Da
Primonumero
Si è concluso lunedì nella sartoria di via
Ruffini il corso di taglio e cucito per ragazze di etnia rom finanziato dal
Comune di Termoli al posto del sussidio di mantenimento. Le partecipanti, tutte
giovani, ne approfittano per raccontare qualcosa di se stesse e della comunità
‘zingara’ di Termoli, che conta circa 200 persone. “Ci sentiamo termolesi, e
rispetto alle nostre madri abbiamo altri desideri, come aprire una sartoria di
moda qui in città”. Un progetto dalla duplice finalità: favorire l’integrazione
sociale e creare una possibilità occupazionale salvando un mestiere in via di
estinzione
di Monica Vignale
Termoli. C’è un antico detto cinese che recita così: “Dai un pesce a
un uomo e lo farai mangiare per un giorno. Insegna a pescare a un uomo e l’avrai
sfamato per tutta la vita”. E’ più o meno quello che ha cercato di fare il
Comune di Termoli quando ha
finanziato il corso di taglio
e cucito per ragazze di etnia rom invece di erogare, come ogni anno, un
sussidio sociale alle loro famiglie. Niente soldi in mano, ma piuttosto
un’occasione per imparare un «mestiere in via di estinzione», come ricorda
l’insegnante Maria, che da quarant’anni, armata di pazienza e di una discreta
dose di severità («che fa sempre bene») tramanda conoscenze tecniche e metodi di
sartoria a giovani apprendiste.
Lunedì 14 gennaio, nei centralissimi locali di via Cleofino Ruffini, le dieci
iscritte hanno sostenuto gli esami e ottenuto i diploma della scuola Sitac. Un
anno di lezioni, due volte a settimana, divise fra il tavolo da cartamodello,
righe, squadre e centimetri, forbici e macchine da cucire. Il risultato è appeso
sulle quattro pareti della stanza centrale:
abiti da sera
con inserti di paillettes, gonne lunghe e svolazzanti di chiffon, corpetti
ricamati, camicette a motivi floreali, giacche con inserti decorati. Il
gusto e lo stile sono quelli dei rom, i colori sgargianti testimoniano
l’abbigliamento etnico che caratterizza il popolo degli zingari, come qualche
volta, con un accenno di biasimo, vengono definite le famiglie rom.
A Termoli la comunità è grande:
duecento persone circa,
divise in 25 nuclei familiari. Con un problema, più o meno diffuso fra
tutti: non lavorano e, di conseguenza, non sono abbastanza integrati con il
tessuto sociale. Una limitazione non da poco, per la quale il progetto
sponsorizzato
dall’Assessore alle Politiche Sociali
Antonio Russo vuole essere un tentativo di risposta. Lui, accompagnato dal
consigliere Giuditta e dall’assistente sociale del Municipio, viene accolto con
un applauso e subito s’informa sui progressi delle ragazze, che non si fanno
ripetere due volte le domande e si lanciano in un racconto entusiastico
dell’avventura sartoriale, iniziata il 16 gennaio dell’anno scorso. Due volte a
settimana lezioni di cartamodello e cucito: per tutte un’opportunità di
acquisire gli strumenti di un mestiere prezioso e sempre meno diffuso.
Per molte anche l’unica occasione per uscire di casa
durante la settimana, come racconta con garbo
Giovina,
una delle partecipanti, che non ha problemi a parlare della mentalità rom e
cerca di far quadrare l’affetto per i genitori, ancora molto legati alla
tradizione, con la voglia di sentirsi termolese a tutti gli effetti e quindi
sicuramente più indipendente. «
All’inizio non è stato per
niente facile convincere mio padre a darmi il permesso di frequentare questo
corso. Eppure io faccio parte di una delle famiglie più aperte fra quelle rom, e
frequento addirittura l’università! (è iscritta a Giurisprudenza a Campobasso,
ndr). Poi però, un po’ alla volta, ha capito... e adesso è molto contento per
me». Complice il coraggio di questa venticinquenne, che si è messa in testa di
‘educare’ i genitori a una maggiore apertura verso la società, «perchè magari
mamma e papà temono che quando esco di casa posso incorrere in tanti pericoli, e
invece le cose sono sicuramente più tranquille. Termoli è un paese...» Un paese
dove i rom, anche quelli di seconda o terza generazione, sono ancora visti con
un po’ di sospetto.
