Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Da
Primonumero
Si è concluso lunedì nella sartoria di via
Ruffini il corso di taglio e cucito per ragazze di etnia rom finanziato dal
Comune di Termoli al posto del sussidio di mantenimento. Le partecipanti, tutte
giovani, ne approfittano per raccontare qualcosa di se stesse e della comunità
‘zingara’ di Termoli, che conta circa 200 persone. “Ci sentiamo termolesi, e
rispetto alle nostre madri abbiamo altri desideri, come aprire una sartoria di
moda qui in città”. Un progetto dalla duplice finalità: favorire l’integrazione
sociale e creare una possibilità occupazionale salvando un mestiere in via di
estinzione
di Monica Vignale
Termoli. C’è un antico detto cinese che recita così: “Dai un pesce a
un uomo e lo farai mangiare per un giorno. Insegna a pescare a un uomo e l’avrai
sfamato per tutta la vita”. E’ più o meno quello che ha cercato di fare il
Comune di Termoli quando ha
finanziato il corso di taglio
e cucito per ragazze di etnia rom invece di erogare, come ogni anno, un
sussidio sociale alle loro famiglie. Niente soldi in mano, ma piuttosto
un’occasione per imparare un «mestiere in via di estinzione», come ricorda
l’insegnante Maria, che da quarant’anni, armata di pazienza e di una discreta
dose di severità («che fa sempre bene») tramanda conoscenze tecniche e metodi di
sartoria a giovani apprendiste.
Lunedì 14 gennaio, nei centralissimi locali di via Cleofino Ruffini, le dieci
iscritte hanno sostenuto gli esami e ottenuto i diploma della scuola Sitac. Un
anno di lezioni, due volte a settimana, divise fra il tavolo da cartamodello,
righe, squadre e centimetri, forbici e macchine da cucire. Il risultato è appeso
sulle quattro pareti della stanza centrale:
abiti da sera
con inserti di paillettes, gonne lunghe e svolazzanti di chiffon, corpetti
ricamati, camicette a motivi floreali, giacche con inserti decorati. Il
gusto e lo stile sono quelli dei rom, i colori sgargianti testimoniano
l’abbigliamento etnico che caratterizza il popolo degli zingari, come qualche
volta, con un accenno di biasimo, vengono definite le famiglie rom.
A Termoli la comunità è grande:
duecento persone circa,
divise in 25 nuclei familiari. Con un problema, più o meno diffuso fra
tutti: non lavorano e, di conseguenza, non sono abbastanza integrati con il
tessuto sociale. Una limitazione non da poco, per la quale il progetto
sponsorizzato
dall’Assessore alle Politiche Sociali
Antonio Russo vuole essere un tentativo di risposta. Lui, accompagnato dal
consigliere Giuditta e dall’assistente sociale del Municipio, viene accolto con
un applauso e subito s’informa sui progressi delle ragazze, che non si fanno
ripetere due volte le domande e si lanciano in un racconto entusiastico
dell’avventura sartoriale, iniziata il 16 gennaio dell’anno scorso. Due volte a
settimana lezioni di cartamodello e cucito: per tutte un’opportunità di
acquisire gli strumenti di un mestiere prezioso e sempre meno diffuso.
Per molte anche l’unica occasione per uscire di casa
durante la settimana, come racconta con garbo
Giovina,
una delle partecipanti, che non ha problemi a parlare della mentalità rom e
cerca di far quadrare l’affetto per i genitori, ancora molto legati alla
tradizione, con la voglia di sentirsi termolese a tutti gli effetti e quindi
sicuramente più indipendente. «
All’inizio non è stato per
niente facile convincere mio padre a darmi il permesso di frequentare questo
corso. Eppure io faccio parte di una delle famiglie più aperte fra quelle rom, e
frequento addirittura l’università! (è iscritta a Giurisprudenza a Campobasso,
ndr). Poi però, un po’ alla volta, ha capito... e adesso è molto contento per
me». Complice il coraggio di questa venticinquenne, che si è messa in testa di
‘educare’ i genitori a una maggiore apertura verso la società, «perchè magari
mamma e papà temono che quando esco di casa posso incorrere in tanti pericoli, e
invece le cose sono sicuramente più tranquille. Termoli è un paese...» Un paese
dove i rom, anche quelli di seconda o terza generazione, sono ancora visti con
un po’ di sospetto.
