Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.
Di Fabrizio (del 19/11/2010 @ 09:52:21, in Italia, visitato 1882 volte)
Ricevo da Agostino Rota Martir
E' dura, ma non ci si può arrendere, perché è fondamentale per tutti, non
solo per i Rom ma per tutti noi, riuscire a tenere alta la guardia, anche se
sappiamo di essere in pochi a lottare contro una "macchina del fango" collaudata
e che continua a vomitarlo sopratutto sui rom, con l'intento di manipolare e
condizionare l'opinione pubblica, ma non solo questa... e falsare
deliberatamente la realtà dei fatti.
Ieri mattina (16 Novembre) sull'autobus di linea Livorno-Pisa una mamma rom
di Coltano, viene aggredita verbalmente dai passeggeri presenti, la sua colpa è
di essere Rom e del campo Rom di Coltano, ormai visto dall'opinione pubblica
pisana come luogo infamante e di degrado culturale e umano.
Qualche settimana fa anche in un Centro Caritas vicino ad Ardenza (LI) che
distribuisce abiti, si ripete più o meno la stessa scena, con un'altra donna Rom
di Coltano.
Non vengono nemmeno risparmiati i bambini Rom a scuola, visti e indicati a dito
dai loro compagni come gente pericolosa... bambini che tornano a casa piangendo
e con la tristezza sui loro volti.
Trovare un idraulico disposto a fare dei lavori all'interno del Villaggio, è
un'impresa non certo facile: prevale il timore, la paura di finire chissà
come... oppure il rifiuto come principio.
Penso che la redazione di Il Tirreno di Pisa potrà gioiosamente brindare, per
aver raggiunto lo scopo prefissato, e finalmente premiare la loro giornalista di
punta, C. V. per essere riuscita a creare il clima giusto, di rivolta nei
confronti della comunità Rom di Coltano. Ognuno fa le sue scelte: meglio avere
una città feroce verso i Rom che sondare, confrontare per cercare di capire la
verità dei fatti, come farebbe un serio cronista. Scelte redazionali: tutto in
nome "dell'integrazione" ovviamente, "siamo una testata aperta, democratica e
tollerante", che sa utilizzare, quando è necessario anche la giusta dose di
persecuzione, pur di delegittimare il popolo Rom. Recentemente, alcuni studiosi
e ricercatori non hanno esitato di usare il termine "genocidio", in nome della
sicurezza portata avanti oggi, anche all'interno dei Tribunali minorili in
Italia in materia Rom: "Dalla tutela al genocidio?" (ed. CISU, 2010)
Anche i servizi sociali del comune di Pisa sembrano allinearsi ed adattarsi
perfettamente a questa campagna a senso unico. E' preoccupante il silenzio di
quei operatori che conoscono a sufficienza la realtà dei fatti, e l'infondatezza
delle gravi accuse. Hanno avuto modo di vedere la "bambina sposa", forse anche
di parlarci insieme, di vederla serena e libera di muoversi all'interno del
campo. Con gli stessi indagati, ancora in carcere hanno lavorato insieme,
mangiato insieme, gli hanno aperto le porte di casa loro, hanno anche raccontato
le loro difficoltà, a volte hanno pure litigato insieme. Sono quegli stessi
operatori che non tanto tempo fa, di fronte ai tagli previsti dal comune
riguardante il settore sociale, non hanno esitato a manifestare e protestare per
far valere l'importanza di lavorare per "l'integrazione dei Rom", per non
perdere il cammino fatto finora a fianco dei Rom di Coltano... allora
manifestavano per non perdere un lavoro o una occupazione, che può essere
sacrosanto! Perché ora non sanno (o non vogliono) esprimere un loro parere su
questa vicenda? Il loro silenzio grida forte e lo si sente eccome tra le dimore
dei Rom! Perché si dovrebbe riconoscere la loro professionalità solo quando il
posto di lavoro è minacciato da possibili tagli?
Questa vicenda rivela anche la totale mancanza di autonomia da parte di tanti
soggetti attivi nel sociale e pone degli interrogativi molto seri anche sulle
finalità dichiarate di tanti Progetti Rom: migliorare la condizione sociale,
culturale ed economica di rom!?
Al fango i rom, in genere sono abituati, quello dei campi e del nuovo
villaggio... dobbiamo tutti temere invece il fango del pregiudizio,
dell'intolleranza e del razzismo che sta montando senza alcun argine, che decima
senza pietà delle intere famiglie Rom, e che non sa dare spazio al punto di
vista diverso dal nostro, fino a negare il diritto di voce e la loro presunzione
di innocenza. Quando la verità dei fatti sarà accertata sapremo riconoscere il
fango nauseabondo che forse sta anche dentro di noi o abbiamo imparato troppo
rapidamente a conviverci comodamente?
