Quest'uomo io lo conosco da sempre: da quando, quasi venti anni fa,
ho cominciato a frequentare il "campo nomadi" di Coltano, vicino a Pisa.
Piccoletto di statura, con una coppola in testa che gli conferisce un'aria quasi
da contadino siciliano, con il tono compassato di un vecchio saggio, Zajko è una
specie di "istituzione" del campo.
E' in Italia stabilmente dal 1988, ed è stato uno dei primi rom bosniaci ad
arrivare a Pisa. Davanti alla sua baracchina ha visto transitare i "nuovi"
immigrati rom, i profughi della guerra degli anni novanta. E ha cresciuto almeno
tre generazioni, tra figli, nipoti e bisnipoti. Un vero e proprio custode della
"memoria storica" di Coltano.
Sì, lo conosco da sempre, Zajko. E lo conoscono i tanti operatori, assistenti
sociali e volontari che nel corso degli anni hanno frequentato il campo. Ma non
tutti hanno avuto la pazienza di ascoltare quel simpatico ometto con la coppola.
Perché Zajko si esprime in un italiano tutto suo: che non è un italiano
"scorretto", ma una lingua ibrida, pronunciata con un forte accento slavo, piena
di costruzioni sintattiche romanes e bosniache, infarcita di parole che sembrano
strane, e a volte anche un po' buffe.
Non sempre lo capisci al primo colpo, e per entrarci in contatto hai bisogno di
tempo: devi passarci qualche pomeriggio, condividere un caffè, fare due
chiacchiere così senza scopo. E invece gli operatori, tutti presi dai loro
"progetti", non hanno il tempo per ascoltare. Vanno al campo per convincere,
spiegare, illustrare, parlare. Hanno sempre qualcosa di importante da dire, e
non si prendono mai la briga di sedersi un attimo.
La storia di Zajko
La storia di Zajko è venuta fuori per caso, in una fredda giornata di inverno di
tre anni fa. Con gli altri volontari dell'associazione Africa Insieme eravamo
andati al campo, a far visita ad alcuni amici: l'aria gelida della sera ci aveva
convinto a entrare nella baracca di Zajko, a prendere un buon caffè caldo.
C'era confusione e non si capiva molto: i bambini giocavano e urlavano, una
ragazza più grande ci chiedeva di spiegarle una cosa di matematica che non aveva
capito a scuola. E poi le due figlie di Zajko avevano avuto problemi in Questura
con il loro permesso di soggiorno, ci chiedevano di aiutarle ma non c'era verso
di farle parlare una alla volta. Un gran caos, insomma.
Zajko sembrava farfugliare qualcosa, ma i familiari ci dicevano di non dargli
retta, "è vecchio e non si capisce mai quello che dice". Però il "vecchio" aveva
pronunciato una parola che non avevamo mai sentito al campo, e che ci aveva
incuriosito: "ustascia". Sì, Zajko parlava degli Ustascia, i fascisti croati
amici di Hitler, che avevano fondato uno Stato Indipendente Croato alleato della
Germania.
"Io visto cartelli", insisteva il nostro amico aggiustandosi la coppola, "cartelli sui muri, dicevano
evrei srbi e zingari tutti ammazzare". Zajko aveva
assistito all'arrivo delle leggi razziali nel territorio croato (che all'epoca
includeva anche la Bosnia): le vittime designate erano - per l'appunto - ebrei,
serbi e rom.
Gli ustascia, le leggi razziali, lo sterminio
Secondo alcune stime, gli Ustascia uccisero il 75% degli ebrei presenti nel
Paese prima della guerra. Quanto ai serbi, interi villaggi furono dati alle
fiamme, sacerdoti e altri esponenti religiosi ortodossi furono massacrati nelle
loro chiese, circa 200 mila persone dovettero subire la conversione forzata al
cattolicesimo.
Fra gli "zingari" - ci informa
Mirella Karpati
- "le vittime accertate fino al
1998 furono 2.406, di cui 840 bambini. Il campo più terribile era quello di Jasenovac, dove si uccidevano le persone con metodi barbari. Né mancarono campi
destinati ai bambini, come quello di "rieducazione" a Jastrebarsko, dove fra
l'aprile 1941 e il giugno 1942 morirono 3.336 bambini di varie etnie. Nel campo
per le donne di Stara Gradiska morirono oltre trecento bambini zingari".
Da partigiano ad immigrato
Zajko aveva visto le prime avvisaglie di quella tragedia: i cartelli, affissi
per le strade, che annunciavano la volontà di "ripulire" la Croazia dalle "razze
maledette": ebrei, serbi e rom ("evrei srbi e zingari tutti ammazzare"). E aveva
deciso di scappare, rifugiandosi in montagna. Qui aveva incontrato i partigiani
di Tito, e si era unito a loro. Un pezzo di storia del Novecento riemergeva
dalle parole un po' farfugliate di quell'ometto in apparenza così modesto.
