Di Fabrizio (del 20/04/2012 @ 09:35:12, in media, visitato 1640 volte)
Lettera di Antonio Piazzi
Cari amici di Radiopop lunedì mattina in Via Marino 7 (gruppi consiliari) un gruppo di associazioni ha
tenuto una conferenza stampa per presentare ufficialmente un progetto per la
riqualificazione (manutentiva, sociale, umana) del campo rom (che noi vorremmo
chiamare più propriamente "villaggio solidale"...i "campi" ci ricordano
esperienze, anche di un recente passato, non proprio positive) regolare e
autorizzato (senza nulla togliere a quelli irregolari et abusivi dove trova
rifugio un'umanità altrettanto, se non più, bisognosa di aiuto) di Via Idro.
Radiopop non era presente alla conferenza. Radiopop non ha trovato uno spazio di
qualche minuto nel palinsesto informativo per notiziare i radio-ascoltatori.
Evidentemente capiterà tutti i giorni che a Milano, dove fino all'altro giorno
imperavano la Lega e De corato (e non si può dire che predicassero nel deserto),
un gruppo di cittadini, di associazioni, di comitati insieme alla comunità rom
di Via Idro abbiamo collaborato per proporre un modello di villaggio che nel
rispetto della cultura e delle abitudini dei cittadini rom cerchi anche di
offrire un tentativo di integrazione con il quartiere in cui la comunità rom
vive da 20 anni.
Radiopop era assente anche quando il 29 dicembre scorso c/o Villa Pallavicini si
tenne una partecipata assemblea, con la presenza dell'Ass. Granelli, del
Presidente del CdZ 2, della Cons. Comunale P. Quartieri e di Paolo Limonta
dell'Ufficio per la Città: un centinaio di persone rappresentanti di comitati,
associazioni e singoli cittadini che chiedevano all'Amministrazione Comunale di
risolvere subito alcune emergenze (mancanza di luce elettrica, pullman per i
bambini che vanno a scuola, ecc) e di adoperarsi per migliorare le condizioni di
vita della comunità di Via Idro. Il 29 dicembre, durante l'assemblea, non si
alzò una sola voce "contro" i rom ...tutti chiedevano al Comune di fare di
più ...tutti chiedevano alla giunta "arancione" di dare attuazione a quanto
previsto nel programma elettorale su questo specifico argomento. Da parte di Radiopop nessuna informazione: evidentemente vi capiterà spesso di avere notizia
di assemblee pubbliche dove i cittadini chiedono alle A.C. di fare di più per i
rom?
So bene che questo è un argomento scabroso....mi rendo conto che non è facile
per l'attuale Giunta affrontare questo tipo di situazioni....si rischiano
frizioni, forse spaccature....l'argomento si presta a interpretazioni diverse,
ecc. ecc.
Noi non pensiamo di avere la verità in tasca. Noi stiamo cercando di percorrere
una strada che tenga conto dei diritti di tutti. Noi crediamo che possiamo stare
meglio, se stanno meglio tutti. Noi pensiamo che l'errore più grande sia quello
di non fare nulla, noi pensiamo che lasciare le cose come stanno sia la
soluzione peggiore per tutti.
Noi pensiamo che questa sia una notizia "da radiopopolare", noi pensiamo che
Radiopop potrebbe/dovrebbe seguire quanto succede/succederà nei prossimi tempi
in Via Idro (anche a prescindere dal progetto che abbiamo presentato lunedì
scorso).
Grazie per l'attenzione.
Un bel saluto. Antonio P. (a titolo personale)
PS: ...così tanto per aggiornarvi (siete o non siete una radio di
informazione?): le emergenze che l'Assessore il 29/12/2011 aveva promesso di
risolvere immediatamente, sono ancora lì che attendono...
