Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:56:47, in Europa, visitato 1375 volte)
PARLAMENTO EUROPEO Giustizia e affari interni - 09-02-2011 - 15:24
La deputata Lívia Járóka
- Il 95% dei Rom conduce ormai una vita sedentaria e non vuole tornare a
essere nomade
- Tra i rischi maggiori quello della povertà e della mancanza di
istruzione
Mentre la tragica morte di quattro bambini in un campo di Roma commuove
l'Italia, sono oltre 12 milioni i Rom europei che continuano a lottare contro
segregazione e povertà nell'UE. Oggi l'Europa sta cercando una soluzione comune
per risolvere il problema. La presidenza ungherese ha definito la strategia
europea sui Rom una delle sue priorità.
Ne abbiamo parlato con la parlamentare di centro-destra (PPE) ungherese
Lívia
Járóka, l'unica deputata Rom seduta in Parlamento. La giovane 36enne è la
relatrice di un rapporto che si propone di non permettere più all'Europa di
sprecare il potenziale dei Rom e il loro possibile contributo all'Unione.
Sta cercando di lanciare una strategia europea sui Rom. Quali punti sono più
importanti? Dobbiamo cambiare il nostro approccio. Da una prospettiva etnica di questa
minoranza dobbiamo allargare la nostra visuale, dando ai Rom più prospettive
specialmente dal punto di vista lavorativo. Abbiamo leggi europee per combattere
la discriminazione, ma spesso non vengono messe in atto nei singoli Stati
membri. Comunque la discriminazione etnica è soltanto uno dei fattori. Esiste in
Europa una povertà invisibile che non viene percepita neanche da coloro che
assegnano i fondi europei.
Nella mia strategia metà del successo dipenderà dalla stessa comunità Rom e
dalla presenza di leader fra loro. Per questo c'è il bisogno di una nuova classe
dirigente di Rom istruiti che vengano dalla comunità stessa e la rappresentino.
Molti continuano a pensare che i Rom siano nomadi. Ma è ancora così?
I Rom hanno il diritto di andare dove vogliono in quanto cittadini europei. Se
poi desiderino davvero muoversi è un altro discorso. Oggi il 95% dei Rom europei
conduce una vita sedentaria. Quel 5% che continua a muoversi lo fa per ragioni
culturali o lavorative.
Negli ultimi anni l'emigrazione che abbiamo visto era legata a motivi economici.
Gli Stati membri usciti dall'epoca comunista si sono trovati di fronte a realtà
economiche nuove che hanno lasciato i più poveri senza un lavoro. I Rom sono
stati i primi a essere espulsi non in quanto gruppo etnico, ma perché non erano
istruiti.
I Rom non vogliono una vita nomade, ma lavoro, dignità e cibo. La prossima
generazione rischia di continuare a vivere in povertà non per la sua etnia, ma
perché probabilmente ha entrambi i genitori disoccupati. Dobbiamo evitare che i
Rom emigrino di nuovo per ragioni economiche come hanno fatto quando si sono
diretti verso la Francia, il Regno Unito, l'Italia e molti altri paesi. Ma non
sono stati soltanto i Rom: anche molte altre persone in difficoltà sono state
costrette a lasciare il loro paese alla ricerca di un lavoro.
Perché è tanto importante sostenere le donne Rom?
Nelle aree più svantaggiate, due generazioni di Rom stanno crescendo senza
vedere i genitori andare al lavoro. Questo vuol dire anche che sono le donne
coloro che mentalmente e fisicamente coltivano la speranza. Sono un'antropologa
e ho visto con i miei occhi quanto molto dipenda dal lavoro delle donne. Sono
loro a assicurarsi che ogni giorno ci sia del cibo sul tavolo, sono loro a
assicurare che vengano rispettati i diritti dei propri figli.
Sostenere le donne Rom è uno degli elementi chiave della nostra strategia.
Dobbiamo accertarci che non avvengano più i matrimoni forzati e che si combatta
contro l'abuso di droghe e la tratta di esseri umani.
Con la sua storia personale ha dimostrato che è possibile sconfiggere povertà e
esclusione sociale. Cosa suggerirebbe a altri Rom che vogliono seguire il suo
esempio? La mia fortuna è stata l'istruzione. I miei genitori si sono trasferiti per
evitare che fossimo messi in classi separate, soltanto per Rom. Hanno
controllato che studiassimo abbastanza per essere ammessi in buone scuole.
Comunque una delle cose più importanti che mi hanno dato è questo forte legame
familiare e la nostra tradizione di accettarci l'uno con l'altro.