Zajko era stato ferito ed era finito all'Ospedale: poi, uscito, aveva continuato
a combattere. Finita la guerra, era andato a Zagabria, dove con la sua
formazione partigiana aveva conosciuto Tito. Quindi era tornato finalmente a
casa, si era sposato e aveva costruito la sua famiglia. Aveva avuto una prima
esperienza migratoria in Italia negli anni Cinquanta: era stato a Napoli, poi a
Piacenza a fare il barista. Ma la vera e propria migrazione - quella definitiva
- era avvenuta nel 1988: da allora non è più tornato in Bosnia.
Quando abbiamo ascoltato il suo racconto, abbiamo deciso che questa piccola
storia - legata alla Storia più grande, quella con la lettera maiuscola, che si
legge nei libri e si studia all'Università - doveva essere raccontata. è nato
così un video, prodotto da un gruppo di volontarie della nostra associazione,
che trovate qui sotto liberamente visionabile e scaricabile.
Una bandiera alla finestra
Ho continuato a frequentarlo, Zajko. Lo incontriamo tutte le volte che andiamo
al campo. Oggi ha problemi di salute dovuti all'età - più di ottanta anni - e fa
sempre più fatica a lavorare. Era un calderaio, un artigiano del rame: vendeva i
suoi prodotti ai mercati, e con quelli si manteneva. Negli ultimi anni i dolori
e gli acciacchi gli hanno reso quasi impossibile continuare. Il Comune gli ha
assegnato una "casetta", perché nel frattempo il campo di Coltano è stato
trasformato in un "villaggio" di alloggi in muratura: ma lui, senza reddito,
fatica a pagare l'affitto, e rischia lo sfratto.
L'esperienza della guerra lo ha segnato in profondità, forse più di quanto non
sia disposto ad ammettere lui stesso. Perché di guerre, Zajko, ne ha conosciute
due: la prima l'ha vissuta da partigiano, da protagonista e in qualche modo da
vincitore. La seconda - quella degli anni Novanta - l'ha sorpreso mentre era in
Italia, e di fatto l'ha "intrappolato" a Pisa, impedendogli il ritorno a casa.
Quando parla di guerra abbassa gli occhi, Zajko. E il suo sorriso si spegne. La
sua "seconda" guerra, il tragico conflitto balcanico degli anni Novanta, non lo
racconta volentieri. Ma ogni volta che in televisione sente parlare di
bombardamenti, di profughi in fuga, di scontri militari, si preoccupa e ci
chiede spiegazioni: vuol sapere che sta succedendo, se il teatro del conflitto è
vicino o lontano, se sono coinvolti i civili, se la diplomazia sta facendo il
suo lavoro e se le armi si fermeranno.
Nel comodino accanto al letto Zajko tiene una bandiera arcobaleno della pace. E,
quando alla televisione parlano di guerra, la appende alla finestra, così che le
macchine che sfrecciano sull'autostrada possano vederla.
Zajko. Un video di Africa Insieme from Africa Insieme on Vimeo.Video di Sara Palli, Alice Ravasio, Francesca Sacco, Marta Lucchini, Irene
Chiarolanza, Diana Ibba. Prodotto dall'associazione Africa Insieme di Pisa
nell'ambito del progetto "volontari come in un film", con la collaborazione di Cesvot, Aiart, Progetto Rebeldia. Musiche originali di Pasqualino Ubaldini
Il corso è tenuto dal professor Ljatif Demir e dalla professoressa
Hedina Tahirovich Sijerchich
L'insegnamento del romanes alla facoltà di filosofia.Di
Adriana Pitesha su
Jutarnji list Il nostro corso è un vero successo. 40 studenti imparano la lingua rom
Il corso si tiene presso il dipartimento di indiologia ed è in programma la
creazione di un corso di laurea triennale.
"Questo è un giorno storico per la comunità rom, un giorno che ricorderemo per
sempre." ha detto ieri il deputato Veljko Kajtazi durante l'inaugurazione del
pannello bilingue, presso la Facoltà di Filosofia dell'Università di Zagabria,
per celebrare il primo anniversario dell'introduzione della lingua romanes e
della letteratura rom nell'istruzione superiore in Croazia.
La decisione di Kajtazi è stata presa dopo la celebrazione della Giornata
Internazionale del Popolo Rom e la prima conferenza si è tenuta nel novembre
dello scorso anno.
"Mi ricordo quando io e i miei colleghi, l'anno scorso, stavamo discutendo della
tecnica prima dell'inizio delle lezioni. A un certo punto ci siamo girati e ci
siamo accorti che vi era una quarantina di studenti dietro di noi. Siamo rimasti
davvero stupiti poiché non pensavamo che l'interesse potesse essere così alto."
dice il professor Ljatif Demir, di Skopje, che insieme a Hedina Tahirovich
Sijerchich, di Sarajevo, insegna al Corso di Introduzione alla Lingua Rom e
Introduzione alla Letteratura e alla Cultura Rom, corsi offerti come facoltativi
all'interno del Dipartimento di Indologia e Studi dell'Estremo Oriente, e che
rendono la Facoltà di Filosofia di Zagabria unica al mondo.
