanisation.
Asia, Africa and Latinamerica experienced a tremendous growth of their cities.
Besides urban sprawl a huge range of cities and metropolitan regions experienced
a reurbanisation and urban renaissance. Globalisation brought about similar
developments in inner cities, similar strategies of regeneration and urban
transformation, among them culturalisation, privatisation of public goods and
liberalisation of housing. Many regions also experienced an ongoing polarisation
of urban rich and urban poor. The New Metropolitan Mainstream is found in
variations in cities around the globe. The thesis is that there are the same
rules that lead to similar results. INURA's New Metropolitan Mainstream project
compares the developments of the last 20 years in more than 20 cities. This will
be the framework of debates and the discussions of the 20th INURA conference.
Con il mio gruppo di ricerca SMU Research net (http://smu-research.net/smu/italian)
abbiamo partecipato producendo un poster su Roma ed una mappa che si aggiungerà
alle altre prodotte da altri gruppi di ricerca provenienti da tutto il mondo.
Accanto al New Metropolitan Mainstream, che sarebbe la città "pianificata", in
Italia ed in Grecia troviamo invece la "città informale", che a Roma in
particolare ha una storia molto lunga che parte dalle baraccopoli costruite dai
migranti italiani ed arriva sino ai campi rom e agli insediamenti informali
abitati da immigrati.
With my Research group SMU Research net, we have participated producing a
poster on Rome and a map that will be added to the others produced by other
research groups from all over the world.
Close to the New Metropolitan Mainstream, which means the "planned" city, in
Italy and Greece we find also the "informal city", which in Rome in particular
has a very old tradition which begun with the shanty towns inhabited by Italian
internal migrants and arrives to the Roma encampments and migrant informal
dwellings
Image: L'insediamento romanì a Plavecky Stvrtok. Copyright: Amnesty
International
"Non posso credere che nella Slovacchia di oggi, un paese che è
nell'Unione Europea, lui [il sindaco del villaggio di Plavecký Štvrtok]
voglia rendere senza un tetto 600 persone." Aneta, donna romanì, abitante
dell'insediamento.
Circa 90 famiglie romanì a Plavecký Štvrtok, un villaggio a circa 20 km.
a nord della capitale Bratislava, sono di fronte alla minaccia di essere espulsi
a forza dalle loro case, situate al margine del villaggio, da parte delle
autorità locali entro le prossime settimane.
I Rom hanno vissuto sullo sulla stessa terra di Plavecký Štvrtok per diverse
generazioni. Ma solo negli ultimi mesi è stato chiesto loro dal comune di
provare la legalità delle loro case, tramite l'esibizione dei permessi di
costruzione, certificati di proprietà ed altri documenti.
E' stato detto loro che se non avessero fornito la documentazione necessaria,
ci sarebbero stati ordini di demolizione. Nella maggior parte dei casi i Rom non
possiedono questi documenti, in quanto non sono proprietari del terreno su cui
vivono.
Da gennaio, il comune ha notificato a 18 famiglie di demolire le loro case
entro tre mesi, dato che non avevano fornito i documenti necessari. Se non
l'avessero fatto, il comune avrebbe mandato i bulldozer a demolirle.
Darina, una delle abitanti dell'insediamento ha detto ad Amnesty
International: "Non abbiamo dove andare. Questa è casa nostra. Ognuna delle case
è stata costruita dalla nostra gente, senza nessun aiuto. [...] Ognuno qui ha
dovuto costruire la sua casa coi propri sforzi."
"Questo sgombero avverrà senza riguardo per centinaia di persone, incluse
famiglie con bambini, che non sono state consultate per individuare alternative
allo sgombero od opzioni di reinsediamento, o neanche informate adeguatamente
sul potenziale sgombero," ha detto David Diaz-Jogeix, vice direttore di Amnesty
International per l'Europa e l'Asia Centrale.
Le autorità hanno detto che una delle ragioni del progettato sgombero forzato
è stata la preoccupazione per la sicurezza pubblica, dato che sette case sono
costruite entro l'area di rispetto di 8 m. attorno ad un gasdotto, e la maggior
parte delle altre case sono ad una distanza di 50 m.
Ma gli standard usati per Rom e non-rom sembrano essere differenti. A nessuna
delle famiglie non-rom, le cui case pure sono costruite nella stessa "zona di
protezione", è stato notificata l'ordinanza di demolizione o è stata contattata
in qualche modo dal comune. Ciò fa crescere le preoccupazioni per un trattamento
discriminatorio.
Nel contempo le autorità non stanno considerando nessuna possibilità di un
alloggiamento alternativo, violando gli impegni internazionali della Slovacchia
sui diritti umani.
