Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 25/02/2013 @ 09:03:03, in sport, visitato 2081 volte)
immagine da gazzetta.it
Qualche giorno fa, leggevo su un sito che più serio ed affidabile non si
potrebbe (Agenzia Parlamentare del 21 febbraio), questo titolo:
TORINO: RICCA-SCIRETTI (LNP), UNICO MODO PER SUPERARE I CAMPI ROM E' FARLI
SPARIRE
Il contesto è dato da un
intervento del sindaco di Torino, volto a rilanciare la strategia
cittadina su Rom e Sinti. Intervento che, a parte i plausi per il coraggio
dimostrato a parlarne nel pieno della campagna elettorale, ha
(ovviamente) anche risvegliato le voci di chi è contrario: da una sommaria
lettura di altri siti web mi pare che i punti più criticati sono i ritardi
rispetto agli impegni già presi tempo fa, oltre alla solita domanda "Con quali
soldi??"
Dibattiti simili stanno fiorendo un po' in tutte le città, e anche le
modalità si somigliano. Dell'opinione del capogruppo leghista, mi interessa la
parte finale: FARLI SPARIRE. Mi chiedevo (linguaggio a
parte) in cosa si differenziassero le sue parole dall'altro mantra che
viene ripetuto dall'opposto schieramento: IL SUPERAMENTO DEI CAMPI.
I campi (parlo per esperienza personale) so come sono fatti: un insieme
di strutture dall'aria provvisoria ma che spesso durano decenni, abitati da gente
abbastanza strana. Li si SUPERA, come si supera un semaforo, un'indicazione
stradale ecc. andando oltre, oppure li si supera perché li si ignora. Come
qualsiasi cosa materiale, farli SPARIRE è impossibile: puoi usare la ruspa ma il
campo, beffardo, si ricrea qualche centinaio di metri più in là.
Così, magari per puro divertimento, entro in una storia trattata già tante
volte e da diversi punti di vista.
- La questione dei Rom e' un problema complesso da
governare... dice il sindaco torinese.
- Il tema dei rom è molto complesso e va affrontato nella
maniera opposta... risponde l'opposizione.
Consolante, direi. Altro tema che accomuna i due interventi è l'inciviltà
che regna in questi campi, che secondo l'esponente leghista è dovuta ai Rom
stessi, che non vogliono (lo si intuisce dal pensierino finale) andare a
lavorare, accendere un mutuo o pagare un affitto. Inciviltà che c'è
anche per il sindaco, ma non
si capisce di chi sia la colpa (dei Rom, del comune, della società malvagia?).
Come lettore, sono già disorientato da questo politichese, mi sembra di
nuotare nella marmellata. Per il momento:
PIERO FASSINO: 0 - FABRIZIO RICCA: 1
Sulla complessità, in effetti, l'opposizione tenta di fare pressing su
tempo
e soldi già passati. Ma, chiede il solito lettore, voi opposizione cos'avete
fatto? E qua, ci sta un clamoroso autogol, perché disorientato dal termine, il
capogruppo e la sua squadra rilanciano vecchie parole d'ordine che con la parola
complessità fanno a cazzotti: far scomparire tutti i campi nomadi, rimpatriare
gli zingari tramite i centri di identificazione ed espulsione e trasformare gli
spazi attualmente occupati abusivamente in aree di transito, da usare come sosta
temporanea previo pagamento dell'occupazione del suolo pubblico.
PIERO FASSINO: 1 - FABRIZIO RICCA: 1
Può sembrarvi generoso il punto a Fassino (che di suo ci ha messo poco), ma
parliamo di complessità e di saper governare (non di noccioline del
Piemonte!):
- quanti "zingari" finirebbero nei CIE? Per quanto tempo?
Rimpatriati quando?
- domanda ingenua: i CIE funzionano? A cosa servono?
- campi sosta a pagamento? Chi mi da la garanzia che i
sostanti possano pagare? Se non hanno soldi e continuano a
vagare, cosa cambia rispetto a oggi?
Lasciamo perdere (ahi che guaio la complessità!) che ci sono
"zingari" italiani, stranieri comunitari, stranieri extracomunitari. Lasciamo
anche perdere che i CIE altro non sono che posti dove i diritti sono meno
rispettati che nelle prigioni (non sto facendo il solito estremista, sto
leggendo
Wikipedia). La domanda, piatta-piatta, è: sinora i CIE hanno
influito sull'afflusso di migranti irregolari (o di migranti che hanno perso
i titoli legali di restare in Italia), oppure questi arrivi sono
proseguiti (aumentati addirittura)?
Il più grande deterrente all'arrivo di migranti (regolari o meno), non sono i
CIE, non sono neanche i nipotini di Borghezio. Gli arrivi in Italia stanno
diminuendo, per il solo motivo che qua non ci sono più soldi, e visto che i migranti (tra
cui i Rom) non sono stupidi, se possono cercano altre mete. Quanti tra loro
continuano il gioco eterno di rimpatrio-ritorno, sono quelli che sono stati
espulsi nonostante avessero qua una famiglia, un lavoro, qualsiasi interesse,
che fosse o meno riconosciuto dalla legge. Insomma, sto dicendo, finché non
risolveremo il problema NOSTRO della crisi, è fuorviante prendersela con i Rom.
A meno che, non si voglia iniziare da loro per prendersela in futuro con gli
altri stranieri (FALLO DA AMMONIZIONE).
