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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 13/01/2011 @ 09:58:33, in Italia, visitato 1662 volte)

Realizzata per il GIORNO DELLA MEMORIA 2011, organizzata dall' Associazione La Conta in collaborazione con la Sezione ANPI Martiri di Viale Tibaldi, con l'Istituto Pedagogico della Resistenza di Milano ed il Circolo ARCI Martiri di Turro, che ci sarà, con ingresso gratuito, con tessera arci

Lunedì 17 gennaio 2011 alle 21,00 - Incontro dedicato a "I campi di concentramento dei Rom e dei Sinti in Italia nel periodo dal 1943-1945" dedicato al "Porrajmos, lo sterminio dei Rom e Sinti” con la partecipazione di Ernesto Rossi, studioso e ricercatore dell’Associazione "Aven Amentza - Unione di Rom e Sinti" e Associazione "ApertaMente" di Buccinasco (MI) che ci parlerà, anche con la proiezione di una selezione di brevi documentari, dei campi di concentramento dei Rom e Sinti in Italia.

Circolo ARCI Martiri di Turro via Rovetta 14 - Milano

 
Di Fabrizio (del 14/01/2011 @ 09:24:03, in Italia, visitato 1744 volte)

Segnalazione di Sarcinella

NapoliToday

Il comitato Cittadini, associazioni e rom insieme: "Lanciamo questo grido di allarme offrendo tutta la disponibilità per concorrere all'eliminazione dei rifiuti, servizio primario di ogni comunità civile"

di Redazione - 10/01/2011 - LA DENUNCIA ARRIVA DA DOMENICO PIZZUTI, del comitato 'Cittadini, associazioni e rom insieme': cumuli di rifiuti a ridosso della baracche del campo rom di Scampia. "Ieri pomeriggio ho compiuto una visita di controllo sulla stato dell'immondizia non raccolta nel campo nomadi di Scampia, in via Cupa Perillo", ha spiegato Pizzuti.

"Ho notato che l'entrata del piccolo campo dietro la 'scuola rosa', sulla destra, è ostruita da un mare di rifiuti a ridosso delle baracche. In complesso, anche per mancanza di videosorveglianza, continuano gli sversamenti illegali lungo il viale di accesso con tutta una tipologia di inerti (bottiglie di plastica, gomme, materiali edili e di legno, vestiti, ecc.) e soprattutto si allargano sulla strada, che era stata per metà ripulita lo scorso mese, i cumuli di sacchetti intorno alla rotonda con picchi di più di un metro, offrendo uno spettacolo che ha sconvolto qualche candidato alle primarie per sindaco di Napoli che si era recato in civile pellegrinaggio al campo nomadi".

"Lanciamo di nuovo questo grido di allarme, offrendo tutta la disponibilità per concorrere all'eliminazione dei rifiuti, servizio primario di ogni comunità civile - ha concluso Pizuti - Attendiamo un intervento dell'esercito italiano, o dobbiamo mobilitare l'esercito dei residenti e dei volontari sotto guide esperte dei servizi comunali o delle istituzioni? Chiediamo urgentemente da parte della Prefettura un tavolo di concertazione con tutti i servizi interessati, i residenti del campo e le associazioni operanti in loco".

 

Comunità delle Piagge, Fondazione Michelucci, Medici per i diritti umani, Rete antirazzista Firenze hanno scritto questa lettera all’Assessore Allocca - proprio oggi impegnato in un incontro sull’insediamento di Quaracchi - per sollecitare la Regione Toscana ad affrontare in modo organico la "questione rom". La pubblichiamo integralmente.

I rom di Quaracchi: la buona politica sia umana, rapida ed efficace

La Regione Toscana, che con più forza di qualunque altra ha posto la questione del superamento della condizione di "esclusione organizzata" che i campi nomadi rappresentano in Italia, è chiamata oggi a fare un bilancio delle politiche messe in atto, e della situazione inedita che vede presentarsi nuove forme di povertà ed esclusione abitativa, che riguardano anche popolazioni rom.