Studenti differenti
Quaranta studenti che sono rimasti fino alla fine del corso e che non hanno
risparmiato complimenti ai loro professori, l'unica nota di demerito è che
avrebbero voluto imparare di più.
Ciò sarà presto possibile poiché, è stato dichiarato ieri, il piano è quello di
lanciare presto degli studi universitari per far diventare Zagabria un centro
per lo studio della lingua romanes, della letteratura, della cultura rom.
I profili dei primi studenti erano diversi. La maggior parte erano studenti di
Indologia, ma non mancavano di studenti di sociologia, psicologia, pedagogia,
giurisprudenza e di scienze della formazione...
"All'inizio c'è stato un problema di coinvolgimento poiché non sono tutti
linguisti, ma siamo stati in grado di regolare il programma in modo da non
danneggiare il programma ne a diminuire il loro interesse" dichiara il professor
Demir.
Per far ciò hanno trovato della letteratura professionale. Inoltre, Ljatif Demir
e Hedina Sijerchich stanno sperimentando un manuale per la lingua e la
letteratura romanes che raccoglie manualistica e letteratura provenienti da
altre comunità locali ed europee.
Temevano una rapina
"Comprensibilmente, gli studenti sono più interessati alla cultura che è a loro
sconosciuta e rimangono sorpresi quando dici loro che Veijo Balzar vende titoli
in 25.000 copie in Finlandia o quando si richiama l'attenzione su certi film. Ma
la nostra non era una comunicazione unilaterale. Abbiamo imparato da loro che
tutti hanno bisogno di agire, secondo i principi della filosofia orientale, con
amore. Non c'erano barriere e siamo diventati amici. Questo è l'unico modo per
far si l'integrazione non rimanga solo sulla carta. La gente è
spaventata e piena di pregiudizi pregiudizi quando non conosce qualcosa. Alcuni
dei nostri studenti hanno ammesso che, al'inizio, avevano paura di essere
rapinati dai rom quindi abbiamo detto loro: 'Beh, non abbiate paura, io e la
professoressa, che siamo rom, non vi deruberemo.'" racconta ridendo il professor
Demir.
Tra gli studenti c'è una sola rom che studia alla facoltà di legge.
"Per noi erano tutti uguali. Sono molto contento all'idea che quattro o cinque
di loro continueranno con lo studio scientifico della lingua, della letteratura
e della cultura rom e che una di di loro, una studentessa che non è rom, sarà,
con ogni probabilità l'assistente di uno futuro corso.
Ieri sono stati in molti a sottolineare il problema dell'integrazione dei rom
nel sistema scolastico. Lo scorso anno 811 bambini rom hanno frequentato
regolarmente la scuola materna, 5173 le scuole elementari, 480 le scuole
superiori. Quest'ultimo dato è considerato un grande progresso poiché è il 2005
gli studenti rom frequentanti le superiori erano solo 14.
Per quanto riguarda gli studenti universitari, nell'ultimo anno accademico solo
28 studenti si sono dichiarati rom. Probabilmente il numero è più alto poiché
alcuni non si presentano come rom a causa della forte discriminazione sociale.
Anche se gli studi della lingua rom non sono ovviamente rivolti esclusivamente
ai membri della comunità rom, la loro esistenza potrebbe influenzare la
percezione della loro cultura.
"Non possiamo chiudere gli occhi davanti al fatto che l'identità rom si stia
perdendo a causa della paura dei rom a dichiararsi tali. Vorremmo ricordare che
questa è una cultura che è significativamente più antica rispetto a quella
croata e che, quindi, dobbiamo insegnare e tutelare" ha dichiarato il preside di
facoltà Damir Boras.
Un buon investimento
Il costo dei due corsi ammonta a 120.000 kune, comprendente l'acquisto della
letteratura e le spese di viaggio dei professori, ed è stato diviso tra il
Consiglio delle Minoranze e la Facoltà di Filosofia.
"Non consideriamo un costo ma un investimento che ha molteplici benefici per
l'intera comunità" ha detto il preside Boras.
Alla cerimonia di ieri hanno partecipato i rappresentanti della comunità
accademica, rappresentanti politici, rappresentanti del Parlamento, il consiglio
comunale e quello per le minoranze.
L'attuale situazione politica non è stata dimenticata. Gvozdan Flego ha
sottolineato che l'atto è tanto più significativo in quanto avviene in un
momento in cui alcuni vorrebbero negare i diritti delle minoranze. Il pannello
è, inoltre, una delle prime tavole bilingui che ha come seconda lingua il
romanes, non solo in Croazia, ma nell'intera Europa.
