Di Fabrizio (del 02/04/2012 @ 09:35:26, in Italia, visitato 1532 volte)
Segnalazione di Stefano Nutini, da Sbilanciamoci.org. Articolo di Vito Francesco Gironda
L'idea dello ius culturae - lanciata dal ministro Riccardi - è ambigua e
pericolosa, perché rischia paradossalmente di alimentare il conflitto multiculturale
Alcuni giorni fa Andrea Olivero ha riproposto sulle pagine di Europa l'idea dello
ius culturae quale criterio di definizione di un'auspicabile riforma della cittadinanza italiana. Lanciata dal ministro Andrea Riccardi, la nozione di
ius culturae sembra essere diventata l'asse consensuale per praticare una via italiana
all'integrazione.
Di cosa si tratta? A volere ragionare in termini generali, il concetto richiama
agli effetti propositivi e "assimilazionistici" di una "seducente" cultura italiana. Si immette nel discorso pubblico una concezione stato-centrica e "assimilazionistica" di cittadinanza, secondo un'idea di presunzione di appartenenza, in base alla quale la nascita sul territorio veicolerebbe, nel lungo periodo, quei legami culturali che si suppone costituiscano la base della cittadinanza. Come dire, i diritti di cittadinanza sono collocati nell'ambito della specificità culturale di una comunità nazionale, la quale promuove una concezione particolaristica dell'individuo e delle sue relazioni sociali. Seguendo tale prospettiva, l'inclusione si determina attraverso una sorta di "adeguamento" valoriale alla cultura del paese ospitante. A prima vista sembra un discorso molto lineare. Eppure, guardando bene, emerge una serie di ambiguità concettuali su cui sarebbe opportuno riflettere serenamente.
La prima ambiguità riguarda la nozione stessa di cultura nazionale. In base a quali contenuti qualificanti e qualificati si delinea lo spazio culturale nel quale si definisce un'immaginata concezione di appartenenza culturale? Se il ministro Riccardi ha in mente una sorta di
Leitkultur (cultura dominante) all'italiana,
allora dovrebbe essere molto esplicito e chiarire senza mezzi termini cosa intende. A me sembra che la concezione di
ius culturae sia viziata da un eccessivo monoculturalismo che funziona come un dispositivo che fa dipendere la grammatica
dei diritti alla rinuncia delle identità culturali nella sfera pubblica.
Su questo terreno si riscontra la seconda ambiguità concettuale dello ius culturae. Perché parlare di modello italiano per l'integrazione e non dire chiaramente
che la via da praticare è quella dell'assimilazione. Perché parlare d'integrazione che rimanda più specificatamente all'inclusione nel tessuto economico-sociale, al riconoscimento delle differenze culturali, alla valorizzazione e accettazione del pluralismo culturale, quando, alla fine, si guarda esclusivamente alla cittadinanza come processo di adeguamento valoriale alla cultura dominante, qualunque poi sia il significato ascritto a quest'ultima.
La classe politica e la tecnocrazia di governo non dovrebbero limitarsi a costruire neologismi astratti, ma dovrebbero prendere sul serio l'ipotesi che tanto l'opinione pubblica nazionale quanto le comunità di stranieri residenti hanno il diritto di capire nel concreto di cosa si discute. Si tratta di comunicare sul piano fattuale quello che si pensa fare, evitando, così, inutili incomprensioni. Anzi, l'idea stessa dello
ius culturae paradossalmente rischia di alimentare il conflitto multiculturale perché, piuttosto che ricercare regole e pratiche di coesistenza tra le diverse culture, tende a legare l'uguaglianza delle opportunità
di partecipazione alla cultura dominante del paese ospitante. Mettere in moto forme e processi di negoziazione sull'identità culturale è una questione molto complessa.
Di Fabrizio (del 02/04/2012 @ 09:51:43, in Italia, visitato 7260 volte)
Quello che segue è un lungo documento, frutto di un'altrettanto lungo e
complesso confronto tra la comunità rom di via Idro 62 (Milano) e le
associazioni ed i volontari della zona, indirizzato al comune di Milano per
affrontare e risolvere una lunga situazione di emergenza, prima di tutto sociale
e personale, ma anche abitativa e lavorativa. Non vi sfuggirà il
particolare di un grande impegno comune dei promotori, per superare oltre ai
ghetti fisici anche quelli mentali, ed ipotizzare soluzioni a vantaggio di tutti
gli abitanti, Rom e no, della zona.
Vi chiediamo di leggerlo con pazienza ed attenzione e, se lo condividete,
comunicare la vostra adesione all'indirizzo mail
info@sivola.net, comunicando anche se l'adesione è personale o a nome di
un'organizzazione.
Il documento verrà presentato in conferenza stampa lunedì 16
aprile alle ore 11.30, c/o la sala consigliare 321 - via Marino 7 - 3° p. MILANO. ABBIAMO
BISOGNO DI RACCOGLIERE PRIMA TUTTE LE VOSTRE ADESIONI. Inoltre, potete
ripubblicare il link sui vostri blog, nelle bacheche di Facebook, su Twitter,
ogni collaborazione è ben gradita.
IL VILLAGGIO SOCIALE E SOLIDALE DI VIA IDRO NEL PARCO DELLA MEDIA
VALLE DEL LAMBRO
Premessa
La rete delle associazioni
Si è consolidata nei nostri quartieri di Crescenzago Gobba Adriano l'esperienza
significativa di una rete di comitati ed associazioni, di scuole e di singoli
cittadini che opera per la qualità della vita urbana, per il dialogo
interculturale e l'integrazione - interazione civile e sociale tra etnie e
culture diverse.
Via Padova, la via del mondo e la sua Festa "Via Padova è meglio di
Milano" esprimono luoghi e manifestazioni esemplari di ricchezza culturale
ed artistica, di ricerca e comprensione del mondo – a partire dai paesi di
provenienza degli immigrati.
La cittadinanza attiva ha saputo, soprattutto negli ultimi anni,
sviluppare un contrasto efficace alle politiche di emarginazione e
colpevolizzazione degli stranieri e delle minoranze rom e sinti da parte delle
amministrazioni della destra leghista e berlusconiana.
Un pool di associazioni, assieme a singoli cittadini, dette vita nel 2009 a un
Osservatorio contro i razzismi, che promosse iniziative ed incontri per
denunciare gli atti più discriminatori di vero e proprio "razzismo
istituzionale". Soprattutto a partire dal pluriennale inserimento scolastico dei
bambini, si sviluppò una specie di rete di protezione attorno alla comunità rom
di Via Idro.
La politica degli sgomberi, il "Piano
Nomadi" e il Campo di transito di via Idro La politica degli sgomberi dei "campi nomadi" e le ossessive direttive
dell'Amministrazione Moratti – De Corato contro i rom diventavano il corollario
di una normativa nazionale, con la quale l'allora ministro degli interni Maroni
mirava a realizzare un "piano nomadi" trasformando il problema di come
migliorare le condizioni di vita e di convivenza dei "campi" in problema di
emergenza dal punto di vista dell'ordine pubblico, e quindi isolandolo con
interventi speciali chiaramente discriminatori e lesivi della dignità
delle persone e del rispetto delle culture diverse. Gli sgomberi rientravano
quindi nel novero delle misure repressive senza soluzioni alternative adeguate.
A ben poca cosa si sono ridotti i pur previsti interventi di aiuto alle famiglie
rom di sistemazione in alloggi popolari o cascine.
Il dato dominante sta nei caroselli di sgomberi a centinaia, nello sradicamento
da luoghi che pur precari e/o degradati consentivano un minimo di vita
identitaria e comunitaria, la frequenza scolastica dei bambini, una qualche
assistenza sanitaria, ecc. Il cosiddetto patto di legalità e il suo
regolamento di attuazione (Milano, febbraio 2009), con il Prefetto avente
funzioni di Commissario straordinario all'emergenza rom, diventavano gli
strumenti attuativi sul territorio del decreto Maroni (2008) – dichiarato
finalmente illegittimo sul piano della tutela dei diritti costituzionali dalla
sentenza del Consiglio di Stato n. 6050 del 16 novembre 2011.
La comunità di Rom Harvati di Via Idro è composta da circa 130 cittadini
italiani - una trentina di famiglie, che vi risiedono dal 1989. E' storicamente
parte integrante dei quartieri di Crescenzago Gobba Adriano.
Nel cosiddetto "Piano nomadi" si prevede che il campo di Via Idro venga
trasformato in "campo di sosta temporanea" e quindi di "transito",
"attraverso il rifacimento infrastrutturale, la messa in sicurezza e
l'ottimizzazione degli spazi, previo allontanamento delle famiglie esistenti"
(sottolineatura nostra).
Tale sciagurata politica peggiora la situazione. I diritti e le esigenze della
comunità dei cittadini italiani rom sono scese all'ultimo posto. Gli abitanti
dei quartieri interessati, molto allarmati per l'eventuale arrivo di centinaia
di altri nomadi, esprimono inequivocabilmente la loro contrarietà a fare di Via
Idro un campo di transito. E raccolgono 8.000 firme, che non si traducono in
manifestazioni di ripulsa razzistica, ma contribuiscono ad allargare e
consolidare la consapevolezza che la questione rom non può essere affrontata
semplicemente sgombrando e spostando le persone.
Nello specifico di Via Idro, diventa sempre più evidente che sarebbe utile e
giusto migliorare le condizioni strutturali dell'area per la comunità ormai
stanziale da circa trenta anni e per la salvaguardia dell'ambiente naturale e
per il miglioramento della qualità della vita dei quartieri. Infatti sarebbe un
segnale negativo, che dopo aver lavorato assieme per decenni sulle tante
questioni connesse alla stanzialità (lavoro, scuola, inserimento nel quartiere,
ad esempio), questi sforzi ed i risultati ottenuti venissero azzerati.
La sconfitta dell'amministrazione PDL/LEGA - Moratti/De Corato e l'elezione del
sindaco Pisapia, il ripristino di un quadro di legittimità costituzionale sulla
questione rom (sentenza Consiglio di Stato) impongono un cambio radicale per una
politica positiva dell'integrazione e dell'interazione civile sociale e
culturale.
La bussola da seguire è la Costituzione, e specificatamente gli artt. 2 e 3 –
purtroppo sottoposti a violazioni continue:
"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale." (Art. 2).
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese." (Art. 3).
In un contesto globale e locale di profonda crisi economica e finanziaria, di
peggioramento delle condizioni generali di vita, di perdita del lavoro, di
aumento della disoccupazione, di ampliamento delle fasce di povertà, si fa ancor
più urgente la necessità di promuovere politiche sociali inclusive, di creare
lavoro e stimolare iniziative di solidarietà e cooperazione.