Di Fabrizio (del 20/11/2010 @ 09:37:37, in scuola, visitato 2313 volte)
Segnalazione di Stefano Pasta
Buongiorno,
Sono una mamma milanese, abito al quartiere Feltre, ho tre figli, una libera
professione che mi impegna molto, un marito, una casa; la mia vita insomma, come
tante altre donne milanesi, sempre un po' trafelata e con l'impressione di aver
poco tempo per tutto.
Sabato 20 novembre, insieme ad altre mamme e maestre del mio quartiere,
festeggerò in maniera speciale questa data, da tutti conosciuta come la giornata
dei diritti dei bambini, perché è l'inizio della storia che qui racconto.
ANTEFATTO
Tutto nasce due anni fa nel campo rom di via Rubattino, una vera e propria
favela cresciuta ed autorganizzatasi in un ex centrale Enel abbandonata, nella
nostra zona. Le famiglie di rom romeni sono molte, moltissimi i bambini in età
scolare che a scuola non vanno.
Vista la stabilità del campo la Comunità di Sant'Egidio, che da anni segue la
comunità rom, prende l'iniziativa ed iscrive una decina di bambini nelle tre
scuole della zona: le scuole primarie Toti, Morante e Munari.
Per i bambini è la prima volta nelle scuole dei "gagè", sconosciuti e temuti.
Per le famiglie italiane del quartiere è il primo incontro con i bimbi rom e con
le loro famiglie, altrettanto sconosciute e temute.
Questa semplice esperienza da subito sovverte i pregiudizi. Ci aspettiamo
bambini particolarmente problematici, arrivano invece bambini preoccupati e
timorosi ma che in breve tempo vengono a scuola con contentezza. I bambini rom
hanno nomi, storie, sorrisi e dopo qualche mese si sentono parte dell'esperienza
scolastica legandosi alle classi e alle maestre.
In seconda con mia figlia arrivano due gemelline, Cristina e Florina. Il
primo giorno di scuola piangono spaventate. Viene inviato un bambino romeno a
dir loro che non devono aver paura, la scuola è un bel posto.
Alla recita di Natale di quel primo anno scolastico le vedo felici ed
emozionate sul palco che richiamano l'attenzione dei loro genitori mentre
cantano.
L'anno scolastico si conclude, i bambini sono ben inseriti. I genitori rom
arrivano a prendere le pagelle a scuola eleganti e rispettosi. Sono contenti di
poter mandare a scuola i loro figli.
Molti di loro non sanno né scrivere né leggere e si sentono ciechi, come ci
raccontano.
L'anno scolastico successivo inizia con molti altri bambini rom che vengono a
scuola: nelle tre scuole ce ne sono una trentina. Sono arrivati fratellini e
cugini. La scuola è un bel posto.
LO SGOMBERO DEL 19 NOVEMBRE SCORSO
Ma nel novembre scorso arriva lo sgombero della favela dove ormai vivono quasi
trecento persone. E' pieno inverno, manca un mese a Natale e sono le giornate in
cui in Comune si celebra con gran enfasi la dichiarazione dei diritti
dell'infanzia. Lo sgombero viene effettuato senza nessun ragionamento né
percorso previsto a tutela dell'esperienza scolastica dei minori del campo.
Quel mattino sono in studio, so dello sgombero. Apro le pagine on line dei
quotidiani milanesi ed iniziano a scorrere sotto i miei occhi le foto. Vedo
Cristina e Florina, gli occhi coperti dalla striscetta nera, piangenti accanto
alla loro mamma, con gli zainetti di scuola in spalla.
In quel momento mi rendo conto che quei bambini non potranno più venire a
scuola.
Per un mese settanta bambini, alcuni piccolissimi, e le loro famiglie vivono
dormendo per strada, ovunque, qui in zona, senza neanche più il tetto di una
baracchina sulla testa. Molti spariscono per mesi. A scuola non viene più
nessuno di loro per settimane.
Un gruppo di genitori italiani e di maestre rimangono sconvolti davanti ad
una così plateale violenza. Questi bambini sono naturalmente bambini come i
nostri, ma di fatto non possono più venire a scuola perché poveri e figli di
senza tetto.
Molte famiglie vengono ospitate nei giorni più freddi dai compagni di classe
italiani e dalle maestre. Le associazioni umanitarie fanno appelli ad una
moratoria degli sgomberi per soccorrere le famiglie più provate. Le istituzioni
cittadine tacciono o addirittura rispondono sprezzanti.
NASCE IL VINO R.O.M.
Nei mesi successivi abbiamo lavorato per ricucire il più possibile di questa
esperienza frantumata e per sostenere le famiglie dei bambini che a fatica e con
tenacia sono tornati a frequentare le nostre scuole nonostante una vera e
propria persecuzione li cacciasse ogni poche settimane da un rifugio ad un
altro. Sempre le stesse famiglie, sempre gli stessi angoli abbandonati di città
dove si nascondevano. Sgomberi costosissimi senza nessun risultato. Cosa si
sperava di ottenere, che sparissero? Per sottrarre queste famiglie alla
indicibile povertà in cui vivono bisogna tendere loro una mano per trarli dal
fango. Non continuare a spezzare i legami che possono aiutarli ad iniziare un
percorso di integrazione.