Io sono figlia di un matrimonio misto. Ho visto quello che hanno fatto i miei
genitori per darci una vita migliore. Tutti noi, i miei fratelli e io, siamo
andati all'università, grazie ai messaggi positivi trasmessi da mia madre e mio
padre.
Ha mai sofferto sulla sua pelle la discriminazione? Per me essere una Rom è una ricchezza, un elemento molto positivo. Mio padre è sempre stato molto protettivo: non ho mai sentito nessun commento
etnico a casa. Per noi era naturale essere Rom, ma prima di tutto ungheresi e
europei.
Per mia sorella è stato diverso. È nata dieci anni dopo di me in un momento in
cui il governo stava cambiando e si respiravano turbolenze economiche e tensioni
sociali. Si stava creando un baratro tra Rom e non Rom, tra ricchi e poveri.
Abbiamo iniziato a avvertire questa sensazione sulla nostra pelle.
Mi sono accorta all'università di quanto colleghi e amici non sapessero niente
dei Rom e fossero completamente pieni di pregiudizi infondati. Ho capito così
che dovevo fare qualcosa e mostrare che, oltre ai curriculum nazionali, al
dialogo sociale e al lavoro nelle comunità Rom, era estremamente importante
lavorare con i media.
Come potremmo creare fiducia e cooperazione reciproca?
I media hanno un ruolo molto importante, dovrebbero mostrare modelli di
cooperazione tra Rom e non Rom. La crisi economica ha reso ancora più difficile
combattere i pregiudizi. Il nostro compito dovrebbe essere quello di creare
degli spazi per l'integrazione, come associazioni sportive miste, classi e
luoghi di lavoro comuni. Poi abbiamo bisogno di una valida classe dirigente tra
i Rom. Aspetto con ansia la nascita all'interno della società Rom di un
approccio comune che venga dal basso.
Il rapporto sulla strategia europea per l'inclusione dei Rom dovrebbe essere
votato dalla commissione per le libertà civili il 14 febbraio per poi arrivare
in plenaria a marzo.
Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:31:45, in Italia, visitato 1615 volte)
Segnalazione di
Alberto Maria Melis,
che aggiunge: "Un bell'articolo, che dimostra come si può fare del buon
giornalismo anche senza intingere la penna nel fango e nel sangue, semplicemente
raccontando la verità che chiunque conosca personalmente i rom ha potuto toccare
con mano."
Repubblica
Un anno fa in questo campo in un rogo era morto un bambino. Pneumatici e
rifiuti abbandonati sono l'eredità di un vecchio sgombero - di BEPPE SEBASTE
La prima cosa che ci colpisce è il pudore. Poiché al mattino gli uomini sono
tutti al lavoro, a venirci incontro è stato un nugolo di bambini, sorvegliati a
vista e seguiti dalle madri, dai tre ai tredici anni. Sono curiosi e vivaci, e
al tempo stesso protettivi. Tra tutti spicca Dario Valentino, undici anni:
"Venite stasera, quando torna mio padre e gli altri uomini", ci ripete serio. Ci
proibisce (ci prega di non farlo) di fotografare le case e le persone, cioè loro
stessi. Colpisce la sua dignità, il volto serio nello sforzo di assumersi la
responsabilità del campo. E' anche perfettamente consapevole del bello e del
brutto. "Tutta questa zozzeria" - dice indicando una distesa di terra piena di
detriti, e le carcasse arrugginite e bruciate di automobili, "non è nostra,
l'abbiamo trovata qui". Ci dice il via vai di questi giorni di fotografi, che
non hanno chiesto il permesso di scattare immagini a case e persone, come se
fossero gabbie di uno zoo: "sono venuti a fotografare tutto e poi sono
scappati".