Di Fabrizio (del 09/12/2013 @ 09:00:13, in Regole, visitato 2062 volte)
In base alle statistiche del 2010, i Rom che risiedono a Roma sono 7.177,
distribuiti in campi attrezzati, tollerati o informali. La condizione di
segregazione e perenne emergenza che si vive nei campi, soprattutto in quelli
tollerati o informali, impedisce loro di esercitare diritti elementari come
quelli sanitari, scolastici e di residenza, in quanto cittadini dell'Unione
Europea. Per renderli consapevoli dei loro diritti e delle pratiche che ne
consentono l'applicazione,
Popica Onlus, in partenariato con Amnesty International-Italia ha realizzato
con i giovani della comunità Rom residente nella "Città Meticcia del Metropoliz"
un programma di informazione (documentato dal filmato "We found the way") che ha
portato alla realizzazione di un opuscolo e di un dvd ambedue intitolati Conosci
i tuoi diritti. Sia il testo che il filmato sono in italiano e in rumeno.
L'iniziativa è stata finanziata tramite bando internazionale dall'OSCE.
Di Fabrizio (del 08/12/2013 @ 09:03:34, in scuola, visitato 1866 volte)
E' arrivata la soluzione dopo le polemiche e le accuse di razzismo
05/12/2013 - L'ISTITUTO FU AL CENTRO DI UN CASO MEDIATICO A SETTEMBRE Il
sindaco del piccolo centro della Bassa Novarese: "Sono attesi venti scolari per
la primaria e venticinque per l'asilo-scuola dell'infanzia". Di ROBERTO
LODIGIANI su
LA STAMPA
La scuola primaria di Landiona, nella Bassa Novarese, non chiuderà. Avrà infatti
lo stesso numero di scolari di quest'anno, una bimba del paese e i piccoli sinti
del vicino campo.
Scongiurato, dunque, il pericolo di blocco delle lezioni che aveva indotto molte
famiglie a portare i figli le vicino paese di Vicolungo.
Lo annuncia il sindaco Marisa Albertini: "Alla riunione convocata dalla
Provincia per discutere del dimensionamento scolastico per il 2013-2014 abbiamo
presentato una determina che conferma i numeri degli attuali iscritti. Sono
attesi venti scolari per la primaria e venticinque per l'asilo-scuola
dell'infanzia".
In queste settimane prosegue il monitoraggio degli scolari che effettivamente
prendono posto tra i banchi: "Le presenze nella pluriclasse sono stabili e
questo E' un dato di fatto confortante - dice Marisa Albertini -. A decidere il
destino della scuola primaria sarà la direzione didattica ma lo farà sulla base
dei numeri che finora continuano ad essere confermati".
Nel settembre scorso la struttura di via XI febbraio era rimasta coinvolta in un
caso mediatico poi rivelatosi privo di consistenza: un'accusa di razzismo era
stata rivolta ai genitori di Landiona che avevano deciso di iscrivere i figli
alla scuola di Vicolungo per evitare la pluriclasse con i coetanei sinti.
Il caso si era sgonfiato quando emersero le vere ragioni che avevano indotto il
trasferimento: "Si temeva che gli studenti non fossero in numero sufficiente per
mantenere in paese le lezioni, il razzismo non ha nulla a che fare con
l'iscrizione alla scuola di Vicolungo" fu la versione riferita dalle mamme
landionesi.
Contro un "corvo" che da anni manda al Comune lettere-esposto che riguardano
anche la realtà scolastica del paese, il sindaco ha deciso di fare ricorso a un
avvocato: "Intendiamo cautelarci - spiega -. Le argomentazioni sollevate negli
esposti sono state tutte verificate dagli enti competenti ma le analisi non
siano giudicate sufficienti e le segnalazioni continuano. Sappiamo chi E' e
abbiamo dato mandato a un avvocato per cautelarci nei suoi confronti". Per il
piccolo Comune E' una spesa non da poco: costerà 2.215,20 euro.
Di Fabrizio (del 07/12/2013 @ 09:00:03, in Kumpanija, visitato 2616 volte)
di Giorgio Bezzecchi
Signor Galli,
Sono un attivista Rom che da 30 anni condivide la realtà quotidiana dei Rom e
Sinti. Ho riflettuto prima di scriverle per l'antica abitudine a sopportare il
pregiudizio e la discriminazione, ma alla fine sento il bisogno di rispondere al
suo articolo scritto sul "Corriere della Sera" apparso martedì 26 novembre 2013
a pagina 3 della cronaca di Milano a proposito dei funerali di Luca Braidic. Lei
parla di "Funerali..........con più poliziotti che familiari"; "celebrati il più
in fretta possibile"; e soprattutto di "funerali da boss di mafia...".
Io ho partecipato ai funerali di Luca Braidic celebrati da Monsignor Mario
Riboldi, con Padre Luigi Peraboni (da 60 anni tra i Rom e Sinti) con don Massimo
Mapelli della Caritas ambrosiana, i Padri Somaschi e esponenti di altre
associazioni anche loro impegnati da molti anni con i Rom e Sinti, da lei
neppure considerati evidentemente per non essersi degnato di venire a vedere o
di informarsi compiutamente.
