Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Inviato da Patrizia Ciuferri 18 Novembre, 2010
"… in classe è venuto il mediatore culturale, Graziano e ci ha spiegato le
diverse usanze tra Roma e italiani. Io sono sinto e le mie usanze sono ancora
diverse, perché sono mezze zingare. Questo argomento mi è piaciuto perché per
una volta hanno parlato di una cosa che mi riguarda e per questo mi sono sentito
importante…" Daniele (ragazzo sinto)
E' con queste parole, testimonianza di un ragazzo di etnia sinti, che si apre il
sito dell'associazione di promozione sociale, Romà Onlus, nata nel 2008 (www.romaonlus.it).
La mission di Romà Onlus che riunisce soci rom (in maggioranza) e
non rom, è
quella di promuovere gli aspetti positivi della cultura rom e la capacità dei
Rom di interagire con la collettività attraverso la riscoperta e la
valorizzazione della storia e delle loro tradizioni., nonché la loro
partecipazione attiva e propositiva alla vita sociale.
Attraverso la conservazione della memoria e della storia dei rom, lo scopo
dell'associazione è sostenere il processo di integrazione dei Rom per mezzo di
progetti e attività volte a promuovere l' all'accrescimento spirituale,
politico, sociale della comunità Rom e Sinti nei vari ambiti dell'istruzione,
della consapevolezza culturale, della mediazione sociale e culturale, del
sostegno all'impiego.
Impegnata nel sostegno all'istruzione e nel tutoraggio finalizzato all'accesso
all'istruzione superiore e alla creazione di luoghi di aggregazione per
adolescenti di origine rom, Romà Onlus è anche volta alla promozione e allo
sviluppo di attività no-profit come fattore di coesione sociale, impegno civico,
emancipazione delle donne rom, diffusione dei valori di pace e cittadinanza
attiva, contrasto alla discriminazione e all'esclusione sociale.
Lo staff di Romà Onlus si avvale di un nutrito gruppo di professionisti tra cui
mediatori linguistici e interculturali, registi e progettisti specializzati nel
reinserimento sociale di giovani in difficoltà e nella realizzazione di
corsi di
formazione.
Tra i molteplici servizi messi a disposizione dell'associazione, laboratori che
spaziano dall'intercultura alla gastronomia, passando per l'arte, il cinema
digitale e la lavorazione del rame. Attraverso le molteplici professionalità
presenti nello staff di cui si avvale l'associazione, Romà Onlus ha elaborato
una serie di attività volte a incentivare l'integrazione e il dialogo reciproco
tra bambini e ragazzi rom e non, attività estive per bambini e ragazzi,
interventi di mediazione culturale nelle scuole, formazione per insegnanti,
tutoraggio e accompagnamento all'istruzione superiore.
Allo scopo di favorire la partecipazione e la cittadinanza attiva dei rom, è
nata Rete Rom, che promuove a livello locale il coordinamento Rom a Roma,
essendo anche fondatrice della Federazione Romanì e, a livello internazionale,
membri di Ternype, fondata nel gennaio 2010 da diverse organizzazioni Rom
giovanili provenienti da Albania, Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia,
Slovacchia, Spagna e Polonia.
Nell'ambito di un progetto per un Istituto di cultura Rom, un angolo dedicato
all'approfondimento della cultura rom, chiamato Romanipé, una sezione web
dedicato alle pillole di approfondimento sulla cultura, la storia e la lingua
del popolo rom.
Romà Onlus, in collaborazione con Stalker – Osservatorio Nomade ha inoltre
ideato e realizzato Romano Hapé, il catering di cucina romanes che nasce con
l'idea di raccontare la diversità culturale attraverso il cibo e la gastronomia
e di creare un momento di condivisione in cui le donne rom e le giovani
partecipanti possano scambiarsi pratiche e saperi.
Visto l'enorme successo, tale progetto si è proposto e si propone come catering
per occasioni pubbliche e private. Ha visto coinvolti gli studenti dello IED –
Istituto Europeo di Design, che hanno messo a disposizione le loro conoscenze
per pensare, insieme alle giovani donne rom, un piano di presentazione e
comunicazione attraverso blog, volantini e al packaging dei piatti preparati.
Da allora il Romano Hapè ha preso parte a numerose iniziative pubbliche quali il
Primo Congresso Nazionale della Federazione Rom e Sinti, l'edizione 2009 del
Festival Internazionale di Fotografia di Roma.