"Emergenza umanitaria in Via Idro"
Come prevedibile, la situazione del campo di Via Idro è peggiorata in questi
ultimi mesi fino a diventare "emergenza umanitaria" come viene definita dalle
denunce di comitati ed associazioni e da due lettere aperte – una del Comitato
per Milano Zona 2 del 9/12/2011 e l'altra a più voci del 15/12/2011 - inviate al
sindaco Pisapia e agli assessori alle Politiche sociali e alla Sicurezza e
coesione sociale.
Nella lettera aperta del 15 dicembre 2011 (firmata da: Carlo Bonaconsa ,
Comitato Vivere Zona 2; Fabrizio Casavola, redazione di Mahalla; Laura Coletta,
Associazione Elementare Russo; Gabriella Conedera, Scuola Elementare di Via
Russo; Cesare Moreschi, Comitato Vivere Zona 2; Giuseppe Natale, ANPI
Crescenzago; Antonio Piazzi, ANPI Crescenzago; Paolo Pinardi, Martesanadue), il
peggioramento delle condizioni di vita nel campo di Via Idro viene così
descritto:
"…Manca la corrente elettrica da mesi, i frigoriferi non possono funzionare, le
fogne straripano, la strada si allaga. Le persone vivono al freddo. La salute è
seriamente a rischio. Le prime vittime sono i bambini e gli anziani, i più
deboli ed indifesi.
I responsabili dell'amministrazione comunale sono informati, ma inspiegabilmente
non provvedono.
Per i Rom Harvati, cittadini italiani che risiedono da oltre 30 anni in Via
Idro, si sono ulteriormente ridotte le possibilità di lavorare non solo per la
crisi generale, ma soprattutto perchè sono vittime – come altri nomadi e
minoranze etniche – di politiche centrali e locali di discriminazione e di
ingiustizia sociale."
I firmatari della lettera si pongono due preoccupanti interrogativi:
"Si vuole da parte anche della nuova amministrazione di Milano insistere sul
campo di transito in Via Idro, rifiutato sia dalla comunità rom sia da
cittadini, comitati, associazioni, partiti e dal Consiglio di Zona 2?
Perché non si provvede con urgenza a garantire agli abitanti il ripristino delle
condizioni di vita umane e ad approntare un piano di riqualificazione da
inserire in un progetto di valorizzazione del patrimonio ambientale (Lambro,
Martesana, costituendo Parco della Media Valle del Lambro) e della comunità rom,
i cui membri già nel passato hanno dimostrato di potere mettere a disposizione
esperienza e competenza (cooperative per la cura del verde e di lavori
diversi)?"
Si ribadisce poi, da parte dei firmatari , la volontà a farsi "promotori di un
progetto generale di riqualificazione e valorizzazione dell'intera area allo
scopo di migliorare la qualità ambientale e urbana e le relazioni tra i rom e
gli abitanti dei quartieri interessati."
Verso un villaggio rom sociale e solidale
L'area di Via Idro
L'area si colloca in una posizione nevralgica, tra il lungo canale Martesana /
la confluenza col fiume Lambro, la tangenziale est e le abitazioni di Via Padova
/ Gobba. Nel mezzo del costituendo Parco della Media Valle del Lambro, si trova
nel punto di confine dei quattro comuni limitrofi: Milano, Sesto San Giovanni,
Cologno Monzese, Vimodrone. E' attraversata da una pista ciclo-pedonale che, tra
le più lunghe esistenti, collega Milano all'Adda.
Il contesto geo-ambientale ricco di un rilevante patrimonio naturale (acque e
verde) e storico-architettonico (ville del lungo Martesana e cascina Lambro del
XVII sec. in abbandono e degrado) è anche compromesso dal groviglio viabilistico
del nodo di Gobba, dai tralicci degli elettrodotti, dall'inceneritore nel
territorio sestese, dal ripetitore Mediaset di Cologno. Vi incombe la minaccia
di costruirvi residenze abitative sempre secondo la logica delle
cementificazioni diffuse e delle speculazioni urbanistiche. Da oltre 30 anni, è
bloccato dai cittadini e dal Consiglio di Zona il progetto della famigerata
Gronda Nord, un'autostrada in città di attraversamento della fascia
settentrionale dell'area metropolitana milanese già intasata da un sistema
pesante di tangenziali ed autostrade.
Da anni, il fiume Lambro inquinato e ridotto a cloaca aspetta di essere
bonificato e di ritornare a scorrere pulito e a svolgere funzioni importanti in
un ecosistema urbano rigenerato.
L'area è caratterizzata da aspetti e risorse positive e da elementi negativi. Si
tratta di puntare sui primi e di annullare o attenuare i secondi, valorizzando
la comunità rom che vi abita e sviluppando tutte le potenzialità del contesto e
le disponibilità umane sociali e professionali di cui sono ricche associazioni e
comitati della cittadinanza attiva.
Il Villaggio rom di Via Idro e la politica di stampo razzista: le diverse fasi Nell'agosto 1989, l'area di Via Idro viene assegnata ad alcune famiglie di rom -
tutti cittadini italiani - costrette a lasciare gli spazi destinati a formare il
Parco della Martesana, tra Gorla Turro e Crescenzago. Una trentina di famiglie
vi si stanziano dando vita a un villaggio sotto il controllo del Comune di
Milano e attraverso uno specifico Ufficio Nomadi. Erano già presenti
nell'attuale zona 2 da circa 40-50 anni, prima tra Precotto e Crescenzago, in
seguito nell'area compresa tra via Agordat e via Stamira d'Ancona.
Negli anni '70/80 le amministrazioni avevano tentato di promuovere una politica
di integrazione nei confronti dei nomadi creando servizi sociali finalizzati
all'inserimento scolastico dei bambini, all'assistenza sanitaria e
all'orientamento lavorativo.
Nell'ambito dell'impegno politico e sociale e all'interno delle giunte di
sinistra, spicca la figura di Carlo Cuomo, assessore ai servizi sociali e al
decentramento nel decennio 1975/85, che molto si spende a difesa dei rom e si fa
promotore di tante iniziative finalizzate soprattutto alla promozione civile e
sociale delle popolazioni zingare e di etnie e culture altre. Tra i fondatori
dell'associazione Opera Nomadi, lancia poi un'idea di grande attualità, la
Casa
dei popoli e delle culture. In qualità di presidente dell'Opera Nomadi, Cuomo
lavora molto per la comunità di Via Idro e il suo impegno costituisce un esempio
da seguire.
E' soprattutto l'inserimento scolastico dei bambini a raggiungere i migliori
risultati, grazie all'impegno delle maestre e all'apertura dell'istituzione
scolastica.
I primi tentativi di scolarizzazione risalgono alla metà degli anni '80,
progetti pilota che sono poi stati ripresi anche a livello nazionale. Questo fa
si che la frequenza scolastica degli alunni di via Idro sia oggi molto alta,
praticamente il 90%.
L'inserimento dei bambini rom di via Idro nella scuola di Via Russo è stato un
percorso lungo e costellato di difficoltà ma anche di soddisfazioni. Gli
insegnanti e tutto il personale hanno dovuto affrontare nel tempo:
la diffidenza da parte degli altri genitori verso una realtà da sempre
disegnata con pregiudizi e stereotipi;
la paura degli stessi genitori rom di fronte ad un differente modello
educativo e culturale;
l'utilizzo strumentale della scuola come risposta ad alcuni bisogni primari
(alimentazione, salute, igiene);
la scarsa quantità di risorse utilizzabili;
lo svantaggio globale presentato dai bambini e determinato anche da problemi
di bilinguismo sottrattivo.
Il tempo, la reciproca conoscenza, gli interventi al campo, le risposte della
scuola ai bisogni di questa utenza, hanno permesso una collaborazione più attiva
da parte delle famiglie e il crearsi di un rapporto di fiducia senza il quale
nessuna didattica può avere luogo.
Nel 1990 viene fondata da alcuni rom di Via Idro la cooperativa Laci Buti, con
la collaborazione di operatori sociali e tecnici, a cui si affianca nel 1999
nella cooperativa sociale Laci Buti 2, specializzata nei lavori di manutenzione
delle aree verdi e della coltura floreale.
La situazione precipita negli ultimi anni, con l'ultimo governo Berlusconi, per
la recrudescenza della politica discriminatoria nei confronti degli zingari e
degli stranieri in generale. A Milano, l'amministrazione Pdl/Lega si distingue
per l'accanimento contro i campi rom e per la sequela di sgomberi che nel
biennio 2009/marzo 2011 arriva a ben 360! Con tale politica razzistica il
problema non solo non si risolve ma viene in continuazione spostato e riproposto
instillando paura e odio. Diventano enormi i costi morali sociali ed economici.
Basti pensare che ogni sgombero viene a costare tra i 20 e i 30 mila euro! I
costi complessivi oscillano tra i 7 e i gli oltre 10 milioni di euro!...
Con il decreto e le ordinanze del ministro dell'interno Maroni (2008), viene
dichiarato lo stato d'emergenza in Lombardia, Lazio e Campania "in relazione
all'esistenza di comunità nomadi nei rispettivi territori", per la pericolosità
sociale dei campi rom e per la sicurezza dei cittadini!... Eppure si tratta di
un numero molto modesto di Rom e Sinti residenti in Italia: non più di 170 mila
persone, di cui la stragrande maggioranza cittadini italiani e il 40% di minori
di 18 anni; appena lo 0,02% della popolazione, il più basso d'Europa! E a Milano
i nomadi non raggiungono le 2000 unità!
Accanirsi contro queste minoranze è davvero indice di allarmante inciviltà.
I "10-12 milioni di rom europei continuano a essere vittime di gravi
discriminazioni strutturali" viene denunciata con la Risoluzione del 25 marzo
2010 dal Parlamento europeo, che "condanna la recente recrudescenza del razzismo
contro gli zingari" (la "fobia dei rom"!); e chiede alle istituzioni della UE e
ai singoli Stati membri di adottare misure che riconoscano "la piena
cittadinanza e la partecipazione socioeconomica dei rom"; che garantiscano le
"pari opportunità" per l'inserimento scolastico, per " l'integrazione nel
mercato del lavoro", per l'accesso al diritto alla casa; di sostenere " campagne
di educazione pubblica alla tolleranza rivolte alla popolazione non rom e
riguardanti la cultura e l'integrazione dei rom"; che incoraggino "le autorità
locali a fare un uso migliore delle opportunità di finanziamento offerte dai
fondi strutturali per promuovere l'inclusione dei rom, compreso il controllo
oggettivo dell'esecuzione dei progetti"; che riconoscano "l'importanza delle
organizzazioni rom a livello dell'Unione quale elemento indispensabile per
garantire il successo delle politiche di inclusione sociale".