Premesso che i poliziotti erano 6 con 3 auto e parlavano tranquillamente tra
loro sulla piazzetta antistante la chiesa, mentre le famiglie Rom hanno riempito
la chiesa con la presenza del Sindaco con partecipazione seria secondo la nostra
tradizione; che se per fretta s'intende percorrere i circa 2 chilometri dalla
chiesa alla cascina per la sosta per l'ultimo saluto all'abitazione del defunto
con fuochi, musica pianti fino all'imbrunire per poi percorrere un altro
chilometro fino al cimitero con la cassa portata a spalla, la banda, le decine
di corone, di fiori sparsi senza parsimonia (almeno l'ultima strada.... è
fiorita anche per lui), certo i bersaglieri invidieranno la nostra velocità; ma
la cosa che più mi ha colpito è stato definire da parte sua questi come
"Funerali da boss di mafia", un insulto gravissimo per la cultura dei Rom e
Sinti.
Tutto il suo articolo è pervaso, oltre che dall'ignoranza delle tradizioni di un
popolo antico che avrebbe da insegnare qualcosa anche a lei, da affermazioni
approssimative e infamanti ("...persone sopra i 14 anni tutte con precedenti") e
quando parla di faida da una vera e totale ignoranza di quello che è veramente
successo nelle comunità di via Idro e di via Chiesa Rossa e di quello che ha
portato a questo tragico epilogo. Ma tanto siamo "zingari" con i quali lei certo
- e per fortuna, aggiungo io - non è in grado di parlare... e per questo lei che
fa il giornalista - non ho detto che lo è - dovrebbe almeno avere il dovere non
dico di cercare la verità, ma almeno di non sputarci addosso.
Saluti
Milano, 05/12/2013 Rag. Giorgio Bezzecchi
Presidente Museo del viaggio Fabrizio De Andrè
Di Fabrizio (del 06/12/2013 @ 09:07:52, in media, visitato 1309 volte)
Elmas Arus, regista turca di origine rom, insignita del premio Raoul Wallenberg
- 02/12/2013, da
Consiglio d'Europa
Strasburgo, 02.12.2013 - La giuria del premio Raoul Wallenberg - Consiglio
d'Europa ha assegnato per la prima volta il premio a Elmas Arus, giovane regista
rom della Turchia. Il premio 2014 riconosce l'eccezionale contributo di Arus nel
sensibilizzare sulle condizioni dei Rom in Turchia e altrove. Ha cercato di
migliorare la loro situazione, particolarmente quella delle donne, e di portare
la discriminazione nei loro confronti alla ribalta del dibattito politico.
"Il duro lavoro portato avanti da Elmas Arus, con coraggio e perseveranza, è un
contributo realmente impressionante alla lotta contro i pregiudizi radicati a
fondo e le discriminazioni sofferte dal popolo rom in tutto il nostro
continente," ha detto il segretario generale Thorbjoern Jagland, annunciando la
decisione della giuria.
Tra il 2001 e il 2010, Arus con un gruppo di volontari della sua università ha
visitato oltre 400 insediamenti rom in 38 città turche. Hanno prodotto 360 ore
di documentazione, e creato un documentario di un'ora sulle sfide dei differenti
gruppi rom in Turchia. Successivamente, Arus ha fondato l'organizzazione Zero
Discriminazione, che ha aperto la strada ad altri gruppi simili, ora in Turchia
ci sono oltre 200 associazioni rom. Il suo lavoro ha giocato un ruolo cruciale
nell'elaborazione nel 2009 della politica di "Apertura ai Rom" del governo
turco.
La cerimonia di assegnazione del premio - che ammonta a 10.000 euro - avrà luogo
il 17 gennaio 2014 alla sede del Consiglio d'Europa a Strasburgo.
Da qualche anno a questa parte esiste una realtà molto positiva sul territorio
italiano, che ha fatto e sta facendo davvero molto per migliorare l'interazione
degli immigrati nella quotidianità del tessuto sociale del nostro Paese, in
particolare a Roma. Questa realtà ha il nome e i volti degli operatori e dei
volontari dell'associazione Popica Onlus. La mission dell'organizzazione di
promozione sociale è il sostegno e la tutela delle persone con difficoltà
socio-economiche, a partire dai rom provenienti dall'Europa Balcanica.
Interviene, inoltre, nella delicata situazione dei bambini e adolescenti in
Romania. Il nome Popica (che in italiano significa birillo) deriva proprio dal
nomignolo di uno dei tanti bambini di strada per il quale l'associazione ha
lavorato. Insieme a Christian Picucci, referente di Popica Onlus a Roma per
quanto riguarda gli interventi di inserimento scolastico dei bambini rom, e a
Mauro Nicolò Cipriano, che da un paio di anni si occupa del progetto di sostegno
all'apprendimento dei rom nelle elementari, esploriamo più da vicino la
situazione capitolina e il mondo del volontariato.
Christian, quando è nata Popica Onlus? E' nata nel 2006 con progetti attuati in
Romania in favore dei bambini di strada e nel 2008 ha esteso il suo raggio
d'azione a Roma, in particolare sviluppando interventi di sostegno nei confronti
dei rom presenti nella Capitale. Vorrei sottolineare che a Roma, sui campi rom
cosiddetti "autorizzati" o "tollerati", esiste già un intervento di
scolarizzazione ma contemporaneamente sono sorti, specialmente a seguito delle
ultime ondate migratorie, tantissimi altri insediamenti di rom romeni che
possiamo definire spontanei e proprio in questa nicchia si è inserita Popica
Onlus dato il pazzesco ritardo delle istituzioni in questa situazione.