Contatti:
Romà Onlus
Via Altavilla Irpina, 34/36
00177 Roma
Tel 0664829795
Fax 0664829795
info@romaonlus.it
Ventidue interventi di recupero che hanno consentito, tra l'altro, di salvare
circa 42,5 quintali di pesce, smaltiti quintali di rifiuti ingombranti, taglio
di alberi pericolanti, sfalcio di arbusti e recupero di alcuni tratti delle
sponde. Sono gli interventi di pulizia e riqualificazione dei Navigli effettuati
in circa due settimane dal Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi che
annuncia il termine, oggi, dell'asciutta dei canali milanesi. "Il preoccupante
degrado ambientale dovuto a consistenti quantità di rifiuti presenti nell'alveo
del Naviglio, il pericolo esondazione causato dalla barriera dei rifiuti,
l'impossibilità di utilizzare le barche fresanti per eliminare le alghe nel
corso della stagione irrigua, lo smottamento di alcuni tratti della sponda
destra - ha spiegato Alessandro Folli, presidente del Consorzio - sono alcuni
dei motivi che ci hanno spinto ad intervenire sul tratto del Naviglio Martesana
tra il nodo Lambro e via Melchiorre Gioia a Milano". Inoltre, "si sono create
le condizioni ideali - sottolinea Folli - per un sodalizio tra il Consorzio,
Legambiente locale e gli abitanti del campo rom di via Idro con l'obiettivo di
valorizzare il tratto milanese del naviglio che pur perdendo la sua vocazione
irrigua mantiene un forte valore paesaggistico. Un'azione comune perché i
cittadini abbiano più a cuore il rispetto e la salvaguardia di questo pezzo
importante della storia milanese" (grassetto mio, leggere
QUI ndr). "Stesso
discorso per la Darsena e i tratti adiacenti dei Navigli Grande e Pavese. Non è
più accettabile che questi canali siano sommersi da rifiuti e da una inciviltà
imperante - sottolinea il Consorzio -. Ad esempio, sono stati recuperati
quintali di rifiuti rappresentati soprattutto da bottiglie di vetro. Un
controsenso: i Navigli vissuti come eccellenza della vita serale e notturna
milanese e nello stesso tempo, dagli stessi fruitori, villeggiati e sfregiati
con la mancanza di rispetto per l'ambiente e per il corso d'acqua stesso". Anche
per la Darsena, il Consorzio in accordo con il Comune di Milano ha provveduto
alla sua pulizia con l'impegno di una squadra di 4 operai e con mezzi appositi
per il sollevamento e trasporto dei rifiuti. "A breve chiederemo un incontro con
il sindaco Moratti - ha concluso Folli - per pianificare i prossimi interventi
di manutenzione, già in occasione dell'asciutta della primavera 2011.
Soprattutto per avviare un'azione sinergica tra tutti gli enti interessati
perché con Expo 2015 tornino agli antichi splendori tutti i tratti dei nostri
cinque Navigli".(Omnimilano.it)
Da
Mundo_Gitano
IPSnews.net Di Emilio Godoy
Città del Messico, 12 ottobre 2010
Nella storia "Gente Bella", il dittatore messicano della situazione, invia una
missione in Europa per importare 300 famiglie, così da "sbiancare la razza
(quella india n.d.t.) e farla finita con la pigrizia". L'Imperatore d'Austria
Francesco Giuseppe però lo imbroglia e gli invia, dietro compenso in oro, degli
zingari.
Questo aneddoto storico-sociale del politico messicano di sinistra e scrittore
Eraclio Zepeda, nato nel 1937, è un velato riferimento al Presidente Porfìrio
Diaz (1830-1015) e rappresenta il persistente stereotipo negativo dei rom
(zingari) che spiega in parte la loro invisibilità ancora oggi, nonostante
questi ultimi abbiano profonde radici in Messico.
Ysmed Nebarak, vive ad Acapulco, sulla costa pacifica meridionale del
Messico. Conosce questa invisibilità. Suo nonno, un ungherese che arrivò in
Messico attorno al 1920, raccontò alla madre di Ysmed (sua figlia), la storia
della sua prima moglie, che era rom (gitana).
"Francamente non so nulla degli antenati di mio nonno, perché lui non volle
mai palarci di loro", ha raccontato Ysmed.
In questo Paese dell'America Latina, con 107 milioni di abitanti, vivono 15.850
gitani – o rom come preferiscono essere chiamati – stando al censimento del
2000, realizzato dall'Istituto Nazionale di Statistica e Geografia. Secondo
alcuni ricercatori però la cifra è da considerarsi sottostimata a causa dei
criteri limitativi utilizzati per classificare i membri del gruppo etnico.
Le attività principali della comunità rom messicana consistono nella vendita di
tessuti, vestiti, automobili, camion e gioielli, ed inoltre nell'esibirsi e
nell'insegnare il canto e la danza.
"I rom sono stati de-storicizzati, privati propria storia. Essi infatti non
compaiono nella storia del Messico" ci ha detto David Lagunas, della scuola
Nazionale di Antropologia e Storia.
"Conosciamo molto poco di loro, cosa che porta a far sorgere stereotipi e
immagini negative nei loro confronti. Il Messico è un mix di gruppi con storie e
passato differenti fra loro".
Secondo l'antropologo, spagnolo di nascita, il fatto che il popolo rom
amministri il proprio tempo, il proprio lavoro ed il proprio denaro in maniera
non convenzionale, fa sì che la società più tradizionalista sia diffidente e
sospettosa verso di loro.
Lagunas sa bene di che cosa parla, avendo passato dieci anni con i rom
dell'Andalusia, nel sud della Spagna, e in Catalogna, a nordest, vivendo nei
loro caravan e vendendo abiti nei loro mercati, mentre scriveva la sua tesi di
laurea.
La prima ondata di rom arrivò in Messico nel 1890. Provenivano dalla Ungheria,
dalla Polonia, e dalla Russia per stabilirsi nelle Americhe, principalmente
negli Stati Uniti e in Brasile, ma anche in Argentina, Cile, Colombia Ecuador,
Uruguay e Venezuela.
Nel periodo fra la prima e la seconda Guerra Mondiale, molti altri rom
lasciarono l'Ungheria per il Messico ed altri paesi sudamericani.