«Questa scuola di cucito ci dà finalmente la possibilità di dimostrare che anche
noi sappiamo fare qualcosa di buono!» si sfoga
Giusy,
anche lei – come tutte del resto – con occhi scuri e lunghi capelli neri che
scendono sulle spalle. Si chiamano
Giovina, Giusi,
Donatina, Antonietta, Loredana, Rosetta, Fernanda, Antonella, Barbara, e ancora
Antonietta. I cognomi sono sempre quelli: Cirelli, De Rosa, De Guglielmo. Le
storie personale cambiano di poco: tutte nate a Termoli, sono cresciute nella
famiglie allargate dei rom, destinate a sposarsi e a mettere al mondo figli
esattamente come le loro madri. «Ma noi abbiamo altre aspirazioni – interviene
Antonella, al quarto anno di scuola di confezione,
ormai stilista esperta – Il mio per esempio è aprire una sartoria, con l’aiuto
magari di altre ragazze. Voglio lavorare,e voglio fare quello che faccio oggi:
creare abiti».
Un sogno nel cassetto che accomuna diverse ragazze. Tanto che la richiesta
all’assessore Russo è unanime: premere perchè il Comune continui a finanziare il
corso.
«All’inizio c’è stata un po’ di resistenza da parte della Giunta – ammette
l’assessore, mentre ammira un abito da sposa in miniatura – perchè era difficile
da capire la finalità del progetto. Di solito per il taglio e cucito ci sono i
corsi professionali, e gli altri assessori non si spiegavano come mai dovesse
essere il Comune a finanziarli». Fuori dai microfoni, quando arriva anche il
direttore generale Petrosino, che Russo presenta alle ragazze come «il vero capo
del Comune, perchè è quello che sgancia i soldi», c’è tempo per ricordare che la
delibera di finanziamento del corso taglia e cuci è dovuta approdare tre volte
in Giunta prima di avere l’ok. Un aneddoto che diverte il segretario: «Bisogna
riconoscere che l’oggetto, quel ‘taglia e cuci’ scritto in grassetto sotto lo
stemma del Comune, faceva sorridere...».
«Il fatto è – spiega l’assistente sociale – che queste ragazze non avrebbero mai
potuto sostenere la selezione per un corso professionale. Molte di loro non
hanno nemmeno la terza media, e non hanno alcuna conoscenza di matematica». E
l’insegnante Maria ricorda di quando, un anno fa, si è armata di santa pazienza
per insegnare alle allieve a fare le addizioni e le moltiplicazioni, «se no,
come facevano a prendere le misure e a fare i cartamodelli?».
Magari coi numeri non ci vanno troppo d’accordo, ma
sull’attualità sono ferrate. Rispondono senza esitazione ai quesiti
dell’assessore Russo, che indaga sulle loro conoscenze politiche e sulle
preferenze partitiche. Diplomatiche, ma senza esagerare. «Prodi o Berlusconi?
Veltroni o Casini? Meglio farebbero tutti a mantenere le promesse che fanno agli
italiani!».
Fernanda ne approfitta per ricordare che «anche il Comune ci ha fatto una
promessa, ha detto che ci avrebbe aiutato. Per ora l’ha mantenuta, ma
ricordatevi di finanziare anche il secondo anno di scuola!»
E mentre si scartano piatti di dolci rigorosamente preparati in casa dalle
ragazze, si chiacchiera sulla fattibilità di avviare una cooperativa di sarte.