Quali sono stati i primi passi mossi dall'associazione? Nel novembre del 2008,
in collaborazione con altre associazioni, è stato avviato un progetto di
monitoraggio e di mappatura dei campi rom abusivi, al fine di sopperire alle
esigenze primarie delle persone che vivevano in questi insediamenti. Poi, una
volta riscontrati dei casi urgenti si è passati alla fase di intervento, ad
esempio con gli accessi alle scuole, l'accesso alla sanità e l'orientamento
verso le strutture del territorio. Terminata la collaborazione Popica ha
continuato il proprio lavoro dedicandosi all'inserimento scolastico dei bambini,
seguendo con costanza la relativa frequenza e soprattutto l'apprendimento.
Operiamo come supporto alle scuole, anche perché alcune volte gli stessi
insegnanti non sono pronti, visti i notevoli problemi della scuola italiana, a
cogliere le diversità.
Come hanno vissuto i
bambini l'avvicinamento alla scuola? Abbiamo iniziato, sempre nel 2008, con
delle realtà in cui i bambini rom neanche sapevano cosa fosse la scuola. Poi,
col tempo, abbiamo registrato un notevole riscontro. Molti bambini e adolescenti
sono passati da una totale estraneità alla scuola ad una completa frequenza
quotidiana. Alcuni hanno perfino conseguito la terza media. E' veramente
importante la positività dell'apprendimento per questi bambini.
Alcuni anche grandicelli - interviene Mauro -, che presentavano delle lacune
rispetto ai pari età italiani, attraverso l'inserimento e il sostegno scolastico
sono riusciti a colmarle. Questo testimonia che il lavoro condotto, da tutti i
punti di vista, non è assolutamente inutile.
C'è una storia particolare che ti è rimasta impressa più delle altre? Mi ricordo
lo sguardo fiero e commosso dei genitori che osservavano i propri figli
accingersi ad entrare in classe per il primo giorno di scuola. In quel caso ho
percepito che l'ambiente scolastico è anche una forma di riscatto per i rom.
Purtroppo, però, è anche vero che buona parte dell'associazionismo di settore si
è spesso mosso su binari di mero assistenzialismo, vissuto come una sorta di "scambio" da parte degli stessi genitori, nel senso
"io ti do mio
figlio, tu che cosa mi dai?". Un disinteresse nel seguire i propri figli
nella vita scolastica in cui Popica ha cercato di essere presente per sopperire
a questa mancanza, stando anche a stretto contatto con gli insegnanti.
E lo sport? Quanto
può aiutare nel processo di interazione? E' determinante quanto la scuola
-
spiega Christian -. Da quasi tre anni abbiamo affiancato a Popica l'attività
calcistica dei bambini sfociata, poi, nella nascita dell'Associazione Sportiva
Dilettantistica Birilli (che ha a disposizione le categorie Pulcini, Esordienti
e Giovanissimi ndr), di cui sono il presidente e Mauro, insieme a Lorenzo
Bartolomei, è uno dei soci fondatori nonché allenatore. Si tratta di
un'esperienza di sport sociale per Roma, con lo scopo in primis di insegnare il
rispetto per compagni ed avversari. Una tappa fondamentale di questo percorso è
stata Palermo dove, nel 2011 e quest'anno, abbiamo partecipato al Mediterraneo
Antirazzista insieme ad una squadra di rifugiati. Proprio nell'edizione di due
anni fa ci siamo accorti che potevamo espandere l'attività di Popica ed è
germogliata l'idea di costituire l'Asd Birilli, il frutto di una continuità del
lavoro seminato in precedenza. Vorrei ringraziare la Uisp (Unione italiana sport
per tutti), che ci ha aiutato a muovere i primi passi; l'Asd Sporting Tor
Sapienza che ci ha da subito supportato con donazioni di materiale sportivo;
Daniele e l'Atletico San Raimondo di Anagnina che tante volte ci ha ospitati per
allenamenti e amichevoli. Un ringraziamento particolare va sicuramente ai
Blocchi precari metropolitani e all'occupazione del Metropoliz che ci hanno
ospitati per gli allenamenti, dando un contributo fondamentale alla nostra
partecipazione al Mediterraneo del 2011. Al Metropoliz, oltretutto, alcuni rom
ripetutamente sgomberati dalle baraccopoli senza una soluzione abitativa
alternativa hanno trovato una casa, insieme a italiani, peruviani e altri. Un
altro ringraziamento particolare va a Silvia e al centro sociale Corto Circuito
di Cinecittà, che settimanalmente mette a disposizione dei ragazzi il campo da
calcetto Auro Bruni e la struttura del centro sportivo, unitamente a competenze
e materiale per gli allenamenti, per non parlare della campagna "porta un
birillo a Palermo", con cui si è contribuito a finanziare la nostra discesa al
Mediterraneo l'estate scorsa.