Nel 1931, quando vi era già una grande comunità rom in Messico, le leggi
sull'immigrazione vennero riformate con lo scopo di impedire loro di stabilirsi
nel Paese, essendo cresciuto il numero delle denunce per attività criminose.
Il maggior afflusso dei rom avvenne nel 1969.
Venivano dalla Spagna e si stabilirono principalmente nel centrale quartiere di
Juàres a Città del Messico. Lì si dedicarono soprattutto alla vendita di tessuti
e di abbigliamento in cuoio.
Oggi ci sono delle comunità rom nella capitale e nelle città di Veracruz, sulla
costa orientale del Messico, e Puebla a sud, a Guadalajara ad ovest e a
Monterrey a nordest.
Ma la comunità più conosciuta è quella di San Luis Potosì, nel Messico centrale.
Uno dei più importanti rappresentanti della cultura rom, il leader Pablo
Luvinoff venne ucciso in un ospedale della capitale messicana, nonostante un
poliziotto fosse di piantone fuori dalla sua camera.
Dal 2004 Luvinoff era scampato a tre attentati maturati dalla disputa per il
controllo della comunità rom nella capitale. Dopo il suo assassinio, le autorità
arrestarono diversi sospetti, tutti rom.
Nonostante sia noto che i rom, in Messico come in altri Paesi, siano
discriminati, non sono mai state inoltrate molte proteste nei loro confronti.
Nel 2006 la Commissione Nazionale per la Prevenzione delle Discriminazioni, un
ente governativo, investigò sul caso di un membro della comunità rom dello stato
della Baja *California , ma alla fine la denuncia fu ritirata.
In anni recenti, diversi autori e fotografi hanno cercato di combattere
l'ignoranza sulla comunità rom in Messico, ma sono stati circondati dal
silenzio.
Nel 2001, il ricercatore Ricardo Pèrez Romero pubblicò "La lumea de noi –
Memoria de los ludar de Mexico". "Lumea de noi" signific "la nostra gente" in
Rumeno. Il libro racconta la storia e la vita giorno per giorno del popolo Ludar,
rom della Romania.
"Piel de carpa; Los gitanos de Mexico", un libro di egual rilievo, fatto da
alcuni fotografi messicani, dalla ricercatrice Ruth Campos Cabello e
dall'artista e fotografo spagnolo Antonio Garcìa, venne pubblicato nel 2007.
"I gitani sono come gli indigeni: esistono molti gruppi differenti", dice
Lorenzo Armendariz, un fotografo messicano molto conosciuto per i suoi ritratti
di gruppi etnici differenti.
"Fra di loro i nomadi viaggiano ancora con le tende della famiglia, e i loro
gruppi includono clowns, maghi e danzatori, nonostante l'attrazione principale
sia l'ipnosi di massa".
Nel 1994, quando il famoso fotografo aveva 33 anni, scoprì che suo nonno, che
era conosciuto semplicemente come "el hùngaro", era un rom. Dopo questa scoperta Armendariz cominciò a farsi coinvolgere nel mondo dei rom messicani, vivendo con
loro per lunghi periodi ed allestendo mostre fotografiche.
Decise di sposarsi secondo i riti rom, e per far questo, dovette essere prima
adottato da una famiglia della comunità.
"Avrei voluto conoscere qualunque cosa avesse a che fare con la storia e le
usanze dei miei antenati" ha detto Nebarak , il cui nonno allevava polli.
Come nel libro "Cent'anni di Solitudine" del premio Nobel colombiano Gabriel Garcìa Màrquez, alcuni gruppi di rom girano il Messico con proiettori per
pellicole a batterie per pellicole, trasportati nei loro camion, portando film
in villaggi e città.
Anche il padre di Luvinoff, girava con un camion dove trasportava un proiettore
da 35mm e una collezione di vecchi film messicani.
"Non abbiamo visto progressi in termini di politiche sociali, come in altri
Paesi" ci ha detto Lagunas, laureato alla Pubblica Università di Barcellona, nel
nordest della Spagna.
"Le nostre associazioni politiche non si sono di fatto mobilitate/espresse, e le
nostre questioni non sono nell'agenda dei politici; non c'è nessun
riconoscimento dei diritti dei rom".
Dove invece l'accattivante mondo dei rom non è passato inosservato è nelle
soap-opera dei diversi Paesi dell'America Latina, Messico compreso.
Il più grande network televisivo del Messico, Televisa, trasmise nel 1970 la
soap "Yesenia", dove la protagonista era una giovane donna rom, e ne fece un
remake nel 1987.
TVAzteca, il secondo network messicano per importanza, in coproduzione con
Telemundo, network statunitense in lingua spagnola, stanno, fino a d oggi,
trasmettendo una serie chiamata "Gitanas" (donne rom).
Luvinoff, l'ultimo patriarca della comunità rom, partecipò come consulente alla
sceneggiatura sia in "Gitanas" sia nel remake di "Yesenia"
MILANO: Spettacolo teatrale
BRAT (Fratello) sino al 5 dicembre
Cari tutti,
PORTANDO IL COUPON (.pdf
in allegato, da stampare) ALLA CASSA DEL TEATRO TIEFFE POTETE
RITIRARE 2 BIGLIETTI AL COSTO DI 10 € L’UNO (1 biglietto intero = 22 €)
Per prenotazioni: 02 36592544 oppure info@tieffeteatro.it
PS io l'ho visto martedì, bello! saluti!