Il 21.10.2010, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa emana una
Risoluzione di condanna dell'Italia per la sua politica di discriminazione dei
rom. Il 16.11.2011, il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 6050 annulla
il piano Maroni e abroga le tre ordinanze del 30.5.2008 di dichiarazione dello
stato di emergenza in Lombardia, Lazio, Campania.
In Via Idro la situazione peggiora nonostante che nel gennaio 2008 la Casa della
Carità vinca la gara d'appalto e, secondo la convenzione, diventi "gestore" del
campo. Occorre chiedersi come mai non hanno funzionato il centro polifunzionale,
il presidio sanitario, lo sportello lavoro. La cooperativa non ha più avuto
commesse lavorative. E la serra di 270 mq è fuori uso. Forse perché l'obiettivo
prioritario era (ed è ancora?) quello di smantellare il campo stabile per la
comunità storica e trasformarlo in "campo di sosta" o di "transito"?
Un percorso fattivo e condiviso
Eterogeneità e specificità delle soluzioni
Nell'affrontare la questione rom occorre tenere conto che in tutta Italia, come
nella stessa Milano, le comunità presenti sono diverse per storia, tradizioni,
presenza, integrazione, bisogni. Non esistono quindi a nostro giudizio soluzioni
standard replicabili automaticamente.
Quindi gli scriventi non intendono sottoporre proposte universali, ma che siano
invece ragionate sullo specifico delle persone e della zona coinvolte, che siano
gestibili, che facciano salvo il principio della coesione sociale. Se poi questo
può dar vita ad una discussione più generale sulla mediazione e gestione di
situazioni simili, non possiamo che esserne fieri.
Come nel passato, quando i campi sembravano l'unica soluzione per Rom e Sinti,
nei ragionamenti attuali sul loro superamento, c'è un vizio di forma. Rom e
Sinti non sono stati consultati allora e, ancora oggi, nessuno sente il dovere
di discutere assieme a loro le soluzioni che riguarda in prima istanza il loro
futuro.
Se i campi sono ghetti istituzionalizzati, ci poniamo alcune questioni:
la vera discriminazione è sempre stata considerare i Rom come cittadini di
seconda categoria, senza che avessero voce in capitolo nelle scelte che li
riguardavano;
i campi nomadi sono diventati col tempo una fonte di rendita non per chi ci
viveva, ma per le associazioni che li gestivano. Associazioni che si sono sempre
sentite in diritto di rappresentare le istanze di Rom e Sinti a loro uso e
beneficio;
infine, se i campi sono un ghetto, non è abolendoli che si risolve il
problema. Sarebbe spostare il problema per l'ennesima volta: lo affermiamo
sapendo di alcune famiglie rom che sono andate ad abitare in casa, abbandonate a
se stesse, portandosi dietro tutti i loro problemi e trovandosene di nuovi.
Ribadendo che allora per superare le indecisioni del passato e mettere in atto
strategie efficaci è indispensabile la PARTECIPAZIONE, come cittadini titolari
di diritti e doveri, a tutte le istanze che li riguardano, da quelle centrali a
quelle del decentramento.
Il termine campo
Per questo si rende necessario reimpostare il linguaggio e usare parole di senso
civile. Il termine "campo" è quello che più si presta a circoscrivere e
ghettizzare la vita dei nomadi, e contiene reminiscenze terribili di
persecuzioni concentramenti ed annientamenti etnici nel corso degli ultimi
secoli, e del periodo dei totalitarismi, in particolare del nazifascismo. Le
stesse aggettivazioni - campo di transito, di sosta, di permanenza temporanea -
denotano lo stigma dell'emarginazione e della precarietà, dell'allontanamento e
dell'espulsione dalla comunità dei cittadini.
Per attuare un'adeguata politica dell'ospitalità e del rispetto delle culture
ex-nomadi, dell'integrazione e del diritto di cittadinanza si pone il problema
del superamento dei campi e/o della loro chiusura. L'obiettivo del "superamento
dei campi" deve coincidere con la finalità di smetterla con i pregiudizi contro
questa etnia.
Secondo noi è più corretto ed efficace superare il termine "campo" ed usare
parole come "area", "villaggio", "comunità". Occorre chiudere definitivamente
con la fase barbara degli sgomberi e perseguire una politica attenta a
migliorare le condizioni strutturali degli spazi che ospitano i nomadi, allo
scopo di riconoscere – come afferma il Parlamento europeo – la piena
cittadinanza e la partecipazione socioeconomica dei rom e di garantire le pari
opportunità, nonché consentire la libera scelta rispetto alle modalità di vita
stanziali e residenziali. L'obiettivo del "superamento dei campi" deve essere
realizzato con il coinvolgimento consapevole e responsabile degli interessati,
con la gradualità necessaria e le modalità specifiche più diverse.
Nel caso di Via Idro, ci sono tutte le potenzialità e le positività perché il
"campo" venga rispettato per quello che è: una comunità storica e stanziale da
22 anni di cittadini italiani, in un'area da valorizzare nell'interesse generale
della comunità metropolitana e dei quartieri interessati.
Qui il "superamento del campo" non vuol dire sostituirlo con quello di "sosta" o
"transito", né "chiusura del campo".
In questo caso si tratta di realizzare un progetto di Villaggio sociale e
solidale permanente, vero e proprio presidio di un sito strategico del
costituendo Parco della Media Valle del Lambro, formato dalla comunità dei rom
harvati che scelgono di continuare a viverci assumendosi - assieme alle
istituzioni ed enti, associazioni e comitati di cittadini – compiti e
responsabilità all'interno di un progetto di lavoro e di cooperazione sociale
economica e culturale in diversi settori, in un contesto urbano ampio costituito
dai quartieri di Gobba / Crescenzago / Adriano / Via Padova del comune di Milano
e dai comuni confinanti di Sesto San Giovanni, Cologno Monzese e Vimodrone.
Un quadro normativo
Prima di elaborare nuove politiche (qualsiasi possano essere), riteniamo
indispensabile che l'amministrazione compia un bilancio critico sui risultati e
fallimenti del "Piano Maroni", come siano stati impiegati in passato i fondi
erogati, quante famiglie rom e sinti ne abbiano effettivamente beneficiato,
quali fondi residui sono a disposizione.
Occorre poi dare un quadro normativo certo e rispettoso dei diritti-doveri
previsti dalle leggi e dalla Costituzione, perché chi vi risieda sia un
cittadino a tutti gli effetti.
Da parte nostra, rimaniamo dell'opinione che, come tutti i cittadini abbiano
pari dignità, lo stesso principio valga per le forme dell'abitare, purché queste
non portino a violazioni di legge.
L'isolamento e la ghettizzazione non si possono superare imponendo modelli di
vita dall'esterno, ma solo con la condivisione e l'interazione.
Costruire certezze
Gli ultimi due anni hanno rappresentato un periodo di grande incertezza per la
comunità rom, dovuta al progetto di sostituire quella che a tutti gli effetti è
la loro casa, con un campo di sosta a rotazione. Progetto mai attuato, anche
perché assurdo, nella nostra zona o altrove. A parte questo, non siamo mai
riusciti a capire perché cittadini italiani in zona da sempre avrebbero dovuto
andare via, per lasciare il posto a gente che in tre mesi teoricamente avrebbe
dovuto trovare casa e lavoro.
Questa incertezza, unita a promesse di finanziamenti dal Comune per chi
intendeva lasciare il campo, ha portato qualcuno ad aprire un mutuo per
l'acquisto di un rustico da ristrutturare, altri a fare domanda per le case
popolari. Sinora alle promesse non sono seguiti i fatti, e tutta la comunità
vive nel costante timore di ritrovarsi per strada. Dopo anni di incertezza, gli
abitanti chiedono un pronunciamento chiaro e duraturo da parte del comune.
Se invece venissero mantenuti gli impegni di assistere chi ha scelto di essere
accompagnato nell'uscita dal campo, e nel contempo venissero allontanati
definitivamente da chi ne ha il potere, le poche famiglie degli occupanti
abusivi (che hanno comunque residenza altrove), le presenze si ridurrebbero a
circa 70/80 unità, dimezzando praticamente l'area sinora occupata e rendendo
possibile la trasformazione da campo-ghetto ad un vero e proprio villaggio alle
porte di Milano.
Presidio sociale
Qualsiasi siano le politiche future rivolte, nella maniera più condivisa
possibile, agli abitanti dell'attuale insediamento, andrà fatta una riflessione
critica sul ruolo del PRESIDIO SOCIALE, che in passato avrebbe dovuto fungere da
elemento chiave nell'affrontare le diverse questioni dell'abitare, della
scolarizzazione, del lavoro e della sanità, Nel contempo riteniamo che
l'attività di questo presidio avvenga col supporto dei servizi di zona preposti.
Difatti secondo noi una delle cause delle incertezze ricordate prima, è lo stato
di abbandono non solo fisico, ma anche sociale, in cui si soni ritrovati i
residenti, in particolare quelli che non avevano possibilità di compiere scelte
in autonomia.
Il lavoro
Cominciamo con questo punto, perché molto più di quello dell'abitare, è il
prerequisito per una scelta consapevole e duratura, tanto riguardo alla futura
integrazione che riguardo all'abitare.
Si tratta di passare da una situazione attuale di sostanziale precarietà
finanziaria ed esistenziale, ad una che permetta ai Rom di via Idro di poter
decidere in autonomia sulla loro esistenza. Non occorre partire da zero: si
tratta di cittadini italiani che già hanno iniziato questo percorso di
autonomia, che va ripreso e sostenuto.
Il lavoro, assieme alla formazione e alla scuola, è il pilastro portante del
progetto. Si tratta di valorizzare l'esperienza e la professionalità dei rom
harvati e di rimettere in attività la loro storica cooperativa Laci Buti.
La cooperativa può operare in diversi settori lavorativi:
- Manutenzione e cura del verde (taglio dell'erba e delle siepi, potatura alberi
ecc.), recinzioni, ecc.
- Produzione di verde e piante (ripristino del vivaio e della serra)
- Pulizia di aree urbane
- Sgombero di cantine e magazzini
con personale che ha seguito corsi professionali di operatore del verde.
Nel passato dava lavoro ad una ventina di persone, ma via via col tempo il
Comune ha tagliato gli appalti, e l'ultimo anno ha lavorato solo due giorni.