Di Fabrizio (del 21/04/2012 @ 09:24:29, in Italia, visitato 1206 volte)
La Stampa 19/04/2012 - IL CASO - Una foto scattata durante il reportage
di pochi giorni fa nel campo nomadi di via Germagnano per testimoniare le difficili
condizioni igienico sanitarie, malgrado mesi di sforzi e promesse
MULTIMEDIA
«Sforzi vani senza soldi per le politiche sociali»
NICCOLÒ ZANCAN - TORINO: Quella notte di dicembre si sentivano grida
terrificanti: «Zingari, andate via, vi ammazziamo tutti!». Lanciavano bottiglie
molotov contro le baracche. Volevano vendicare lo stupro di una ragazzina di 16
anni, che in realtà era uno stupro inventato. Sono passati quattro mesi dal
pogrom delle Vallette. Ma Torino non dimentica. Non vuole e non può. «Parlare di
questa vicenda mi provoca ancora molto dolore - dice l'assessore
all'Integrazione Ilda Curti -, il raid contro il campo nomadi della Cantinassa è
stato l'episodio più violento vissuto dalla città negli ultimi anni. Quello che
è successo ci costringe a fare i conti con germi che sono fra noi. Germi di
insofferenza, di rabbia e di razzismo, aggravati da questo periodo di crisi
economica. Ma non dobbiamo stare fuori dai problemi e guardarli da lontano.
Andiamoci nelle periferie! Dobbiamo cercare di capire, impegnandoci con tutti
gli strumenti che abbiamo a disposizione, perché non si rompa la rete della
solidarietà e dell'inclusione».
Di rom, di pregiudizi e del ruolo dei media. Dei problemi nei campi nomadi di
Torino. Dei finanziamenti che mancano per politiche sociali più incisive e
persino per sgomberare i rifiuti. Di tutto questo si è discusso ieri sera al
Museo della Resistenza, in corso Valdocco. Posto quanto mai evocativo, come ha
spiegato il giurista Vladimiro Zagrebelsky: «I rom erano nei campi di
concentramento con gli ebrei e gli omosessuali. Le ragioni per cui siamo qui è
anche storica. Quello che mi colpisce maggiormente è che spesso sono trattati
come stranieri e invasori, ma per la maggior parte i rom sono cittadini italiani
con diritti uguali ai nostri. Come ci sono i diritti delle persone che vivono a
fianco dei campi nomadi.
Siamo di fronte a un problema estremamente complesso». Sul ruolo dei media, in
particolare su quello dei quotidiani, è intervenuto Mario Calabresi, direttore
de La Stampa: «Io credo che sul tema dell'integrazione, la ricetta di un buon
giornalismo sia racchiusa in una sola formula: fornire contesti. Dare
spiegazioni, approfondire i temi, ricostruire senza semplificare. Altrimenti si
parla solo alla pancia dei lettori e si rischia di mettere in evidenza i
peggiori istinti». Il presidente del museo, Gianmaria Ajan, dice: «Siamo di
fronte all'immagine di una città assediata, ma non dall'esterno. In questi mesi,
con la crisi e la disoccupazione, sta crescendo una forte insofferenza sociale».
Ilda Curti: «È la tensione che vivono gli ultimi con i penultimi. Non dobbiamo
lasciarli soli».
Mancano soldi per mettere in campo politiche sociali più efficaci. Milano ha già
ricevuto 20 milioni di euro, Roma oltre 50, erano i fondi stanziati dal governo
per fronteggiare l'«emergenza rom». Ma i 5 promessi a Torino non sono mai
arrivati. Adesso non sono più disponibili.
Qui ci sono 800 nomadi regolari e quasi quattromila fantasmi. Una baraccopoli
che sta crescendo a dismisura sulle sponde della Stura. Il Pdl ha fatto i conti
in tasca al Comune: «Nel 2010 per i 4 campi nomadi autorizzati - spiega Maurizio
Marrone -, fra luce, acqua, riscaldamento, pulizie, derattizzazione,
manutenzione ordinaria e straordinaria e mediazione culturale si sono
volatilizzati 1.240.363,27 euro più Iva. Eppure, a fronte della spesa ingente, i
pessimi risultati sono sotto gli occhi di tutti». L'assessore Ilda Curti: «Sono
i soldi che servivano per la gestione. Non mi paiono così tanti, anzi...».
Di Fabrizio (del 22/04/2012 @ 20:31:49, in blog, visitato 1065 volte)
Non è la prima volta e mi sa che non sarà l'ultima. Da alcuni giorni sono
inondato da SPAM. In attesa che la situazione si normalizzi, la sezione COMMENTI
è disabilitata. Scusandomi per il disturbo (non durerà molto), chi vuole può
scrivermi per email.