Dalla seconda metà degli anni Novanta due nuove leggi regionali toscane – rispettivamente del 1995 e del 2000 – e un forte movimento che ha coinvolto anche gli stessi rom, hanno consentito ad alcune amministrazioni di sperimentare strategie e azioni per il superamento dei "campi nomadi".

Questi interventi legislativi hanno aperto una fase nuova che, tra slanci progettuali e ripensamenti, nuove realizzazioni e ripiegamenti timorosi, ha cambiato la geografia degli insediamenti rom e sinti nella Regione. Se nella seconda metà degli anni Novanta i "campi" accoglievano la quasi totalità dei gruppi rom e sinti (quindi oltre 2.500 persone), oggi in "campi" variamente autorizzati o riconosciuti ci sono poco più di 1.000 persone. Più di 500 sono ora le persone che abitano in villaggi, pur costruiti con modalità e approcci differenti. Oltre 700 persone vivono in alloggi Erp, e circa 500 abitano in strutture o insediamenti transitori in attesa di nuove soluzioni.

Contemporaneamente, negli ultimi anni si è manifestato un fenomeno nuovo: la creazione attorno alle aree urbane più dense di nuovi insediamenti informali, baraccopoli piccole e grandi, occupazioni di aree o edifici abbandonati, abitati soprattutto da immigrati provenienti dall’Est Europa, da rifugiati e profughi, e da una significativa presenza di rom di più recente arrivo.

Le amministrazioni locali, già alle prese con le difficoltà e i tempi lunghi dei percorsi di superamento dei "vecchi" campi nomadi, hanno reagito a questo nuovo fenomeno prevalentemente con azioni di dissuasione o di allontanamento, in un quadro che ha risentito dell’insorgere o del radicalizzarsi di espressioni di rifiuto e di intolleranza che hanno concorso a indebolire la volontà delle amministrazioni locali nel predisporre interventi di accoglienza e di assistenza diretti a queste popolazioni.

Al contrario, le azioni di tipo repressivo riscuotono un ampio consenso ma, come è evidente anche dagli episodi che si sono succeduti in questi anni, non risolvono il "problema" della presenza di popolazioni o gruppi che sono ritenuti indesiderati sul territorio, non favoriscono alcun processo positivo e, non ultimo, alimentano discriminazione ed emarginazione.

Occorre in questo momento delicato un sussulto di consapevolezza. In una società frammentata, indebolita dalla crisi e dalla crescita degli egoismi, il riconoscimento dei diritti di cittadinanza è l’unica strategia per rafforzare la coesione sociale, per promuovere la solidarietà – invece che la competizione – tra le componenti più deboli della società. Al contrario, l’intolleranza avvelena la convivenza civile anche quando in apparenza rende coesa una comunità locale – magari contro un nemico immaginario e indifeso.

Le centinaia persone che solo nell’area fiorentina vivono in baracche, edifici dismessi, non svaniranno dopo l’ennesimo sgombero. Cercheranno riparo in altri luoghi, in condizioni ancora più critiche.

Come avviene ormai da anni per le famiglie rom che sono sgombrate regolarmente dalle sistemazioni sempre più precarie che riescono a reperire tra l’Osmannoro, l’area ex Osmatex e Quaracchi. Non è solo nel nome di una visione umanitaria che questa sequenza di sgomberi brutali deve provocare sdegno in tutti i cittadini, ma nel nome di una qualsiasi idea di buona politica e di buona amministrazione. Per quanto possa sembrare trascurabile e marginale il "problema" rappresentato da queste poche famiglie rispetto ai tanti problemi di questa area urbana, questo costituisce invece un importante banco di prova, materiale e simbolico, della capacità di buon governo dell’amministrazione pubblica proprio per la sua capacità di agire efficacemente anche sui versanti più difficili e più controversi.