La moda, coi suoi meccanismi creativi e leggeri, svincolata dai pregiudizi assai
più che altri ‘rami occupazionali’ per quell’estro poliedrico che la
caratterizza, si presta a favorire l’integrazione. Magari tra qualche anno
vedremo le dame della borghesia termolese indossare abiti scintillanti lungi
alla caviglia e ragazze rom girare in minigonna. Un capo che, almeno per il
momento, è rigorosamente bandito dal ventaglio di creazioni stilistiche di via
Ruffini. Ma non è detta l’ultima parola.
Le immagini nella galleria fotografica
Riassumo un lungo articolo da
Romaworld.ro
Se non verranno fatti presto investimenti per i Rom marginalizzati, la più
grande minoranza d'Europa rimarrà in un trappola di povertà. Per le strade del
ghetto Rom di Sofia, il catrame è un ricordo. Le baracche, costruite con fango e
mattoni. sono allineate lungo la strada. L'odore del fango spunta dalle
grondaie. I collegamenti tra le famiglie seguono le linee elettriche illegali
che collegano le loro capanne. Qui, il concetto reale di infrastruttura è
estraneo come l'astrofisica, mentre "municipalità" è una parolaccia.
Può sembrare un quadro da Terzo Mondo, ma siamo a Faculteta, quartiere della
capitale bulgara, e le stesse scene si replicano attraverso il paese e nella
vicina Romania, entrambe membri dell'Unione Europea dal gennaio 2007. Il recente
boom ha visto la disoccupazione nei due paesi praticamente eliminata dalla
richiesta saettante di lavoro. Ma questo trend benigno ha toccato a malapena i
Rom. Razzismo, mancanza di scolarizzazione e qualificazione li hanno tenuti
ermeticamente al margine dei cambiamenti economici raggiunti dai loro
compatrioti.
Niente sta cambiando. Al contrario, anche se la maggioranza dei 45.000
residenti di Fakulteta è senza impiego, la Bulgaria intende importare lavoratori
stranieri per alimentare la sua crescita economica piuttosto che mobilitare la
minoranza Rom nel mercato lavorale.
Ufficialmente, la Bulgaria conta 370.000 Rom. Ma le OnG ritengono questa
cifra molto inferiore al reale, che sarebbe di 800.000, il 10% della
popolazione.
Negli ultimi 15 anni, molti Rom dalle povere aree rurali sono migrati in
città in cerca di una vita migliore. Ammassati in quartieri poveri e
sovraffollati, che si sono mutati in ghetti virtuali. Circa il 54% dei Rom vive
ora in queste mahali, come sono conosciute in bulgaro. Circa i 3/4 non le
hanno mai lasciate dopo la nascita.
Georgi Krastev, capo dell'Unità d'Integrazione del Ministro del Lavoro e
delle Politiche Sociali, concorda che il paese si trova di fronte ad un problema
di severa segregazione economica. Dice "Oltre il 90% dei disoccupati [in
Romania] sono Rom."
In agosto, il suo ministero ha riportato che il tasso di disoccupazione era
arrivato al record del 7% , ma i così in basso, e le previsioni sono che il
trend continuerà. A Sofia, gli unici adulti disoccupati sono Rom, di cui il 60%
è senza lavoro, secondo l'NSI, Istituto Nazionale di Statistica.
Assorbiti da altri problemi del periodo di transizione e paurosi di
promuovere i diritti di una minoranza impopolare, nessuno dei governi
post-comunisti ha preso misure sostanziali per migliorare la mobilità economica
tra i Rom.
Qui e negli altri nuovi stati membri, molti ora si rammaricano che di più non
sia stato fatto delle possibilità offerte dalla fase di pre-accesso alla UE
per aumentare le azioni di pressione. E mentre Bruxelles insiste che
l'integrazione dei Rom deve rimanere una priorità per Bulgaria e Romania - in
pochi ritengono che l'ammontare dei fondi disponibili possano rimuovere gli
ostacoli che impediscono la mobilità tra i Rom. Le comunità Rom nei paesi
balcanici cheserano di unirsi presto alla UE ne prendono nota.