Il fallo da ammonizione suscita (al solito) vivaci contestazioni dalla
panchina. Volendo (anche se non capisco come) si potrebbe rimpatriare TUTTI GLI
ZINGARI, italiani o meno, in India da dove sono arrivati qualche vagonata di
secoli fa. Ricca, ad esempio, è un cognome diffuso nell'imperiese ma che è
originario della Sicilia, non è che in caso di secessione nordista (sempre
di fantapolitica si parla), sarebbe rimpatriato anche il capogruppo leghista?
PER DIRLA CHIARA: se volevate chiudere le frontiere (o crearne di nuove), ne avete avuto tutto il
tempo. Non ne siete stati capaci (meglio così, ma resti tra noi...)?
Come succede in qualsiasi paese civile (e anche in quelli incivili), fatevene
una ragione. E date tempo e risorse a chi è arrivato qui QUANDO ERAVATE ANCHE
VOI AL GOVERNO, per sistemarsi e organizzarsi, perché adesso il problema è
questo e l'avete creato voi.
A parte ciò, sinora FAR SPARIRE un campo ha significato solo spostarlo di
poco, un po' come nascondere la polvere sotto il tappeto. I rimpatri, sono un
gioco simile, soltanto giocato su grande scala: i Rom vengono "deportati" in
paesi che non li vogliono, e che faranno di tutto a spingerli ad emigrare
nuovamente, Un eterno ping-pong. Sono quegli stessi paesi dove da un lato
investiamo per ridurre i costi della manodopera nostrana (ahi la crisi!), e dove
rimandiamo gente disinteressandoci di cosa succede loro dopo. E così, ritornano.
Dimenticavo, a proposito dell'autogol di prima: il capogruppo Lega Nord provi
a spiegare cosa deve fare un Rom per andare a lavorare, accendere un mutuo o
pagare un affitto, visto che, anche se fosse italiano, gli viene risposto
PRIMA NOI.
FINE PRIMO TEMPO
SUPERAMENTO: sentite com'è un termine più civile ed elegante? Fassino e tutta
la sua squadra giocano sicuramente un calcio più signorile, ma "semanticamente"
mi sfugge la differenza. E' un difetto molto italiano: ad un certo punto
qualcuno scopre una parola fortunata, che altri riempiono di una serie di
concetti tutti da dimostrare e valutare, dimenticando vincoli molto pratici come soldi e
tempi... e talvolta persino l'avversario!
Si è partiti il giugno scorso con
il piano del ministro Riccardi. Da allora, e non solo a Torino, ho letto un
susseguirsi di buone intenzioni, con pochissimi fatti. Perché, se la politica
del "chiudere e mandare via" ha i suoi costi (nonostante le semplificazioni
leghiste), che vengono ripagati solo in chiave ideologica (avremo
comunque nuovi arrivi e ritorni: l'inefficacia del risultato crea nuovi bersagli),
anche per superare i campi occorrono fondi e investimenti. Che, guarda caso, non
si trovano, sono bloccati, qualcuno li ha usati per altro... C'è addirittura chi
non si è posto il problema!
Il discorso, se ascoltiamo anche la controparte che si oppone, è: LI VOGLIAMO
O NO? Perché se non li vogliamo questi "zingari", allora a cosa serve investire
in casa, lavoro, sanità ecc? Magari salterà fuori qualche spicciolo che farà
gola a qualcuno, e si inizierà timidamente a fare qualcosa, per bloccarsi alla
prima difficoltà. E, se non li vogliamo, cosa ne facciamo? ATTENTI, se non
sappiamo che farne di questi zingaracci, c'è l'altra squadra pronta a segnare
in contropiede.
Il secondo ragionamento è: chi è il soggetto che attua il SUPERAMENTO? Per
essere chiari: chi gioca nella formazione di capitan Fassino? Al momento, posso solo
intuirlo: mediatori culturali (mi sa che sono i soliti),
associazionismo dal bel nome (mi sa che sono i soliti), imprese e
cooperative che qualche lavoretto - anche in tempo di crisi - lo chiedono (mi
sa... ops, l'ho già detto). Schierata sul campo di gioco, vedo la stessa
formazione che sino a qualche anno fa sui campi ci ha marciato alla grande (grandi
insuccessi, intendo). Come
sempre in panchina Rom e Sinti.
No, non parlo di qualche Rom e Sinto autoproclamatosi rappresentante di tutta la
galassia, parlo di quella massa che in quelle COSE SCHIFOSE CHE VORREMMO (forse)
SUPERARE ci vive, che lo
voglia oppure no. Vedete, se superiamo i campi con le stesse precondizioni con
cui li abbiamo ideati, cioè limitandoci a sentire gli autoproclamati ESPERTI e
consorterie,
non saremo (ancora!) in grado di superare la marginalità creata da
questi campi. Perché chi ci vive o chi lo lascia, viene trattato come un bravo
giocatore, anche indispensabile, ma da tenere in panchina.
Inoltre i campi, che piacciano o no, ci sono ancora. Ma il messaggio
che le tutte le amministrazioni (destra e sinistra) si sono trasmesse
sottotraccia è che non ci sono più i soldi per il loro mantenimento (manutenzione
elettrica e idraulica, sgombero delle fogne, supporto sanitario e scolastico),
Così il paradosso è che mentre si parla (si parla, ricordatelo: non che nei
fatti sia cambiato nulla) del loro superamento, anche il campo, anche
quello regolare, diventa sempre più invivibile, difficile e oneroso da gestire.