Clelia Bartoli. Razzisti per legge. L'Italia che discrimina. Editori
Laterza, pp. 180, 12 euro
Clelia Bartoli è l'autrice di Razzisti per legge. L'Italia che discrimina,
saggio che, partendo dal Black Power e dal rapporto MacPherson del '99, analizza
il razzismo istituzionale del nostro Paese. La scoperta è che sì, l'Italia è un
Paese razzista. Ecco come individuarlo e combatterlo
RAZZISMO ISTITUZIONALE. Esiste un razzismo individuale, che si palesa con atti
discriminatori o violenti. E un razzismo di sistema, nascosto tra le pieghe di
leggi e istituzioni e che pervade la vita pubblica. Sono passati più di
cinquant'anni dal lancio del manifesto Black Power da parte di Stokely
Carmichael e Charles Hamilton negli Usa, ma le intuizioni di fondo restano
ancora attuali.
La loro analisi verteva su una società la cui maggioranza e minoranza erano
entrambe a casa loro, ma le cui istituzioni funzionavano avendo come solo
modello la prima. L'America della segregazione razziale non poteva disfarsi
degli afroamericani bollandoli come immigrati o clandestini. E per marcare le
differenze fece in modo che la legge stessa le creasse, istituisse le distanze
tra bianchi e neri assicurando la supremazia ai primi.
Come questo discorso faccia un balzo di cinque decadi e giunga a noi
lo spiega Clelia Bartoli nel suo
Razzisti per legge. L'Italia che discrimina (Ed.
Laterza). Partendo da Potere Nero e dal rapporto MacPherson del 1999, l'autrice
si chiede se l'Italia è un paese razzista, analizzando non solo il complesso di
politiche, leggi e norme operanti nel campo dell'immigrazione, ma anche la
reazione delle istituzioni in casi specifici, di rilevanza nazionale come
l'emergenza Lampedusa o locale, come la vicenda dell'assegnazione di un lussuoso
attico ad una famiglia rom nel quartiere Libertà di Palermo. La risposta è, come
ci si può aspettare, "sì".
Il razzismo istituzionale agisce all'opposto di quello individuale o di gruppo:
una legge, una norma non produce violenza, è credibile e induce le vittime a
interiorizzare il pregiudizio verso di sé. Fa di più: costruisce la realtà. Se
il governo, le istituzioni considerano una minoranza come pericolosa o
sgradevole e la confinano in aree ghetto, è molto probabile che questa poi
manifesti devianza, "andando così a confermare il pregiudizio che aveva motivato
la loro segregazione".
Le riflessioni teoriche accompagnano l'analisi dei fatti di attualità, ma il
timore di Bartoli sembra essere anche un altro: che
gli immigrati si trasformino
in un "nuovo Meridione", lasciati ai margini della società, ma con una
distribuzione degli effetti che va ben oltre i soli esclusi. E' un sottofondo,
appunto, ma importante, imposta la questione come un affare che non riguarda
solo i migranti, così come non ha mai interessato solo il Sud la mafia o
l'emigrazione e le conseguenze sono note.
Colpire il razzismo istituzionale significa spuntare un'arma rivolta verso tutta
la società, attaccare quel sistema che fomenta il disagio per poi spacciarlo
come naturale. Una legge crea sì delle regole, ma impone anche differenze,
confini, pregiudizi. Saperlo, aiuta a discernere i meccanismi che inficiano la
vita di ognuno di noi.
Di Fabrizio (del 23/04/2012 @ 09:12:23, in sport, visitato 2236 volte)
Francesco Caladra, regista motivato e sognatore, ha girare un film sui rom e
con i rom del suo quartiere, "La palestra".
Non senza resistenze e ingenuità, Francesco si lascia trasportare nel mondo rom
e si ritrova nella palestra di pugilato del quartiere, gestita proprio dai rom.
Nella cornice di un film a tratti comico, sul ring de "La Palestra" l'incontro
tra due culture.
La Palestra è un progetto (fiction con inserimenti di sequenze
documentaristiche) che nasce dal lavoro di anni nel quartiere di periferia: San
Donato a Pescara.