PPS: grazie a Ivana per la dritta!
Da
Roma_Daily_News
Cingeneyiz.org di Ali Mezarcıoğlu
21/11/2010 - "Assimilazione" è un termine con una accezione negativa. Significa
che in una società NON si perdono completamente le proprie caratteristiche
culturali e il proprio stile di vita.
"Integrazione" è un termine usato soprattutto in relazione al processo di
adattamento delle minoranze e degli immigrati in Europa. Significa che una
minoranza si adatta ai principi portanti della società senza esserne assimilata.
E' un fatto che noi rom non siamo né assimilati né integrati nelle società
europee. In ogni caso pensiamo che nessuno debba pensare di poter assimilare
il nostro popolo. D'altro canto, non siamo nemmeno integrati in modo
soddisfacente nelle società nelle quali viviamo. Sentiamo sempre le autorità
parlare delle difficoltà di integrazione dei rom. Il problema del perché i rom
non siano assimilati è sempre stato affrontato dai media, dai bollettini delle
ONG e dai rapporti pubblicati dagli accademici.
****
La maggior parte di coloro che si domandano "Perché i rom non sono integrati?"
crede che i rom stessi non vogliano l'integrazione, anche se non lo hanno mai
affermato apertamente. Secondo loro, noi rom siamo contenti di vivere in
condizioni difficili. Nella serie di articoli che ci stiamo preparando a
pubblicare, vogliamo mostrare quanto questa convinzione (che i rom non vogliano
integrarsi), condivisa da troppe persone, sia errata.
E' un dato di fatto che i rom vogliano essere integrati in qualsiasi posto
vivano. Vogliamo vivere nelle stesse condizioni delle classi medie e alte, così
come i nostri antenati. Siamo cresciuti nella povertà e nella miseria. Non vi è
nulla a proposito della nostra volontà di essere integrati. I nostri lettori
vedranno che la questione principale è se le autorità delle società nelle quali
viviamo vogliano la nostra integrazione, dopo che avranno letto questa serie di
articoli. Per il momento parleremo soltanto delle questioni principali. A
partire dai prossimi articoli inizieremo la discussione sugli ostacoli che
incontrano i rom che vogliono essere integrati. Nell'ultimo degli articoli che
pubblicheremo, avremo alcune raccomandazioni per le autorità e per i
rappresentanti delle organizzazioni dei rom.
****
E' qui che stanno le domande che ci mostrano se i rom non possono essere
integrati nella società oppure se non lo desiderano. Diremo di più a proposito
di delle risposte a tali domande in questo articolo.
Per diverse centinaia (ndr: nell'originale è scritto migliaia, ma mi sembra
improbabile) di anni, la fonte principale di sussistenza per le persone che
costituivano la Nazione Universale dei rom, è stato il nomadismo commerciale. I
rom ottenevano prodotti alimentari da agricoltori stanziali e da pastori nomadi,
in cambio di prodotti del loro artigianato e della fornitura di servizi. Perché
i rom scelsero questo modo di sostentarsi che li forzava a elemosinare per un
tozzo di pane? (ndr: mi sembra in contraddizione con quanto appena sopra
detto) Perché non provvedevano da soli al proprio sostentamento attraverso
l'agricoltura o l'allevamento di bestiame? Era una scelta o una costrizione?
Cosa successe all'inizio, alle tribù che appartenevano alla Nazione Universale
dei rom, tentarono di coltivare terre o di allevare bestiame, come mezzo di
sopravvivenza nella loro storia successiva? Questa autonomia dei rom
venne osteggiata dai gagé, in qualche modo?
La popolazione rom affrontò un lungo periodo di crisi dopo l'industrializzazione
e perse i propri lavori tradizionali. I rom dovettero svolgere lavori che altri
non volevano fare, con scarsi guadagni e senza un'assicurazione sociale.
Quando questi lavori cominciarono a divenire più popolari, i non-rom iniziarono
a mostrare interesse per questi e da ciò nacque un conflitto. Tale conflitto,
nato in condizioni di pace, avrebbe potuto raggiungere un livello tale di
discriminazione, tanto da indurli a usare la violenza? I rom ritornarono a
svolgere lavori con paghe molto basse?
I rom furono ostacolati nello stabilirsi in zone centrali delle città e nelle
aree urbane, in determinati periodi storici? I gruppi rom che non potevano
stabilirsi nelle aree centrali delle città, dovettero spostarsi in zone desolate
e disagiate? I rom furono cacciati dalle città dopo che queste aree furono
bonificate ed il centro delle città si ingrandì?
Le risposte alle domande sopra ci mostreranno perché i rom non sono integrati
nelle società nelle quali vivono; perché non condividere le stesse condizioni di
vita con i gruppi che vivevano meglio? Lo scopo principale di questo articolo è
quello di mostrare a coloro che pensano che i rom siano i soli responsabili
della vita che fanno, che i rom NON sono i soli responsabili del disastro che
devono affrontare.
Anche se noi sappiamo che chi vuole capire i rom non ha bisogno di molte
spiegazioni...
A tutti una buona settimana.
Giovedì 16 dicembre ore 21.00
circolo Arci Ubik - via Deledda 21, Pessano con Bornago (MI)
Un incontro sui diritti del popolo rom e sinti, presentato da Arci Ubik e
Amnesty International.