Chi vi abita, che sino a qualche anno fa aveva speranza e capacità per alzarsi
dalla panchina, in questa situazione ha sempre più problemi, URGENTI QUOTIDIANI
BASILARI, e di giocare non ci pensa, perché TUTTO GLI SEMBRA
LONTANO E ASTRATTO.
UNA PARTITA GIOCATA SENZA DI LUI. Qui termina la telecronaca.
1-1, secondo me. Se avessi dimenticato qualche
bel
momento di gioco, fatemelo sapere. GRAZIE, PER IL MOMENTO E' TUTTO DAL VOSTRO
SANDRO CIOTTI.
Di Fabrizio (del 26/02/2013 @ 09:00:40, in scuola, visitato 1737 volte)
Disegnatore di moda aiuta il progetto
Romsky' Mentor
Prague, 9.2.2013 20:32, (ROMEA)
Jana Baudyshovà, translated by Gwendolyn Albert
2013: Il progetto Romsky' Mentor si svolge nel centro comunitario di Pràdelna
a Praga 5 per il secondo anno di fila
Il centro comunitario di Pràdelna in via Holechkova a Praga 5 sta ospitando il
Romsky'
Mentor per il secondo anno di fila. Il processo d'integrazione porta lo stesso
nome ed ancora una volta ha la collaborazione di successo del disegnatore di
moda Pavel Berky.
Si gela, ma la "casetta", come i bambini chiamano il centro, è pieno di
giovani voci. Poco prima delle 15.00 Pavel arriva col "suo" gruppo. Lo schermo
cinematografico nella piacevole penombra dell'attico, è riempito da sfumature
colorate anni '60: vestiti a fiori, capelli lunghi, pantaloni a zampa
d'elefante, segni della pace e il sorriso di Janis Joplin.
"Wow!" mi dico, guardando un gruppo di adolescenti che ascoltano attentamente le
storie dei loro nonni quando erano giovani. Non hanno paura di fare domande se
qualcosa li interessa e così il flusso della conversazione rotola su droga,
guerre, religione, amore libero, ed anche il lato scuro dello stile di vita
hippy.
Poi, la moda diventa la star dello show, ed inizia un vortice di misurare,
accorciare, cucire, selezionare i tessuti e intrecciare nastri nei capelli.
Quasi dimentico che sono lì col compito di scrivere sul progetto Romsky'
Mentor.
Raggiungere una cosa e capirne un'altra
Il progetto internazionale si svolge contemporaneamente con successo in
Bulgaria, Ungheria, Macedonia e Slovacchia. E' stato portato in Repubblica Ceca
dall'Open Society Foundations (OSF) e sin dal 2011 viene sviluppato da ROMEA.
"Lo scopo principale è contribuire verso l'integrazione dei bambini
svantaggiati, attuando attività ricreative nel campo delle arti e della cultura
nelle scuole," dice la coordinatrice Iva Hlavàchkovà.
Uno dei punti di contatto tra il progetto e il mondo esterno è un artista romanì
di successo: un professionista che regolarmente si incontra con un gruppo di
bambini e, assieme ad un pedagogo, ha preparato un programma per loro, in base
alla sua attenzione professionale. Come parte del programma, i bambini quindi
familiarizzano con un'attività specifica e coi suoi contesti più ampi, ma
soprattutto creano e inventano loro stessi.
Oltre a sviluppare competenze, però, i bambini imparano a lavorare in gruppo e
ottenere competenze sociali. Il modello positivo incarnato da una figura romanì
di successo, li motiv a sviluppare le loro idee sul futuro e di sforzarsi in un
percorso di carriera di successo.
Il progetto è aperto a tutti i bambini e, last but not least,
contribuisce ai bambini romanì o no ad imparare la cultura altrui. Il progetto
fa crescere la tolleranza e facilita l'integrazione scolastica.
Rivive la moda di tutto il secolo scorso
L'anno scorso il progetto Romsky'
Mentor si è focalizzato sullo spirito tradizionale del vestire romanì,
l'estetica dei suoi colori, il tipo di materiali adoperati, storia romanì,
cultura e moda indiana. Quest'anno Pavel, assieme al suo collega mentore,
l'insegnante Lenka Jiroudkovà, ha deciso di dedicare la sessione ad un viaggio
attraverso la storia della moda nel XX secolo.
Nell'accogliente attico della "casetta", grazie agli sforzi comuni, vediamo una
serie di fotografie di eleganti ragazze in attillati cappotti scuri, ombrelli
che ruotano dietro le schiene, come si fosse appena usciti dagli anni '40 o '50.
Vediamo punk hard-core con creste, hip-hopper con i pantaloni cascanti e dark
lady gotiche con cappotti che arrivano sino a terra, più neri del nero.
Col passare del pomeriggio, il centro comunitario si muta in una versione da
camera di Woodstock. Prevale tra i presenti un'atmosfera confortevole e
amichevole, mentre ci si diverte creando, godendo l'amicizia, condividendo
obiettivi comuni. Non ho dubitato per un momento - dopo tutto, di essere tra i
figli dei fiori.
Potete trovare qualcosa di più sul progetto Romsky'
Mentor sul sito di
ROMEA o su Facebook. IL progetto è totalmente finanziato da Open Society Foundation,
come parte del Programma Arti e Cultura di Budapest, e d anche parte del
Decennio Inclusione dei Rom.