Ci presentiamo. Siamo in un agglomerato di baracche nel quartiere della
Magliana, racchiuse da canneti e pezzi di campagna sopravvissuta, chiusa da un
lato dai palazzi che ospitano la Fao. Il sentiero che vi conduce da via Morselli
è costellato di pneumatici e tracce di sgomberi recenti. Anche qui, un anno fa,
un altro bambino morì bruciato per l'imperizia e la miseria, non questa volta
dal riscaldamento, ma dalle candele. Sono rimaste famiglie bosniache di
Sarajevo, da cui imparo che le tragedie della miseria accadono a quei rom che
non hanno la sapienza pratica di altri, l'arte del sopravvivere. Nuovi poveri,
per così dire. Con me e Francesca, fotografa, c'è Alessandro, un giovane
antropologo che lavora con Arci Solidarietà nel vicino campo rom "regolare" di
via Candoni: concepito per ospitare trecento persone, ne vivono più di mille,
stipate dentro container di 18 metri quadrati. Alessandro aiuta le famiglie rom
a sbrigare le pratiche sanitarie, scolastiche e sociali in genere. I bambini e
le madri di questa baraccopoli di irregolari lo conoscono di vista, e si fidano
poco alla volta di noi. Il fatto è che ci sentiamo in colpa a essere qui anche
noi solo dopo l'ennesima tragedia che ha fatto notizia e suscitato clamore, a
far visita e fotografare delle condizioni di vita, di vita nuda, come se le
scoprissimo sempre per la prima volta, dimenticando che le abbiamo create noi,
la nostra politica, e solo in seguito attribuite a "loro". Non solo il triste
concetto di "campo", mi spiega il giovane antropologo volontario, è
un'invenzione nostra, frutto di una logica di esclusione; ma anche all'estremo
opposto la lirica adesione a un loro presunto e folcloristico stile di vita, a
una loro presunta esigenza di separatezza.
Ci colpisce la serenità di questo scorcio di vita quotidiano di donne e bambini,
e la tranquilla dignità delle donne e madri. "Ci portano di qui e di là come se
fossimo giocattoli", dice una donna. Da uno sgombero all'altro, da una
deportazione all'altra, la loro precarietà è una condanna, non una scelta. "Io
vivo qui con mio padre, sono arrivata in Italia quando avevo 11 anni - mi dice
un'altra che si definisce single, gonna verde con disegni fantasiosi, collana di
perline, pendenti e un bracciale di corallo - vorrei lavorare, sono brava a fare
le pulizie" - dice mostrandomi la baracca ordinata e accogliente sulla terra
nuda e spazzolata: un letto, un fornelletto, un tavolino, due quadretti di "Roma
sparita" appesi alle pareti fragili di legno, e un terzo che è un ritratto di
padre Pio. Ma non sa leggere né scrivere, in nessuna lingua. Poi si siede
all'aperto, in postura perfettamente eretta toglie il rame scorticando le guaine
dei cavi elettrici e lo mette da parte. Sanno, a differenza di altri rom, che
non bisogna bruciare il rame per non respirarne la diossina che sprigiona.
Tutte le baracche sono di legno, nessun uso di materiali nocivi, e dalle tettoie
pendono le plastiche azzurre della Posta Italiana, con la scritta in bianco. In
una, l'unica con l'impiantito pure di legno, tra i letti, i tappeti e le coperte
dai colori festosi e sgargianti noto vicino alla porta una stufa circolare di
metallo, saldature perfette, ma soprattutto una forma che sembra il frutto di un
designer di grido. "L'ha fatta mio marito", dice la donna con orgoglio seguendo
il mio sguardo. "Questa è sicura". E' una stufa a legno, davvero bella da
guardare.
Dario Valentino, il ragazzo undicenne (che scopriamo essere il figlio del
falegname e fabbro delle stufe), mentre attorniato dagli altri bambini
costruisce con assi di legno, chiodi e un martello una piccola casetta per
giocare, pone delle domande ad Alessandro come un grande, sul loro destino, se
li sposteranno a via Candoni, che cosa siano le fantomatiche "case popolari", e
chi ci può andare. Non è facile spiegare a bambini dagli occhi sgranati, che
aspirerebbero ad avere una casa normale, cosa siano e chi abbia diritto alle
case popolari, e perché. Intanto si sono avvicinate ad ascoltare alcune donne.
Quando nominiamo il Cei (Centro di identificazione e espulsione), la madre di
Dario Valentino, che sembrava disinteressata ai nostri discorsi, si affaccia
dalla sua baracca per esclamare, seria: "Là non ci voglio andare neanche morta".
Tutti qui hanno un regolare permesso di soggiorno, tutti vorrebbero che i loro
figli andassero a scuola, vorrebbero una normale assistenza sanitaria, tutto ciò
che per noi è così normale che ci dimentichiamo di averlo. Ignoro quali siano i
criteri per l'attribuzione, ma una cosa è certa: i nomadi, come li chiamiamo,
non sono nomadi, la loro origine è spesso contadina, e il lavoro degli uomini si
relaziona con la realtà della metropoli, non in un mondo separato.
"Questa potete fotografarla", ci propongono fieri dopo avere finito la loro
capanna di legno. Adesso i bambini, quelli più piccoli a piedi nudi, sono
contenti di mostrarci quante più cose possibili, felici della nostra attenzione.