Per questo chiediamo a chi è chiamato a responsabilità politiche e amministrative, di compiere uno sforzo di comprensione e di immaginazione, prima di affrontare il problema in termini razionali e operativi, come è ovviamente necessario.

Nell’area fiorentina come sul territorio regionale sono stati sperimentati in questi anni diversi percorsi di inserimento socio-abitativo per rom dalla cui rivisitazione critica possono trarsi elementi utili per affrontare e gestire (se non per risolvere) la questione delle famiglie attualmente presenti a Quaracchi.

1. La prima considerazione è che gli interventi, provvisori o definitivi, devono essere immediati e non prorogare ulteriormente una situazione ai limiti della sopravvivenza e della dignità umana.
2. La seconda è che le soluzioni devono essere condivise con i destinatari e con le associazioni che li sostengono, altrimenti sono inevitabilmente destinate al fallimento.
3. Inoltre, va considerato che soluzioni che hanno funzionato, pur tra molti problemi, per alcuni gruppi, non è detto che funzionino per altri. E’ il caso dei percorsi di accompagnamento abitativo che in larga scala sono stati messi in atto nel progetto pisano di "Città sottili", e nel caso degli ex ospedali Luzzi e Mayer nell’area fiorentina. Questi percorsi si sono dimostrati efficaci in presenza di una condizione socio-economica accettabile delle famiglie, mentre hanno avuto l’esito di ricacciare in situazioni di marginalità quelle famiglie che ne erano prive.
4. Nel caso delle famiglie di Quaracchi, siamo in presenza di persone con grandi difficoltà, alle quali non sono stati rivolti sinora interventi che ne potessero aumentare significativamente le risorse interne e le opportunità di miglioramento della propria condizione. Inserirle ora in percorsi abitativi ordinari (per quanto "accompagnati") si presenta come una operazione velleitaria e destinata a riproporre il problema in tempi brevissimi.
5. Va detto con chiarezza che si illude chi pensa che tutte le situazioni di grave disagio abitativo possano essere superate nascondendole agli occhi della popolazione, diluendone la presenza attraverso la loro disseminazione sul territorio. Le dimensioni del fenomeno e le sue caratteristiche renderanno inevitabili, nel breve-medio periodo, soluzioni temporanee di "abitare di comunità", che vanno però progettate e realizzate in modo da evitare la miseria e il degrado dei campi per nomadi o profughi.
6. Il problema di una sistemazione abitativa per le famiglie di Quaracchi non è nel "come" affrontarlo, ma nel "dove": dove, e con il concorso di chi, reperire un’area o una struttura da adibire a luoghi di vita decorosi, per quanto temporanei, con un limitato impiego di risorse economiche e spaziali.

E’ necessario decostruire il "problema", valutandolo razionalmente nelle sue dimensioni e nelle sue specificità: poche famiglie, per le quali l’abitare luoghi marginali, in situazioni insopportabili per qualunque altro cittadino, è divenuto quasi una colpa, piuttosto che la misura di una discriminazione.

La buona politica può impegnarsi per una soluzione partecipata, umanitaria, rapida ed efficace, nell’interesse della coesione sociale e della convivenza, dei rom e delle città dove vivono.

Firenze, 13 gennaio 2011

 
Di Fabrizio (del 18/01/2011 @ 09:38:29, in Italia, visitato 2042 volte)

Circa due mesi fa ho conosciuto Davide Castronovo, coordinatore del presidio sociale presso il campo sosta di via Chiesa Rossa. E' seguita il mese scorso una visita al campo, e l'ultimo fine settimana ci siamo ritrovati con la famiglia Frosh per una chiacchierata, a cui ha collaborato anche Davide.

Da subito si sono mostrati interessati a questo blog e alle notizie che pubblico. Mi fanno vedere un computer portatile. Si collegano a internet con la chiavetta.