Un problema regionale, con radici storiche
I politici bulgari non sono i soli a mettere la testa nella sabbia. Scene
simili a quelle di Faculteta si possono trovare attraverso l'Europa Centrale e
del Sud Est. In Ungheria, dove i Rom sono dal 6 all'8% su di una popolazione di
circa 10 milioni, circa il 50% sono disoccupati, comparati alla media nazionale
del 7%, secondo un rapporto del 2005 di Magyar Agora. Oltre il 50% dei Rom in
Ungheria vive sotto la soglia di povertà, comparati alla media nazionale
dell'8%.
La situazione è simile in Serbia, dove oltre il 60% dei 300.000 Rom è
considerato molto povero, comparato al 6% della popolazione, secondo un rapporto
ufficiale sull'inclusione Rom del 2006. Il tasso di disoccupazione per i Rom di
tutte le fasce d'età e a tutti i livelli scolastici è di tre volte superiore
alla media della popolazione non-Rom.
Nella Repubblica Ceca, oltre il 70% dei Rom sono senza lavoro,
comparato al 10% nazionale, secondo un rapporto 2005 della Commissione Europea.
In Romania, dove i 2 milioni di Rom sono circa l'8% su una popolazione di 22
milioni, il 75% di quanti sono in età lavorativa è disoccupato, secondo una
inchiesta compilata dall'UNPD e dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Le radici di questi problemi datano secoli, dice Rumyan Sechkov, storico
dell'Accademia Bulgara delle Scienze e presidente del gruppo per l'Alternativa
Civica. La curiosità inizialmente sollevata negli Europei dai Rom migrati nel XV
secolo dal subcontinente indiano si è mutata rapidamente in ostilità autentica,
racconta, spiegando "che il rifiuto dei Rom ha le sue radici in profondità
indietro in quell'era."
Molti hanno cercato riparo nelle terre europee dell'Impero Ottomano, dove non
erano benvenuti ma d'altronde nemmeno sterminati. Ma secondo gli storici durante
la II Guerra Mondiale, circa mezzo milione di Rom furono uccisi dai nazisti e
dai loro alleati locali nei nuovi stati dell'Europa Centrale e dell'Est.
I sopravvissuti si trovarono di fronte ai tentativi di assimilazione forzata
dei regimi comunisti che avevano preso il potere. In Bulgaria, il romanés venne
soppresso, la loro musica bandita in pubblico e lo stile di vita nomadico finì
nel 1957 con una legge che ordinava a tutti i cittadini di registrarsi ad u
indirizzo fisso. Ancora peggio, in Cecoslovacchia, alcune donne Rom furono
sterilizzate come parte di una politica statale per ridurre il loro numero.
Nei primi anni '90, con i cambiamenti politici ed economici che arrivavano
nelle terre del vecchio blocco orientale, i Rom ottennero riconoscimento come un
distinto gruppo etnico. Da un punto di vista fu un sviluppo positivo. Ma questo
coincise col collasso di molte istituzioni sociali e, come il gruppo più
vulnerabile economicamente, i Rom videro aumentare il loro distacco dal resto
della società.
Ignoriamo il problema
Nel gennaio 2007, con la Romania e la Bulgaria che raggiungevano la UE, i Rom
divennero la più grande minoranza etnica dell'area, tra gli 8 e i 10 milioni. Ma
il numero non significa potere, e nei nuovi stati membri, i Rom rimangono in un
distinto svantaggio, legati ad un circolo di discriminazione, negligenza ed
esclusione.
"Io non dico che tutti i Rom sono pericolosi, ma la maggior parte lo sono,"
dice Anton
Ivanov, 22 anni di Krasna Poliana, un quartiere che confina con Fakulteta. Ad
agosto, cinque uomini sono stati seriamente feriti quando un gruppo di Rom ha
iniziato una ronda perché un loro ragazzo era stato malmenato.
