Enerida Isufi, 24 anni, vive Coriza. Una volta completati gli studi a Tirana in
due facoltà ha avviato la ricerca di un lavoro. Ha bussato a tante porte per
cercare lavoro nel suo profilo. E' laureata in relazioni pubbliche e
comunicazione, così come in diritto.
Enerida si è sacrificata molto per proseguire gli studi nelle due facoltà, ha
dovuto affrontare i pregiudizi e ha scavalcare muri, ma è riuscita. Però, a 24
anni, nessuno lo accetta. Io so perché: "Sono stati stabiliti stereotipi e pregiudizi in relazione a questa minoranza. Questa è una forma di discriminazione
dei casi più realistici, non capita solo a me, ma che è subita dalla maggior parte dei giovani
rom laureati", dice. Enerida è orgogliosa di appartenere alla
comunità rom. Mostra i casi specifici in cui si sono verificati rifiuti. La
ragazza si è assunta una grande responsabilità. Sta rompendo tabù e
stereotipi razziali creati per la comunità rom in Albania. Enerida ora vede la
vita come una doppia sfida di fronte ad un mercato del lavoro altamente
competitivo, ma anche per la sua origine. Non intende nascondersi o soprassedere,
vuole che essere rom sia per lei uno scudo e non una barriera.
Mentre si cammina sulla strada che è la stessa di tutti, ricorda che
tutti ignorano, e nemmeno prendono la briga di conoscere. Enerida è in realtà
una ragazza da ammirare. E 'orgogliosa della comunità di cui fa parte, vuole che
cadano i pregiudizi e non chi vi è sottoposto.
Di Fabrizio (del 03/01/2013 @ 09:09:34, in lavoro, visitato 1902 volte)
di Daniel Reichel e Giulio Taurisano
"Per trent'anni non ho mai lavorato. Niente. Ora che ho avuto la possibilità di
farlo, devo ammettere che mi manca. Molto". Giovanni (lo chiameremo così perché
ha chiesto di non mettere il suo nome vero) è un rom napoletano, con alle spalle
una vita in roulotte tra Napoli, Milano, Genova e Torino. Parla piano, con
lunghe e pensierose pause e l'inconfondibile accento partenopeo. La sua vita
nell'ultimo anno è cambiata radicalmente: ha trovato un lavoro, una casa e
guarda con velata fiducia al futuro.
Ma andiamo con ordine. Giovanni è arrivato a Torino con la moglie e le due
bambine piccole da oltre un anno. Vivono in camper e la situazione economica è,
usando un eufemismo, precaria. C'è la crisi e i soldi languono. "Vendevamo rose
in via Garibaldi ma poca roba. Oramai si fa attenzione ad ogni singolo euro".
Un aiuto, nella difficoltà, arriva dall'associazione Idea Rom Onlus. Costituita
nel 2009 da donne Rom delle comunità presenti nel torinese, Idea Rom lavora con
le diverse realtà per promuovere l'integrazione sociale. Tra le tante
iniziative, l'organizzazione ha dato il via nell'ottobre 2011 a "We Can", un
progetto realizzato per favorire l'inserimento nel mondo del lavoro per Rom
privi di occupazione (finanziato dalla Fondazione Compagnia di San Paolo).
Diciotto sono state le borse di lavoro attivate e quattro persone sono state
inserite in modo stabile nelle rispettive aziende o realtà lavorative. Un
successo vista anche la situazione italiana dove il precariato sembra quasi un
privilegio.
"Uno degli scogli da superare - mi spiegano le attiviste di Idea Rom - è la
diffidenza di uomini e donne verso un mondo che li ha abituati a non sentirsi
all'altezza. Talvolta la segregazione ha portato molte di queste persone a
immedesimarsi nella condizione di subumani, una condizione imposta dall'esterno,
dalla società". Questa svalutazione di sé nasce sia dalla crescente intolleranza
(si veda il pogrom della Continassa del dicembre 2011) sia, purtroppo, da un
atteggiamento eccessivamente paternalistico di alcune istituzioni. Per dare una
svolta a una situazione decisamente oltre il sostenibile, sembrerebbe
preferibile adottare un approccio che responsabilizzi i Rom di fronte ai loro
diritti e doveri. Dunque non offrire dei servizi emergenziali ad hoc ma spiegare
alle diverse comunità come usufruire dei servizi accessibili ad ogni cittadino,
senza differenziazioni.