Interverranno:
- Dijana Pavlovic, attrice, mediatrice culturale e attivista politica
romni. Dopo la laurea in Arti drammatiche a Belgrado, si trasferisce a Milano
dove lavora per il teatro, il cinema e la TV. Dal 2009 è vice presidente della
Federazione Rom e Sinti Insieme.
- Fabrizio Casavola, attivo da molti anni nella difesa dei diritti dei
rom milanesi, ha fondato il blog Mahalla, sinti e rom da tutto il mondo.
Cura la rassegna cinematografica Ho incontrato zingari felici al circolo
Arci di Turro (via Rovetta 14; prossimo appuntamento, lunedì 20 dicembre con
Train de Vie di R. Mihaileanu).
Per info:
● Amnesty Vimercate (gr108@amnesty.it - www.amnestygr108.org)
● Arci Ubik ( info@arciubik.it - www.arciubik.it)
di Alberto Maria Melis
Mirko Levak Nato nel 1928, di etnia rom di origine italo-slava. La carovana
della sua gente viene fermata dai nazifascisti in Friuli, tutti vengono
rinchiusi in carcere a Trieste, quindi, dopo una sosta a Bolzano, deportati ad
Auschwitz. Mirko Levak, che all'epoca dell'arresto ha solo quindici anni, è tra
i pochi sopravvissuti di quell'arresto.
[...] Una vecchia intervista a Mirko Levak, tratta dal sito web dell'Anpi, ma
con una premessa. Rispetto all'originale, che è una trascrizione letterale del
parlato registrato per il video dell'Opera Nomadi, in molti punti di difficile
comprensione per le difficoltà che Mirko Levak incontrava nell'esprimersi in un
italiano corretto, questa che segue è stata adeguata e resa più comprensibile a
chi legge (la versione originale è scaricabile
QUI).
"Dunque, il nostro comune era Postumia di Grotte, provincia di Trieste. Quando i
tedeschi sono venuti a Postumia, e hanno occupato tutto il Carso, il mio povero
nonno, che conosceva i tedeschi, perché era stato in guerra dal '15 al '18, (per
questo conosceva la razza tedesca e austriaca), diceva: "Meglio che ce ne
andiamo di qua!".
Erano in tanti che scappavano da Postumia ma anche dalla Croazia. A Postumia
erano giunti in tanti, dalla Croazia, da tutta l'Istria, erano tutti rom, tutti
zingari. E allora mio nonno e i miei parenti hanno preso i carretti, hanno
attaccato i cavalli, e stavamo venendo verso l'Italia quando a un certo punto,
tra Portogruaro e Latisana, ci fermiamo vicino a una strada e vengono i
tedeschi, che hanno capito subito che eravamo zingari e ci hanno fatto una
specie di rastrellamento.
Non si muoveva nessuno, io ero ragazzino, ci domandarono dove andavamo.
"Giriamo il mondo" disse mio nonno, "gli zingari girano il mondo per vivere".
Allora ci hanno ci hanno presi tutti: cugini di mio padre, altri familiari, me,
due tre bambini, ci hanno
preso e ci hanno caricato sulle macchine o su un camion – non mi ricordo più
precisamente – e ci hanno sequestrato.
Certe donne invece, la mia mamma, certi familiari, mio nonno che era vecchio, li
hanno lasciati andare.
A noi ci hanno caricato e ci hanno portato, credo, verso Trieste. Là c'erano dei
treni, con quelle carrozze su cui ci si caricano i cavalli, le bestie, e ci
hanno messi tutti lì e ci hanno portato credo – credo – verso l'Austria, dove
siamo stati per un mese, pressappoco, e di là ci hanno caricati di nuovo e ci
hanno portati in Germania.
I tedeschi parlavano la loro lingua. Finché eravamo di qua, in Austria, ancora
c'erano italiani, c'erano fascisti e un po' si capiva, ma là…
Insomma dall'Austria ci hanno portato direttamente ad Auschwitz e ci hanno messo
in baracche... una specie di baracche, e lì ci domandavamo "cosa ci faranno?".
Tanti piangevano e io piangevo, chiedevo della mia mamma. C'erano altri parenti
(...) … C'erano ebrei e altri e anche loro ci davano coraggio.
Ci portavano a lavorare i campi, ma chi sapeva lavorare i campi? Si cavavano le
patate con le unghie. Lì siamo stati parecchio, un giorno qua un giorno là, dai
contadini, poi ci hanno rinchiuso proprio nelle baracche. C'era qualcuno che
cercava di scappare. (............................) Insomma, per dirvelo
francamente, quel che ho visto in quei campi non lo auguro neanche alle bestie.
Mi ricordo un giorno, si lavorava, si spostavano delle cose, un amico cadde
vicino a me e io mi avvicinai per sollevarlo, venne un tedesco e mi diede un
calcio.
"Non devi aiutare quell'uomo".
"Perché poverino?"
"No!" e di nuovo un calcio e una botta sulla testa.
Questo qua piangeva poverino e il tedesco "Ssst, sennò vi ammazzo"
"E ammazzateci, tanto ormai!".
Lì sono diventato come uno scheletro, ho dimenticato anche come parlare, non già
la lingua, ho dimenticato tutto. Non si poteva ricordare più niente (di ciò che
era stata prima la nostra vita) per tutto quello che si vedeva in questo
benedetto campo.