L'esigenza dell'indagine sulle periferie è scaturita dalla volontà di opporsi a
una "letteratura" che mostra questi quartieri soltanto quali vivai di violenza e
illegalità, per mettere in risalto quanta risorsa si possa ancora trovare
nell'autenticità e genuinità della maggior parte dei cittadini che li abitano.
Il film che il regista aveva pensato e scritto rimane gli dà la possibilità di
mettere in ridicolo se stesso, il suo mondo di provenienza e la sua onniscienza.
Un film miracolosamente viene realizzato, ed è anche il frutto del contributo
artistico di diversi professionisti pescaresi e abruzzesi, dagli autori della
fotografia, alle maestranze, agli autori delle musiche.
"LA PALESTRA"un film di Maria Grazia Liguori e Francesco
Calandra con Enrico Di Rocco (tesoriere dell'associazione Centro studi Ciliclò),
Moreno Di Rocco e Samira Bacci.
Soggetto di F. Calandra, M.G. Liguori L. Raimondi S.
Santini
Sceneggiatura M.G. Liguori e F. Calandra
regia F. Calandra
Fotografia Alessio Tessitore
Operatore Lorenzo Gobeo
Sono presa diretta Pierpaolo Di Giulio
Scene e costumi Silvia Stellabotte assistente
Giorgia Grossi
Musiche originali M.A.T. Marcello Allulli Trio, Andrea
Moscianese, CUBA Kabbal, Arcangelo Spinelli, Germano Cesaroni
Segreteria di produzione Isabella Micati
Montaggio Valerio Spezzaferro Giuliano Panaccio
Francesco Calandra
Foto di scena Laura Angeloni – Studio ANNILUCE
Produzione esecutiva GarageLab
Girato in: HD, Super 16mm, miniDV Italia, 2012, 70'
Di Fabrizio (del 24/04/2012 @ 09:25:00, in conflitti, visitato 2022 volte)
Dal diario di un dirigente della polizia municipale di Roma Capitale...(segnalazione di Carlo Stasolla)
Continua lo sgombro degli insediamenti abusivi con la bonifica dell'aerea nel
territorio del V Municipio. Oggi abbiamo sgombrato quattro insediamenti abusivi
tra la Palmiro Togliatti e Ponte Mammolo, ove al nostro arrivo i nomadi si sono
allontanati alla spicciolata. Nel corso dell'operazione, all'interno di una
baracca, sono stati rinvenuti dei testi e quaderni scolastici. Una piccola e
immediata indagine ha dato la possibilità ad un bambino che chiameremo Sandro,
di rientrare in possesso almeno dei libri e quaderni rubati nel pomeriggio,
unitamente allo zainetto e autoradio dall'interno dell'auto della mamma. Il
piccolo studente è rimasto molto soddisfatto riavere i suoi libri e quaderni
La più giovane, una ragazzina, sgranocchia un pezzo di focaccia:
Sono arrivati alle 7 di mattina. Ti lasciano sotto la pioggia. Dovevo scaldare
il latte per mio figlio di 4 mesi e non potevo, perché avevano tolto
l'elettricità. Ma intanto davano da mangiare ai cuccioli di cane. "Che carini!"
dicevano.
La più anziana è come un fiume in piena. Ci conosciamo da oltre 20 anni; i miei
figli e i suoi nipoti sono praticamente cresciuti assieme. Mi investe con
frammenti di frase, ripetendomi cose che io e lei sappiamo a memoria.
Mi hanno portato via la mia casetta. Capisco se fosse stata rubata, ma l'avevo
pagata tutta coi miei soldi.
Ho 62 anni, sono italiana e non rubo. Quando io e mio marito avevamo un negozio,
ci siamo dissanguati con le tasse, e siamo finiti qui.
Mi hanno messo per strada solo perché sono una zingara. Mi cacciano e non ho più
dove andare.
Mi hanno detto vai via, e poi mi hanno chiesto "Dove dormirai
stanotte?". "Sotto quell'albero," ho risposto...
Ma ti rendi conto? Sono cardiopatica, ho il pace-maker e mi hanno dovuto mettere
nell'ambulanza perché stavo male, e la dottoressa mi ripeteva che dovevo andare
via. Ma con che cuore?? Io ho forse cacciato di casa quella dottoressa?