Nella foto: foto e oggetti di Rita Prigmore
CORRIERE IMMIGRAZIONE Nel racconto di Alessandra Ballerini, la testimonianza di Rita Prigmore,
sinta sopravvissuta all'olocausto - 24 febbraio 2013
Sono a Palazzo Ducale. In ritardo, come sempre. La sala è già piena. Di ogni
tipo di persone. L'immancabile Genova "bene", rappresentanti attuali e passati
delle istituzioni, ma anche studenti o comunque giovani. Un'età media
incredibilmente bassa per essere a Genova. Anche molti stranieri in sala: per lo
più sudamericani e africani. E poi ci sono loro: "gli zingari". In realtà li
distingui solo dopo un po'. E solo se già li conosci. Sono tutti raccolti a
vedere ed ascoltare Rita Prigmore, una delle ultime donne "zingare"
sopravvissute all'Olocausto - e alle sperimentazioni mediche dei nazisti sui
bambini, invitata dalla Comunità di Sant'Egidio.
Sono in ritardo, ma in tempo per ascoltare Andrea Chiappori mentre spiega alla
platea che il genocidio inizia sempre con teorie e pregiudizi ed uccide le
persone non per quello che fanno ma per quello che sono. Queste parole mi
suonano familiari. Sono le stesse utilizzate da noi giuristi per eccepire
l'incostituzionalità delle norme sull'immigrazione che puniscono come reato la
clandestinità e infliggono la pena della prigionia nei Cie per 18 mesi per gli
stranieri irregolari, colpevoli, appunto, di essere (stranieri) e non di fare.
Rita parla, ferma e appassionata. Ricorda le leggi razziali tedesche che per
debellare la "personalità antisociale" dei rom, si inventano il sistema crudele
e insulso della prevenzione delle malattie ereditarie tramite la loro
sterilizzazione e gli esperimenti sui neonati, in particolare sui gemelli. La
neonata Rita viene strappata dal ventre materno insieme alla gemella che perirà
dopo poche settimane di "esperimenti". Rita subirà interventi alla testa e agli
occhi per tutto il suo primo anno di vita da parte degli "scienziati della
razza", convinti di poter creare una specie eletta e monotona con occhi azzurri
e capelli biondi. Rita non si compiace, come a volte fanno le vittime, della sua
sofferenza. Racconta con dolorosa memoria la storia della sua famiglia e della
sua "gente" perché vuole lasciare un messaggio: "voi che potete costruire il
vostro paese, guardate gli altri senza pregiudizio, riconoscete in loro sempre
un essere umano. Ogni essere umano è l'immagine di Dio, per questo nessuno può
condannare un'altra persona".
E detto da lei, che di condannare i suoi aguzzini ne avrebbe ben donde, questo
monito fa una certa impressione. Le persecuzioni razziali sono state sempre
avallate da leggi la cui emanazione è stata (ed è) possibile perché è stato
creato ad arte il consenso sociale. "Ma se ancora oggi è possibile considerare
intere categorie di esseri umani come non persone allora la storia non è
salvifica. Basta guardare la rabbia, il disprezzo e la paura che ancora ci
appartengono e stanno dentro la nostra cultura".
Lo so. È una frase di un pessimismo estremo. Non è mia ma di Luca Borzani,
presidente della fondazione Palazzo Ducale. E l'autorità dell'autore la rende
ancora più indigesta. "La storia non salva se non porta ad una responsabilità
individuale" ed infatti, in questa platea così "mista", quando ci scambiamo gli
sguardi durante il racconto di Rita, vergogna è il sentimento che ci unisce.
Vorremmo salire sul palco e chiederle scusa. Perché da esseri umani ci si
vergogna del male che siamo in grado generare.
Anche Ariel Dello Strologo (Presidente del Centro Culturale Primo Levi) ritiene
che non bastino la storia né la cultura per non ricompiere gli errori del
passato. Oltre alla storia e alla cultura servirebbe una costante e cosciente
responsabilità individuale e collettiva per ogni nostra scelta, anche la più
banale e quotidiana. E lo dice fiero nel ricordo di quella prima volta in cui si
celebrò il 27 gennaio a Genova dodici anni fa e lo si fece ricordando lo
sterminio dei rom e sinti.
Chiude l'incontro Pino Petruzzelli che i rom li conosce, li narra e li ama e che
in poche ma precise parole ricorda le nefandezze compiute dagli scienziati e dai
medici nazisti. Nel 1936 in Germania, nel centro per l'igiene e la razza, nasce
la teoria della "pericolosità degli zingari" causata dal "gene dell'istinto al
nomadismo". Nel 1935 iniziavano le ricerche per rendere potabile l'acqua del
mare ed il capo della polizia criminale decide di utilizzare come cavie i rom
(chiamati ariani decaduti) geneticamente più simili ai tedeschi, sottoponendoli
a dementi esperimenti di inutile crudeltà. Al processo di Norimberga i medici
mentono e si giustificano esaltando i risultati (inesistenti) degli esperimenti.
Alcuni di questi medici, nonostante si siano macchiati di tali imperdonabili
crimini, hanno continuato a svolgere la loro attività, sono stati promossi e
agevolati nella carriera universitaria. E a me viene in mente il medico e
l'infermiera condannati per le torture di Bolzaneto durante il G8 del luglio
2001, che ancora esercitano indisturbati la professione in strutture pubbliche.