Troppo disastro!
Ho visto il cugino del mio povero padre, l'hanno buttato in un forno, e io
piangevo, e mi battevo le mani, e gli altri mi davano gli schiaffi e mi dicevano
"perché piangi?". "È mio parente…" e ancora schiaffi.
"Arbeit, Arbeit!" "Arbeit?", dicevo io. "Lavorare!".
Ma cosa facevo nel campo? Niente. Perché oltre a portare qualche
morto da qualche parte o seppellire (qualche cadavere)… Era difficile anche
seppellire.
Una volta, con un camion (...), ci hanno portato in mezzo ai campi. Li scavammo
una fossa grande e i morti li buttammo dentro, senza una coperta, senza niente
(nudi). Lì c'erano anche i miei parenti. A loro (ai tedeschi) non interessava.
Pestavano sopra. Pestavano, non gli faceva nessuna pietà. Ordinavano di fare la
fossa, li prendevano e li mettevano in fila indiana, e cercavano di ucciderne
tre, quattro, con una pallottola sola. E c'era uno che non sapeva fare niente...
Così un nazista - avevano le bombe con il manico, che me le ricordo sempre – con
quella (una bomba) gli ha dato una botta in testa che è rimasto secco. Gli
veniva quasi il cervello fuori. Mamma mia! Il sangue veniva fuori come … hai
visto quando ammazzano un bue, come il sangue scorre?
A Jasenovac, ce n'erano che erano venuti dalla Jugoslavia: erano fascisti e
ustascia e dicevano che facevano i …
Jasenovac si chiamava questo paese e c'erano là anche zingari, ebrei, ce n'erano
tanti in Jugoslavia di zingari e rom … e allora loro gli mettevano un chiodo
sulla zucca e (poi) poggiavano la testa di questo poverino e ( poi) con una
mazza (...)... e li prendevano come cani e li buttavano nel fosso, nelle fosse
comuni. Ho sentito di quelle cose che nessuno crede!
Quando (oggi?) vado a Auschwitz, (...) (e) a Jasenovac, dove c'erano tutti i
prigionieri rom, (e) pochi erano ebrei...(...) ogni volta (...) sento ancora un
rumore che è roba dell'altro mondo.
(Alcuni nuovi arrivati ad Auschwitz) mi [rac]contarono che venivano da Jasenovac
(...) e dicevano "ancora, ancora, qua… ma devi vedere là cosa c'è!". Ormai ci
eravamo conosciuti, eravamo rom, parlavamo la stessa
lingua "Ma tu Mirko devi vedere là cosa c'è!". Preghiamo … (...) "però vedrai
che faremo la stessa fine di quelli di Jasenovac!"
C'era chi si ribellava per tutto questo che ci facevano. Quel che succederà
succederà, dicevano. Tanti – e ce n'erano più anziani di me – dicevano "ormai
tanto, così o così, ci ammazzano lo stesso. Proviamo a ribellarci". E chi
pensava a ribellarsi – perché (i tedeschi) sapevano chi era colpevole, perché
c'erano sempre delle spie di mezzo – e veniva preso e lo buttavano nel forno.
Pane non ne facevano dentro (il forno). Era solo per i cristiani! Peggio delle
bestie erano (...) lì. E sapevamo (tutto quello che succedeva) , perché c'era il
forno, e si vedeva.
Hanno preso il cugino del mio povero padre, per una parola detta, (...) non
(...) ricordo la parola, (o) cosa ha fatto: non ha obbedito… L'hanno preso per i
capelli e l'hanno tirato vicino a quel fuoco e l'hanno buttato (dentro). Vivo!
Non ucciso. Vivo! Finché li buttavano, poverini, dopo averli fucilati, dopo
averli ammazzati… ma vivi li buttavano! Quello che mi ha fatto impressione e che
mi torna sempre in mente (ero ragazzino, ma mi ricordo) era quando li tiravano
fuori (i morti, dalle baracche?), sui carrettini e li buttavano
nelle fosse comuni. Quello sì mi ricordo bene. E quante volte ho tirato io quel
carrettino. Era pesante, bisognava avere un cuore forte, e bisognava farlo,
sennò ti spettava… spettava anche a noi finire così.
Ecco perché alle volte (...) i rom e gli ebrei si ribellavano, perché li si
obbligava a partecipare a quel massacro, noi altri stessi, ai nostri parenti.
Guarda, a me è toccato portare un mio parente, poverino, (e) buttarlo dentro
(una fossa) e (...).
Poi, tra compagni, si parlava dei parenti: "Ma guarda cosa ci tocca fare?".
Per due o tre volte è successo, che scoppiasse la ribellione, ma chi lo faceva
lo pagava salato.
Ho visto un giorno a uno, povero!, a una donna e un uomo, marito e moglie, mi
ricordo sempre, era brava gente, si vedeva… Si carezzavano. Era incinta, questa
donna, e le hanno sparato in pancia e l' hanno tagliata con il mitra, così, in
pancia. Una roba… che vedevi sto sangue; suo marito l'abbracciava (e) pam! E
dopo, sopra di lei con le baionette, con quelle cose lì li hanno massacrati.
Insomma, mi sento indignato a (ricordare) queste cose, non vorrei mai
(ricordare) queste cose.