Quali altri progetti sono stati realizzati o avete in mente di concretizzare? Di
recente abbiamo collaborato ad un progetto dell'OSCE (Organizzazione per la
sicurezza e la cooperazione in Europa) in partnership con Amnesty International,
rivolto agli abitanti rom romeni delle baraccopoli di Roma. E' stata attuata una
forte campagna di sensibilizzazione dal titolo "Conosci i tuoi Diritti",
elaborando un opuscolo informativo in italiano e romeno, realizzato da alcuni
rom da noi formati, su argomenti di rilievo come l'accesso alla scuola, alla
sanità e ad altri servizi primari. E' stato ideato anche un video proiettato
nelle baraccopoli. Per il futuro speriamo che altri progetti presentati per dei
bandi, anche europei, vengano finanziati.
Il volontariato s'inserisce lì dove c'è un'assenza dello Stato. Cosa si dovrebbe
o si potrebbe fare per migliorare l'integrazione? Tutto ciò che riguarda lo
stato sociale dovrebbe essere un qualcosa di pubblico. Il nostro obiettivo è
quello di diventare un giorno "inutili", significherebbe l'autonomia
delle persone. Lo Stato in alcuni settori è carente e noi cerchiamo di sopperire
a questa assenza con il sostegno e l'orientamento, senza nessuna intenzione di
lucrare sull'emergenza. Il giorno che i rom saranno "integrati",
termine che peraltro non ci entusiasma e a cui preferiamo quello di "non
esclusi", ci occuperemo di altro.
Grazie al vostro lavoro, avete notato dei cambiamenti socio-culturali riguardo
alla situazione dei rom? Qual è il vero valore del volontariato in questo senso?
Inviterei tutti a trovare altre fonti d'informazione che non siano i giornali o
la televisione perché, dietro alla situazione dei rom, c'è un mondo positivo che
spesso e volentieri non è raccontato - afferma deciso Mauro -. Devo ringraziare
il mio vecchio amico Lorenzo, che mi ha avvicinato al volontariato e per me è
stato un modo per riempire il tempo in maniera costruttiva per gli altri. E'
vero che esiste una situazione di volontariato "egoista", cioè il
sentirsi utili a tutti i costi, tuttavia la mia esperienza personale mi ha
portato a conoscere una nuova realtà che mi ha arricchito totalmente, anche in
altri ambiti diversi dalla situazione dei rom. Bisognerebbe essere un po' più
altruisti, pensare al prossimo in qualsiasi ambiente e ne esistono davvero tanti
nella nostra società in cui c'è bisogno di una mano.
Non posso che essere in totale accordo - ribadisce Christian -. Credo che nella
vita di ognuno di noi, oltre alla famiglia, al lavoro e agli amici, ci debba
essere un po' di spazio per dedicare del tempo al prossimo. Ho iniziato a
conoscere i rom nel 1999 e, come la stragrande maggioranza delle persone, ero
convinto che fossero tutt'altro rispetto a quanto ho poi scoperto: un mondo
davvero colmo di positività."
Così Gianni Fava intervenendo al convegno sul tema tenutosi oggi a Milano.
L'assessore alla Cultura della Lombardia ha sottolineato: "Il processo attuale
di presidio va sostenuto". Trecentottandadue giostre che servono circa 105.000
persone, per una presenza annua in 8.000 fiere paesane. E', in sintesi, il
ritratto delle piccole giostre in Lombardia, ovvero l'insieme delle attività
dello spettacolo viaggiante, che, oltre alla rivitalizzazione delle piazze
comunali, comprende le tradizionali piccole attività di spettacolo gestite in
particolare da appartenenti alle minoranze linguistiche sinte e destinate in
particolare ai più piccoli, dai tratti fortemente identitari per la tradizione
lombarda.
"Attività di nicchia - ha detto l'assessore regionale all'Agricoltura Gianni
Fava, intervenendo, oggi, in apertura dei lavori del convegno 'Spettacoli
tradizionali delle giostre in Lombardia: sicurezza e valorizzazione delle
attività verso Expo 2015' - e di qualità, frutto di attività che assicurano il
mantenimento di un presidio fondamentale nei piccoli paesi: se le giostre
abbandonano i nostri piccoli centri, le piazze dei piccoli centri rimangono
vuote e perderanno sempre di più il loro carattere di incontro e sicurezza"
Via Boito n. 7, la palazzina in cui era situato il centro si trova nel
quartiere Malaspina, a pochi passi dalla centralissima Via Notarbartolo. Il
Laboratorio Zeta era il luogo sempre aperto ed accogliente in cui incontrarsi,
pensare iniziative, realizzare quello che decenni di amministrazioni
inadempienti non avevano voluto o potuto garantire ad un pezzo di Palermo. "La
ragione di questa decisione consiste principalmente nell'impossibilità di
continuare a coniugare le attività del centro sociale con l'accoglienza di
rifugiati politici e quindi con la dimensione abitativa", si legge nel
comunicato, pubblicato sul sito del collettivo, che ha dichiarato conclusa
l'esperienza dello Zeta Lab, così era chiamato lo stabile che l'ha ospitato per
oltre dieci anni.