Il giornale Slovak Spectator ha riportato il 19 aprile che il sindaco di Plavecký
Štvrtok ha dichiarato che il comune ha rigettato l'idea di costruire alloggi
popolari come soluzione, "perché il villaggio dovrebbe investirvi tropo e gli
appartamenti sarebbero del comune. La loro gestione costerebbe molto denaro e
sappiamo molto bene come questi cittadini intendono gli alloggi - in pochi anni
sarebbero tutti in rovina."
"Una dichiarazione simile indica un disinteresse totale degli obblighi della
Slovacchia di garantire un alloggio adeguato a tutti, senza discriminazione," ha
detto David Diaz-Jogeix.
"Le autorità devono assicurare che nessuna famiglia venga resa senza tetto o
vulnerabile alla violazione di altri diritti umani come conseguenza di sgombero.
Questo include fornirle di rimedi legali, incluso quello di un compenso per la
distruzione delle loro case e proprietà. Il governo ha il dovere di assicurare
che le autorità di Plavecký
Štvrtok rispondano alla legge internazionale dei diritti umani."
TRENTO. «Le microaree sono l’unica soluzione. Speriamo le facciano davvero. E
al più presto». Alessandro Held, 57 anni, parla e fuma sotto il gazebo. È il più
anziano dei circa 50 sinti che vivono nel campo abusivo accanto alla
Motorizzazione. In tutta Trento sono circa 200.
A due passi dall’Adige e dalla tangenziale ci sono una dozzina di roulotte
sistemate a ferro di cavallo, la toilette, una piscinetta «da 30 euro» dove
due bimbe giocano e si rinfrescano mentre le donne sistemano i piatti del
pranzo. «Qua - continua il “ capo” - viviamo abbastanza bene. Siamo fortunati
perché abbiamo l’acqua che usavano prima gli operai che hanno costruito le nuove
gallerie di Piedicastello. Ci sono anche le fognature. Però, siamo precari.
Abbiamo paura di sgomberi improvvisi e se ci mandano via non sappiamo dove
andare». Si avvicina il fratello Riccardo che ribadisce. «Di certo non andremo
al campo di Ravina (l’unico regolare in città, ndr) perché è sovraffollato e
invivibile». «Se ci sistemano nelle microaree - continuano - non vogliamo starci
gratis. Paghiamo affitto, acqua, luce e gas».
Ormai, i nomadi di Trento, sono nomadi stanziali. «Noi siamo sinti - spiega
ancora Alessandro - con origini germaniche. Quando ero giovane la mia famiglia
si muoveva molto, ora invece ci muoviamo meno. Anche per far andare i figli a
scuola». Vivere in una casa, però, è quasi contro la loro cultura. «Per la mia
generazione è davvero complicato abituarsi a stare in appartamento. Magari per i
miei figli sarà più facile». Federico, 16 anni, sorride. «In effetti in inverno
stare in una casa sarebbe meglio, ma a me piace vivere qua al campo». Una vita
apparentemente normale. La giornata tipo della famiglia Held non si discosta
molto da quella di altre famiglie trentine. «Al mattino - continua Alessandro -
noi uomini andiamo a lavorare, raccogliamo ferro e lo trattiamo. I bambini vanno
a scuola. Le donne si prendono cura di loro o del campo. Usciamo poco perché non
vogliamo dare fastidio. E anche a causa di certi attacchi della Lega Nord
abbiamo paura di essere presi di mira».
Una vita che a Trento fanno circa 200 nomadi. L’assessore comunale Violetta
Plotegher, nei giorni scorsi, aveva detto che i nomadi che vivono in
accampamenti abusivi in città sono 82. A sentire i diretti interessati, però, i
numeri sono diversi. Oltre alla sessantina di persone che vive a Ravina,
infatti, ce ne sarebbero 50 alla Motorizzazione, circa 30 a Gardolo, altrettanti
all’Ex Zuffo e altri in zona Monte Baldo. Circa 130 nomadi che vivono in campi
abusivi. Più quelli di Ravina. «Una soluzione va trovata al più presto. La
nostra è una situazione di emergenza. Non vogliamo passare un altro inverno al
freddo. Servono le microaree anche a Trento, come hanno fatto in molte altre
città», sottolineano anche Valentino Held e Damiano Colombo che vivono in alcuni
camper tra il campo della Vela e l’ex Zuffo con le loro famiglie allargate. «Non
possiamo essere lasciati così, abbandonati, come cani».