Fotografiamo Lisa, il boxer femmina, Bambi, una pecora compagna di giochi dei
bimbi. Siamo incantati dalla loro creatività e dalla loro gentilezza. La piccola
Samantha, una biondina sempre sorridente, corre e grida di gioia quando diciamo
che torneremo a portarle dei vestiti. "Anche delle scarpine", ci dice da
lontano.
(11 febbraio 2011)
Di Fabrizio (del 16/02/2011 @ 09:13:18, in Europa, visitato 1614 volte)
Ho scritto di recente dei rimpatri forzati di Rom kosovari
dalla Germania. Da qualche anno politiche simili si verificano anche in
Svizzera, Austria, Benelux e Svezia. Da quest'ultimo paese mi arriva la lettera
che riporto qua sotto.
Caro Fabrizio
ti scrivo augurandomi che tu possa fare qualcosa, riguardo la deportazione
dalla Svezia dei rom kosovari. Da tempo i rom sono mandati verso il Kosovo senza
nessuna sicurezza di essere accolti oppure assistiti nel paese di provenienza.
Ho letto l'articolo sulle famiglie rom deportate dalla Germania, scritto
sempre sulle tue pagine, è vero che nessuno se ne frega dei rom quando arrivano
nella loro maledetta destinazione, sono lasciti alla loro sorte, credetemi per
niente buona, nessuna assistenza, né previdenza sociale o assistenza medica, ed
infine non sanno dove e come chiedere aiuto, la maggioranza di loro non sono
nemmeno iscritti all'anagrafe.
Spero che l'Unione Europea faccia qualche mossa per fermare, questo quasi
genocidio di oggi. Sapendo che le dichiarazioni delle bande criminali che
guidano il paese, qualcuno controlli meglio, che tutti coloro che alcuni paesi
della EU mandano in Kosovo, vengano ben accettati e accolti non sono affatto
vere, e sonno lasciati alla loro cattiva sorte.
Per non essere italiano mi auguro di essermi spiegato bene e che mi
abbiate capito, perché il traduttore di google ha tradotto questa mia lettera.
Cordiali saluti da Mauro -
bajrami162009@hotmail.com
Di Fabrizio (del 15/02/2011 @ 09:48:54, in Italia, visitato 2388 volte)
Segnalazione da
Evangelici.net
Repubblica.it
Nei cinque campi di Bologna ci sono 300 sinti, 250 i rom invisibili. Viaggio
negli accampamenti di Bologna dove la vita, nonostante le difficoltà può anche
sorridere. Come?
Chiedetelo a Mary che si è trasferita per amore
di LUIGI SPEZIA
Sinti, non rom, ma la paura non fa differenze, non guarda in faccia nessuno. Nei
campi nomadi - via Peglion, via Erbosa, via Dozza alle Due Madonne, via
Persicetana - vivono i sinti italiani non i rom romeni o bosniaci, che dopo i
grandi sgomberi degli anni scorsi sono ancora oltre 200, ma sono sparpagliati e
invisibili, in fuga dai vigili e senza cittadinanza. La morte dei quattro
bambini rom, soffocati tra le fiamme a Roma, ha trasmesso i brividi anche ai
250-300 abitanti sinti che vivono ai margini della città, tra scarso lavoro,
diffidenze, guai e legittime richieste di essere trattati da cittadini di serie
A. "Ma qui basta una scintilla e prende fuoco tutto" .
"Viviamo in questo campo che doveva rimanere provvisorio per sei mesi e invece è
provvisorio da vent'anni - tuona Matteo Bellinati, uno dei leader di via Erbosa
-. Ci avevano promesso di trasformare questa ammucchiata di roulotte in una
micro-area, ma i soldi ogni anno il Comune li investe altrove. Se qui in piena
notte prende fuoco una di queste roulotte, va a fuoco tutto, capito? Sono una
attaccata all'altra, non è regolare niente".