Con l'appoggio del Gas Feltre, un gruppo di acquisto di zona, e di Intergas,
genitori e maestre hanno ideato un' iniziativa di raccolta fondi per sostenere
con borse di studio e lavoro le famiglie di questi bambini: la vendita del vino
R.O.M. (Rosso di Origine Migrante) messo a disposizione da un viticoltore
toscano la cui cooperativa aveva in comune con i rom una storia di sgomberi.
Il vino R.O.M. ha incontrato tantissima solidarietà e le sottoscrizioni hanno
consentito di approntare le prime borse lavoro e borse di studio. La Comunità di
Sant'Egidio ci ha seguito in ogni passaggio e ci ha supportato con la sua
esperienza nell'intraprendere percorsi di integrazione e di autonomia per le
persone rom che vivono senza tetto in Italia.
BORSE LAVORO, BORSE DI STUDIO, INSERIMENTI ABITATIVI ED AMICIZIE Durante l'anno che si conclude domani, con le nostre poche forze di semplici
cittadini, il nostro poco tempo, ed i pochi soldi raccolti abbiamo coinvolto
circa dieci famiglie rom di bimbi che vengono nelle nostre scuole in percorsi di
reinserimento lavorativo (tre papà ed una mamma), ripresa di percorsi scolastici
(tre fratelli adolescenti frequentano "scuole bottega" dove imparano un lavoro),
uscita dal campo di quattro famiglie che sono riuscite ad andare a vivere in
casa. E poi le merende fuori da scuola, le feste di compleanno insieme,
l'affetto ed il sostegno nei momenti più duri, che lo scorso inverno sono stati
tantissimi. Quanto freddo nelle tende sotto la neve o cercando vestiti asciutti
nel campo allagato per mandare i bambini a scuola.
CONCLUSIONE
Sono una mamma milanese come tante altre, che un anno fa, insieme ad un manipolo
di genitori e maestre di buona volontà, nell'affanno delle nostre vite
quotidiane, si è detta intimamente "io no" davanti all'espulsione di bambini
poveri da scuola, l'unica possibilità per loro di un futuro diverso.
Mi guardo indietro e quasi incredula vedo quanta strada abbiamo fatto tutti
insieme quest'anno.
Credo che un giorno gli amministratori cittadini saranno chiamati a
rispondere dell'aver scientemente e deliberatamente tanto distrutto (con
centinaia di migliaia di euro dei cittadini spesi inutilmente negli sgomberi)
quando, con pochi soldi e la sola volontà di farlo, si è potuto e si può
costruire tanto nella direzione della giustizia e di un migliore futuro per
tutti.
Di Fabrizio (del 21/11/2010 @ 09:23:25, in Kumpanija, visitato 1744 volte)
Inviato da Patrizia Ciuferri 18 Novembre, 2010
"… in classe è venuto il mediatore culturale, Graziano e ci ha spiegato le
diverse usanze tra Roma e italiani. Io sono sinto e le mie usanze sono ancora
diverse, perché sono mezze zingare. Questo argomento mi è piaciuto perché per
una volta hanno parlato di una cosa che mi riguarda e per questo mi sono sentito
importante…" Daniele (ragazzo sinto)
E' con queste parole, testimonianza di un ragazzo di etnia sinti, che si apre il
sito dell'associazione di promozione sociale, Romà Onlus, nata nel 2008 (www.romaonlus.it).
La mission di Romà Onlus che riunisce soci rom (in maggioranza) e
non rom, è
quella di promuovere gli aspetti positivi della cultura rom e la capacità dei
Rom di interagire con la collettività attraverso la riscoperta e la
valorizzazione della storia e delle loro tradizioni., nonché la loro
partecipazione attiva e propositiva alla vita sociale.
Attraverso la conservazione della memoria e della storia dei rom, lo scopo
dell'associazione è sostenere il processo di integrazione dei Rom per mezzo di
progetti e attività volte a promuovere l' all'accrescimento spirituale,
politico, sociale della comunità Rom e Sinti nei vari ambiti dell'istruzione,
della consapevolezza culturale, della mediazione sociale e culturale, del
sostegno all'impiego.
Impegnata nel sostegno all'istruzione e nel tutoraggio finalizzato all'accesso
all'istruzione superiore e alla creazione di luoghi di aggregazione per
adolescenti di origine rom, Romà Onlus è anche volta alla promozione e allo
sviluppo di attività no-profit come fattore di coesione sociale, impegno civico,
emancipazione delle donne rom, diffusione dei valori di pace e cittadinanza
attiva, contrasto alla discriminazione e all'esclusione sociale.