Si tratta di un centro sociale nato nel 2001, considerato fin da subito uno
dei centri pulsanti della città, che ha preso forma dall'incontro di diverse
anime, esperienze e realtà sociali, tutte accomunate dalla voglia di cambiamento
e da "no" risoluti verso razzismo, guerra, globalizzazione e ingiustizia
sociale. Un gruppo che si è organizzato, fin da subito, in base al principio
dell'autogestione e al potere decisionale dell'assemblea.
Ma lo Zeta Lab è stato anche di più, e chi l'ha vissuto o semplicemente
attraversato questo lo sa. Laboratorio di idee, spazio politico e aggregativo,
ha assunto negli anni un ruolo esemplare rispetto a pratiche di accoglienza e
inclusione sociale, in materia di politiche migratorie.
Era il primo marzo 2003, quando una cinquantina di Sudanesi, riunitisi
davanti alla Prefettura di Palermo, chiedevano asilo politico e un'accoglienza
degna di uno Stato democratico. Di fronte al silenzio dell'amministrazione, lo
Zeta Lab si fece carico di questa emergenza, pur non essendo attrezzato allo
scopo. Gli stanzoni umidi, nel giro di poco tempo, divennero i luoghi più
"caldi" che la città potesse offrire loro. Quell'ospitalità immaginata
provvisoria si trasformerà in definitiva, dando vita a una lunga esperienza di
cogestione.
Circa seicento migranti, provenienti da diverse parti del mondo, hanno
attraversato, negli anni, questo spazio che, grazie al contributo di molti
volontari e militanti, è divenuto oggi un luogo simbolo. La sua storia, infatti,
è un intrecciarsi di percorsi di singoli e associazioni che ne hanno fatto casa
propria.
È stato promotore di manifestazioni di ogni tipo e diversi progetti sono
decollati da lì, esempio ne è il caso della Rete Antirazzista Siciliana,
protagonista di numerose vertenze locali e nazionali.
Tra sgomberi e ri-occupazioni, - si tratta di uno stabile mai assegnato
formalmente a scopi sociali - lo Zeta è riuscito a costruire uno spazio pubblico
per la città, regalandole concerti, dibattiti, presentazioni di libri,
cineforum, una biblioteca, una scuola di italiano per stranieri e uno sportello
legale. Una grossa perdita, questa, per una città già sofferente, carente di
servizi sociali e di spazi d'aggregazione. Ma suo contributo lo si è visto anche
su altri fronti sociali, come quello della lotta antimafia, terreno su cui il
centro è sempre stato molto determinato, dei senzacasa e dei beni comuni.
Dario Librizzi, una della anime del collettivo, spiega così le ragioni della
chiusura e ci chiarisce: "Lo Zeta Lab non è nato per fare accoglienza, gli spazi
erano stati pensati e destinati ad altre attività. In più di dieci anni, nessuna
amministrazione ha trovato alcuna struttura da destinare ai ragazzi sudanesi,
ritrovandoci a supplire questo vuoto istituzionale. Ma adesso non è più
possibile. Da una parte questa decisione nasce dall'impossibilità di occuparsi
di accoglienza, e dall'altra da una sofferta convivenza e dall'incapacità di
trovare regole comuni. Attualmente sono rimasti circa sette sudanesi nei locali
e con alcune di queste persone ci sono stati problemi personali molto gravi.
Negli ultimi due anni lo Zeta è diventato un bivacco vero e proprio, non più un
punto di partenza per provare a cambiare la propria vita, ma uno stallo". Ma si
ragiona anche di futuro altrove per lo Zeta: "Stiamo ragionando - continua Dario
Librizzi - su varie ipotesi. Il collettivo continua a riunirsi, discute e
partecipa alla vita politica della città. Insomma lo Zeta Lab esiste e resiste".
Oggi lo stabile di via Boito è diventato sede del Centro Culturale Sudanese
Baobab. Lo spazio, infatti, è stato lasciato agli ultimi profughi sudanesi
rimasti, declinando a loro ogni responsabilità nella gestione, come è stato
dichiarato. "Le lotte dello Zeta - però - continueranno ad essere portate
avanti, ma in altre forme, in altri luoghi e con altri nomi". Lo hanno promesso.
Di Fabrizio (del 02/12/2013 @ 09:09:06, in lavoro, visitato 1733 volte)
Torino, 19 novembre 2013. Cristian Santauan, ragazzo rom rumeno, ha spiegato
all'incontro "Torino Meno Rifiuti" , organizzato da Eco dalle città, la sua
esperienza di recuperatore, che durante la settimana scandaglia i cassonetti
e poi sabato e domenica tenta di vendere al Balon gli oggetti recuperati: abiti,
scarpe, persino piatti e bicchieri. Commenta questa pratica l'assessore
all'Ambiente del Comune di Torino Roberto Ronco
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