Vent'anni non è una cifra a caso. I Bellinati - con loro c'è anche un gruppo
della famiglia Orfei - sono i parenti di quel Rodolfo preso nel mirino di
Roberto e Fabio Savi, quando, con i loro Ar 70 e Sig Manurhin, il 23 dicembre
1990 spazzarono di piombo il campo abusivo di via Gobetti e lasciarono feriti e
un'altra vittima, Patrizia Della Santina. Dopo la strage, il gruppo era sciamato
per la regione, "il sindaco Imbeni ci chiese di tornare, ci ha piazzati qui ma
dopo non è successo più nulla". Il campo è infossato fra tre massicciate
ferroviarie e sorvolato dai fili di un traliccio dell'alta tensione. "Come si
può vivere qua - continua un altro Bellinati che di nome fa Antonio -? I nostri
venti bambini vanno a scuola, ma qui soffriamo di mal di testa e agli occhi, non
dicono che dai tralicci bisogna star distanti settanta metri? Le roulotte sono
riscaldate con stufette elettriche. Se scoppia un incendio di notte non si salva
nessuno, la plastica di queste nostre case è come benzina". E come benzina ha
preso fuoco ieri sera una parte di roulotte senza altre conseguenze, con
intervento dei vigili del fuoco, al campo del Bargellino, certamente meglio
attrezzato di quello di via Erbosa. Alcuni bambini bruciavano legna all'esterno.
L'accampamento migliore è quello di via Dozza alle Due Madonne. Lì vive
l'"aristocrazia" nomade e c'è anche una chiesetta in muratura degli Evangelici
Pentecostali, che hanno convertito decine di sinti, le cui anime sono curate da
pastori, sempre sinti. "Ma non curano il corpo, purtroppo - dice un residente -:
io raccolgo ferro con il furgone, non c'è altro lavoro. Qui il villaggio è
bello, sì, ma manca il lavoro". Qui ogni gruppo familiare ha un cortile tutto
suo dove campeggia il fabbricato delle cucine e dei bagni e attorno le varie
roulotte. "Ma le cucine e i bagni sono stati lasciati aperti, non danno il
permesso per chiuderli e d'inverno non è proprio il massimo".
Oltre le Due Madonne c'è l'insediamento di Idice, Comune di San Lazzaro. Il bus
giallo della scuola scarica i bambini, in mezzo al grande prato centrale gli
adulti stanno festeggiando un compleanno, c'è il baffuto Franco che stende
spiedini di pecora sul fuoco. Qui abita Giuseppe Bonora, 64 anni, detto "il
bimbo", coordinatore dell'Opera Nomadi dell'Emilia Romagna: "Abbiamo chiesto più
di una volta un incontro con il sindaco Macciantelli, ma non l'abbiamo ancora
avuto. Qui siamo ancora ad una favelas, non alle micro-aree. In tutti i comuni
dell'Emilia Romagna non fanno più aree di transito e di sosta. E siamo italiani.
Da noi non cresce nemmeno l'erba, chissà cosa ci hanno messo qua sotto". Bonora
ci tiene a dire che tutti i 15 bimbi del campo vanno a scuola, "nessuno va a
chiedere l'elemosina, eh? Gli adulti raccolgono ferro, o fanno spettacoli
viaggianti e poi magari c'è anche chi fa cose non belle. Ma bisogna pur dire che
una mano non ce la dà nessuno".
Se il campo disastrato di via Erbosa è circondato da tre ferrovie, quello
piccolo della famiglia Gallieri in via Peglion ha vista sul guardrail dell'A14.
Un campo che è stato trasferito in loco per tre volte, anche l'ultimo pezzo di
terra acquistato dalla famiglia per abitarci è stato espropriato dal Comune "e
io - dice Antonio Gallieri, che a 58 anni ha 9 figli, 18 nipoti e 3 pronipoti -
ho fatto una causa alla Corte europea. Ho avuto venti processi contro di me, ora
ce n'è ho uno "Gallieri contro lo Stato"".
Non ci sono solo i campi. Dappertutto ci sono le famiglie isolate, soprattutto
rom, anche dentro luoghi abbandonati come l'ex Casaralta o l'ex Cevolani. In via
Biancolelli, a Borgo Panigale, ecco una roulotte di sinti che non trovano posto
in via Persicetana, con tre bimbi che vanno alle elementari: "Abbiamo chiesto
casa due anni fa al Comune, non l'abbiamo ancora", dice Adriano Bonora. Lì
accanto una vecchia roulotte di rom, il capofamiglia è Brahim Husovic, calderas
bosniaco. La moglie è incinta, ha sei figli stipati dentro quel cubo fatiscente,
la più grande ha 18 anni. "Mio nonno viveva al Casilino 900", racconta
riferendosi alla tragedia di Roma. "Da Roma ho dovuto scappare". Storie che si
intrecciano. "I rom oggi sono circa 250 a Bologna, compresi quelli ai semafori -
dice Dimitris Argiropoulos, attivista della Federazione Romanì -. Stanno
nascosti". Due famiglie vivono tra le frasche del giardino del Baraccano.