Alex (30 anni): Perché la rete telefonica non funziona mai. Ci sono delle capocchie sigillate, come a Venezia, ma sono sempre allagate lo stesso.

Quando è nato il campo c'erano l'ing. Luigi Pagnoni, il dottor Prina e Carlo Cuomo, ma c'erano solo le piazzole, la strada era già asfaltata.

Abbiamo chiesto la linea telefonica e ci hanno risposto: "Ma volete anche il telefono??" (ride)

Giuliano (suo padre): La nostra lingua è romanés harvato, istriano, tutto misto.

Siamo arrivati a Milano nel 1968, eravamo in via Negrotto, che è stato il primo campo a Milano. Poi siamo andati, abusivamente, in via Castellamare, ed infine in via Giovanni Fattori dal 1978. Sempre nella stessa zona.

Alex: Fino al 20/2/2000, quello lo ricordo bene.

Giuliano: Quando siamo arrivati, lì c'era una discarica, abbiamo spianato, buttato la ghiaia, e poi andavamo in comune a chiedere di darci l'acqua e la luce. Aprivamo un tombino e si prendeva l'acqua, ho preso anche una denuncia per questo...

Dopo 20 anni ci hanno dato una fontana e un allaccio volante per tutti. L'acqua arrivava col contagocce.

Eravamo circa 160.

Nel 1968 il comune aveva aperto una specie di cantiere solo per i nomadi, all'epoca davano 500 lire al giorno. Abbiamo sistemato la Montagnetta, giardini, tagliato l'erba, e poi i marciapiedi in Bovisa, a Quarto Oggiaro e in via Console Marcello.

Lavoravamo un po' tutti, il problema è che tra noi si parlava nel nostro dialetto e la gente ci identificava come zingari, anche se non facevamo niente di male. Questo succede anche oggi.

E poi allora c'era una cooperativa, veniva al campo per l'ingaggio e ci davano dei soldi, in nero, naturalmente. Io ho lavorato con loro anche se ero minorenne. Era meglio di adesso, perché allora c'era lavoro per tutti.

Allora volevamo veramente integrarci, ma non ci siamo mai riusciti. Quando si scopriva che eravamo rom, le ditte ci mandavano via. Ho lavorato alla ESSO e col caposquadra non c'erano problemi, ma il direttore aveva un po' di pregiudizi quando ha scoperto dove abitavamo.

Insomma, si lavorava col comune ed in nero con qualche cooperativa.

Non vi sentite isolati a vivere qui lontano da tutti?

Alex: Integrazione: ormai siamo più che integrati.

Ti posso dire che è una scelta di vita. Mia sorella ha provato a vivere in appartamento assieme al suo ragazzo, ma c'erano tanti problemi con la madre di questo ragazzo.  Allora sono tornati qua tutti e due. Quello che sei non lo puoi cambiare.

I vicini non ci accettano. Un'altra mia sorella ha preso un appartamento in affitto, lei a vederla non sembra rom; è andato tutto bene le prime due settimane. Ma i bambini giocavano sulle scale, e naturalmente facevano rumore e parlavano la nostra lingua. Ci sono stati reclami all'amministratore. La cosa è andata per quattro mesi. Poi sono andati via per evitare grane.

Giuliano:  Noi non volevamo venir qui da Palizzi Fattori. Noi non volevamo e la gente qui attorno nemmeno.

Quindi giovani e anziani la pensano nella stessa maniera?

Giuliano: Quando siamo arrivati qua, volevano costruire una scuola dentro il campo, solo per Rom. Quella sarebbe stato un vero ghetto. Invece i bambini per fortuna vanno alla scuola normale, c'è uno di noi per classe.

Un giovane può sempre cambiare, io non ce la farei mai, chiuso in casa è come stare a san Vittore.

Ad esempio, siamo abituati a parlare a voce alta, e questo non lo sopportano.