"Adunata" dicevano, e dovevi essere presente. Contavano a uno a uno. Io credo
che facessero finta di contare. Con tanti come eravamo, come facevano a contare
col dito, così. (...) (........)
Poi ci buttavano (addosso) la soda caustica.
La facevano bollire e ce la buttavano sui vestiti, quelli tedeschi, quelli con
le righe. Per ammazzare i pidocchi.
1942, '43, '44, fino al '45. Due anni e mezzo sono stato là. Avevo sui 14 anni,
neanche. Te lo giuro se mi ricordo più! (...) Avevo sui 14 anni. Avevo anche
qualche pregio: avevo un sorriso. Ridevo sempre, ma c'erano tanti che non ce la
facevano, diventavano come stecchi, si vedevano le ossa, si vedevano le ossa
fuori dalla pelle.
Dopo che i tedeschi si ritirarono, restammo liberi. Siamo usciti fuori (dal
campo) da soli. Però tutti come stecchi. Come stecchi siamo usciti!
Adesso mi sento ancora… (....) ... mi sento "angosciato" a parlar di queste cose di cui non dovrei parlare. Mi dispiace, però, io
(per) quello che vedevo, ero diventato sciocco. (...) Ho sempre dentro
l'orecchio questo rumore qua benedetto. Mi sento sempre quel rumore dentro, che
è un rumore... una roba dell'altro mondo. Non voglio neanche più parlare
perché mi sento "angosciato". È un trauma.
(Dopo essere stato liberato) Sono andato a Postumia… non c'era più niente. (...)
Credevo che anche (tutti gli altri) fossero stati portati in altri campi. Perché
non c'era solo Sacvitz, c'erano tanti campi, c'erano altri campi. Poi cammino,
cammino, e sento la gente parlare, "di dove sei?", "dove non sei?", "sono di
qua"; "guarda che c'è della gente, degli zingari, a Casale sul Sile, in una
scuola, sono sfollati".
No, (cioé) li chiamavano "montenegrini", quella volta, "montenegrini" li
chiamavano.
Mah!, e vado in piazza, là a Casale sul Sile, alla scuola,e vedo una ragazzina e
mi dico "ma quella deve essere una rom, una zingara".
Io (allora) non sapevo nemmeno più parlare, mi tornava quel rumore negli
orecchi, tutti queibombardamenti, tutti quei mitra, tutte quelle cose. La vedo e le dico:"Tu chi
sei?", "E tu chi sei?" e
io: "Sei una zingara? Sei una rom?", mi risponde "Sì, sì". "Tu conosci (mio)
nonno?". "Sì, conosco sì". (…) "È qui". Sospirone.
Vedendomi mio nonno (…) mi ha abbracciato: "Ma sei tu caro? Ma sei tu caro
nipote?". Insomma coi denti, coi denti mi mangiava. Viene fuori mio padre, viene
fuori mia madre… Madonna santa!... Tu vedevi la gente lì, quando mi hanno visto
insieme: piangeva tutto il paese.
Insieme a me erano venuti altri due o tre di rom, da là (dalla Germania), quegli
altri non han trovato (la loro) famiglia (…). Quelli senz'altro li avevano
portati negli altri campi, li avevano sterminati.
(Come) i cugini del mio povero padre, tanti parenti…i miei bisnonni. Tutti. Li
hanno deportati perché erano sotto a Zagreb (Zagabria), era lì che abitavano,
tutti li hanno portati ad Auschwitz. Tutti li hanno
massacrati un po' a Sacvitz, un po' a Auschwitz.
Insomma gli zingari, io non so ancora, non ho capito perché ci odiavano 'sti
tedeschi così tanto? Perché ci odiavano tanto i tedeschi?
Ma gli zingari, cosa facevano? Perché non erano buoni a lavorareo perché si
chiamavano zingari?
Io ancora ho da capire perché uccidevano gli zingari.
Come oggi, perché non è ben visto, lo zingaro? È una persona come tutti gli
altri. Se tagli mio dito e il tuo che sangue viene fuori? Sempre rosso! E io non
perderei mai il mio carattere. Io sì, ho una
vita (diversa), come posso dire… (…) Ma, se io potessi firmare, firmerei per
essere ancora zingaro, come ero: Rom.
È triste ricordarsi tutto.
Di Ernesto Rossi
Immagine da
Archivio Romano Lil
AMILCARE DEBAR, detto Taro, sinto piemontese, staffetta e partigiano
combattente (col nome di Corsaro) nella 48^ Bgt Garibaldi "Dante Di Nanni",
comandata da Napoleone Colajanni "Barbato". È stato ferito nella battaglia delle
Langhe. Nel dopoguerra è rappresentante del suo popolo alle Nazioni Unite a
Ginevra; ha ricevuto il diploma di partigiano combattente dalle mani del
Presidente Pertini.
Era nato a Pinerolo il 16.6.1927; è morto a Cuneo, dove viveva, pochi giorni
orsono.
La sera del 26 aprile 2001 Taro intervenne alla Camera del Lavoro di Milano alla
presentazione del libro "Orgogliosi di essere Rom e Sinti", curato da Mario Abbiezzi ed Ernesto Rossi, pubblicato dalla CGIL Regione Lombardia, con
prefazione del suo Segretario Generale Mario Agostinelli e dedicato a Carlo
Cuomo.