Blog di
Casa della Poesia
A proposito della "questione rom", oggi tragicamente
agli onori della
cronaca, per conoscere e capire, una delle poesie più famose del grande Paul Polansky:
The well, in italiano Il pozzo.
Leggi e ascolta anche la
versione originale!
Il pozzo
Mi presero al mercato
dove la mia gente una volta vendeva vestiti,
e dove ora gli albanesi praticano il contrabbando.
Quattro uomini mi gettarono sul sedile posteriore
di una Lada blu, urlando "Lo abbiamo detto,
niente zingari a Pristina."
Mentre mi spingevano giù sul fondo,
sentivo la canna della pistola sull’orecchio sinistro. Era così fredda
che sussultai proprio mentre qualcuno premette il grilletto.
Il sangue mi schizzò su un lato della faccia
dalla ferita sulla spalla.
Caddi, fingendomi morto.
Pregai la mia amata madre morta, tutti i
mulos*, affinché questi uomini non si accorgessero da dove
fuoriusciva il sangue. Quando arrivammo,
mi tirarono fuori per i piedi. La testa si schiantò
sul terreno, rimbalzando sulle pietre.
Mi gettarono a testa in giù in un pozzo.
Non raggiunsi mai l’acqua.
C’erano troppi corpi.
Giacevo rannicchiato, quasi incosciente
finché la puzza e il bruciore della calce viva
non mi fecero rinvenire.
Trattenni il fiato finché non sentii
ripartire la macchina, ma poi soffocai
per il fetore che mi circondava.
Con una sola mano, mi trascinai
aggrappandomi a gambe rigide
che mi fecero da scala per arrampicarmi.
La faccia, le mani, tutto il mio corpo
bruciava per la calce. Usai dell’erba
per pulire quello che potevo,
poi barcollai giù per una strada sporca
verso una lunga fila
di luci che si muovevano lentamente.
Venti minuti più tardi ero sull’autostrada
guardando i camion e le jeep verde oliva,
che mi passavano accanto come se fossi un palo del telefono.
Alla fine crollai davanti a due fari.
Non so dire se l’ultimo rumore che sentii
fu uno stridio o un grido.
Il giorno dopo in un ospedale militare
qualcuno della Nato mi interrogò per alcuni minuti.
L’interprete albanese fece sorridere i soldati.
A mezzogiorno stavo camminando
attraverso un bosco seguendo un sentiero per carri
che nessuno usa più,
tranne gli zingari
che fuggono da un paese
in cui hanno vissuto
per quasi
settecento anni.
* Mulos: spiriti di zingari defunti a cui non è stato
ancora concesso di entrare nel regno dei morti.
Di Sucar Drom (del 15/02/2011 @ 09:23:26, in blog, visitato 1496 volte)
Milano, il Tribunale conferma: il Sindaco Moratti e il Ministro Maroni hanno
discriminato i rom
Con ordinanza del 24 gennaio 2010, il collegio giudicante del Tribunale di
Milano ha respinto il reclamo opposto dal Comune di Milano avverso l'ordinanza
del giudice civile di Milano dd. 20 dicembre 2010, con la quale era stata
dichiarata la natura discriminatoria del comportamento a...
Berlino, il 27 gennaio 2011 al Bundestag la commemorazione del Porrajmos
Mantova, Articolo 3 ha presentato il Rapporto 2010
Articolo 3, con il suo Osservatorio compie tre anni, e guadagna un importante
riconoscimento: entra nella rete dell'Unar, l'Ufficio nazionale
antidiscriminazioni razziali, che fa capo alla presidenza del
consiglio-ministero per le Pari opportunità. In q...
Firenze, al via le demolizioni nei "campi nomadi" del Poderaccio e
dell’Olmatello
Sono iniziate questa mattina le operazioni di demolizione di alcune strutture
dismesse nei "campi nomadi" del Poderaccio e dell’Olmatello. Agli interventi,
predisposti dalla direzione servizi tecnici, hanno assist...
Porrajmos, Ue: i Sinti e i Rom sono stati vittime di una persecuzione su base
etnica
Il 15 dicembre scorso alcuni parlamentari europei hanno presentato
un’interrogazione per chiedere il riconoscimento da parte dell'UE del genocidio
dei rom e dei sinti durante la II Guerra mondiale...
Roma, ennesima tragedia scuote la Capitale
Mercoledì lutto cittadino nella Capitale per i quattro fratellini morti
nell'incendio domenica sera. La procura di Roma ha aperto un fascicolo contro
ignoti. Alemanno: tendepoli per smantellare le 'baracche della morte...
