Corriere Immigrazione
Clelia Bartoli. Razzisti per legge. L'Italia che discrimina. Editori
Laterza, pp. 180, 12 euro
Clelia Bartoli è l'autrice di Razzisti per legge. L'Italia che discrimina,
saggio che, partendo dal Black Power e dal rapporto MacPherson del '99, analizza
il razzismo istituzionale del nostro Paese. La scoperta è che sì, l'Italia è un
Paese razzista. Ecco come individuarlo e combatterlo
RAZZISMO ISTITUZIONALE. Esiste un razzismo individuale, che si palesa con atti
discriminatori o violenti. E un razzismo di sistema, nascosto tra le pieghe di
leggi e istituzioni e che pervade la vita pubblica. Sono passati più di
cinquant'anni dal lancio del manifesto Black Power da parte di Stokely
Carmichael e Charles Hamilton negli Usa, ma le intuizioni di fondo restano
ancora attuali.
La loro analisi verteva su una società la cui maggioranza e minoranza erano
entrambe a casa loro, ma le cui istituzioni funzionavano avendo come solo
modello la prima. L'America della segregazione razziale non poteva disfarsi
degli afroamericani bollandoli come immigrati o clandestini. E per marcare le
differenze fece in modo che la legge stessa le creasse, istituisse le distanze
tra bianchi e neri assicurando la supremazia ai primi.
Come questo discorso faccia un balzo di cinque decadi e giunga a noi
lo spiega Clelia Bartoli nel suo
Razzisti per legge. L'Italia che discrimina (Ed.
Laterza). Partendo da Potere Nero e dal rapporto MacPherson del 1999, l'autrice
si chiede se l'Italia è un paese razzista, analizzando non solo il complesso di
politiche, leggi e norme operanti nel campo dell'immigrazione, ma anche la
reazione delle istituzioni in casi specifici, di rilevanza nazionale come
l'emergenza Lampedusa o locale, come la vicenda dell'assegnazione di un lussuoso
attico ad una famiglia rom nel quartiere Libertà di Palermo. La risposta è, come
ci si può aspettare, "sì".
Il razzismo istituzionale agisce all'opposto di quello individuale o di gruppo:
una legge, una norma non produce violenza, è credibile e induce le vittime a
interiorizzare il pregiudizio verso di sé. Fa di più: costruisce la realtà. Se
il governo, le istituzioni considerano una minoranza come pericolosa o
sgradevole e la confinano in aree ghetto, è molto probabile che questa poi
manifesti devianza, "andando così a confermare il pregiudizio che aveva motivato
la loro segregazione".
Le riflessioni teoriche accompagnano l'analisi dei fatti di attualità, ma il
timore di Bartoli sembra essere anche un altro: che
gli immigrati si trasformino
in un "nuovo Meridione", lasciati ai margini della società, ma con una
distribuzione degli effetti che va ben oltre i soli esclusi. E' un sottofondo,
appunto, ma importante, imposta la questione come un affare che non riguarda
solo i migranti, così come non ha mai interessato solo il Sud la mafia o
l'emigrazione e le conseguenze sono note.
Colpire il razzismo istituzionale significa spuntare un'arma rivolta verso tutta
la società, attaccare quel sistema che fomenta il disagio per poi spacciarlo
come naturale. Una legge crea sì delle regole, ma impone anche differenze,
confini, pregiudizi. Saperlo, aiuta a discernere i meccanismi che inficiano la
vita di ognuno di noi.
di Luigi Riccio