Di Fabrizio (del 28/06/2010 @ 09:43:18, in casa, visitato 2407 volte)
Corriere
del VenetoIl sindaco scrive alla famiglia sinti: dopo questo fatto rivisti i termini
di permanenza
[...]
MIRA - Alla famiglia Cavassa (presso campo di via Maestri del Lavoro): «Ho
appreso con rammarico e profonda delusione dalle forze dell'ordine che
comportamenti della vostra famiglia hanno commesso un furto in una abitazione
nel comune di Pianiga e che i responsabili del reato sono residenti presso il
vostro campo nomadi». E' la lettera inviata dal sindaco di Mira Michele
Carpinetti (Pd), alla famiglia sinti perché Rocky Cavassa, 19 anni, figlio di
uno dei membri della comunità è stato arrestato dai carabinieri di Dolo per
furto. Lui era il palo che aspettava in auto due ragazze (20 e 17 anni) che
avevano appena rubato un computer in una casa di via Cavin Maggiore a Pianiga.
Adesso il comune di Mira è pronto allo sgombero del campo nomadi.
Il sindaco ha disposto che sia revocata l'ordinanza, firmata quattro giorni fa,
che permette alle famiglie di restare dell'area dell'accampamento. «Le soluzioni
adottate dall'amministrazione per la vostra permanenza del campo sono state
dettate da problemi umanitari essendo presenti numerose donne e bambini della
vostra comunità-scrive Carpinetti-, e con la messa a disposizione dell'area per
il campo vi è stato dato nel corso degli anni, il tempo di trovare una
sistemazione definitiva anche fuori dal comune di Mira. In ogni passaggio è
sempre stata categorica, da parte nostra, la richiesta del rispetto della
legalità e di comportamenti che non mettessero in difficoltà la convivenza con
la popolazione mirese. Dopo questo fatto vi comunico che saranno rivisti i
termini per la vostra permanenza nel campo di via Maestri del Lavoro».
30/06/2010 - I bulldozer sono al lavoro demolendo le case degli zingari anche
se si avvicina il termine dato dall'ONU per la risposta che la Gran Bretagna
deve fornire alla domanda fatta da Dale Farm (vedi
QUI ndr) sullo sgombero di massa che allontanerebbe novanta famiglie
dalla propria terra.
Ieri mattina sono entrati a Dale Farm una mezza dozzina di veicoli che
portavano gli operai addetti alla demolizione, apparentemente per spaventare i
residenti che saranno reindirizzati alla vicina Hovefields. Qui i Viaggianti
hanno avuto un'ora per fare i bagagli prima dell'inizio della distruzione.
"Bambini piccoli giocavano attorno alla scavatrice," riporta Malcolm Tully, a
membro della New Life Church. "Né gli ufficiali giudiziari, né la polizia hanno
mostrato alcuna preoccupazione per la loro sicurezza. E' un chiaro infrangimento
della legge."
Le denunce sono state immediatamente presentate all'UK Health and Safety
Executive che ha iniziato un'indagine. Ma le demolizioni sono continuate ed alla
fine della giornata diverse proprietà zingare, la maggior parte vacante, erano
state rese inabitabili.
Ciononostante, gli avvocati hanno prevalso sul consiglio distrettuale di
Basildon di sospendere la demolizione di Five Acres Farm, il cui proprietario è
in un ospedale di Londra per cure cardiologiche. Sua moglie è tornato al sito,
subito dopo l'arrivo degli ufficiali giudiziari, e ha trovato tagliate acqua ed
elettricità.
Il giorno prima, la proprietaria romanì Sylvia Taylor aveva contattato
Basildon e ricevuto assicurazione che non sarebbe stata presa nessuna azione
senza un preavviso di 28 giorni. Nel caso ci fossero gravi e continuati danni
nel vicinato, la sua proprietà verrebbe risparmiata dalla demolizione immediata
grazie al ricorso del suo avvocato.
Un avvocato, che ha partecipato settimana scorsa ad un incontro ai massimi
livelli con la polizia dell'Essex, ha espresso rammarico perché quanto ottenuto
allora sembra ora messo in discussione. Ha dichiarato che qualsiasi richiesta
motivata riguardo attività penali da parte di ufficiali giudiziari, in
particolare le violazioni del diritto alla sicurezza dei bambini, deve dar luogo
ad una denuncia formale.
Non vi è dubbio che questo sgombero stile cowboy sia il risultato di azioni
pianificate da tempo. Questo si aggiunge al sospetto ventilato solo una
settimana fa, che il consiglio distrettuale di Basildon, che ha assunto la
compagnia privata Constant per allontanare i cosiddetti Zingari illegali dal
distretto al costo di quattro milioni di euro, sia impegnato in quello che
equivale ad una cospirazione criminale.