E poi penso alle parole. Alla loro manomissione (come direbbe Carofiglio). Lo
sterminio, il genocidio vengono artatamente trasformati, nella propaganda
razzista, in ricerche per migliorare la "razza". Gli "zingari" seppure cittadini
tedeschi (o italiani) vengono rappresentati come un problema sociale. Ieri come
oggi. Penso ai continui ed odierni sgomberi dei campi rom, ai fogli di via
notificati a cittadini comunitari privi di stabile reddito e perciò considerati
automaticamente minacciosi per l'ordine pubblico.
Concetti insidiosi come "personalità antisociale" o "predisposizione a
commettere reati" sono utilizzati da sempre, senza alcun criterio, per
discriminare intere fasce di popolazione. Oggi, a chi chiede la cittadinanza
italiana dopo decenni di regolare residenza nel nostro Paese, viene eccepita la
"contiguità a movimenti aventi scopi incompatibili con la sicurezza dello
stato". Formula ambigua e discriminante visto che viene utilizzata per negare la
cittadinanza a persone immuni da qualsiasi problema penale ma "colpevoli" di non
essere di religione cattolica.
Oggi si deportano in Libia o si respingono in alto mare naufraghi richiedenti
asilo. Si sono chiusi i lager e si sono aperti i Cie. Si vota in Parlamento, in
nome della sicurezza, una norma di legge (poi fortunatamente dichiarata
incostituzionale) che sancisce il divieto di matrimonio per gli stranieri
irregolari (i non ariani dei giorni nostri) ed un'altra (poi mitigata da una
circolare) che impedisce agli irregolari di ottenere atti dello stato civile
(compresi certificati di morte e di nascita) con la conseguenza sciagurata per i
genitori irregolari di non poter riconoscere i propri figli e dunque di
rischiare di vederli dati in adozione a famiglie italiane.
La portata evidentemente nefasta ed abnorme di questa norma, votata dal nostro
Parlamento all'interno del cosiddetto "pacchetto sicurezza" (a proposito di
mistificazione delle parole!) nell'agosto del 2009, è stata successivamente
contenuta grazie ad una circolare ministeriale emessa in risposta alle proteste
di giuristi, assistenti sociali e della società civile cosciente e informata.
Altre norme, come il divieto di accesso alle cure mediche e all'istruzione
scolastica per gli stranieri irregolari, seppure già scritte, non hanno
fortunatamente visto la luce solo in seguito all'accesa protesta di medici e
insegnanti.
Penso al susseguirsi negli ultimi anni di insensati decreti governativi per
fronteggiare un'inesistente "emergenza nomadi" (parliamo in realtà in tutta
Italia attualmente di circa 60 mila persone, per metà cittadini italiani ed in
massima parte minori) come fosse una "calamità naturale", legittimando sgomberi
ed espulsioni.
Forse ha ragione Borzani: la storia non ci salva. Ma le storie e i testimoni
narranti possono comunque aiutarci a comprendere, ricordare e scegliere.
"L'importante è un'altra cosa - diceva Basaglia -, è sapere ciò che si può fare.
È quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa
minoranza che siamo, non possiamo vincere. È il potere che vince sempre; noi
possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo,
cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare".
Città Nuova 23-02-2013 a cura di Antonio Cecchine
Intervista a due operatori sanitari di un'Asl romana che opera nei
campi nomadi. Il pregiudizio, l'amicizia, le cose da cambiare
Dopo la denuncia e la proposta lanciata dal presidente dell'associazione 21
luglio a proposito dei campi rom nella Capitale, cominciamo un viaggio nella
vita quotidiana di un medico pediatra (Riccardo) e di una infermiera (Stefania)
chiamati ogni giorno ad intervenire dentro un contesto sociale poco conosciuto e
che genera incomprensioni e pregiudizi. Per motivi di riservatezza i nomi sono
di fantasia.
E' un mondo, quello dei rom, che sembra da sempre "fuori posto". Al massimo gente
da tollerare...
Riccardo: "È l'approccio peggiore! È come dichiararsi sconfitti in partenza. E
poi non dimentichiamo che "fuori posto" ci sono stati messi. Gli zingari hanno
una storia antica di persecuzioni e deportazioni feroci. Pensate ai tempi del
nazismo. Ma anche recentemente (vedi rom della Bosnia) molti sono dovuti fuggire
dalla loro terra per salvare la pelle: persone che avrebbero diritto allo status
di rifugiati. Comunque sia, è vero che i rom hanno una loro originalità, e si
infilano in genere tra gli spazi di degrado urbano delle nostre periferie. È un
universo parallelo, alternativo, nomade: il them romanò, in effetti abbastanza
allergico alle strutture".
Ma allora come riuscite a dare continuita' al vostro lavoro, vista questa
condizione nomade?
Riccardo: "Forse è utile partire da un po' di storia. La realtà dei rom, dei sinti e dei camminanti
è complessa e antica. Nell'area romana la presenza
zingara risale al XVI secolo, nel rione Monti c'è ancora la lunga via degli
Zingari a confermarlo. Dietro alla parola "nomade" o zingaro o rom in realtà c'è
un universo complesso. Il nomadismo stesso –anche se in realtà i rom sono ormai
una realtà quasi del tutto stanziale, in Italia – non va pensato come una cosa
strana, appartiene alla storia dell'umanità. Un tempo eravamo tutti dei nomadi.