Lo staff di Romà Onlus si avvale di un nutrito gruppo di professionisti tra cui
mediatori linguistici e interculturali, registi e progettisti specializzati nel
reinserimento sociale di giovani in difficoltà e nella realizzazione di
corsi di
formazione.
Tra i molteplici servizi messi a disposizione dell'associazione, laboratori che
spaziano dall'intercultura alla gastronomia, passando per l'arte, il cinema
digitale e la lavorazione del rame. Attraverso le molteplici professionalità
presenti nello staff di cui si avvale l'associazione, Romà Onlus ha elaborato
una serie di attività volte a incentivare l'integrazione e il dialogo reciproco
tra bambini e ragazzi rom e non, attività estive per bambini e ragazzi,
interventi di mediazione culturale nelle scuole, formazione per insegnanti,
tutoraggio e accompagnamento all'istruzione superiore.
Allo scopo di favorire la partecipazione e la cittadinanza attiva dei rom, è
nata Rete Rom, che promuove a livello locale il coordinamento Rom a Roma,
essendo anche fondatrice della Federazione Romanì e, a livello internazionale,
membri di Ternype, fondata nel gennaio 2010 da diverse organizzazioni Rom
giovanili provenienti da Albania, Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia,
Slovacchia, Spagna e Polonia.
Nell'ambito di un progetto per un Istituto di cultura Rom, un angolo dedicato
all'approfondimento della cultura rom, chiamato Romanipé, una sezione web
dedicato alle pillole di approfondimento sulla cultura, la storia e la lingua
del popolo rom.
Romà Onlus, in collaborazione con Stalker – Osservatorio Nomade ha inoltre
ideato e realizzato Romano Hapé, il catering di cucina romanes che nasce con
l'idea di raccontare la diversità culturale attraverso il cibo e la gastronomia
e di creare un momento di condivisione in cui le donne rom e le giovani
partecipanti possano scambiarsi pratiche e saperi.
Visto l'enorme successo, tale progetto si è proposto e si propone come catering
per occasioni pubbliche e private. Ha visto coinvolti gli studenti dello IED –
Istituto Europeo di Design, che hanno messo a disposizione le loro conoscenze
per pensare, insieme alle giovani donne rom, un piano di presentazione e
comunicazione attraverso blog, volantini e al packaging dei piatti preparati.
Da allora il Romano Hapè ha preso parte a numerose iniziative pubbliche quali il
Primo Congresso Nazionale della Federazione Rom e Sinti, l'edizione 2009 del
Festival Internazionale di Fotografia di Roma.
Contatti:
Romà Onlus Via Altavilla Irpina, 34/36
00177 Roma
Tel 0664829795
Fax 0664829795 info@romaonlus.it
Ennesimo sgombero a Segrate. Per Cristina, la bimba nomade di dieci anni
di cui una maestra ha parlato a "Vieni via con me", è lo sgombero numero
diciassette.
Un momento dello sgombero del 18 novembre, a
Segrate.
La mattina del 18 novembre, sotto una pioggia battente e implacabile, polizia e
carabinieri hanno sgomberato gli 80 rom rumeni che abitavano in via Fermi, a
Segrate, ricco comune alla periferia est di Milano. Qui, seguiti dalla Comunità
di Sant’Egidio, 14 bambini andavano regolarmente a scuola, 15 uomini lavoravano
con contratto regolare nell’edilizia e 4 adolescenti, dopo anni di dispersione
scolastica, avevano intrapreso un percorso di avviamento professionale. Marius,
a 17 anni, è passato dall’elemosina a un corso di idraulica e a un tirocinio per
riparare le tubature di molte case milanesi. Ora l’ennesimo sgombero mette a
rischio questi passi concreti verso l’integrazione.
Il 18 novembre non è solo la data dello sgombero di via Fermi: è anche il
diciassettesimo sgombero subito da Cristina, 10 anni, in un solo anno. Quando
nel settembre 2008 abitava al campo di via Rubattino, Cristina ha iniziato a
frequentare la quarta elementare. Nell’ultimo anno, a causa degli sgomberi, ha
perso molti giorni dell’anno scolastico e ha dovuto cambiare tre scuole. La sua
famiglia è molto povera; per questo, e non certo per scelta, ha una baracchina
al posto della casa. Quando uno sgombero rade al suolo anche quella, rimangono i
cavalcavia o un telo di plastica fissato su dei legni. Ha provato a vivere anche
sottoterra, sgomberata anche da lì. Cosa perde Cristina ad ogni sgombero?
Giocattoli? No, non ne possiede. Vestiti? Ben pochi. Perde invece un riparo dal
freddo e dalla pioggia, la bombola e il fornello che le consentono di mangiare
qualcosa di caldo.