Il campo ha sempre avuto casette simili?

Giuliano: Per le case il comune ha dato permesso di costruire senza fondamenta, sono le case che avevamo in Palizzi Fattori e il comune le ha portate di qua. La mia casa ad esempio è a moduli. Allora ci hanno dato 8 milioni per la buonuscita, e chi doveva trasportare la casa ha pagato di tasca sua.

Alex: I bagni invece li ha fatti il comune. Noi abbiamo fatto tutto il resto, ad esempio abbiamo piantato gli alberi. I bagni sono dei container e valgono niente.

Secondo voi, di che lavori avrebbe bisogno il campo?

Alex: Il lavoro più urgente sarebbe di rifare tutti i bagni. Dare un'occhiata alla fognatura, perché la manica del depuratore non funziona.

Davide: La vasca è troppo bassa e piccola.

Alex: La pavimentazione è tutta da rifare.

I contatori sono isolati in una colonna all'ingresso del campo: da un lato va bene perché non portano via spazio nella piazzola, ma dall'altro chiunque può staccarli o manometterli, e i pozzetti sono sempre sott'acqua.

E poi abbiamo il problema di una casa che il comune ha abbattuto ad agosto, e le macerie sono ancora lì.

Comunque, ho girato tanti campi a Milano e anche a Saronno e Varese, ma il migliore che ho visto è questo. E' stato qui anche un rom francese, e anche lui la pensa così.

Davide: I lavori di ristrutturazione dovrebbero riguardare le fognature e gli allacciamenti del gas.

Poi è previsto un rimpicciolimento del campo sulla base delle famiglie che sono state allontanate e di quelle che hanno deciso di uscire dal campo. Il comune ha messo a disposizione pochi strumenti, contraddittori tra loro..

Siete in 150/160 persone. Tra di voi ci sono problemi di convivenza?

Alex: Siamo divisi in famiglie, con qualcuna si può convivere, con altre è impossibile. E' una guerra continua, e poi naturalmente c'è omertà

Ti faccio un esempio: se io mi spostassi sulla piazzola sgomberata ad agosto dal comune, la famiglia che prima era lì lo considererebbe un affronto.

Davide: Questo dovrebbe diventare un campo di transito, dove rimanere al massimo 3 anni (dal 2008, quindi il termine scadrebbe adesso). Ma ci sono le elezioni, e non si sa come andrà a finire il tutto.

Il problema degli spazi vuoti può diventare esplosivo, ci vuole capacità di mediazione. Ad esempio, c'è una signora che è in mezzo alla strada con la sua roulotte, non vuole ritornare sulla sua piazzola perché lì è morto suo marito.

Alex: Ho paura che il comune ci dica: o vai su questa piazzola, o finisci in mezzo alla strada.

Ho sempre l'idea che il comune non prenda mai decisioni definitive. Ad esempio, qua ci sono le telecamere a circuito chiuso?

Giuliano: No. Abbiamo detto che è una questione di privacy (ride).

Davide: Metterle era nella intenzioni della prefettura e del ministero degli interni.

Abbiamo approfittato del momento particolare: la Moioli si scornava con De Corato; i vigili urbani litigavano con De Corato perché ogni giorno c'erano sgomberi... gli abitanti, anche grazie al confronto con la cooperativa, sono stati bravi a organizzarsi come interlocutori della forza pubblica.

Inoltre c'era stato da poco l'abbattimento della casa e probabilmente il comune voleva recuperare il rapporto col resto del campo.

Alex: Rimangono le telecamere sulla strada, ma quelle ci sono in tutta Milano.

Cosa vi aspettate dalle prossime elezioni?

Alex: Ho idea che chiunque ci sarà, per noi le cose non cambieranno.

Se qualcuno si mette a parlare bene dei campi e dei sinti, chi ti vota più?