Nell'anima il popolo rom continua a vivere così, giorno per giorno, senza
preoccuparsi del futuro. Di fatto, vive nei campi, ma la stanzialità è, in
genere, gestita male. Il campo è spesso sinonimo di ghetto".
Considerando la loro diffidenza per le strutture, non deve essere semplice
"inquadrare le situazioni sanitarie", come vi muovete?
Riccardo: "L'esperienza di questa equipe partita nel 2006 è stata quella di
partire dai loro bisogni di salute senza imporre schemi rigidi. Anche se è
chiaro che la prima cosa che salta alla vista è la necessità di curare. Di
prevenire. Ma abbiamo capito che per riuscire era importante partire dalle loro
richieste e soprattutto costruire appunto rapporti di fiducia".
Quindi accettano la vostra offerta di cure?
Stefania: "Dopo anni di lavoro, ormai direi di sì. Certo, c'è ancora un grande
percorso da fare, anche come integrazione sanitaria, ma sta andando bene.
Prendete il campo della Cesarina. Dopo 7 anni di presenza continua e rispettosa
della loro identità e diversità cultuale, le risposte arrivano. Il tasso di
vaccinazioni dei rom bosniaci è intorno al 90 per cento, cosa impensabile anni
fa. L'affluenza negli ambulatori dedicati a Stp ed Eni (acronimo dei codici
sanitari per Stranieri temporaneamente presenti o Europei non iscritti) con
richiesta di visite ginecologiche e pediatriche e specialistiche è aumentata".
Che patologie sono riscontrabili in campo pediatrico?
Riccardo: "Fare il medico nei Campi per visitare i bambini rom è un po' come
compiere un balzo spazio-temporale. All'indietro. Si ritrovano patologie antiche
come la Tbc, o altre ancora presenti tra noi, ma più diffuse".
E riuscite a curarle?
Riccardo: "Si tamponano le urgenze come si farebbe per qualunque altro bambino. E
si lavora sulla prevenzione, vedi vaccinazioni a tappeto. Ma il vero nodo
starebbe nel migliorare le condizioni sociali, igieniche e alimentari. Nel poter
fare un'educazione sanitaria continua. Tutte cose che hanno fatto miracoli per i
bambini italiani, dal dopoguerra in poi. La nostra esperienza ci fa dire che
l'unica è partire dalle donne, vero fulcro della famiglia rom, per arrivare ai
bambini, che sono –per loro come per noi- il futuro".
Come va con la scuola nei campi?
Riccardo: "Finché i bambini nei campi vivranno in condizioni sub-umane, è pura
utopia pensare la continuità scolastica. Sapete che al campo della Cesarina,
dove sono stati investiti centinaia di migliaia di euro, adesso non c'è più
nemmeno l'acqua, visto che l'attuale gestione pare l'abbia tolta? Anche l'unica
fontanella del Comune non c'è più. E la gente va a comprare le bottiglie di
acqua minerale non solo per fare da mangiare, ma anche per lavarsi e lavare i
bambini... Condizioni fatiscenti e potenzialmente a rischio epidemia".
Resta prevalente,quindi, l'aspetto sanitario?
Riccardo: "Proprio così! E' chiaro che anche per un sanitario che si impegni a
"diagnosticare e prescrivere", insomma curare, è frustrante se mancano i
presupposti fondamentali della salute, come l'igiene. Come l'accesso all'acqua,
vero diritto fondamentale. Ed è per questo che anche noi non possiamo starcene
zitti".
E come sono i bambini rom?
Stefania: "Sono vispi, acuti, maturano molto presto. Interessati a tutto, hanno
uno sviluppo cognitivo accelerato, con autonomia e intraprendenza incredibili.
Sulla breve distanza avrebbero da dare molti punti ai nostri bambini, cresciuti
nella bambagia".
Riccardo: "Quando li vedi giocare o danzare ti accorgi di tutto un patrimonio
che potrebbe essere valorizzato. Ed esistono moltissime esperienze positive a
riguardo nate dal volontariato, che fa un lavoro preziosissimo nei Campi.
Purtroppo sono talenti che vengono bruciati in fretta perché qui l'infanzia
è
breve, si diventa presto adulti".
Stefania: "Ci dovremmo chiedere: come sfruttare questo patrimonio umano che
abbiamo? Domanda che una società civile dovrebbe farsi non solo per i bambini
rom, ma per tutti i bambini stranieri nati in Italia, e che ancora non hanno
diritto di cittadinanza. Con i rom sarebbero utili offerte di tipo sportivo, o
teatrale, o musicale. E avremmo risultati eccellenti".
L'Express Israel Galvan: "danzare l'impossibile", il genocidio dei
gitani - Par AFP, publié le 13/02/2013 à 09:52
PARIGI - Il sivigliano Israel Galvan danza dal 12 al 20 febbraio al "Théatre
de la Ville" di Parigi "L'impossibile da danzare": il genocidio tzigane da parte
dei nazisti, con il suo nuovo spettacolo "Le Réel, Lo Real, The Real".
Dimenticatevi del flamenco tradizionale, delle balze e degli "olé":
il flamenco di Galvan è aspro, senza concessioni.
E' a torso nudo, dove si disegnano le costole, danzando sulla scena
quasi vuota. Un piano stonato, dal quale verrà fuori il filo spinato dei campi
di concentramento, dei binari cigolanti: ecco, la scenografia è montata. Lo
spettatore trattiene il fiato: si soffre con lui.