Ma perde anche le sue radici: il luogo dove tornare e che riconosce come "casa",
gli amici rom, che si disperderanno, gli amici italiani, da ritrovare ogni
giorno a scuola, le maestre che l'aspettano per accompagnarla a scuola, quella
scuola che le consentirà un giorno di essere una cittadina al pari degli altri,
di essere rispettata, di comprendere e difendersi. La maestra Flaviana Robbiati
aveva letto l’elenco degli sgomberi subiti da Cristina durante la trasmissione
Vieni via con me di Fazio e Saviano. Dice: “Don Lorenzo Milani sostiene che chi
conosce mille parole è più libero di chi ne conosce cento. É forse per questo
che oggi si sgombera Cristina? Per impedirle di essere domani libera e con una
dignità riconosciuta e rivendicata? Intanto, ancora oggi, si è svegliata con i
lampeggianti blu della polizia.”
I diciassette sgomberi subiti da Cristina in un anno danno un volto al caso
zingari, all’emergenza nomadi. Il rifiuto degli zingari è diffuso negli ambienti
più diversi, criminalizza un piccolo popolo sostanzialmente indifeso. In nome
della preoccupazione per la sicurezza dei cittadini, lo zingaro diventa spesso
la personificazione del male. Ma il caso zingari ci pone di fronte a una domanda
decisiva, quella del modo in cui vogliamo vivere. Avere un nemico facilmente
identificabile può perfino essere rassicurante, ma dobbiamo sapere che spesso ha
il volto di Cristina.
Le famiglie di via Fermi sono una parte dei rom che da un anno, con costi
enormi, sono alternativamente respinte dall’area di via Rubattino (Milano) e da
Segrate. Si sceglie ripetutamente lo strumento dello sgombero, effettuato in
assenza di reali proposte alternative, sgomberando per sgomberare, per poi
lasciare rioccupare la medesima zona e ricorrere successivamente, con clamore
mediatico, a un ulteriore allontanamento. Quando illusoriamente si parla dei
luoghi sgomberati come “restituiti alla città” o “liberati”, si dimentica spesso
che i rom sono uomini, donne, anziani, bambini, soprattutto bambini.
Elenco degli sgomberi subiti da Cristina, 10 anni, Rom
19 novembre 2009: sgomberata del campo di via Rubattino
20 novembre 2009: sgomberata da un edificio abbandonato a Segrate
21 novembre 2009: sgomberata da un capannone fatiscente sotto la tangenziale di Rubattino
2 febbraio 2010: sgomberata da via Siccoli
4 febbraio: sgomberata da Quarto Oggiaro, torna a Segrate in un capannone
24 febbraio: sgomberata da via Carlo Reale
25 febbraio: sgomberata da via Bovisasca
10 marzo: sgomberata dall'area di via Durando.
6 aprile: sgomberata da Segrate.
7 settembre 2010: sgomberata dell'area ex Innocenti di via Rubattino. È la
stessa area da cui era stata sgomberata dieci mesi prima.
8 settembre 2010: sgomberata da via delle Regioni a Redecesio (Segrate).
9 settembre 2010: dorme per strada in zona Lambrate, ma al mattino è
allontanata.
10 settembre 2010: allontanata dal ponte della tangenziale di Rubattino.
21 ottobre 2010: sgomberata del campo di via Umbria a Redecesio (Segrate).
22 ottobre 2010: allontanata da un parcheggio nelle vicinanze dell’ospedale
Sacco.
23 ottobre 2010 – 27 ottobre 2010: Cristina e la sua famiglia dormono in vari
punti della città (Bovisa, Lambrate, …) e sono allontanati tutti i giorni.
18 novembre 2010: sgomberata da via Fermi a Segrate.
Che il popolo zigano (rom e sinti, in particolare) sia stato vittima
dell'Olocausto nazista nella Seconda guerra mondiale è cosa relativamente nota.
Ma, al contrario di quanto avvenuto per lo sterminio degli ebrei e persino degli
omosessuali (pensiamo al magnifico Bent) non ha avuto grande rappresentazione
cinematografica. Strano che a cogliere il testimone sia un regista (ma prima
ancora, musicista. Ci tiene a sottolinearlo) come Tony Gatlif, conosciuto nel
mondo della settima arte come "il principe degli zigani", francese di origini
algerine, premi Cesar per la musica dei suoi Gadjo dilo e Demone flamenco,
migliore regia a Cannes nel 2004 per il bellissimo Exils. In questi giorni è a
Roma, ospite del Medfilm, Festival del cinema mediterraneo, dove porta in
concorso il suo Freedom, canto di libertà sulla deportazione zigana nella
Francia di Vichy.