Il quartiere è noto per le tensioni etniche, anche se ufficialmente il problema
non esiste. Dice Marko Popov, 17 anni abitante a Fakulteta, "Viviamo normalmente
con i Bulgari di Krasna Poliana," aggiungendo che "normalmente" sottintende
anche tensioni quotidiane.
Ma le autorità negano che incidenti simili nascano dal razzismo,
classificando gli eventi di agosto come disturbi di routine. Similarmente, un
altro incidente ad agosto quando un ragazzo rom di 17 anni fu malmenato da
Bulgari nella città di Samokov, venne descritto dalla polizia come
"combattimenti tra gangs giovanili".
Nel frattempo, i pregiudizi dei giovani come Ivanov forniscono terreno fertile
per la crescita dell'estrema destra. Bojan Rasate, capo dell'Unione Nazionale
Bulgara, è diventato l'eroe di Ivanov, avendo istituito una squadra di volontari
nazionali per "proteggere" la popolazione bulgara "dalla minaccia rom e dai
disastri naturali".
Era ora che qualcuno prendesse misure contro di loro, e siamo molto grati a Bojan
Rasate," dice Ivanov con gli occhi che brillano dall'entusiasmo.
Come altri nuovi stati membri dell'Europa Orientale, la Commissione Europea ha
fatto pressione a Romania e Bulgaria per implementare una politica a tolleranza
zero contro il razzismo prima di raggiungere la UE. Secondo Katharina von Schnurbein,
portavoce di
Vladimir Spidla, Commissario per gli Affari Sociali, che conta le tematiche rom
nel proprio portfolio, che include "l'aggiornamento legale degli incidenti che
capitano negli insediamenti rom e la lotta al cattivo trattamento".
Ma gli effetti sono scarsi ed ammette che il razzismo esiste e rimane un tabù.
Questo, assieme ad una negligenza cronica, ha reso lettera morta le politiche
delle autorità bulgare, come "Il Decennio dell'Inclusione Rom" o "il 2007 Anno
Europeo delle Pari Opportunità per Tutti".
Una passeggiata a Stolipinovo conferma questa impressione. Alla periferia di
Plovdiv, seconda città della Bulgaria, con i suoi 35.000 abitanti è il secondo
ghetto rom della Bulgaria. All'ora di pranzo di un giorno qualunque della
settimana, tutti sono all'aperto e le strade sono piene di clamori. I bambini
giocano nel fango, gli uomini sono riuniti a piccoli gruppi e le donne lavano di
fronte ai loro blocchi di appartamenti.
Ma gli abitanti sono cronicamente deprivati e soffrono di cattiva salute. "Non
abbiamo avuto acqua corrente per dieci anni," si lamenta una donna piccola, gli
occhi blu e i capelli riuniti in una crocchia. "Come risultato tutti i miei tre
figli hanno avuto l'epatite l'estate scorsa."
Continua: "Hanno i pidocchi nei capelli perché non posso lavarli. Qualcuno mi
accusa di non mandare i bambini a scuola. Come posso mandarli a scuola in questo
stato? Non li manderò!"
I problemi di sanità e sicurezza così visibilmente presenti a Stolipinovo sono
replicati a Marchevo, un villaggio noto per le povere condizioni nelle montagne Rodope
del sud, vicino alla città di Garmen. Le sue origini datano al 1960, quando un
clan di intrecciatori di cesti vi si impiantò a seguito del decreto del 1957.
Per lungo tempo è stato fonte di epidemie locali a causa delle scarse condizioni
sanitarie. "Mancano soltanto 500 metri di tubature perché la mahala abbia
assicurato il rifornimento idrico," dice Kalina Bozeva, capo della Iniziativa
Inter-Etnica per i Diritti Umani in Bulgaria. "La responsabilità era del
municipio, ma è stato fatto solo recentemente, come risultato di un progetto di
OnG."