Quando una ballerina irrompe, è vestita come una rom, come in segno di
solidarietà con le persecuzioni di oggi.
Silhouette longilinea vestita di una calzamaglia nera, c'è un uomo
dolcissimo, agli antipodi del solito ballerino brillante, il quale si esprime
tramite interviste, attento alle domande, esitante nell'agganciare delle parole
ai movimenti del corpo.
Cascato piccolino nel flamenco - i suoi genitori sono ballerini e suo padre
insegnante in una scuola di flamenco a Siviglia - traccia rapidamente il proprio
cammino, rischiando di sconvolgere i puristi.
"Hanno il loro posto, è importante conservare la tradizione" afferma Galvan,
"ma il flamenco è in costante evoluzione, e mi sento molto libero".
Libero di scegliere un tema scottante come il genocidio dei gitani, e di
introdurvi "anche della gioia", perché conviene celebrare tanto la loro
sopravvivenza quanto la loro sofferenza.
Il genocidio era presente già nella sua infanzia, "se ne parlava molto a
casa, per motivi religiosi", dice Galvan. I suoi genitori appartengono ai
Testimoni di Geova, perseguitati e deportati dai nazisti a motivo dei loro
legami internazionali e della loro opposizione al potere e alla guerra.
Sua madre è tzigana: il genocidio fa doppiamente parte della storia
familiare. Però, Israel Galvan si è ispirato anche da documentari, libri,
canzoni ("Hitler in my heart" del gruppo Antony and the Johnsons) per la sua
creazione. Dice che come sempre, lo spettacolo risponde a "un'esigenza".
Con una dozzina di creazioni in 15 anni, Israel Galvan si è forgiato la
reputazione di un ballerino profondamente innovatore nell'ambito molto
codificato del flamenco. Applaudito a Parigi e nel nord-europeo da molto tempo,
ha visto il suo lavoro riconosciuto per la prima volta a dicembre, dal Teatro
Real di Madrid, che ha prodotto "Il Réel".
Questo "ballerino delle solitudini", secondo il titolo di un libro che gli è
stato consacrato dal filosofo e storico dell'arte francese Georges Didi Huberman
(2006), è stato per la prima volta - per "Il Réel"- affiancato da due
virtuose ballerine, Belén Maya e Isabel Bayon. Una decina di cantanti e musicisti fanno
molto più che accompagnarlo, essendo la vera spina dorsale dello spettacolo.
Tra i suoi progetti, un duo con il ballerino britannico originario del
Bangladesh Akram Khan, la cui danza è ispirata dal kathak, un'arte tradizionale
indiana vicina al flamenco.
Israel Galvan vorrebbe anche "esplorare il suo lato femminile". Osserva che
"Nel flamenco, l'uomo deve danzare da ++macho++ e la donna, in modo femminile". A
lui piacerebbe "cambiare un po'". Butta là sorridendo: "Ho sempre danzato da
uomo, è un po' stancante".
Una trasgressione fedele al suo percorso, che spiega però, senza alcuna
aggressività. La violenza, la morte, onnipresenti nei suoi spettacoli, li
conserva per la scena. In città, è un uomo timido, che parla dei suoi
figli, tra cui c'è una bambina che danza già "il balletto".
Le Parisien Israel Galvan danza per i rom di Ris-Orangis Publié
le 15.02.2013, 21h24
Nel bel mezzo di un accampamento di Rom a Ris-Orangis, la nuova stella del
flamenco Israel Galvan, batte i tacchi con passione. Habitué delle grandi sale
prestigiose d'Europa, è venuto qui per "confrontarsi con la realtà".
I rom dell'accampamento, autentica bidonville a 20 km al sud-est di Parigi,
hanno terminato la costruzione della scena venerdì mattina, in modo da potere
accogliere il ballerino, attualmente presente sulla locandina del Théatre de la
Ville di Parigi.
All'inizio della serata, la silhouette longilinea d'Israel Galvan, pantalone
colore arancio e piumino marrone, appare nel campo, atteso da circa 70 persone,
abitanti del bidonville e membri di alcune associazioni di sostegno. I bambini,
appena usciti dalla scuola o dal liceo dove alcuni di loro sono scolarizzati, si
spazientiscono in mezzo al fango e alle capanne, costruite lungo la strada N7.
Petto all'infuori, accompagnato da due "cantaores" (cantanti di flamenco) esegue
alcuni passi di danza per alcuni minuti, picchiando il suolo in modo rude e
virile, come un torero atletico.
Ma è soprattutto felice d'invitare gli rom a ballare in mezzo alla piccola
scena, fatta di travi di legno e decorata di ghirlande, che danno al posto delle
arie di parco di divertimenti.
Una donna, la gonna nera della quale sfiora il pavimento, esita, poi finalmente
si lancia nel cerchio sotto lo sguardo benevolo d'Israel Galvan.
Durante la serata, gli rom tirano fuori i propri strumenti: violini,
fisarmoniche e tamburelli colpiti con l'aiuto di bottiglie di plastica.
"E' buono per i bambini, per noi, per la musica", dice Jorge, il quale abita
nell'accampamento da circa otto mesi. "Apporta gioia!"
"Altro tipo di energia"
Figlio di una gitana, Israel Galvan percepisce qui una familiarità con ciò che
conosce.
"Quando guardo la gente, vedo certi volti che potrebbero essere quello di mia
nonna", dice sorridendo, all'AFP.