Come mai ci ha messo tanto tempo a fare un film sull'Olocausto zigano, popolo
che da sempre è protagonista del suo cinema? Eppure era un tema rimasto
scoperto... Da quando ho iniziato a fare cinema ho pensato di realizzare un film sulla
persecuzione nazista del popolo gitano. Ma sono un cineasta libero, moderno, mi
piace lasciare libera la camera e non amo per nulla le sofisticazioni né
tantomeno le ricostruzioni. L'Olocausto richiedeva per forza di cose una
ricostruzione e questo mi ha frenato a lungo. Se non ci fosse stata l'urgenza di
parlarne, probabilmente non lo avrei fatto nemmeno ora.
E l'urgenza le è venuta dalle scelte di espulsione di Sarkozy ? Ho iniziato a pensare a questo film tre anni fa, quando nulla in Francia era
ancora successo, ma si sentiva che i tempi erano maturi, e che si sarebbe
arrivati a scelte estreme. Volevo fare un film che parlasse di un passato capace
di fare da forte eco nel presente.
Vuol dire che c'è un parallelo tra la Francia di Vichy e quella di oggi? Assolutamente no. Voglio però dire che oggi in Francia si respira un'aria da
anni Trenta, cioè di quegli anni che vengono prima dello scoppio della guerra,
quando si gettano le basi per quello che sarebbe successo.
La Francia, come l'Italia, ha al momento le politiche tra le più dure in
Europa verso le minoranze etniche. Ci sono dei motivi specifici che legano i due
paesi in questa intolleranza? Bisogna dire che prima dell'inasprimento di questa estate, la Francia è
stata in realtà molto tollerante con il popolo gitano. Ci sono situazioni ben
peggiori in Romania, ma anche in Slovacchia o in Ungheria. E gli inasprimenti
non dipendono mai dai popoli, ma dai governi che li guidano. Quando la politica
ha bisogno di capri espiatori, i gitani funzionano sempre.
Ad essere sinceri, rispetto al popolo zigano, francesi e italiani danno
spesso il "meglio" della loro intolleranza... Per quanto riguarda la Francia, che conosco meglio dell'Italia, a favore
della politica di espulsione di Sarkozy è il 55% della popolazione, contro il
45% più tollerante. Una percentuale che va benissimo, è normale che sia così.
Perché normale? Anzi, mi permetta di chiedere, cosa è che rende così
difficile "il vicinato" con il popolo zigano? Prima di tutto bisogna sottolineare che il popolo dei gitani è europeo al
cento per cento. Sono in questo continente da sempre, dal tempo degli ottomani,
da quando le province dovevano ancora formarsi. C'è un problema di convivenza,
di vicinato diciamo, è vero. Ma il problema non sta nel popolo gitano,
estremamente tollerante verso gli altri. Piuttosto nel popolo dei sedentari, nel
popolo gadjo. E' questo che andrebbe psicanalizzato per cercare le ragioni di
tanto odio.
Un'eccezione in Europa è rappresentata dalla Grecia, dove rom e sinti vivono
senza grandi difficoltà. la Grecia è una terra frastagliata, fatta di migliaia di isole, e non ha una
struttura industriale forte. Insomma, è una terra con meno regole dove i gitani
si muovo liberamente, lavorando a stagione da isola a isola e fornendo un
servizio itinerante molto apprezzato dai greci.
In "Freedom" racconta la storia di un piccolo gruppo di zingari arrestati e
internati durante il loro viaggio per i villaggi francesi dove un tempo andavano
tranquillamente a vendemmiare. Sceglie di non mostrare lo sterminio
direttamente, ma in modo laterale, attraverso le conseguenze quotidiane della
repressione. L'Olocausto è un tema complesso da trattare e, appunto, io non amo un cinema
statico, di ricostruzione. Anche se qui ho dovuto comunque ricostruire ambienti,
costumi, oggetti, abitudini. Però ho cercato di manenere al massimo il mio
spazio di libertà, per me e per la camera.
La musica di solito ha una parte preponderante nel suo lavoro, qui l'ha
lasciata più al servizio delle immagini e del racconto. Perché quest'ultimo, il racconto appunto, era più importante e voleva il suo
spazio. Ho dovuto quindi creare una musica che semplicemente sottolineasse gli
eventi. Mentre di solito la uso proprio come forma primaria di racconto delle
emozioni. Ma anche in questo film c'è un momento in cui si capisce cos'è la
musica per il popolo zigano. Quando trasformano la canzoncina fascista Marechal
nous voilà in una allegra ballata. Senza intenti denigratori, solo perché per
loro la musica è viva ed è capace di trasformare la realtà.
A proposito:ricordo ai milanesi e dintorni, che stasera alle 21 si
proietterà SWING di Toni Gatlif, al circolo Arci Martiri di Turro in via
Rovetta 14. Ingresso libero con tessera ARCI
Quindici-Molfetta.itLa presentazione dell’iniziativa, contro i
pregiudizi e le discriminazioni dei rom lanciata dal Consiglio d’Europa, il 26
novembre alle 10.30 al foyer del teatro Kursaal Santalucia di Bari
BARI – La Puglia abbraccia la campagna "Dosta", contro i pregiudizi e le
discriminazioni dei rom lanciata dal Consiglio d’Europa, che sarà presentata il
26 novembre alle 10.30 al foyer del teatro Kursaal Santalucia di Bari.