Eppure il lavoro è tutto intorno: in quell'area che le forze politiche e le
associazioni di zona vorrebbero rivalutare, e via Idro è praticamente un
corridoio verde che collega il parco Lambro e il parco del naviglio Martesana al
parco della Media Valle del Lambro. Quello che è mancato negli ultimi anni è
stata la volontà politica, di mantenere in vita questa esperienza e
contemporaneamente di realizzare un polmone verde nella zona, riqualificando
tutto il sistema-navigli in vista dell'Expo.
In passato alcuni giovani sono stati assunti all'AMSA, anche se attualmente ne
sono rimasti a lavorare solo due. Potrebbe essere un'esperienza da riprendere,
soprattutto per quelli che hanno meno di trent'anni.
A queste attività se ne possono aggiungere altre: di fronte alla crisi attuale
alcune famiglie hanno ripreso l'attività tradizionale di recupero e riciclo di
materiali usati e/o di rifiuti, anche se attualmente non è assolutamente
remunerativa. Per questo, grazie all'interessamento di alcuni volontari, si sta
progettando di frequentare un corso per operatori di ricicleria (tra l'altro
quella di via Olgettina si trova a poca distanza).
Riprendendo l'esperienza di parte di alcune famiglie della tradizionale attività
di allevamento di cavalli e di altri animali, che rischia di scomparire,
possibilità di ripristino di un'area con maneggio, servizio
psico-socio-terapeutico per le persone con handicap, ecc., da inserire nel
progetto con funzioni sociali e di tempo libero ed anche terapeutiche.
Le strutture Come soluzione abitativa indicheremmo quella già presente nel programma
elettorale del sindaco, cioè l'autocostruzione di moduli abitativi ad un piano
solo e non ancorati al terreno. Per questo ci si ispira a quanto presente nei
campi comunali di Muggiano e Chiesa Rossa, recentemente sottoposti a
ristrutturazione. Qualora un nucleo non fosse in grado di provvedere in
autonomia, si chiede un sussidio simile a quello disposto per chi volesse fare
un percorso di uscita dal campo.
Si mira così alla corresponsabilizzazione degli abitanti del campo che potrà
esplicarsi non solo nella partecipazione alla gestione del campo, ma anche
nell'assunzione di compiti diretti di riqualificazione e di manutenzione dello
spazio, sotto la supervisione di tecnici del comune. Per esempio: sistema
idraulico, fognario e antincendio, ristrutturazioni in economia, autocostruzione
di moduli abitativi, ecc.
Già attualmente esistono professionalità inespresse tra gli abitanti. Si tratta
di valorizzarle, volendo anche prefigurare servizi di gestioni e mantenimento
diretto, partecipati e senza che il comune debba appaltare esternamente questi
servizi.
Qualora, come è nostra speranza, questo villaggio potesse assumere carattere di
stanzialità, sarebbe opportuno, sempre nell'ottica dell'ottimizzazione delle
spese, progettare un impianto di riscaldamento a metano, o addirittura a
pannelli solari.
Manutenzione e riqualificazione
Il progetto prevede l'immediato ripristino delle condizioni strutturali
necessarie alla vita normale delle persone: bonifica e cura dell'area, acqua,
fognature, elettricità, centro polifunzionale, messa a norma di un sistema
residenziale leggero ed ecologico, in sintonia con l'ambiente naturale.
Il campo che sino a 10 anni fa era indicato come un modello, ultimamente ha
sofferto di mancanza di manutenzione. Oltre al ripristino della fornitura di
corrente elettrica (in via di attuazione) sono necessari alcuni interventi:
- ristrutturazione dei servizi igienici, che cadono a pezzi;
- risistemazione del sistema fognario, perché con la pioggia il campo si allaga;
- collegamento delle bocchette antincendio;
- infine, risistemare le piazzole esistenti, che sono deteriorate e calibrarle
per gli occupanti che rimarranno.
Questi sono semplici interventi manutentivi, secondo noi affrontabili con poca
spesa se, a differenza del passato, gli appalti dei lavori verranno assegnati
con chiarezza e a ditte responsabili.
Occorre inserire nel villaggio la Cascina Lambro. Qualora ci fosse la
possibilità fattiva, si chiede il suo restauro per adibirla a sede sociale,
centro culturale, archivio storico del canale Martesana e – come proposto da
altri – museo della bicicletta, proprio in un punto cruciale della pista
ciclabile Milano/Adda tra le più lunghe e significative della Lombardia. Si
propone che il finanziamento per questa opera venga attinto dai fondi per
l'Expo. In qualsiasi caso le sue condizioni attuali rendono ne rendono urgente
la messa in sicurezza.
Centro polifunzionale
Le attività di carattere culturale-artistico-musicale potranno essere proposte
anche in ambiti esterni, ma esiste già questa struttura che può fare da
incubatore.
Trattasi di un edificio in cemento armato, voluto dal Comune una quindicina di
anni fa, sostanzialmente inutilizzato, senza corrente elettrica e riscaldamento.
Già da subito, se venisse reso agibile, esistono progetti e professionalità per
utilizzarlo come sede per recupero scolastico, animazione invernale, o corsi
professionali (di cucito per le donne, ad esempio). Attività che si intendono
estendere anche a chi non abita in via Idro.
Il secondo passo è recuperarlo alla vita di zona, ospitando iniziative proposte
dal quartiere. Ulteriore particolare strategico, le varie proposte di utilizzo
di questo centro nascono dagli abitanti stessi di via Idro.
Scuola - formazione - cultura
Negli ultimi anni i tagli alla scuola pubblica hanno distrutto la possibilità di
aiutare non solo i bambini rom ma tutti quelli che avrebbero bisogno di tempi
più distesi e di interventi atti a facilitare la famosa integrazione di cui
tanto si parla.
La scuola deve rappresentare all'interno del progetto il trampolino di lancio
verso una vita dignitosa ma per fare questo occorrono interventi mirati per una
scolarizzazione di qualità dove risorse umane e strumenti non possono mancare.
Anche la frequenza dei corsi di "educazione per gli adulti" (assolutamente
gratuiti) siti nel plesso della scuola media Rinaldi possono rappresentare
un'occasione di conoscenza e scambio. C'è ancora molta diffidenza e paura da
parte della popolazione rom ad utilizzare le risorse presenti nel territorio.
Soprattutto le donne andrebbero accompagnate a conoscere i propri diritti e a
superare la diffidenza verso il mondo fuori dal campo, diffidenza legittima ma
che le priva di possibilità.
A parte ciò, deve trovare risposta l'annosa questione del pullmino scolastico
che accompagna i bambini alla scuola Russo. Non si capisce la ragione per cui
debba fermarsi all'angolo con via Padova, quando la via Idro viene percorsa
anche da camion. In questa situazione, i bambini che frequentano la scuola,
devono percorrere andata-ritorno ogni giorno un km. e mezzo, con qualsiasi
condizione atmosferica e con rischio per la loro incolumità. Si ricorda che
inizialmente il trasporto alunni era stato dato in appalto alla cooperativa Laci
Buti.
In sintesi, il progetto assegna all'istruzione, alla formazione e alla cultura,
centralità e priorità.
Si deve:
consolidare la pluriennale esperienza di inserimento e frequenza della scuola
dei bambini rom e valorizzare al massimo la collaborazione soprattutto con la
scuola elementare di via Russo;
prevedere itinerari di continuità scolastica nelle superiori ed eventualmente
un centro di formazione ed aggiornamento professionale in loco, con particolare
attenzione alle attività peculiari del villaggio;
Inserimento del villaggio nella vita del territorio
Esso dovrà essere reso evidente sia nell'ipotesi di un progetto di
riqualificazione della via Padova, sia nella disponibilità del campo stesso a
fornire opportunità di incontro ricreativo, culturale, sociale offerte a tutta
la popolazione. La Festa della Via Padova potrà costituire un'ottima occasione
per rendere visibile questo legame di appartenenza.
La proposta progettuale verrà sottoposta all'attenzione dei cittadini e delle
altre associazioni e comitati con cui è consolidata un'esperienza comune di
impegno civile e sociale, con la disponibilità alla massima apertura e alla
collaborazione più ampia e plurale possibile.
Si potrebbe valutare la costituzione di una Società di Mutuo Soccorso, a cui
aderiscono sia i promotori e i protagonisti del progetto sia altri soggetti ed
enti interessati.
Si propone che venga creato un Comitato di coordinamento indirizzo e controllo
formato dai rappresentanti dell'amministrazione centrale e di quella zonale del
Comune di Milano, dai protagonisti del progetto e, possibilmente, dai
rappresentanti del Parco della Media Valle del Lambro e dei comuni di Sesto San
Giovanni, Cologno Monzese e Vimodrone.
Un comitato tecnico-scientifico, composto da esperti in campo giuridico,
economico e amministrativo, ecologico/ambientale, di marketing e comunicazione
ecc., ha il compito di sviluppare tutte le fasi del progetto e di sovrintendere
alla loro realizzazione.
Enti pubblici e privati, con i quali allacciare relazioni di collaborazione e a
cui rivolgersi per il reperimento di risorse economiche e finanziarie: Consiglio
di Zona e Comune di Milano, Provincia, Regione, Unione Europea, Fondazione
Cariplo, Banca Etica, aziende della green economy.
Consiglio di Zona
Nella previsione di una ridefinizione e compiti del decentramento, è da
prevedere un coinvolgimento diretto del Consiglio di Zona che dovrà considerare
il villaggio di via Idro uno spazio di convivenza da adottare e dovrà anche
assumere, con le modalità da individuare, compiti di vigilanza, gestione,
offerta di servizi vari.
I soggetti promotori e protagonisti
Si assegna un ruolo centrale alla cooperativa rom Laci Buti, che deve operare in
collaborazione con le associazioni e i comitati di cittadini che aderiscono al
progetto e cooperano alle attività e alla vita del villaggio.
Oltre alla cooperativa Laci Buti e alla comunità rom, i soggetti promotori
coincidono con i firmatari della lettera aperta del 15 dicembre 2011 e i
rappresentanti di: Anpi di Crescenzago, Associazione elementare.russo, Comitato
Vivere Zona 2, Legambiente Crescenzago, Mahalla, Martesanadue.