 
Di Fabrizio (del 23/01/2011 @ 09:28:59, in Italia, visitato 1807 volte)

Milano 21 gennaio 2011: anche oggi c’è stato uno sgombero in via Adriano.

Speravamo che il vicesindaco De Corato fosse soddisfatto dei 156 sgomberi dell’anno scorso che, secondo lui, avrebbero ridotto dell’80% la presenza di famiglie Rom.

Speravamo che le famiglie rifugiate in qualche stanza di un immenso palazzo di Via Adriano da anni disabitato, potessero ripararsi dal freddo e restare tranquille con le loro poche cose per tutto l’inverno. Invece stamattina le forze della Polizia Locale, anche loro stanche di allontanare donne e bambini, sono intervenute. Cinque famiglie Rom si trovano ora con i loro sacchetti di poche cose in mezzo alla strada, al gelo. Si tratta di cinque famiglie con 10 bambini, alcune delle quali hanno collezionato 14 sgomberi in un anno.

Questa mattina durante lo sgombero erano assenti i servizi e gli assistenti sociali che dovrebbero garantire ai minori il rispetto dei loro diritti.

Nessuna alternativa accettabile è stata offerta alle famiglie, se non la solita proposta di dividere i nuclei familiari collocando le donne e i bimbi piccoli in comunità, gli altri figli in un orfanotrofio e la strada per gli uomini.

Conosciamo bene queste famiglie perché i bambini, con mille difficoltà sono iscritti e vanno tutti i giorni a scuola, perché gli adulti lavorano nell’edilizia oppure sono inseriti in percorsi di integrazione.

L’unico intervento di sostegno è stato quello dei volontari della Comunità di Sant’Egidio, delle mamme e dei cittadini dei quartieri di Rubattino-Lambrate che dallo sgombero del 19 novembre 2009 seguono queste famiglie.

Chi scrive, il 7 dicembre, ha ricevuto la benemerenza civica dal sindaco Letizia Moratti perché "con tenacia, amore e grande senso civico ha scommesso per un’integrazione possibile".

Questo senso civico può essere riconosciuto come un valore prima di Natale, ed essere totalmente dimenticato poco dopo l’Epifania?

Dov’è il senso civico quando si nega ad Albert di 6 anni (sgomberato 10 volte in 5 mesi) il diritto ad avere un tetto?

Purtroppo sembra che non si voglia porre fine a questa pulizia etnica: la tristezza e la disperazione che ogni volta leggiamo sui volti di questa umanità calpestata, resterà nella storia di Milano come il simbolo di una violenza che non vorremmo esistesse.

A pochi giorni dal 27 gennaio, Giornata della Memoria, queste azioni non si allontanano molto dal clima di pulizia etnica che scatenò tanto orrore.

L’integrazione è possibile quando si guarda con occhi nuovi verso le persone e ci si chiede come insegnare a scrivere a Marius che ha 15 anni, come salvare la biciclettina che Jonut voleva tenere a tutti durante lo sgombero, se Maria, Florin, George e Adrian potranno mai sentirsi parte di questa umanità che li scaccia, li umilia, li costringe a nascondersi, perdendo ogni volta scarpe, libri e i pochi giocattoli?

Si nega loro l’infanzia nel nome della sicurezza, in realtà si prepara un futuro di odio e paura verso tutti.

Milano 22 gennaio 2011 - Assunta Vincenti e le mamme e maestre di Ribattino

 
Di Fabrizio (del 25/01/2011 @ 09:06:08, in Italia, visitato 1659 volte)
 
Di Fabrizio (del 27/01/2011 @ 09:52:35, in Italia, visitato 2245 volte)
 
Di Fabrizio (del 28/01/2011 @ 09:06:07, in Italia, visitato 2729 volte)
 
Di Fabrizio (del 29/01/2011 @ 09:40:23, in Italia, visitato 1908 volte)
 
Di Fabrizio (del 31/01/2011 @ 09:17:27, in Italia, visitato 2364 volte)
 

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