La kermesse è promossa dagli assessorati al Mediterraneo e alla Cittadinanza
Sociale della Regione Puglia, dal Consiglio d’Europa e il Ministero delle Pari
Opportunità (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni razziali (Unar).
Il progetto europeo di favorire una maggiore e corretta conoscenza della realtà
dei rom attraverso il coinvolgimento e la sensibilizzazione dei media e la
promozione dell’incontro tra le comunità locali e i rom è l’obiettivo della
campagna "Dosta". "Dosta" infatti significa "Basta" in romanes ed è stato scelto
come slogan della campagna, sostenuta dalla commissione Europea, che farà tappa
a Bari dopo l’adesione della Puglia con la delibera di Giunta del 3 novembre
scorso.
Testimonial l’attrice francese Fanny Ardant, che ha anche realizzato un breve
documentario sui rom.
Interverranno rappresentanti regionali Silvia Godelli, assessore al
Mediterraneo, Cultura e Turismo, Nicola Fratoianni, assessore alla Cittadinanza
Sociale, Michael Guet, responsabile della campagna Dosta, Hanry Scicluna,
coordinatore attività Rom del Consiglio d’Europa, Giovanni Trovato, responsabile
campagna Dosta-Italia-Unar, Pietro Vulpiani, campagna Dosta-Italia-Unar, Dijana
Pavlovic, vice presidente federazione Rom e Sinti Insieme.
A concludere la giornata, la "Festa Rom" con due spettacoli, in collaborazione
con Puglia Sounds: "Le Danze di Billy e Dijana" e " Taraf da Metropulitana
–Ballate Romanes dalla Metro di Roma" (Kursaal Santalucia – ore 21.00).
Di Fabrizio (del 23/11/2010 @ 09:07:04, in Kumpanija, visitato 1798 volte)
Ventidue interventi di recupero che hanno consentito, tra l'altro, di salvare
circa 42,5 quintali di pesce, smaltiti quintali di rifiuti ingombranti, taglio
di alberi pericolanti, sfalcio di arbusti e recupero di alcuni tratti delle
sponde. Sono gli interventi di pulizia e riqualificazione dei Navigli effettuati
in circa due settimane dal Consorzio di Bonifica Est Ticino Villoresi che
annuncia il termine, oggi, dell'asciutta dei canali milanesi. "Il preoccupante
degrado ambientale dovuto a consistenti quantità di rifiuti presenti nell'alveo
del Naviglio, il pericolo esondazione causato dalla barriera dei rifiuti,
l'impossibilità di utilizzare le barche fresanti per eliminare le alghe nel
corso della stagione irrigua, lo smottamento di alcuni tratti della sponda
destra - ha spiegato Alessandro Folli, presidente del Consorzio - sono alcuni
dei motivi che ci hanno spinto ad intervenire sul tratto del Naviglio Martesana
tra il nodo Lambro e via Melchiorre Gioia a Milano". Inoltre, "si sono create
le condizioni ideali - sottolinea Folli - per un sodalizio tra il Consorzio,
Legambiente locale e gli abitanti del campo rom di via Idro con l'obiettivo di
valorizzare il tratto milanese del naviglio che pur perdendo la sua vocazione
irrigua mantiene un forte valore paesaggistico. Un'azione comune perché i
cittadini abbiano più a cuore il rispetto e la salvaguardia di questo pezzo
importante della storia milanese" (grassetto mio, leggere
QUI ndr). "Stesso
discorso per la Darsena e i tratti adiacenti dei Navigli Grande e Pavese. Non è
più accettabile che questi canali siano sommersi da rifiuti e da una inciviltà
imperante - sottolinea il Consorzio -. Ad esempio, sono stati recuperati
quintali di rifiuti rappresentati soprattutto da bottiglie di vetro. Un
controsenso: i Navigli vissuti come eccellenza della vita serale e notturna
milanese e nello stesso tempo, dagli stessi fruitori, villeggiati e sfregiati
con la mancanza di rispetto per l'ambiente e per il corso d'acqua stesso". Anche
per la Darsena, il Consorzio in accordo con il Comune di Milano ha provveduto
alla sua pulizia con l'impegno di una squadra di 4 operai e con mezzi appositi
per il sollevamento e trasporto dei rifiuti. "A breve chiederemo un incontro con
il sindaco Moratti - ha concluso Folli - per pianificare i prossimi interventi
di manutenzione, già in occasione dell'asciutta della primavera 2011.