Primi firmatari: ANPI Crescenzago - Associazione elementare.russo - ComitatixMilano Zona 2 -
Comitato Vivere Zona 2 - Comunità Rom Via Idro - Cooperativa Laci Buti -
Legambiente Crescenzago - Mahalla - Martesanadue - Sitart
Adesioni: Luca Bravi (Università Leonardo da Vinci -
Chieti) - Marcella Cavagnera - Gabriella Conedera -
Stefania Benedetti - Alessandra Reale - David Giannetti - Laura Quagliolo -
Piero Leodi -
Angela Tropea - Elisabetta Michelini - Doriana Chierici Casadio - Marcello
Zuinisi (Associazione Nazione Rom) - Marcel Costache (Romano Euro-Drom Pavia) -
Stefania Cammarata - Enrica Bruzzichessi - Paolo Matteucci - Alberto Ciullini -
Eleonora Casula - Barbara Breyhan, danzatrice (Sesto Fiorentino) - Carmela Tommaselli (Arezzo Ballet) - Laura
Coletta - Aldo Bonora - Silvana Calvo - Radames Gabrielli - Alessandro Morazzini
- Barbara Nardi - Fiorella D'Amore - Ludovica Barassi - Pietro Mervic - Alberto
Maria Melis - Margherita Cavallo - Giulia Mucelli - Irene Marfori - IdeaRom
onlus Torino - Carlo Berini - Marco Gimmelli - Francesca Barile - Luigi Colaianni - Agnese Cerasani
- Roberta Sasso - Giuliana Gemini - Monica Flann - Paolo Pinardi - Giancarlo
Ranaldi - Spazio Mondo Migranti (Parabiago) - Roberto Malini, Dario Picciau,
Matteo Pegoraro (gruppo EveryOne) - Sergio Franzese - Luciano Muhlbauer - Luca
Klobas - Erica Rodari - Ivana Kerecki - Coordinamento Nazionale per la
Jugoslavia onlus - Veronica Mognoni - Stefano Nutini - Gruppo Sostegno Forlanini
- Deborah Besseghini - Sandra Cangemi, giornalista, Milano - Alessandra
Bearzatto - Carlo Stasolla - Silvia Gobbo - Alberto Proietti
Questa [ieri ndr] mattina alle 6.30 un vasto incendio ha distrutto metà
campo Rom tra via Bonfadini e via Sacile a Milano. Al momento pare non ci siano
né feriti, né dispersi, ma l'intera area di circa mille metri quadri è stata
invasa dalle fiamme. I vigili del fuoco sono ancora sul posto per domare
definitivamente l'incendio.
Il campo, abitato da centinaia di persone, di cui almeno una settantina sono
minori che frequentano le scuole della zona, era già stato minacciato da una
serie di tentati sgomberi negli scorsi mesi.
Nel primo pomeriggio gli assessori Majorino e Granelli si sono recati in visita
al campo per verificare la situazione.
Foto: Agenzia Fotogramma
Video dal campo di Pellizzone, Karma Mara, Monopoli
Altre foto e notizie raccolte sul posto (le foto
verranno caricate in seguito)
[mercole 001.jpg]
Sentite diverse testimonianze, sembra si possa escludere la causa dolosa.
L'incendio è scoppiato probabilmente per una candela lasciata accesa.
I vigili hanno operato tutta la mattina, inizialmente con una sola autopompa,
poi diventate due ed infine sette quando l'incendio ha minacciato di raggiungere
la sede ferroviaria. Il fuoco ha distrutto circa metà del campo, ma buona parte
delle baracche superstiti sono inagibili perché inondate dal getto degli
idranti, affinché il fuoco non si propagasse. L'area bruciata è stata messa in
sicurezza, perché al suolo ci sono diverse sostanze tossiche. Anche a sera
l'aria era pesante dei fumi tossici.
[mercole 002.jpg]
Qualche ferito, in particolare una madre rimasta ustionata alle braccia nel
tentativo di salvare figli e nipoti dal fuoco. Si è rifiutata di andare al
pronto soccorso ed è stata medicata sul posto in un'ambulanza.
Molti degli abitanti del campo erano già tornati in Romania per le feste
pasquali, sul posto ne rimangono un centinaio circa, che per stanotte si
ammasseranno nella parte superstite del campo. Diversi di loro hanno perso anche
i documenti personali. Oggi in giornata dovrebbe esserci un nuovo incontro tra
gli abitanti e gli assessori per valutare il destino di chi è rimasto e dei
bambini che nel frattempo avevano iniziato a frequentare le scuole.
[mercole 003.jpg]
Dato che il comune non ha fornito alcun tipo di aiuto materiale, durante
tutto il pomeriggio e la sera sono arrivati materassi, coperte, indumenti
raccolti dai volontari del Gruppo sostegno Forlanini ed altri, almeno per
provvedere all'emergenza immediata.
Data la persistente situazione di urgenza (ed anche di tensione) si chiede a
chi voglia contribuire di farlo in modo coordinato con chi sta già provvedendo,
e quindi di mettersi d'accordo con STEFANO NUTINI (333-44.51.206) prima
di portare materiale o generi di conforto.
Di Fabrizio (del 07/04/2012 @ 09:30:10, in Italia, visitato 4275 volte)
Foto di Paul Polansky -
MilanoInMovimento: A breve l'intervista integrale a Paul Polansky su questo
sito.
All'alba di mercoledì un incendio ha distrutto metà del campo Rom di via
Sacile angolo via Bonfadini a Milano. L'area sotto sgombero è destinata alla
costruzione di uno svincolo della Statale Paullese e di un tratto di una rete
fognaria.
Attualmente la versione ufficiale dei fatti parla di un incendio non doloso
provocato da una candela situata all'interno del campo.
Il poeta Paul Polansky, già intermediario per l'Onu e premiato con lo Human
Rights Award nel 2004, si trovava nel campo durante la notte in cui le baracche
hanno preso fuoco e in un'intervista esclusiva rilasciata a Milano In Movimento
dà una versione radicalmente diversa dell'accaduto e in particolare delle cause
dell'incendio.
Guarda la VIDEO intervista in esclusiva di Milano In Movimento.
Ndr: L'intervista è stata concordata e realizzata in
collaborazione con la redazione di Mahalla
Nota:
Saluti a tutti,
Volevo scrivere oggi un rapporto su come e perché ci fosse stato un
incendio nel campo rom a Milano dove vivevo, ma al suo posto troverete qui sopra
un intervista con me in inglese ed italiano che spiega tutto.
Vi chiedo di girare l'intervista a tutti quanti siano interessati ad
aiutare questi Rom.. Almeno venti famiglie nel campo ora non hanno un tetto.
Stanno scavando tra i resti bruciati in cerca di materassi a molle per farsi
nuovi letti. Il comune non ha portato loro nessuna tenda e neanche nuove
baracche, come aveva promesso. L'unico aiuto è stato una tazza di Nescafe dopo
che l'incendio è stato spento.
Ora all'ingresso del campo ci sono 24 ore su 24 due macchine della
polizia. Perché, se è stata solo una candela a far scoppiare l'incendio? Ho
intervistato i poliziotti e chiesto loro perché erano lì. Mi hanno detto [che
era] per tenere lontani i Rom dal terreno intossicato (bruciato). Ma la polizia
permette loro di piantare le tende che si sono procurati su quel terreno tossico,
limitandosi ad osservarli dalle loro macchine, dato che i Rom passano tutto il
giorno su quel terreno in cerca di quello che hanno perso nell'incendio.
Spero che possiate dare una mano, appellandovi al sindaco di Milano.
Di Fabrizio (del 07/04/2012 @ 09:32:01, in Italia, visitato 2035 volte)
Da circa un mese, i due fratellini Libero e Il Giornale stanno battendo
la grancassa, ripetendo la notizia che con Pisapia (ed in assenza di sgomberi)
a Milano sono in aumento i "nomadi". E' il loro marchio di fabbrica: si
alternano nel ripetere la cosa, finché qualche altro media, per sfinimento o in
mancanza di altro da scrivere, si unisce al coro.
Leggendo le cronache dalle altre città (grandi e piccole) in Italia, ho
invece la sensazione che i cosiddetti "nomadi percepiti" (cioè: mendicanti,
lavavetri, mariuoli di vario calibro) siano in aumento un po' dovunque. Figli di
questi tempi, credo: nell'attuale situazione economica, non siamo solo noi a
perdere il lavoro, fare più fatica a fare la spesa o mandare i figli a scuola.
Ma si sa, che il compito della maggior parte dei giornali non è tanto fare
informazione, quanto trovare il colpevole, e a Milano si preferisce dare la colpa
a Pisapia, piuttosto che a Monti (o al suo predecessore, nessuno ricorda come si
chiamasse?)
La soluzione per Milano, apripista Libero e il Giornale, sarebbe riprendere
la vecchia e sana politica degli sgomberi ad oltranza che, a detta loro (ma
anche del prefetto Gian Valerio Lombardi), in passato aveva ridotto le presenze
nomadi in città.
Sarebbe utile ragionare sulle cifre riportate, e capire come vengano fornite.
Ad esempio, sulle stesse pagine dei quotidiani da anni si parla si situazioni al
limite dell'invivibile dentro TUTTI i campi rom cittadini, dove polizia e
carabinieri non riuscirebbero nemmeno ad entrare. Io al contrario posso
testimoniare che le loro pattuglie vi entrano regolarmente, anche una volta al
giorno, fanno il loro giro ed escono senza problema. Che quelle stesse pattuglie
con frequenza quasi mensile compiano una sorta di censimento (rigorosamente
prima delle 7.00 e non capisco il perché), ma che nonostante ciò in comune da
anni non sanno con quanti rom e sinti hanno a che fare. Quello che ricordo degli
sgomberi di De Corato, non è che portarono ad una riduzione delle presenze
nomadi in città, ma che si creò un'ondata di "nomadi di ritorno": sempre gli
stessi sgomberati ogni volta. I due giornali, con dietro il coro, dimenticano
che quella politica ebbe come risultato almeno una cinquantina di insediamenti
di fortuna, diffusi in tutta la periferia, dove venivano rimbalzati gli
sgomberati.
L'incendio questa settimana nel campo di via Sacile, ha risvegliato il
dibattito sul destino di questi insediamenti, e come porvi rimedio. Se l'ex
vicesindaco De Corato nostro ne approfitta per ribadire quanto lui era bravo,
l'attuale maggioranza -ormai da mesi- prosegue con dichiarazioni (tante) ed atti
concreti (meno), apparentemente contraddittori tra loro che, almeno riguardo
alla questione degli insediamenti abusivi, sta portando al risultato di avere le
stesse presenze di prima, ma più concentrate e periferiche rispetto al passato.
Occorre capire meglio cosa passi per la testa degli attuali
amministratori: sicuramente una delle cause della loro indeterminatezza è data
dal buco in bilancio della giunta precedente, già denunciato il luglio scorso.
