di Daniel Reichel e Giulio Taurisano
"Per trent'anni non ho mai lavorato. Niente. Ora che ho avuto la possibilità di
farlo, devo ammettere che mi manca. Molto". Giovanni (lo chiameremo così perché
ha chiesto di non mettere il suo nome vero) è un rom napoletano, con alle spalle
una vita in roulotte tra Napoli, Milano, Genova e Torino. Parla piano, con
lunghe e pensierose pause e l'inconfondibile accento partenopeo. La sua vita
nell'ultimo anno è cambiata radicalmente: ha trovato un lavoro, una casa e
guarda con velata fiducia al futuro.
Ma andiamo con ordine. Giovanni è arrivato a Torino con la moglie e le due
bambine piccole da oltre un anno. Vivono in camper e la situazione economica è,
usando un eufemismo, precaria. C'è la crisi e i soldi languono. "Vendevamo rose
in via Garibaldi ma poca roba. Oramai si fa attenzione ad ogni singolo euro".
Un aiuto, nella difficoltà, arriva dall'associazione Idea Rom Onlus. Costituita
nel 2009 da donne Rom delle comunità presenti nel torinese, Idea Rom lavora con
le diverse realtà per promuovere l'integrazione sociale. Tra le tante
iniziative, l'organizzazione ha dato il via nell'ottobre 2011 a "We Can", un
progetto realizzato per favorire l'inserimento nel mondo del lavoro per Rom
privi di occupazione (finanziato dalla Fondazione Compagnia di San Paolo).
Diciotto sono state le borse di lavoro attivate e quattro persone sono state
inserite in modo stabile nelle rispettive aziende o realtà lavorative. Un
successo vista anche la situazione italiana dove il precariato sembra quasi un
privilegio.
"Uno degli scogli da superare - mi spiegano le attiviste di Idea Rom - è la
diffidenza di uomini e donne verso un mondo che li ha abituati a non sentirsi
all'altezza. Talvolta la segregazione ha portato molte di queste persone a
immedesimarsi nella condizione di subumani, una condizione imposta dall'esterno,
dalla società". Questa svalutazione di sé nasce sia dalla crescente intolleranza
(si veda il pogrom della Continassa del dicembre 2011) sia, purtroppo, da un
atteggiamento eccessivamente paternalistico di alcune istituzioni. Per dare una
svolta a una situazione decisamente oltre il sostenibile, sembrerebbe
preferibile adottare un approccio che responsabilizzi i Rom di fronte ai loro
diritti e doveri. Dunque non offrire dei servizi emergenziali ad hoc ma spiegare
alle diverse comunità come usufruire dei servizi accessibili ad ogni cittadino,
senza differenziazioni.
Prigioniero di una sensazione di inadeguatezza, Giovanni in prima battuta
rifiuta la proposta di Idea Rom di lavorare come apprendista per una cooperativa
che lavora nei cimiteri. "Non avevo mai lavorato e non credevo di essere in
grado di alzarmi tutti i giorni e farmi otto ore consecutive. In un cimitero
poi!". Non sarebbe la prima volta che Giovanni rifiuta un lavoro. "Quando ero
ragazzino mi avevano offerto un lavoro da portinaio a Napoli ma non mi sembrava
una vita adatta a me". Vendere penne, raccogliere ferro, fare l'elemosina e
qualche furtarello sono le occupazioni principali di Giovanni. "Ora mi rendo
conto che quella non era vita. Tanti sacrifici pericolosi, torni a casa con la
paura degli sgomberi. Sei sempre in movimento". Nelle sue parole si legge il
rammarico per aver perso anni della sua vita, rincorrendo situazioni che oggi
gli sembrano insostenibili. Non c'è condanna né autocommiserazione, piuttosto la
consapevolezza di aver lasciato per strada delle possibilità che oggi invece
vuole cogliere. "Per fortuna ho cambiato idea sul lavoro al cimitero e ho
accettato. Mi sono detto, posso anche fallire ma almeno ci devo provare".
Non so quanti di noi non si farebbero remore nel decidere di lavorare in un
cimitero. O come direbbe il ministro Fornero, sarebbero choosy nel dover
affrontare un'esumazione. "Non volevo toccare i defunti all'inizio e ammetto che
stare al cimitero quando scendeva il buoi mi faceva paura", ricorda Giovanni.
Poi, gradualmente, tutto entra nella routine quotidiana, ci si abitua e anche un
luogo apparentemente poco ospitale per i vivi, diventa un normale posto di
lavoro. I datori di lavoro apprezzano la dedizione e l'impegno di Giovanni tanto
da nominarlo capo di una squadra. Gli affidano le chiavi del cimitero e si
fidano di lui. "La prima busta paga l'ho incorniciata - racconta sorridente
-
certo quando ho visto quanto trattengono di tasse, ho cominciato a capire perché
la gente si lamenta del fisco".
Non è solo il primo impiego a cambiare la quotidianità di Giovanni. Con l'aiuto
dell'associazione Idea Rom, con la moglie e le bambine riesce a sistemarsi in
una casa. Un'altra prima volta per lui. "I miei parenti hanno delle case giù a
Napoli ma io ho sempre vissuto in roulotte, con tutta la famiglia". All'inizio
le mura dell'appartamento, lo soffocano. "I primi giorni non riuscivo a dormire.
Mi mancava l'aria. Sapevo però che era la cosa migliore per la mia famiglia e
piano piano mi sono abituato". Quando gli chiedo cosa gli manca del suo passato,
risponde la famiglia. "Ero abituato ad avere attorno a me tutti i parenti e mi
piaceva questa sensazione di vivere tutti sempre a contatto. Comunque non
tornerei indietro. Questo è il futuro che voglio per le mie figlie".
Il suo contratto è finito a settembre e a dicembre dovrebbe rinnovarglielo.
Giovanni ha trovato una sua dimensione. "Sento sempre i miei colleghi, il mio
capo. Siamo rimasti in contatto e mi chiedono sempre quand'è che torno a
lavorare con loro". Lui aspetta fiducioso con la volontà di andare avanti sulla
nuova strada che si è costruito.