Taro avrebbe dovuto fermarsi quella sera a Milano, dopo il breve concerto del
violinista rom George Moldoveanu, ospite del sindacato fino al giorno dopo per
rilasciare delle interviste sulla sua esperienza partigiana.
Ma, ricordando le sue vicissitudini dell'immediato dopoguerra, e come avendo
deciso di accettare il servizio nella polizia, offerto ai partigiani, e come
trovandosi in una delle prime azioni a perquisire un campo sinto, ritrovasse,
lui cresciuto in un orfanatrofio, la sua famiglia, fu preso da un'incontenibile
emozione, tanto che decise di rientrare immediatamente a Cuneo.
Vogliamo, con questo ricordo e coi materiali allegati, che mettiamo a
disposizione di tutti, contribuire al ricordo di un grande sinto, noto a troppo
pochi, perché lo sia sempre più a molti.
Ernesto Rossi, presidente delle associazioni "Aven Amentza – Unione di Rom e
Sinti" e "Apertamente di Buccinasco"
°*°*°*°*°*°*°*°°*°*°*°*
Allegato 1 - Scheda dell'Istituto della Resistenza di Torino (estratto):
"nato a Pinerolo il 16.6.27
nome di battaglia Corsaro
14^ (sic) Brigata Garibaldi- in banda dal 20.1.44 al 7.6.45
vi è entrato dichiarando di provenire da Racconigi
"figura molto valida. Un uomo naturalmente capo. Notevole la sua capacità di
risolvere i problemi" da quelli quotidiani della sopravvivenza alimentare alle
decisioni operative di guerra.
Dopo il maggio '45 dimorava nell'accampamento storico di Cerialdo di Cuneo."
Allegato 2 - Registrazione della voce di Taro,
che riferisce in sinto piemontese alcune brevi note autobiografiche, con
traduzione in italiano (dal sito "O
Vurdón" di Sergio Franzese).
[...]
E inoltre:
***Nota sull'intervista filmata intitolata
"TARO UNA STORIA RESISTENTE"
1996, Betacam SP, 48' 51"
regia: Luciano Mattaccini
montaggio: Daniele Minutillo
fotografia: Marco Acciari, Luciano Mattaccini
Il racconto di Taro, un semplice partigiano che, dopo un breve periodo come
staffetta partigiana, entra come
combattente nella 48° Brigata Garibaldi Langhe. Un lungo viaggio nella memoria,
dal settembre '43 all'aprile
'45. Il ricordo della persecuzione del popolo zingaro, il piccolo Tarzan Sulic,
il ricordo dell'amico fucilato.
Luciano Mattaccini (Roma, 1952). Specializzato in montaggio al Centro
Sperimentale di Roma. Filmografia:
Indagini su una proiezione al di sopra di ogni sospetto (1988),
Un uomo fioriva (1993),
Los amigos de la calle (1994).
***Su Amilcare Debar esiste un articolo, pubblicato (anni '80?) sulla rivista
"Patria" dell'ANPI nazionale.
da
Radicali Italiani
E' morto a Roma per una grave forma di tumore Paolo Pietrosanti, membro del
Consiglio Generale del Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e
transpartito. Nato nel giugno del 1960, giornalista e scrittore, è stato storico
militante e dirigente radicale sin dalla fine degli anni '70. Iniziò il suo
impegno politico partecipando attivamente all'organizzazione delle iniziative
antimilitariste e nonviolente dei Radicali e della Loc (Lega degli Obiettori di
Coscienza) negli anni '70 e '80, subendo anche un arresto a Comiso. Autore di
analisi e documenti sulla nonviolenza e sulla lotta al razzismo e
all'antisemitismo, è stato tra i più grandi diffusori in Italia del pensiero di
Gandhi e Martin Luther King, autore tra l'altro di pubblicazioni, libri,
interventi sui metodi della disobbedienza civile e della nonviolenza passiva. E'
stato più volte candidato tra i capilista radicali alle elezioni europee,
politiche e amministrative. Tra i principali temi che da sempre hanno
caratterizzato il suo impegno, la campagna per la salvezza dalla pena di morte
in Usa di Paula Cooper, quella per i diritti del popolo Rom, le azioni contro le
dittature comuniste dell'Europa centro-orientale. Per queste ultime in
particolare fu arrestato a Varsavia nel 1986 e subito dopo espulso. E' stato
rappresentante all'Onu dell'Unione Internazionale dei Rom, oltre che Presidente
onorario della prima organizzazione europea del popolo Rom. Tra i promotori del
Partito Radicale Transnazionale alla caduta del muro di Berlino, si trasferì dal
'90 al '93 a Praga, dove nacque un nucleo molto attivo di radicali impegnati sui
temi transnazionali.
A causa della malattia perse la vista e dal 2000 si è battuto per la
trasmissione della cultura e dei testi in formato audio-digitale a beneficio dei
non vedenti, alla cui conclusione positiva dette un contributo determinante
durante l'ultimo Governo Prodi, quando ebbe l'incarico dal Ministero dei Beni
Culturali di trattare con gli editori la relativa convenzione.
E' possibile portare l'ultimo saluto presso la Clinica Villa Speranza (Via
della Pineta Sacchetti, 235 – Roma) fino alle ore 12 di sabato 8 gennaio. I
funerali si svolgeranno in forma strettamente privata.
Prossimamente verrà svolta a Roma una cerimonia laica in sua memoria.
|