La seconda causa è dovuta al fatto che dichiarando la Corte Costituzionale
illegittimo il Piano Maroni, sono scomparsi i fondi superstiti. In questa
situazione, non conoscendo quanti possano essere i soldi disponibili, le tante e
contraddittorie dichiarazioni sono fatte non tanto a ragion veduta, quanto per
motivi di propaganda a corto respiro.
Apro una parentesi: domenica scorsa ero all'insediamento di via
Sacile. In quel campo che TUTTI indicano come una bomba ad orologeria sociale,
gli abitanti mi mostravano le loro carte d'identità italiane (dato che sono
arrivati lì dopo innumerevoli altri sgomberi) - carte d'identità andate bruciate
con l'incendio. Buona parte dei maschi adulti ha un lavoro (per quanto in nero),
i bambini hanno iniziato ad andare a scuola. Quindi esistono anche dei Rom
"abusivi" che sono già sulla via dell'integrazione. Se fosse quello l'obiettivo,
sarebbe DOVERE dell'amministrazione aiutarli, trovare qualche modo meno
infernale di poter vivere. Ma le risposte ottenute dal comune spesso sono state
del tono "vogliamo aiutarvi, ma dovete andarvene".
Un esempio di cosa manca: il campo è (ovviamente) una gigantesca
discarica, il comune non effettua la raccolta dell'immondizia, per paura di
trattare TROPPO BENE questa gente (poco importa se le infezioni sono per loro
natura antirazziste, e attaccheranno tanto loro quanto il resto degli abitanti).
In Francia, anche se un insediamento è abusivo o a rischio sgombero, le
municipalità (di destra o sinistra) mettono sempre a disposizione dei cassonetti
per la raccolta rifiuti. In via Sacile sono gli OCCUPANTI ad autotassarsi per
poter pagare una compagnia privata che provveda.
Altro esempio: nel campo manca l'acqua, e più volte al giorno le
donne fanno un lungo percorso sino ad un parchetto cittadino munito di
fontanella, sollevando spesso il ribrezzo degli altri frequentatori del parco.
Alcuni OCCUPANTI avevano raggiunto un accordo col proprietario di una casa
abbandonata accanto al campo, per ripristinare il collegamento idrico. Ora
bastava superare una recinzione divelta per rifornirsi senza scandali. Dopo
qualche giorno, è intervenuta la polizia municipale per chiudere il rifornimento
dell'acqua così ottenuto.
Questo il panorama di un'integrazione che (discorsi a parte) viene resa
impossibile. La giunta attuale non chiede sgomberi, ma il "superamento dei
campi"; cosa cambi non è chiaro, in assenza di proposte su dove può finire
questa gente. L'alternativa pratica ai disastrosi campi attuali sembrano essere
campi ancora più disastrosi.
Luoghi disastrosi per gente altrettanto disastrosa. E qua, occorre misurare
l'approccio che si vuole avere con chi ci abita. Se UNA PARTE è gente come
quella che descrivevo sopra, quando si tratta di cercare un dialogo con
l'amministrazione, i toni tornano a quelli di anni fa: spaccio, prostituzione,
ricettazione, furti, ecc. (qualche volta gradirei anche dati e cifre, please),
diventano SCUSE per bloccare qualsiasi scelta che non vada oltre la pura
emergenza. Scuse, di cui gli house organ comunali, le pagine cittadine
del Corriere e di Repubblica, si fanno volentieri altoparlanti.
Con un'aggravante, per tornare al panorama dell'informazione: il
progressivo "superamento dei campi", dietro il paravento del ripristino della
legalità e del decoro, nasconde ancora, a distanza di anni e di giunte passate,
i vecchi appetiti che si chiamano Expo, speculazioni immobiliari varie e, nel
caso di via Sacile, i lavori di prolungamento della Paullese che, guardacaso,
Pisapia in campagna elettorale si era impegnato a bloccare. Ma, visto che
Pisapia per i suoi fan rimane intoccabile (e spesso inavvicinabile), il "lavoro sporco" viene
delegato ai Granelli ed ai Majorino del caso.
Quindi: Pisapia come Moratti e sgomberi come "pensiero unico"? Leggo, nelle
cronache romane, una descrizione della situazione nella capitale, governata da
una maggioranza diversa che sta investendo una marea di soldi per costruire
nuovi campi piazzati praticamente nel deserto: Rom, 21 luglio: "Con gli
sgomberi i campi sono aumentati da 80 a 269". La gente anche lì rimane
sempre quella, cambia il numero e la dimensione degli insediamenti di fortuna (diteglielo
voi
a De Corato).
E, permettete, destra e sinistra non usciranno da questo pantano (qualsiasi
cosa proclamino), se non troveranno il coraggio di "prendere il toro per le
corna", anche a costo di scelte impopolari. Scelgano una buona volta: la
repressione dura e pura, con la PULIZIA ETNICA delle città. Oppure, prendano
atto (magari non lo sanno...) che ci sono centinaia di edifici abbandonati sul
territorio, potrebbero risolvere una buona parte del problema o, se restano
abbandonati, prima o poi verrà qualche sgomberato ad occuparli. Io non ero
ancora nato, ed in un'Italia sicuramente più povera di quella odierna, i vecchi
politici di un vecchio centro (poi centro-sinistra), avevano già iniziato a
smantellare le coree (molto più estese dei campi attuali), a favore di una
politica della casa per le masse di immigrati che si erano riversate a Milano,
Roma, Torino ecc.
Sappiate, signori amministratori, che quel che dovreste fare voi
(scolarizzazione, facilitare l'accesso al lavoro, ai servizi pubblici e
sanitari, dialogare con Rom ed altri cittadini) a Milano ed altrove lo stanno
facendo da anni nuclei di volontari, sempre più numerosi e coscienti. Sono il
capitale di un'amministrazione senza soldi, signori amministratori, sono i vostri votanti. Non fate la
faccia offesa se vi chiedono ASCOLTO e RISPETTO.
Nel frattempo: Matteo Salvini è sempre stato un ragazzo sveglio ed attivo,
uno che la città se la gira da cima a fondo. Giovedì mattina era con i suoi in via Sacile, per
dire ai Rom che dovevano andarsene. Mi dicono che la sera sia apparso
contemporaneamente in televisione su Matrix, prendendosela con gli zingari
ladri, e a Porta a Porta, piangendo sui (presunti) furti della Lega.
Schizofrenico grave.
Di Fabrizio (del 11/04/2012 @ 09:52:12, in Italia, visitato 5937 volte)
VICINI DISTANTI cronache da via Idro a cura diFabrizio Casavola
LIGERA edizioni - collana Idee
128 pagine - 14 euro
Dall'Introduzione
Ho fatto un calcolo: quasi metà dei gagé che conosco ha scritto almeno un libro.
In compenso l'Italia rimane da anni uno dei paesi dove si legge di meno.
Probabilmente è questo il motivo per cui fino ad ora non avevo mai nemmeno
provato a scrivere qualcosa. Silenziosamente divoro libri su libri, ma ancora
non ho imparato a farne uno.
E infatti, cercavo di tranquillizzarmi mentre scrivevo queste righe, ci vuole
coraggio a definire libro le pagine che avete in mano. Non c'è traccia di
poesia, e neanche una trama. Di certo non è un saggio o un testo di studio.
Inoltre ricordi e considerazioni non hanno una scansione temporanea lineare, e
rischierete di vagare avanti e indietro nel tempo, alla ricerca di una logica.
Se accettate il mio suggerimento, prendetele come una serie di istantanee
messe in lettera, non sempre conseguenti, da cui potranno sortire (sempre che lo
vogliate) ragionamenti, riflessioni o un semplice cazzeggio. Il tipo di
scrittura è molto simile a quella che ho imparato ad adoperare in Internet: più
da blog e facebook che da twitter. Amo la sintesi ma il limite dei 140 caratteri
non fa per me.
Ci sono poi dei motivi per cui ho deciso di rivolgermi a voi in questo modo:
Come vedrete andando avanti, scriverò di Rom, o almeno di quel poco che
conosco di loro, sapendo che posso sbagliare ed essere corretto a mia volta.
Quelli di cui parlo non sono Rom immaginari o da rotocalco, ma persone reali con
cui ho agito, discusso, riso, litigato per anni.
A volte mi chiedo quanto ha influito la loro cultura orale nel creare questo
rapporto, così che non mi limitassi a considerarli solo carne da studiare sui
libri, ma persone con una ricchezza interiore da conoscere "sul campo".
Purtroppo la bellezza di una cultura orale è impotente di fronte alla protervia
degli amministratori e delle "giacche blu". Per questo, circa 10 anni fa
cominciai a raccogliere
quanti più documenti e testimonianze scritte possibili, sapendo che questo
tipo di memoria orale è destinata a soccombere nel confronto con una società
esterna molto più numerosa, organizzata e strutturata.
Internet ha fatto il resto, mettendo in rete e rendendo disponibili tutta una
serie di informazioni che altrimenti sarebbero rimaste patrimonio di pochi
circoli ristretti.
Arrivo al secondo punto. Anche se si crede che le società nomadi (o le comunità
straniere in genere: basta pensare a tutto quello che si dice dei cinesi) siano
società chiuse ed impermeabili alle novità – progresso – mondo esterno ecc., ho
constatato di persona che non è così. Come evolve la nostra società, evolve la
loro, al doppio della velocità. Ci mischiamo e interagiamo di continuo, anche
senza accorgercene.
La storia dei Rom che segue è scandita da numerosi e ripetuti tentativi di
contatto con il mondo dei gagé. Conosco molte persone che hanno raccolto il loro
richiamo, ma a livello mediatico e della cosiddetta opinione pubblica è come se
si continuasse a vivere in mondi impermeabili.
Prima che risorse, i Rom rappresentano un problema, posto in quartieri
problematici a loro volta. Lo sa bene chi conosce via Padova (ed il quartiere
attorno a via Idro) che li accoglie da decenni. Ora che qualcosa s'è mosso, ci
sono studiosi ed universitari che studiano la via, alcuni li ho accompagnati al
campo di via Idro. Magari hanno poi scritto cose bellissime, ma non hanno avuto
il coraggio di studiare assieme i due piani del problema, che potrà (può, per i
più ottimisti) evolvere a risorsa se viene affrontato nella sua globalità.
Quindi, questa è una storia disordinata di cui sta a voi rintracciare i tanti
fili. Una storia che spero possa svelarvi qualcosa su chi rimane sconosciuto e
misterioso, nonostante oltre 40 anni di presenza in zona. Racconti, comunicati,
frammenti di discorsi, gioie ed amarezze, che sarebbe bello condividere, e
magari tramandare.