Se avessi rubato, non sarei qui. Ma se fossi stata una ladra o una
extracomunitaria, avrei avuto un aiuto.
Vorrei avere un mitra qua tra le mani. Farei una strage, credimi, ho perso ogni
speranza.
I miei vestiti, sono nella casa che mi hanno sequestrato, ed io sono qui...
Eppure questo campo l'ho fatto anch'io, sono andata in piazza assieme a tutti
quando chiedevamo acqua e luce. Guardami in che condizione sono...
E poi ricomincia, arrabbiandosi con me, con i politici, con i giornalisti. Deve
sfogarsi, sa che nessuno vuole ascoltarla.
Io, forse ho fatto troppa abitudine a ragionare, mediare, spiegare. Ma poi torno
a casa con la stessa rabbia di questa gente e mi stanco di dover essere sempre
diplomatico. Non servirà a nulla, ma uno sgombero sono persone, beni, affetti,
sicurezze, che ogni volta sono messi in discussione. Ecco cosa state leggendo.
Grosseto: Covava in silenzio i suoi propositi di vendetta sportiva da quattro
anni e mezzo, da quel match contro Giuseppe Lauri, ancora valevole per il titolo
dell'Unione Europea del quale era campione, dominato in sei riprese su sei e poi
perduto per un momento di incredibile confusione nel quale forse lui non è stato
l'unico colpevole. Stiamo parlando di Michele Di Rocco che stasera, sul ring di
Vicenza, accompagnato da Rosanna Conti Cavini, ha impiegato una manciata di
secondi per cancellare questa brutta macchia e per ritornare ai propositi di una
grande carriera che si erano interrotti a Livorno del 2007. Suo avversario
ancora quel Giuseppe Lauri che era l'unica macchia rossa nel suo curriculum dei
precedenti 34 match da professionista. Una vittoria che ha portato alle lacrime
in albergo, davanti alla tv, anche un "duro" della boxe italiana come Umberto
Cavini, che per uno stato di malessere non se l'é sentita di essere di persona a
bordo ring a vedere quello che è stato da sempre il pupillo dell'organizzazione
della moglie e il ragazzo per il quale lui e Rosanna Conti Cavini hanno fatto
mille sacrifici, intuendone le grandi potenzialità. E Michele Di Rocco ha
finalmente ripagato, o meglio dire iniziato a ripagare, i sacrifici dei suoi
promoter e della sua manager Monia Cavini. Per lui è adesso d'obbligo parlare di
match con il titolo Europeo vero e proprio in palio, ma non si escludono altre
strade per dare finalmente una svolta in senso grandioso alla carriera di questo
ragazzo.
Il match ha vissuto di poche ma significative battute. Presentatosi al massimo
della forma grazie allo strepitoso lavoro fatto in due mesi di sacrifici a Roma
sotto le cure del maestro Carlo Maggi, Di Rocco ha preso immediatamente
l'iniziativa e ha scosso con un gran destro Lauri, che si è rifugiato
all'angolo. Qui Di Rocco lo ha tempestato con una serie di dieci colpi al corpo
e al viso, prima di esplodere una poderosa combinazione gancio destro e gancio
sinistro che ha spento le lampadine all'avversario. All'arbitro Muratore non è
servito altro che decretare l'impossibilità di Lauri di combattere e designare
la vittoria per ko alla prima ripresa di Michele Di Rocco, che insieme alla
cintura di campione dell'Unione Europea dell'Unione Europea torna anche in
possesso della sicurezza che, adesso, il futuro non può far altro che
sorridergli.
Antropologo, poeta e scrittore, già intermediario in Kossovo per le Nazioni
Unite, Paul Polansky è noto per il suo impegno nella difesa dei diritti umani
del popolo Rom.
A vent'anni circa scappa dagli Stati Uniti, dove è nato, per evitare il
reclutamento nella guerra del Vietnam. Approda così in Europa, dove avrà i primi
contatti con la cultura Rom.