Aggiunge: "Ciò che mi colpisce, è che nonostante le difficoltà che incontrano
queste popolazioni, riescono a fare venire fuori una gran gioia nel loro modo di
vivere".
Nel suo spettacolo battezzato "Le réel" (il reale), egli evoca senza
concessioni, la sorte tragica – e abbondantemente occultata – che fu riservata
agli tzigani durante la Seconda Guerra Mondiale, perseguitati e sterminati dagli
nazisti.
"Per creare il mio spettacolo, mi sono ispirato a libri e foto antiche di
zigani. Ma venire qui, è la situazione la più reale alla quale mi sono trovato
confrontato" spiega colui che, durante questi ultimi anni, si è tagliato una
reputazione di ballerino profondamente avanguardista e novatore.
Considera: "Non ho mai ballato in questo genere di luoghi prima, ma è importante
per un ballerino, venire a respirare un altro tipo di energia, diverso da quello
dei teatri".
L'incontro, con l'iniziativa della rivista culturale "Mouvement" e
dell'associazione "Perou" che viene in aiuto ai rom, non si ferma qui. Durante
quattro sere, Israel Galvan invita dodici abitanti del bidonville a venire per
assistere al suo spettacolo al Théatre de la Ville, che continuerà fino al 20
febbraio.
Dice che è importante che vengano a vedere lo spettacolo, in quanto questo parla
della loro storia.
Kissaqani.com
"Abbiamo deciso di donare gli organi, così la nostra Natalia rivivrà in altri
bambini". Questa la decisione dei genitori della piccola Natalia, la bimba rom
di 14 mesi caduta nel Tevere giovedì 21 febbraio e morta al Policlinico Gemelli
di Roma sabato 23 febbraio. La piccola stava giocando sulla sponda del Tevere
sotto Ponte Testaccio, dove viveva con i genitori in una baracca di fortuna. É
scivolata nel fiume, il padre l'aveva subito salvata e portata in ospedale, ma
le sue condizioni erano apparse da subito gravissime per problemi cardiaci
legati all'ipotermia. I giovani genitori hanno deciso di donare gli organi. Ora
però non hanno i soldi per il funerale e per riportare il corpo in Romania.
Nessun sostegno dal Comune. L'Associazione 21 Luglio ha lanciato una raccolta
fondi per aiutarli.
Questo l'appello dell'Associazione 21 luglio:
Sabato 23 febbraio è morta presso il Policlinico Gemelli di Roma, Natalia, la
bimba rom di 14 mesi caduta giovedì 21 febbraio nel Tevere, mentre giocava sulle
sponde dove la sua famiglia vive in una baracca di fortuna sotto Ponte
Testaccio. I giovani genitori rom rumeni, colpiti da questa tragedia, hanno
espresso il desiderio che il sacrificio della loro bimba servisse a salvare
altre piccole vite, dando il consenso alla donazione degli organi della figlia.
A distanza di giorni la famiglia, che ancora vive nella baracca lungo il fiume,
non ha ricevuto alcuna assistenza dal Comune di Roma ed è in attesa di espletare
le pratiche per il funerale di Natalia che verrà celebrato in Romania. Il giorno
dopo la morte di Natalia le forze dell'ordine hanno preavvisato la coppia
dell'imminente sgombero dell'area. La loro povera baracca verrà distrutta.
L'Associazione 21 luglio ha deciso di offrire al nucleo assistenza legale. Per
sostenere i giovani genitori nelle spese per il funerale e per il rimpatrio
della figlia l'Associazione 21 Luglio ha lanciato una sottoscrizione. É
possibile aderire alla sottoscrizione tramite Bonifico bancario presso
Bancoposta Codice IBAN: IT48 J076 0103 2000 0000 3589 968 o attraverso il
Bollettino postale al conto n. 3589968 intestato ad Associazione 21 luglio. Sul
sito dell'Associazione
21 luglio è possibile fare un versamento attraverso la carta di credito.
Ogni versamento dovrà avere come causale: Per Natalia.
A Roma il tasso di mortalità infantile dei bambini rom è del 24 per mille contro
il 9 per mille dei minori non rom, come evidenziato nel libro "Roma
Underground. Libro bianco sulla condizione dell'infanzia rom a Roma",
presentato proprio il 19 febbraio scorso a Roma dall'Associazione 21 Luglio. La
ricerca ha analizzato le conseguenze delle politiche capitoline degli ultimi tre
anni, ovvero quelle realizzate in seno al Piano Nomadi, sull'esistenza dei
minori che vivono a Roma in emergenza abitativa.
Di Fabrizio (del 28/02/2013 @ 10:07:03, in Italia, visitato 2860 volte)
6 marzo 2013, ore 18.00 presso Libreria Popolare, via Tadino
18, Milano
Presentazione di SULLA PELLE DEI ROM
Ne parliamo con:
- Carlo Stasolla (autore del libro SULLA PELLE DEI
ROM)
- Corrado Mandreoli (coordinatore Tavolo Rom di Milano)
Modera:
- Fabrizio Casavola (redazione di MAHALLA)
Negli ultimi anni la "questione Rom" è stata agitata con particolare cinismo
per raccogliere un facile consenso elettorale. Nel libro "Sulla pelle dei rom"
un'approfondita analisi delle politiche promosse da amministrazioni di ogni
colore, culminate in un colossale fallimento sociale ed economico...
continua a leggere la prefazione di
Ulderico Daniele
Organizzano:
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