Prigioniero di una sensazione di inadeguatezza, Giovanni in prima battuta
rifiuta la proposta di Idea Rom di lavorare come apprendista per una cooperativa
che lavora nei cimiteri. "Non avevo mai lavorato e non credevo di essere in
grado di alzarmi tutti i giorni e farmi otto ore consecutive. In un cimitero
poi!". Non sarebbe la prima volta che Giovanni rifiuta un lavoro. "Quando ero
ragazzino mi avevano offerto un lavoro da portinaio a Napoli ma non mi sembrava
una vita adatta a me". Vendere penne, raccogliere ferro, fare l'elemosina e
qualche furtarello sono le occupazioni principali di Giovanni. "Ora mi rendo
conto che quella non era vita. Tanti sacrifici pericolosi, torni a casa con la
paura degli sgomberi. Sei sempre in movimento". Nelle sue parole si legge il
rammarico per aver perso anni della sua vita, rincorrendo situazioni che oggi
gli sembrano insostenibili. Non c'è condanna né autocommiserazione, piuttosto la
consapevolezza di aver lasciato per strada delle possibilità che oggi invece
vuole cogliere. "Per fortuna ho cambiato idea sul lavoro al cimitero e ho
accettato. Mi sono detto, posso anche fallire ma almeno ci devo provare".
Non so quanti di noi non si farebbero remore nel decidere di lavorare in un
cimitero. O come direbbe il ministro Fornero, sarebbero choosy nel dover
affrontare un'esumazione. "Non volevo toccare i defunti all'inizio e ammetto che
stare al cimitero quando scendeva il buoi mi faceva paura", ricorda Giovanni.
Poi, gradualmente, tutto entra nella routine quotidiana, ci si abitua e anche un
luogo apparentemente poco ospitale per i vivi, diventa un normale posto di
lavoro. I datori di lavoro apprezzano la dedizione e l'impegno di Giovanni tanto
da nominarlo capo di una squadra. Gli affidano le chiavi del cimitero e si
fidano di lui. "La prima busta paga l'ho incorniciata - racconta sorridente
-
certo quando ho visto quanto trattengono di tasse, ho cominciato a capire perché
la gente si lamenta del fisco".
Non è solo il primo impiego a cambiare la quotidianità di Giovanni. Con l'aiuto
dell'associazione Idea Rom, con la moglie e le bambine riesce a sistemarsi in
una casa. Un'altra prima volta per lui. "I miei parenti hanno delle case giù a
Napoli ma io ho sempre vissuto in roulotte, con tutta la famiglia". All'inizio
le mura dell'appartamento, lo soffocano. "I primi giorni non riuscivo a dormire.
Mi mancava l'aria. Sapevo però che era la cosa migliore per la mia famiglia e
piano piano mi sono abituato". Quando gli chiedo cosa gli manca del suo passato,
risponde la famiglia. "Ero abituato ad avere attorno a me tutti i parenti e mi
piaceva questa sensazione di vivere tutti sempre a contatto. Comunque non
tornerei indietro. Questo è il futuro che voglio per le mie figlie".
Il suo contratto è finito a settembre e a dicembre dovrebbe rinnovarglielo.
Giovanni ha trovato una sua dimensione. "Sento sempre i miei colleghi, il mio
capo. Siamo rimasti in contatto e mi chiedono sempre quand'è che torno a
lavorare con loro". Lui aspetta fiducioso con la volontà di andare avanti sulla
nuova strada che si è costruito.
Di Fabrizio (del 02/01/2013 @ 09:07:00, in Kumpanija, visitato 1490 volte)
Da ateo vorrei fare una domanda a chi ne capisce
più di me: esiste una differenza tra religione e credo? (i fondamentalisti
possono astenersi dal rispondere)
Ho un ricordo confuso di un missionario, una foto
che ritrae un giovane Gasparri (sì, proprio lui!) in un campo nomadi della
capitale. I missionari che ho conosciuto, credo fossero di una chiesa
concorrente, all'inizio in giacca e cravatta, poi hanno capito che l'abito da
lavoro andava cambiato. La testa no, quella era più difficile da cambiare.
Era difficile, perché c'è chi si avvicina ai Rom e
Sinti (o meglio, a quelli di loro che stanno oggettivamente male) pensando di:
avere di fronte una massa di
bambini troppo cresciuti da rieducare (esiste anche la versione
"missionario da combattimento": quello che vuole insegnare loro
come si deve comportare uno zingaro);
avere comunque a che fare con
gente che vuole assomigliare a loro, pensare come loro, parlare
come loro.
Senza calcolare che:
Zingaro non è sinonimo di
deficiente. Se qualcuno vuole assomigliare, pensare, parlare
come un missionario, è in grado di impararlo anche da solo;
ma si sa che al missionario piace
credersi indispensabile.
I Rom e i Sinti che stanno oggettivamente male,
chiedono una risposta IMMEDIATA ai loro bisogni. Il missionario offre per forza
soluzioni a lungo termine; e ce n'è bisogno, PER DIAMINE, ma occorre per forza
instaurare un DIALOGO, o un codice condiviso, altrimenti non si va da
nessuna parte.