E', in poche parole, la testimonianza di un tentativo forse unico, di comunicare
e crescere con la società esterna, però nel costante rispetto della propria
cultura ed identità. Con tutte le contraddizioni affrontate e da affrontare.
E non mancherà qualche incursione nella cronaca nazionale, o nel dibattito
eterno su cosa significhi vivere in periferia (su cosa sia la periferia, visto
che i centri storici sono ormai quasi ovunque territori residuali e disabitati).
Nessuno vive su un'isola.
Leggendo potreste trovarvi a scorgere voi stessi dall'oblò di una roulotte,
quasi foste voi per una volta rinchiusi in un campo o in uno zoo.
Tutto questo, avevo bisogno di metterlo su carta. Il resto, le notizie
quotidiane dai Rom e dai Sinti di tutto il mondo, potete sempre trovarle sul mio
blog [...]
Non sono bravo nei ringraziamenti: sicuramente vanno agli abitanti del
villaggio di via Idro, con cui ne ho fatte di tutti i colori... alle persone ed
alle organizzazioni citate (qualcuno/a l'avrò sicuramente dimenticato/a). Un
grazie particolare a Stefania Ragusa, che non solo mi ha aiutato nella
correzione delle bozze, ma ha anche tentato di spiegarmi qualcosa dello strano
mondo dell'editoria. Infine, un grazie in anticipo a chi, per qualsiasi motivo, mi darà una
mano a presentare queste storie.
Attualmente disponibile presso:
Enoteca
Ligera, via Padova 133, Milano (aperta dalle 18.00 alle
2.00, chiusura settimanale martedì)
Nell'anno 2003 con altri amici abbiamo avviato il "progetto federazione" al
quale abbiamo dedicato tempo e risorse personali per promuovere il suo sviluppo.
Con le iniziative del progetto federazione sono emerse con chiarezza le
motivazioni che impediscono il perseguimento di obiettivi utili alla causa romanì italiana, e le difficoltà per una
"riforma morale, intellettuale e
politica" essenziale allo sviluppo della cultura romanì e alla partecipazione
attiva e qualificata di rom e sinti.
Motivazioni e difficoltà anche per la partecipazione attiva di rom e sinti, in
questi anni pessimamente interpretata e realizzata, ponendola al rischio di
delegittimazione.
Motivazioni e difficoltà che mi hanno convinto alle dimissioni da presidente
della Federazione romanì e ad abbandonare la stessa associazione per progettare,
con alcuni amici, una radicale evoluzione del progetto federazione con la
costituzione di una fondazione, denominata Fondazione romanì Italia con sede
legale a Roma in Via Z. Fontana n. 220, per sostenere e/o realizzare azioni di
sistema visibili ed utili alla causa romanì.
Una fondazione aperta, con le modalità previste dallo statuto, a tutti coloro
che condividono le finalità e lo scopo.
Il materiale di comunicazione della fondazione è stato progettato da un'agenzia
di comunicazione gestita da un giovane rom, ed è in corso di realizzazione.
Il 03 Maggio 2012 è stata programmata, a Roma, la presentazione pubblica della
fondazione.
Di Fabrizio (del 17/04/2012 @ 09:17:57, in Italia, visitato 2071 volte)
Domenica sera è tornato il fuoco, a distanza di 10 giorni, a riprendersi ciò che
era rimasto dell'insediamento
di via Sacile, che ora non esiste più. Il racconto di chi c'era:
MilanoinmovimentoDi
nuovo a fuoco il campo rom di Via Bonfadini! Aggiornamenti in diretta e foto.
a cura di Karma Mara
23.30 Una cinquantina di persone accetta una sistemazione provvisoria di una
notte presso la Caritas.
23.00 Una parte degli abitanti del campo si rifiuta di accettare la soluzione
che li vedrebbe per una notte presso la Caritas (che offrirebbe loro un tetto ma
non posti letto): la loro preoccupazione è quella di trovare una nuova area e
non una sistemazione temporanea per la notte. Chiedono alle autorità la
possibilità di accamparsi presso il Parco Lambro o di restare nell'area
bruciata.
L'amministrazione rimane ferma sulle sue proposte invitando le famiglie ad
accettarle, pena lo sgombero.
La protezione civile porta tea e biscotti, ma nessuna tenda. Gli assessori
Granelli e Majorino contatteranno domani mattina le associazioni per cercare di
gestire l'emergenza.
22.30 L'amministrazione propone di suddividere gli abitanti del campo in tre
grandi gruppi, senza separare le famiglie da sistemare rispettivamente pquesta
notte alla Caritas, alla Ceas e dai Francescani di via Saponara. Ancora da
capire quale sarà la soluzione per i giorni a venire soprattutto dal momento che
l'area non è più considerata agibile ed è stata sigillata.
22.09 Si susseguono le testimonianze, sembra proprio che il tempo intercorso tra
le chiamate d'emergenza e l'arrivo dei soccorsi sia stato particolarmente lungo
e soprattutto che all'inizio i vigili del fuoco erano in numero e con mezzi
palesemente al di sotto delle necessità…come dire: hanno voluto che il campo
finisse di bruciare del tutto? Questa la domanda pesantissima che ci si sta
ponendo.
21.45 Gli Assessori Comunali, in accordo con gli abitanti del campo, stanno
procedendo ad un censimento delle persone per capire quante siano. Si parla di
trovare una soluzione per stanotte anche se ancora nessuno dice quale potrebbe
essere. Nel frattempo alcune donne del campo contiguo hanno detto agli Assessori
che le prime fiamme sono state viste alle 20.00 e la prima telefonata ai vigili
del fuoco è stata fatta alle 20.05. Chiedono quindi come mai i primi soccorsi
siano arrivati solo alle 20.30 visto e considerato che dovevano giungere da
piazzale Cuoco che è a poche centinaia di metri dal campo.
21.33 Sono arrivati gli Assessori comunali Granelli e Majorino. Si attende di
capire se e cosa proporranno per affrontare la situazione d'emergenza in atto.
Alcuni volontari intanto si sono recati alla vicina parrocchia, sembra per
chiedere delle coperte per le persone che hanno perso tutto. Sembra inoltre che
poco fa la Polizia abbia portato via un abitante del campo che affemava di aver
visto la dinamica che ha portato all'incendio.
21.20 E' di nuovo in fiamme il campo rom di Via Sacile Bonfadini.
Dopo l'incendio di alcuni giorni or sono in questo momento si stanno di nuovo
propagando le fiamme.
Le prime voci parlano di un incendio causato da una persona del campo, sembra in
stato di ubriachezza, si dice si tratti di un gesto di disperazione e fronte di
una situazione ormai ancor più drammatica del solito.
Gli abitanti del campo sono ora in mezzo alla strada, nei pressi di una rotonda
dove hanno ripreso a circolare i tir e senza alcun posto dove andare.
C'è un'autopompa dei vigile del fuoco, diverse macchine dei carabinieri, si dice
stia arrivando l'assessore Granelli del Comune di Milano.
La sera stessa su
Facebook, appare un messaggio di
Pierfrancesco Majorino,
assessore alle politiche sociali del comune di
Milano: il campo rom di via sacile è andato a fuoco.
siamo qui con l'assessore granelli e alcuni
volontari che ringraziamo. Stiamo cercando
soluzioni per la notte. Aspettiamo già la solita
accozzaglia di razzisti che da domani ci dirà di
lasciarli,anche i bambini, al loro destino.
La distruzione pressoché totale dell'insediamento, mette anche a
tacere
i sospetti e le indagini che sarebbero nate dal primo incendio del 4 aprile
scorso. Nel frattempo si era anche aperto un dialogo tra occupanti del campo,
associazioni ed amministrazione comunale. Sulla situazione attuale:
MilanoinmovimentoAggiornamenti dal campo rom di via SacileAnna Pellizzone e Karma Mara
Terra bruciata. Quello che rimane del campo di via Sacile sono una distesa di
macerie e qualche baracca sopravvissuta. Centinaia di uomini, donne e bambini
sono rimasti senza tetto e alla situazione di emergenza immediatamente
successiva all'incendio dovrà far seguito necessariamente una soluzione più
definitiva. Proprio in queste ore le autorità stanno discutendo come affrontare
la situazione.
Le associazioni, che questa mattina erano al campo, hanno chiarito che le
persone che ieri sera non volevano in prima battuta passare la notte presso la
Casa della Carità di Don Colmegna - anche in seguito ad esperienze passate che
hanno visto l'affidamento dei minori ai servizi sociali con separazione dalle
famiglie - hanno infine accettato di recarsi al Ceas del Parco Lambro (Centro
Ambrosiano di Solidarietà).
Le difficoltà nei rapporti tra la comunità Rom e la Casa della Carità hanno
origine durante la precedente amministrazione, quando la fondazione di Don
Colmegna, in particolare in occasione dell'incendio al campo Rom di via
Triboniano del 2007, aveva avviato una stretta collaborazione con la Giunta
Moratti applicando il Patto di Legalità, in linea con il criticato Decreto
emergenza - noto come Piano Maroni - dichiarato poi illegittimo dal Consiglio di
Stato nel novembre 2010.
Il Decreto Emergenza e tutti i decreti attuativi ad esso successivi prevedevano
la nomina di commissari speciali, autorizzazioni di allontanamenti, sgomberi e
schedature. Non stupisce quindi che il ricordo di quegli anni abbia spinto molte
famiglie a rifiutare di dormire sotto il tetto della Casa della Carità.
Il presunto responsabile dell'incendio sembra sia stato identificato e forse
catturato ieri sera in zona Rogoredo in seguito a una collaborazione tra gli
abitanti stessi del campo e le forze dell'ordine.
Sempre secondo quanto appreso ieri sera, le famiglie rom questa mattina saranno
scortate al campo per recuperare i pochi averi non compromessi dalle fiamme,
mentre l'area sarà a breve interessata da una bonifica integrale che aprirà la
strada alla ripresa dai lavori di fognatura.
Quello che rimane da chiarire è la ragione del ritardo dei Vigili del Fuoco
denunciato da alcuni presenti. Secondo alcune testimonianze raccolte da Milano
in Movimento questa mattina tra la chiamata ai pompieri e l'arrivo della prima
autopompa è infatti trascorsa circa mezz'ora, nonostante la stazione dei vigili
del fuoco si trovi in piazzale Cuoco a poche centinaia di metri dal campo
bruciato.
«Siamo andati a chiamarli anche di persona recandoci alla stazione», hanno
dichiarato alcuni testimoni, «ma la risposta è stata che per l'intervento era
necessario aspettare una chiamata». Chiamata che, come testimoniato dalla foto
[...], è stata effettuata alle 20.05.
A breve aggiornamenti su questo sito.