Dedicaraia ia ghili u star tine ciave Raul, Fernando, Sebastian e Patrizia
U merape ilo dinglan mur vudar, La morte è davanti alla mia porta, tel u cibe,
striscio sotto il letto, Deval na cher tamarà, Dio non farmi morire...
Mantova, Korkoro (liberté - freedom) l'ultimo film di Tony Gatlif in prima
visione
L'Istituto di Cultura Sinta è lieta di invitare alla proiezione del poetico e
pluripremiato ultimo film del regista Tony Gatlif: Korkoro (liberté - freedom)
venerdì 11 febbraio 2011 a Mantova, ore 21.00, Cinema del Carbone in piazza don
Leoni (di fronte alla Stazione ferroviaria). INGRESSO GRATUI...
Roma, manifesta il fronte "no piano nomadi"
Ieri sera diverse organizzazioni e comitati di Roma hanno organizzato una
manifestazione dal titolo "contro il piano nomadi per il diritto alla casa". La
manifestazione si è tenuta in Piazza del Campidoglio e ha visto la
partecipazione di circa...
Senatore Pietro Mercenaro: interrompere la spirale di ignoranza e pregiudizio
Il rogo che domenica notte ha ucciso quattro bambini Rom in un campo alla
periferia di Roma è una tragedia che obbliga ciascuno di noi ad un’assunzione di
responsabilità...
Roma, Sucar Drom: sosteniamo Najo Adzovic e il Sindaco Alemanno
"E' stata una tragedia che pesa dolorosamente su ciascuno di noi e che ci rende
ancor più convinti della necessità di non lasciare esposte a ogni rischio
comunità che da accamp...
Di Fabrizio (del 14/02/2011 @ 14:26:13, in Italia, visitato 1819 volte)
Segnalazione di Stefano Nutini
venerdì 18 febbraio, ore 17.30 in Via Pietro Calvi, 29 - 20129 Milano
Il comune di Milano butta i soldi nei continui e ripetuti sgomberi dei campi
Rom. Non risolve niente, anzi peggiora le condizioni di esistenza nella nostra
città.
Le maestre e le mamme della scuola di via Rubattino, invece, con il loro agire
hanno trovato risposte di vita quotidiana a problemi di convivenza anche molto
gravi e ci mostrano una strada per uscire dall’impotenza. Le invitiamo per
approfondire la loro esperienza e discutere con loro del significato politico di
ciò che fanno. Conducono Maria Cristina Mecenero e Alessio Miceli.
Ad apertura dell’incontro verrà proiettato il video Seminateci Bene.
Attenzione si inizia alle 17.30
Circolo della rosa
Circolo cooperativo Sibilla Aleramo - Libreria delle donne
Via Pietro Calvi, 29 - 20129 Milano
Tel.0270006265
info@libreriadelledonne.it -
www.libreriadelledonne.it
Di Fabrizio (del 14/02/2011 @ 09:33:40, in Italia, visitato 1698 volte)
12 feb 2011
Quattro bambini arsi vivi nel sonno, nella baracca di un microcampo abusivo
nelle campagne della via Appia Nuova a Roma. Lo scorso 6 febbraio, il destino
non poteva scegliere modo più doloroso per riproporre sull’agenda pubblica la
"questione rom", la difficile integrazione di una comunità guardata con
diffidenza e fastidio (come testimoniano alcuni inquietanti commenti apparsi sui
social network) anche quando a parlare dovrebbero essere solo le lacrime.
Dijana Pavlovic, attrice serba ma milanese d’adozione, vice-presidente della
Federazione Rom e Sinti Insieme, in questi anni ha assunto il ruolo di "voce" di
un popolo (150mila in Italia) nascosto, non riconosciuto se non come spauracchio
da agitare per raccogliere facile consenso elettorale. Con lei abbiamo
affrontato le ragioni di questa difficoltà.
Dijana, qual è l’origine dei pregiudizi verso i rom?
"Non sono una psicologa ma avverto il peso del cliché, anche romantico, che
pesa sulla figura dello zingaro. Evoca libertà ma anche mistero, oscurità,
furto. E’ vero: il popolo tzigano è distante dal rigido inscatolamento tipico
dell’occidente. I rom hanno sempre vissuto segregati eppure per noi la libertà è
un atteggiamento mentale, la straordinaria capacità di vivere la vita alla
giornata. Prendere la fisarmonica e cantare nei momenti più difficili. Non è una
visione pittoresca ma la realtà profonda. Un’immagine che porto con me degli
sgomberi a Milano è una fila di persone, amici, tutti con la valigia in mano,
scortati dalla polizia per abbandonare la loro casa. Tra loro un signore
anziano, con i baffi, che in preda alla rabbia, alla disperazione, ha preso una
fisarmonica ed ha iniziato a suonare. Toglieva il respiro. La società è troppo
legata all’idea del possesso, vali in base a quello che hai nel portafogli. Gli
zingari, invece, si giudicano tra loro in base a quello che sei. E questo in
occidente fa molta paura".