Petar Dikov, capo architetto di Sofia, spiega che le aree popolate dai Rom sono
di solito elencate nei piani urbani come aree industriali, così da esentare i
comuni dal costruire le infrastrutture.
E' lo stesso al di la del confine in Romania dove, secondo Magda
Matache capo dell'OnG Romani CRISS con sede a Bucarest, i villaggi e gli
insediamenti di solito non hanno acqua corrente. "Lì la gente può soltanto
sognare un sistema di tubature," dice. "Devono camminare per miglia ogni giorno
per portare a casa l'acqua per le loro famiglie."
Il fallimento inizia a scuola
Tra i molti errori ed omissioni del governo bulgaro riguardo i Rom, nessuno è
così cruciale o devastante come viene affrontata la tematica scolastica. Una
politica di effettiva segregazione ha deprivato generazioni di Rom della
possibilità di avanzare verso una pari partecipazione nel mercato lavorale.
Nel periodo comunista, i Rom potevano studiare soltanto in scuole periferiche
create per formare forza operaia o per altri lavori sotto-qualificati. Erano
omesse materie delle scuole "normali", come storia e matematica.
"Si produssero generazioni di persone con bassa educazione," dice Krasimir Kunev,
capo del Comitato di Helsinky bulgaro. Oggi circa il 70% dei bambini rom
continua a studiare de facto in scuole segregate, secondo un rapporto del 2006
del Comitato di Helsinky bulgaro. Ciò, spiega, rende anche i Rom il gruppo più
vulnerabile alla depressione economica e alla disoccupazione nella transizione
post-comunista. Ed anche se lo stato si è reso conto del problema attorno alla
metà degli anni '90, ha fatto poco per intervenire.
"E' stato un grande fallimento, - dice Rumyan Sechkov - era la soluzione più
facile, gente senza qualificazione rimane sotto-qualificata e marginalizzata."
Nel frattempo, secondo lo storico, i bulgari ordinari hanno trovato i versamenti
ingiusti, cosa che incita le tensioni sociali.
La scala del problema ha continuato a crescere, intrecciando una cultura di
dipendenza. "Ora siamo di fronte ad un problema nazionale, perché un'intera
generazione di Rom è cresciuta senza mai vedere i propri genitori alzarsi la
mattina per andare a lavoro," continua Sechkov.
Nel 2006, il 58% dei Rom hanno ricevuto qualche forma di aiuto sociale, secondo
il ministero del lavoro.
Ma qualcosa sta cambiando. Dal 1 gennaio 2008, ci sono nuove regole che limitano
il periodo in cui chiunque può ricevere questo aiuto a 18 mesi. Decisione presa
per ridurre gli abusi del sistema, i critici insistono che gli sviluppi saranno
vani se non accompagnati da politiche rivolte alla scarsa scolarizzazione e alla
disoccupazione.
Roza Tzvetanova, 54 anni, è seduta di fronte alla sua casa a Stolipinovo.
La sua testa è coperta da un foulard rosa e lei arrotola una sigaretta mentre
descrive come lei ed i cinque figli sopravvivono coi benefici sociali, lei senza
lavoro, il marito in prigione. Quando sente che il suo assegno sarà presto
tagliato, diventa furiosa: "Ma sono pazzi? Stanno cercando di sterminare i miei
figli e me! Nessuno vuole dare lavoro ad una cinquantenne con la licenza
elementare. Non lo vedono?"
La Bulgaria non è sola nella regione nel mancare di offrire ai Rom un'educazione
decente. Nelle recenti decadi, gli standards sono rimasti poveri nell'Europa del
sud-est, offrendo poche possibilità di fuggire dalla povertà e partecipare alla
società su basi egualitarie. Ma se gli altri paesi della regione hanno percorso
i primi passi per rompere il circolo vizioso, in Bulgaria si continuano a negare
i fatti.