Finalino sconsolato:
Contemporaneamente, sempre a Milano, lunedì mattina si svolgeva una
conferenza stampa per illustrare un
piano elaborato da
Rom, cittadini e associazioni, sul destino di un altro insediamento,
comunale stavolta. Un progetto frutto di anni di lavoro.
Scarsa a nessuna attenzione, escludendo una manciata di secondi (vedi
dopo 8'45") sul TG regionale. Sembra che i Rom vadano bene quando fanno
scandalo, che brucino come in via Sacile o che diano voce all'insoddisfazione
del cittadino medio (vedi
appena uscito). Cercare assieme soluzioni (e non da ieri) pare
destinato a restare una non-notizia.
Chiudo, con la terza segnalazione dall'insediamento bruciato. Non ho
avuto tempo per recarmi lì o sentire i superstiti all'incendio, quindi la parola
torna a:
MilanoinmovimentoProfughi rom di via Sacile: le soluzioniPubblicato da
Anna_MiM
Dopo gli incontri di oggi, il Comune, insieme alle associazioni di volontariato
e alla Protezione civile, ha messo a disposizione le proprie strutture per dare
alloggio alle 120 persone evacuate dopo l'incendio che stanotte ha bruciato le
baracche del campo rom di via Sacile.
Le strutture messe a disposizione dal Comune hanno carattere temporaneo (dai 6
ai 15 giorni) e sono adatte solo per fronteggiare l'emergenza, ma consentono di
non dividere i nuclei familiari e, quindi, di non separare i minori dai loro
genitori.
Tra i profughi del campo cento persone si sono rifiutate di accettare le
soluzioni proposte dal Comune e hanno trovato rifugio sotto una tettoia nei
pressi di viale Forlanini. La polizia, già pronta per lo sgombero, ha poi
sospeso l'operazione. Il gruppo di sostegno Forlanini sta provvedendo in queste
ore a fornire coperte e vestiario.
In merito alla vicenda, il sindaco Pisapia ha dichiarato: "Occorre innanzitutto
trovare i responsabili di questo incendio, perche' pare sia di natura dolosa, e
su questo ovviamente ho la massima fiducia nell'attivita' della Procura".
Secondo il sindaco, pero', e' necessario "dall'altra parte trovare soluzioni
importanti per coloro che abitavano in quel luogo e ai quali adesso dobbiamo
offrire ospitalita', ma in un percorso di inserimento".
Nel frattempo, il campo di via Sacile, dove oggi gli abitanti del campo,
scortati dalle forze dell'ordine, si sono recati per recuperare i loro averi e
dove erano pronti a reinsediarsi, è stato definitivamente chiuso e presto,
sull'area interessata dal cantiere della MM per l'allargamento della Paullese,
partiranno i lavori.
Attualmente tutta la zona è presidiata dalla Polizia locale e dalle Forze
dell'Ordine per impedire l'accesso e garantire la sicurezza e la legalità.
Anche le poche baracche superstiti all'incendio sono state già abbattute nel
pomeriggio. [...]
Di Fabrizio (del 21/04/2012 @ 09:24:29, in Italia, visitato 1207 volte)
La Stampa 19/04/2012 - IL CASO - Una foto scattata durante il reportage
di pochi giorni fa nel campo nomadi di via Germagnano per testimoniare le difficili
condizioni igienico sanitarie, malgrado mesi di sforzi e promesse
MULTIMEDIA
«Sforzi vani senza soldi per le politiche sociali»
NICCOLÒ ZANCAN - TORINO: Quella notte di dicembre si sentivano grida
terrificanti: «Zingari, andate via, vi ammazziamo tutti!». Lanciavano bottiglie
molotov contro le baracche. Volevano vendicare lo stupro di una ragazzina di 16
anni, che in realtà era uno stupro inventato. Sono passati quattro mesi dal
pogrom delle Vallette. Ma Torino non dimentica. Non vuole e non può. «Parlare di
questa vicenda mi provoca ancora molto dolore - dice l'assessore
all'Integrazione Ilda Curti -, il raid contro il campo nomadi della Cantinassa è
stato l'episodio più violento vissuto dalla città negli ultimi anni. Quello che
è successo ci costringe a fare i conti con germi che sono fra noi. Germi di
insofferenza, di rabbia e di razzismo, aggravati da questo periodo di crisi
economica. Ma non dobbiamo stare fuori dai problemi e guardarli da lontano.
Andiamoci nelle periferie! Dobbiamo cercare di capire, impegnandoci con tutti
gli strumenti che abbiamo a disposizione, perché non si rompa la rete della
solidarietà e dell'inclusione».
Di rom, di pregiudizi e del ruolo dei media. Dei problemi nei campi nomadi di
Torino. Dei finanziamenti che mancano per politiche sociali più incisive e
persino per sgomberare i rifiuti. Di tutto questo si è discusso ieri sera al
Museo della Resistenza, in corso Valdocco. Posto quanto mai evocativo, come ha
spiegato il giurista Vladimiro Zagrebelsky: «I rom erano nei campi di
concentramento con gli ebrei e gli omosessuali. Le ragioni per cui siamo qui è
anche storica. Quello che mi colpisce maggiormente è che spesso sono trattati
come stranieri e invasori, ma per la maggior parte i rom sono cittadini italiani
con diritti uguali ai nostri. Come ci sono i diritti delle persone che vivono a
fianco dei campi nomadi.
Siamo di fronte a un problema estremamente complesso». Sul ruolo dei media, in
particolare su quello dei quotidiani, è intervenuto Mario Calabresi, direttore
de La Stampa: «Io credo che sul tema dell'integrazione, la ricetta di un buon
giornalismo sia racchiusa in una sola formula: fornire contesti. Dare
spiegazioni, approfondire i temi, ricostruire senza semplificare. Altrimenti si
parla solo alla pancia dei lettori e si rischia di mettere in evidenza i
peggiori istinti». Il presidente del museo, Gianmaria Ajan, dice: «Siamo di
fronte all'immagine di una città assediata, ma non dall'esterno. In questi mesi,
con la crisi e la disoccupazione, sta crescendo una forte insofferenza sociale».
Ilda Curti: «È la tensione che vivono gli ultimi con i penultimi. Non dobbiamo
lasciarli soli».
Mancano soldi per mettere in campo politiche sociali più efficaci. Milano ha già
ricevuto 20 milioni di euro, Roma oltre 50, erano i fondi stanziati dal governo
per fronteggiare l'«emergenza rom». Ma i 5 promessi a Torino non sono mai
arrivati. Adesso non sono più disponibili.
Qui ci sono 800 nomadi regolari e quasi quattromila fantasmi. Una baraccopoli
che sta crescendo a dismisura sulle sponde della Stura. Il Pdl ha fatto i conti
in tasca al Comune: «Nel 2010 per i 4 campi nomadi autorizzati - spiega Maurizio
Marrone -, fra luce, acqua, riscaldamento, pulizie, derattizzazione,
manutenzione ordinaria e straordinaria e mediazione culturale si sono
volatilizzati 1.240.363,27 euro più Iva. Eppure, a fronte della spesa ingente, i
pessimi risultati sono sotto gli occhi di tutti». L'assessore Ilda Curti: «Sono
i soldi che servivano per la gestione. Non mi paiono così tanti, anzi...».
Clelia Bartoli. Razzisti per legge. L'Italia che discrimina. Editori
Laterza, pp. 180, 12 euro
Clelia Bartoli è l'autrice di Razzisti per legge. L'Italia che discrimina,
saggio che, partendo dal Black Power e dal rapporto MacPherson del '99, analizza
il razzismo istituzionale del nostro Paese. La scoperta è che sì, l'Italia è un
Paese razzista. Ecco come individuarlo e combatterlo
RAZZISMO ISTITUZIONALE. Esiste un razzismo individuale, che si palesa con atti
discriminatori o violenti. E un razzismo di sistema, nascosto tra le pieghe di
leggi e istituzioni e che pervade la vita pubblica. Sono passati più di
cinquant'anni dal lancio del manifesto Black Power da parte di Stokely
Carmichael e Charles Hamilton negli Usa, ma le intuizioni di fondo restano
ancora attuali.
La loro analisi verteva su una società la cui maggioranza e minoranza erano
entrambe a casa loro, ma le cui istituzioni funzionavano avendo come solo
modello la prima. L'America della segregazione razziale non poteva disfarsi
degli afroamericani bollandoli come immigrati o clandestini. E per marcare le
differenze fece in modo che la legge stessa le creasse, istituisse le distanze
tra bianchi e neri assicurando la supremazia ai primi.
Come questo discorso faccia un balzo di cinque decadi e giunga a noi
lo spiega Clelia Bartoli nel suo
Razzisti per legge. L'Italia che discrimina (Ed.
Laterza). Partendo da Potere Nero e dal rapporto MacPherson del 1999, l'autrice
si chiede se l'Italia è un paese razzista, analizzando non solo il complesso di
politiche, leggi e norme operanti nel campo dell'immigrazione, ma anche la
reazione delle istituzioni in casi specifici, di rilevanza nazionale come
l'emergenza Lampedusa o locale, come la vicenda dell'assegnazione di un lussuoso
attico ad una famiglia rom nel quartiere Libertà di Palermo. La risposta è, come
ci si può aspettare, "sì".
Il razzismo istituzionale agisce all'opposto di quello individuale o di gruppo:
una legge, una norma non produce violenza, è credibile e induce le vittime a
interiorizzare il pregiudizio verso di sé. Fa di più: costruisce la realtà. Se
il governo, le istituzioni considerano una minoranza come pericolosa o
sgradevole e la confinano in aree ghetto, è molto probabile che questa poi
manifesti devianza, "andando così a confermare il pregiudizio che aveva motivato
la loro segregazione".
Le riflessioni teoriche accompagnano l'analisi dei fatti di attualità, ma il
timore di Bartoli sembra essere anche un altro: che
gli immigrati si trasformino
in un "nuovo Meridione", lasciati ai margini della società, ma con una
distribuzione degli effetti che va ben oltre i soli esclusi. E' un sottofondo,
appunto, ma importante, imposta la questione come un affare che non riguarda
solo i migranti, così come non ha mai interessato solo il Sud la mafia o
l'emigrazione e le conseguenze sono note.
Colpire il razzismo istituzionale significa spuntare un'arma rivolta verso tutta
la società, attaccare quel sistema che fomenta il disagio per poi spacciarlo
come naturale. Una legge crea sì delle regole, ma impone anche differenze,
confini, pregiudizi. Saperlo, aiuta a discernere i meccanismi che inficiano la
vita di ognuno di noi.
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