Ha vissuto per anni nei campi, raccogliendo storie, narrazioni orali, disegni
e musiche della cultura Rom. «Questo popolo è custode di tradizioni antiche 5
mila anni, che sono alla base della nostra cultura. Eppure noi riusciamo a
chiamare i Rom "ignoranti" e "incivili". Loro, a cui invece dovremmo essere
estremamente grati».
MilanoInMovimento, con la collaborazione di Mahalla, vi regala un viaggio nella
cultura Rom attraverso lo sguardo di Paul Polansky. Senza risparmiare critiche
alla comunità internazionale nella gestione del cosiddetto "gipsy problem".
"I heard Italians Used to be called Parasites, thieves,
Mafia, uneducated With no culture When they escaped From Italy to NY
A hundred years ago.
Why can't Italians see
The Balkan Roma today
Are off the same boat?" P.P.
I Sinti italiani durante il fascismo subirono una violenta persecuzione su base
razziale, il
Porrajmos. Vennero rinchiusi a partire dal settembre 1940, quindi
ancor prima degli ebrei italiani, in appositi campi di concentramento. E' un
pezzo di storia ancora poco conosciuta dagli italiani. Ma con l'8 settembre 1943
molti riuscirono a fuggire con lo sbandamento che porterà alla formazione della
Repubblica di Salò.
Le famiglie sinte scampate dalla deportazione nei campi di sterminio ma braccate
dai repubblichini e dai nazisti furono aiutate da molti italiani anche nella
Provincia di Mantova, in particolare dai contadini che li nascondevano nei
fienili.
I Sinti non solo si nascosero, per non subire la deportazione, ma parteciparono
attivamente alla Guerra di Liberazione. Questo pezzo di storia italiana è
misconosciuta anche per il disinteresse dimostrato in questi anni dall'ANPI.
Nel mantovano si formò il battaglione "I Leoni di Breda Solini" formato
unicamente da sinti italiani, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano
sul Secchia (MO), dove erano stati rinchiusi nel settembre 1940.
Lo racconta Giacomo "Gnugo" De Bar (in foto) nel suo libro "Strada, Patria Sinta",
edito da Fatatrac:
"Molti sinti facevano i partigiani. Per esempio mio cugino Lucchesi Fioravante
stava con la divisione Armando, ma anche molti di noi che facevano gli
spettacoli durante il giorno, di notte andavano a portare via le armi ai
tedeschi. Mio padre e lo zio Rus tornarono a casa nel 1945 e anche loro di notte
si univano ad altri sinti per fare le azioni contro i tedeschi nella zona del
mantovano fra Breda Salini e Rivarolo del Re (oggi Rivarolo Mantovano), dove
giravamo con il postone che il nonno aveva attrezzato. Erano quasi una leggenda
e la gente dei paesi li aveva soprannominati «I Leoni di Breda Solini», forse
anche per quella volta che avevano disarmato una pattuglia dell'avanguardia
tedesca."
Racconta ancora Gnugo:
"Erano entrati nel cuore della gente come eroi, anche per il fatto che usavano
la violenza il minimo necessario, perché fra noi sinti non è mai esistita la
volontà della guerra, l'istinto di uccidere un uomo solo perché è un nemico.
Questo lo sapeva anche un fascista di Breda Solini che durante la Liberazione si
era barricato in casa con un arsenale di armi, minacciando di fare fuoco a
chiunque si avvicinasse o di uccidersi a sua volta facendo saltare tutta la
casa: «lo mi arrendo solo ai Leoni di Breda Salini». Così andarono i miei, ai
quali si arrese, ma venne poi preso in consegna lo stesso da altri partigiani,
che lo rinchiusero in una cantina e lo picchiarono."
Quella di Gnugo De Bar è una testimonianza per stimolare le stesse Istituzioni
ad attivarsi per far conoscere e offrire spazi ai sinti anche nelle cerimonie
ufficiali, perchè troppo spesso viene oscurato più o meno volontariamente
l'apporto dato dai sinti alla formazione dell'Italia.
In ultimo il mio pensiero va oggi a Walter "Vampa" Catter, Lino Ercole Festini,
Silvio Paina e Renato Mastin. Sono i martiri partigiani sinti, trucidati a
Vicenza l'11 novembre 1944. Per non dimenticare.
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