«Questa scuola di cucito ci dà finalmente la possibilità di dimostrare che anche
noi sappiamo fare qualcosa di buono!» si sfoga
Giusy,
anche lei – come tutte del resto – con occhi scuri e lunghi capelli neri che
scendono sulle spalle. Si chiamano
Giovina, Giusi,
Donatina, Antonietta, Loredana, Rosetta, Fernanda, Antonella, Barbara, e ancora
Antonietta. I cognomi sono sempre quelli: Cirelli, De Rosa, De Guglielmo. Le
storie personale cambiano di poco: tutte nate a Termoli, sono cresciute nella
famiglie allargate dei rom, destinate a sposarsi e a mettere al mondo figli
esattamente come le loro madri. «Ma noi abbiamo altre aspirazioni – interviene
Antonella, al quarto anno di scuola di confezione,
ormai stilista esperta – Il mio per esempio è aprire una sartoria, con l’aiuto
magari di altre ragazze. Voglio lavorare,e voglio fare quello che faccio oggi:
creare abiti».
Un sogno nel cassetto che accomuna diverse ragazze. Tanto che la richiesta
all’assessore Russo è unanime: premere perchè il Comune continui a finanziare il
corso.
«All’inizio c’è stata un po’ di resistenza da parte della Giunta – ammette
l’assessore, mentre ammira un abito da sposa in miniatura – perchè era difficile
da capire la finalità del progetto. Di solito per il taglio e cucito ci sono i
corsi professionali, e gli altri assessori non si spiegavano come mai dovesse
essere il Comune a finanziarli». Fuori dai microfoni, quando arriva anche il
direttore generale Petrosino, che Russo presenta alle ragazze come «il vero capo
del Comune, perchè è quello che sgancia i soldi», c’è tempo per ricordare che la
delibera di finanziamento del corso taglia e cuci è dovuta approdare tre volte
in Giunta prima di avere l’ok. Un aneddoto che diverte il segretario: «Bisogna
riconoscere che l’oggetto, quel ‘taglia e cuci’ scritto in grassetto sotto lo
stemma del Comune, faceva sorridere...».
«Il fatto è – spiega l’assistente sociale – che queste ragazze non avrebbero mai
potuto sostenere la selezione per un corso professionale. Molte di loro non
hanno nemmeno la terza media, e non hanno alcuna conoscenza di matematica». E
l’insegnante Maria ricorda di quando, un anno fa, si è armata di santa pazienza
per insegnare alle allieve a fare le addizioni e le moltiplicazioni, «se no,
come facevano a prendere le misure e a fare i cartamodelli?».
Magari coi numeri non ci vanno troppo d’accordo, ma
sull’attualità sono ferrate. Rispondono senza esitazione ai quesiti
dell’assessore Russo, che indaga sulle loro conoscenze politiche e sulle
preferenze partitiche. Diplomatiche, ma senza esagerare. «Prodi o Berlusconi?
Veltroni o Casini? Meglio farebbero tutti a mantenere le promesse che fanno agli
italiani!».
Fernanda ne approfitta per ricordare che «anche il Comune ci ha fatto una
promessa, ha detto che ci avrebbe aiutato. Per ora l’ha mantenuta, ma
ricordatevi di finanziare anche il secondo anno di scuola!»
E mentre si scartano piatti di dolci rigorosamente preparati in casa dalle
ragazze, si chiacchiera sulla fattibilità di avviare una cooperativa di sarte.
La moda, coi suoi meccanismi creativi e leggeri, svincolata dai pregiudizi assai
più che altri ‘rami occupazionali’ per quell’estro poliedrico che la
caratterizza, si presta a favorire l’integrazione. Magari tra qualche anno
vedremo le dame della borghesia termolese indossare abiti scintillanti lungi
alla caviglia e ragazze rom girare in minigonna. Un capo che, almeno per il
momento, è rigorosamente bandito dal ventaglio di creazioni stilistiche di via
Ruffini. Ma non è detta l’ultima parola.
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