Nell'ambito della procedura di un'azione urgente, Anwar Kemal, presidente del
Comitato ONU sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale, ha richiesto alla
Gran Bretagna di sospendere il previsto sgombero di Dale Farm ed invece di
impegnarsi a dialogare con la comunità per arrivare a fornire adeguate
sistemazioni alternative.
Aggiunge che secondo le informazioni ricevute, Constant & Co si è resa
responsabile di sgomberi brutali di altre comunità romanì e viaggianti, durante
i quali sono state distrutte proprietà private e sono avvenuti abusi razziali.
La compagnia è stata criticata dall'Alta Corte.
"Se il vostro governo decide comunque di procedere come previsto nello
sgombero," scrive Kemal, "dev'essere effettuato d'accordo col diritto
internazionale ed accompagnato da una rilocazione verso un sito destinato a
sistemazione alternativa."
Il governo britannico ha tempo sino al 30 luglio per rispondere a questa
richiesta.
Ci sono campi di fortuna, nascosti sotto un ponte, rannicchiati su un
terreno abbandonato... improvvisati dietro una strada. L'anticamera
dell'espulsione. E poi ci sono, tra i Rom, quelli che sopravvivono al vagare. A
Lilla, alcuni vivono nel vecchio ospedale Saint-Antoine, a Moulins.
Altri nel villaggio d'inserimento di Fives, in un pugno di case mobili. Altri
infine avrebbero potuto stabilirsi a Wazemmes. Nell'ex scuola privata di rue
Gantois, Saint-Michel. "Sette pezzi potevano essere trasformati molto
rapidamente, sarebbe bastato mettere due docce." Chi racconta è padre
Arthur, uno dei pionieri della questione rom nella metropoli. Pensava di avere
una soluzione d'emergenza per sette famiglie a Mons-en-Baroeul, alloggiati in
tende da quando le ruspe hanno demolito i loro ripari di fortuna a fine maggio.
Ma Rom in rue Gantois, il sindaco non ne vuole. "Non voglio aprire quella
scuola, anche se provvisoriamente", taglia corto Marie-Christine
Staniec-Wavrant.
"Come utilizzare"
A padre Arthur, che gli aveva telefonato in settimana, l'assistente del
comune di Lilla alla solidarietà ha opposto un niet categorico. Secondo
la socialista, Lilla non ha la vocazione per accogliere tutta la miseria del
mondo e fa già la sua parte. "Abbiamo 1.200 posti letti ricovero, il 30%
dell'agglomerato. E' sempre lo stesso, si porta la povertà dove c'è già. Padre
Arthur può chiedere a Bondues, Marcq-en-Baroeul o Lambersart." Cero. Ma questi
tre comuni non si sono autoproclamati "Città della solidarietà". Padre Arthur,
non demorde. "A Mons-en-Baroeul, queste famiglie sono state cacciate dal loro
bosco, sono finite con le loro poco cose nella metropolitana. Che ne sarà di loro?
Quella scuola sarebbe meglio per loro." C'è un esempio. Un precedente. A
gennaio, cinquanta Rom si stabilirono in una vecchia scuola privata a Ronchin.
Una struttura in disuso, messa a disposizione dal suo proprietario,
l'Associazione fondiaria di Lilla e periferia (AFLB). La stessa, braccio
immobiliare delle istituzioni cattoliche, recentemente ha avvertito padre
Arthur: Lilla ha una scuola privata vacante, Saint-Michel, chiusa a giugno 2009.
Alleluia, ha detto l'uomo di chiesa, che ha visto la possibilità di duplicare
l'esperienza di Ronchin.
Ma, l'AFLB non ne è più proprietaria. La sindaca ha fatto valere il suo
diritto di prelazione. L'edificio è suo. "L'atto è firmato," afferma Mme Staniec.
"Riguarda un programma di alloggi sociali." Padre Arthur propone un compromesso:
"Noi ci impegniamo a partire da una data convenuta. In attesa che si facciano i
lavori, si può utilizzarlo."
Ma Mme Staniec non vuole intendere. "Se ci incontreremo, non si potrà fare
niente. E poi mettere delle persone in un edificio non idoneo, non è rispondere
ai loro bisogni." Rinviando ancora le responsabilità alle città vicine. Morale,
quando Lambersart virerà a sinistra e la presidente Aubry negozierà una
soluzione europea a Bruxelles, allora i Rom saranno salvati. Padre Arthur avrà
la pazienza di attendere questo dono dal cielo? • S. B.
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