Allarghiamo un momento il discorso: sento sempre
di più parlare di disaffezione alla politica: ecco... diciamo che io mi
fiderei poco di qualcuno che vedo una volta ogni uno-sei mesi, ma è talmente
innamorato della mia causa e della mia miseria da voler parlare e progettare
(progettare significa pensare) al posto mio. Un po' come essere soci: a
me la miseria e a lui i discorsi.
Ieri notte mentre in via Idro festeggiavamo
assieme un ennesimo san Silvestro, erano questi i pensieri che mi guastavano la
festa. Esattamente
un anno fa avevo scritto una cronaca piena di speranze ma, a parte abbracci,
bevute e scherzi, quest'anno si sentiva la differenza. Nessuna delle promesse
fatte si è realizzata in questo anno e la gente è stufa sino alla disperazione.
E' stufa e vede complotti e nemici ovunque. Non ci si fida dei vicini con cui si
è trascorsa una vita, ci sono genitori che di certe cose non parlano neanche coi
loro figli. Difatti quest'anno ognuno ha festeggiato per conto suo, mancava il
solito corteo di visite. Se questa è la situazione interna, che fiducia può
esserci verso chi è esterno?
Tutta la fatica di anni nel progettare ASSIEME è a
rischio, non tanto per il valore di quello che è stato raggiunto, ma perché le
due mentalità che non si sono incontrate potrebbero portare ad un risultato del
tipo:
i missionari insisteranno (fuori
campo) su quello che ora potrebbe diventare il LORO progetto;
e se pure questo si realizzasse
(in tempi biblici, suppongo) non ci sarà più nessuno degli
abitanti;
perché quello che attualmente è un
mantra (IL SUPERAMENTO DEI CAMPI) senza fondi a disposizione, si
sta realizzando gratuitamente rendendo i campi superstiti ancora
più invivibili del passato.
Poi, come in ogni credo, ci saranno (anzi, ci sono
già) guerre di religione: i Rom sfiduciati che tornano ai vecchi atteggiamenti,
associazioni che se la prendono col comune, comune che se la prende con qualcuno
dei due. Ecco, questo sì mi ricorda i bambini, quando in Idro facevo l'animatore
e non fare picchiare tra di loro le diverse fazioni era già un successo.
Ma sono passati vent'anni buoni, e nel mio doposbornia sto pensando di essere ancora allo stesso punto di allora. Non è neanche l'alcool: è da ottobre che ho cominciato a mandare affanculo a destra e sinistra. Adesso non saprei dove voltarmi, colpa dei vaffanculo, ma soprattutto di aver contribuito a mettere in moto tutto 'sto casino, senza sapere risolverlo. Servirebbero amici, dentro e fuori campo, ma amici veri. O che si mantenesse, ogni tanto, qualche impegno.
Di Fabrizio (del 01/01/2013 @ 09:01:35, in Italia, visitato 1577 volte)
Visto i tanti discorsi che si rincorrono, saprete cosa intendo per AGENDA.
Se non fosse così, intendo una serie di obiettivi su cui focalizzare lavoro
ed attenzione, scelti tra i tanti problemi che sono da affrontare.
Intendiamoci, la lista non è esaustiva (e può anche non essere condivisibile),
ma da un lato credo che vadano trovate delle priorità, e dall'altro soluzioni
che siano praticabili, possibilmente non vedano sprechi di fondi pubblici e
vadano in direzione della partecipazione degli interessati (che attualmente è
del tutto marginale). Che altro? Individuerei soluzioni che non siano
settoriali, o ghettizzanti, ma che possano essere condivisibili (e vedano il
contributo) anche della cosiddetta società maggioritaria, quei gagé con cui
bisognerà trovare un modo di convivere.
La parte piccante, in ogni ricetta, va servita a fine cottura: LA
PARTECIPAZIONE. In queste settimane c'è stato un rincorrersi di liste e
cartelli elettorali, candidati che fanno e disfano alleanze, programmi che
sembrano stati scritti 20 anni fa', e tutto ciò sta persino facendomi perdere la
voglia di votare. Più si adopera la retorica di sentire la GGENTE, più si dice
che siamo sull'orlo del burrone ed occorre lo sforzo di tutti, e più le
decisioni vengono prese in club ristretti ed inaccessibili per chi non ha in
tasca la tessera o la carta di credito giuste.
Non vorrei dire (ma lo dico lo stesso, perché a natale siamo tutti più
buoni, e natale è passato), ma... credo di aver già vissuto momenti simili:
i Rom e la loro situazione sempre più disastrosa, che diventano un trampolino di
lancio per le solite consorterie, chiuse nella loro inaccessibilità e vogliose
di rappresentare tutta la popolazione.
Da MAHALLA auguri di uno splendido 2013 (o che almeno sia meglio del
2012)!
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
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