Secondo il censimento 2001, il 20% dei Rom di 20 anni in Bulgaria sono
totalmente illeterati. Ma anche se questo numero sta crescendo, il Ministero
dell''Educazione non pare avere nessuna strategia per affrontare il problema.
Nel 2002, per esempio, il governo promulgò un atto per cui igli studenti delle
minoranze andavano integrati, mai comuni non collaborarono. E secondo il
rapporto Kunev del 2006, le cose non sono cambiate.
Le autorità rumene sono maggiormente pro-attive e dal 1993 hanno adottato azioni
affermative per aumentare il coinvolgimento dei Rom nelle scuole superiori e
nelle università. Come risultato, 400 studenti rom sono stati ammessi nell'anno
accademico universitario 2005-06.
Magda Matache descrive l'azione politica affermativa della Romania come di
successo, citando rapporti che indicano come i Rom frequentino le scuole e si
diplomino. I risultati saranno visibili nel lungo termine, ma i primi effetti
stanno emergendo, in quanto chi riceve un'educazione di qualità funziona come
modello per la propria comunità o rimangono in città trovando lavoro. "Lavorano
nelle istituzioni o nel settore della società civile [piuttosto che negli
affari], ma è già un passo avanti," insite Matache.
Anche in Serbia vengono prese misure affermative. Secondo il censimento del
2002, circa il 62% dei Rom serbi non ha completato la scuola elementare, meno
dell'8% la scuola media e un minuscolo 0,3% la scuola superiore. D'altra parte,
il governo ha recentemente allocato un budget extra per borse di studio per gli
studenti rom.
I risultati sono eclatanti, soprattutto se si paragonano i dati di due anni
consecutivi. "Nel 2005-06 abbiamo avuto 88 studenti rom iscritti alle superiori,
nel 2006-07 il loro numero era cresciuto a 260," dice Ljuan Koka, direttore del
Segretariato per la Strategia Rom in Serbia.
Una fonte non battuta di lavoro
Gli esperti concordano che la principale precondizione per migliorare le
prospettive socio-economiche tra i Rom è tagliare l'alto tasso di disoccupazione.
L'ironia è che paesi come la Bulgaria cerchi altrove dei lavoratori. Infatti,
secondo un recente rapporto della Banca Mondiale sull'Europa dell'est, la
Bulgaria rischia un rallentamento nello sviluppo economico se non richiama la
relativa scarsità sia del lavoro specializzato che non qualificato. E mentre
suggerisce una migliore utilizzazione e formazione dei lavoratori locali
"attraverso la riforma del sistema educativo e l'aumento della mobilità interna"
stabilisce che si dovrebbero importare lavoratori dall'estero.
Evgeni Ivanov, della Confederazione Impiegati ed Industriali di Bulgaria, dice
che è insensato cercare lavoratori esteri ignorando la domanda interna.
Puntualizza: "La Bulgaria ha tutte le risorse finanziare ed umane di cui c'è
bisogno perché i Rom si integrino nel mercato lavorale".
Ivanov predice che il ministro del lavoro avrà a disposizione 1 miliardo di EU
dei Fondi Strutturali UE da spendere per programmi indirizzati ai Rom. "Ma non
abbiamo informazioni che il ministro ci stia lavorando," aggiunge. "Si parla
solo del futuro prossimo."
Secondo Ivanov la comunità economica dovrebbe appoggiare misure proattive per
aiutare i Rom nel lavoro. "Come lavoratori, non importa l'etnicità o la
nazionalità, è la capacità che è importante."
Ma sono pochi i segni dei governi regionali realmente impegnati a migliorare le
prospettive della comunità Rom. In Serbia, Bulgaria e Romania,le autorità hanno
fallito nel trovare una formula per migliorare le loro possibilità.
leggi tutto l'articolo (in inglese)
This article was produced as part of the Balkan Fellowship for Journalistic
Excellence, an initiative of the Robert Bosch Stiftung and ERSTE Foundation, in
cooperation with the Balkan Investigative Reporting Network, BIRN.