A che punto è la battaglia sulla richiesta dello status di minoranza
linguistica?
"Al punto zero. Nel 1999 i rom non sono stati inclusi nella legge che regola
la materia, eppure la comunità italiana è presente sul territorio dal 1400. E’
un problema tecnico: in Italia lo status si riconosce solo ad una comunità
legata ad un territorio. I rom non lo sono, per la specificità della loro
cultura. E’ solo una scusa che nasconde una precisa volontà politica: non
riconoscere i rom, non stabilire un rapporto e quindi non rispettarli".
Qual è il ruolo della scuola?
"In Italia siamo indietro, a scuola i bambini rom sono dati per spacciati.
In altri paesi ci sono rom laureati, qui manca completamente una classe
dirigente. Nessuno si preoccupa della conservazione della lingua romanes, il
vero "luogo" della cultura rom. E’ difficile quando vivi nei ghetti, provare ad
uscirne. Ti racconto un episodio che ho vissuto quando facevo la mediatrice
culturale nelle scuole: seguivo un ragazzino rom di 11 anni, molto sensibile.
Ogni mattina era prelevato da uno scuolabus con la scritta "pulmino rom". A
scuola era scaricato in una classe con la scritta "aula rom". Lui capiva
perfettamente di essere trattato diversamente. Un giorno la preside, gli dice
"resisti, che tra un anno per te la scuola è finita". Lui mi guarda e chiede:
"Perché io non vado alle medie?". Per la preside era scontato che abbandonasse
gli studi, nonostante fosse capace di continuarli".
Qual è l’episodio di discriminazione più detestabile che ricordi?
"I disegni degli scolari napoletani a Ponticelli con le scritte ‘bruciamoli
tutti’. E l’infamante stereotipo degli zingari rapitori di bambini. E’ l’accusa
che fa più male, davvero ingiusta. A quella di "ladri" siamo abituati ma
basterebbe conoscerci solo un po’ per capire che i bambini sono amati e
rispettati, sono il centro della nostra cultura. Immagina il dolore per quanto
accaduto a Roma domenica scorsa".
Sabino Di Chio
Di Fabrizio (del 14/02/2011 @ 09:22:09, in Italia, visitato 1687 volte)
Stavolta si è trattato solo di uno
sputo.
Poteva finire molto,
ma molto peggio.
Perché lo scrivo? Perché solo qualche settimana fa abbiamo
fatto indigestione della parola MEMORIA, ma la memoria è vigliacca: si desta
quando meno te l'aspetti. Anche se il giorno di san Valentino meriterebbe un
post diverso
Di Fabrizio (del 14/02/2011 @ 09:16:27, in Europa, visitato 1606 volte)
Virgilio notizie
Anche presidente Basescu ha detto che non la firmerà mai
Roma, 9 feb. (TMNews) - Rom somiglia troppo a romeno. E così a Bucarest qualcuno
aveva pensato di cambiare la denominazione ufficiale della minoranza, adottando
il termine "zingaro". Tuttavia, il Senato oggi, secondo quanto riferisce
l'agenzia di stampa Mediafax, la proposta di legge è stata bocciata.
Sono 51 i senatori che hanno votato contro la proposta. Ventisette si sono
espressi a favore, cinque si sono astenuti. E' stato così ignorato il parere
delle commissioni per i diritti umani e le pari opportunità che avevano
approvato la proposta avanzata dal parlamentare liberaldemocratico Silviu
Prigoana.
L'Accademia di Romania e parte del governo avevano dato il loro sostegno alla
legge, affermando che il termine "zingari" è utilizzato nella gran parte dei
paesi europei. Si erano invece detti contrari il ministero della Cultura, il
ministero degli Esteri, il Dipartimento per le relazioni interetniche e il
Consiglio nazionale contro la discriminazione.
Il presidente romeno Traian Basescu, in un'intervista al Financial Times a
metà dicembre, aveva detto che non avrebbe mai promulgato la legge, perché
sarebbe stato un gesto di discriminazione nei confronti della comunità rom.
La legge deve ancora essere discussa alla Camera dei deputati.
|