Soprattutto per avviare un'azione sinergica tra tutti gli enti interessati
perché con Expo 2015 tornino agli antichi splendori tutti i tratti dei nostri
cinque Navigli".(Omnimilano.it)
Dal 30 novembre al 5 dicembre - Tieffe Teatro Menotti – Via Ciro Menotti,
11 – Milano Produzione Cantieri Teatrali Koreja e Centar Za Kulturu di Smederevo
(Serbia) con il sostegno di Teatro Pubblico Pugliese
BRAT (FRATELLO)
Cantieri per un’opera rom
Regia e adattamento di Salvatore Tramacere
Con Miljan Guberinic, Ajnur Ibraimi, Damir Kriziv, Sead Kurtisi, Vukosava Lazic, Marija Miladinovic, Marija Mladenovic, Ana Pasti, Darko Petrovic, Igor Petrovic,
Maria Rosaria Ponzetta, Ferdi Ramadani, Ajnur Redzepi, Emran Sabani, Senad
Sulejmani, Marko Stojanovic, Danijel Todorovic, Andjelka Vulic
Collaborazione alla regia: Fabrizio Saccomanno
Collaborazione all’allestimento: Mariarosaria Ponzetta
Cura del movimento: Silvia Traversi
Musiche di: Admir Shkurtaj
Eseguite dal vivo da: Giorgio Distante, Redi Hasa, Admir Shkurtaj
Luci e suoni: Mario Daniele, Angelo Piccinni
Organizzazione: Marija Anicic, Alessandra Bisconti, Dragoljub Martic, Laura
Scorrano
Cura del progetto: Franco Ungaro
"Popolo mite e nomade che non rivendica sovranità, territorio, zecca, divise,
timbri, bolli e confini, ma semplicemente il diritto di continuare a essere quel
popolo sottilmente altro e trascendente rispetto a tutti quelli che si
contendono territori, bandiere e palazzi; un popolo che, un pò come gli ebrei,
fa parte della storia e dell'identità europea proprio perchè a differenza di
tutti gli altri hanno imparato ad essere leggeri, compresenti, capaci di passare
sopra e sotto i confini, di vivere in mezzo a tutti gli altri, senza perdere se
stessi e di conservare la propria identità anche senza costruirci uno stato
intorno"
"Non si puo' togliere l'acqua ai pesci e poi stupirsi se i pesci non riescono
piu' ad essere agili ed autosufficienti, gentili ed autosufficienti come una
volta"
Alex Langer
Quello di Brat è un percorso iniziato tre anni fa, a Smederevo, 70 chilometri da
Belgrado, tra una dozzina di giovani rom, altrettanti attori loro coetanei di
quella città, e il gruppo teatrale Koreja di Lecce, da sempre interessato a
misurarsi con il fascino e i nodi irrisolti, l’ignoto e le diversità dell’est
Europa.
Non concede illusioni o facili scorciatoie di “redenzione” lo spettacolo
elaborato da Salvatore Tramacere con Fabrizio Saccomanno: una parabola zingara
contro i “nuovi olocausti”.
Nasce così uno spettacolo accolto trionfalmente dal pubblico nelle rapide
incursioni al NapoliTeatroFestival e al Festival Castel dei Mondi di Andria fino
all’approdo nel capoluogo salentino.
Come nell’originale di Gay c’è una malavita organizzata, una polizia corrotta,
un affarismo senza scrupoli, un bordello di ragazze scatenate.
Interpreti scatenati, pronti a cambiare di ruolo e di genere, mentre la musica
balcanica di Admir Shkurtaj, eseguita dal vivo, li incalza e li dirige verso un
apparente happy end.
Incontriamo da tre anni un gruppo di giovani rom e giovani attori che vivono a
Smederevo, Settanta chilometri da Belgrado, alcune centinaia da Lecce. Proviamo
a fare teatro. Lavoriamo di sera, dopo faticose giornate di lavoro quotidiano,
specie per i giovani rom, a raccogliere frutta, vetro e carta. Non vogliamo
creare una nuova compagnia professionale né cerchiamo alcuna catarsi sociale.
Che fare? Partiamo da un testo. L’Opera del mendicante di John Gay.
Cerchiamo persone e attori in grado di dare senso e verità alle parole molto
graffianti dell’Opera. Al tempo del reality quando sempre più sottile si fa il
confine tra verità e finzione.
Ladri, ricettatori, donne di malaffare, capi di polizia in combutta per spillare
quattrini dove si può: questi sono i nuovi eroi di un mondo alla rovescia.
Una storia rappresentata tante volte in diverse epoche e luoghi.
Undici non attori rom e otto giovani attori serbi, assumono ruoli da commedia
dell'arte, facendosi testimoni di una cultura, la propria.
Una cultura che, come i piccoli ladruncoli che loro mettono in scena, è
destinata a scomparire.
Ne è scaturita una "presentazione" che, giocando con gli stereotipi di una
cultura periferica, mette proprio in discussione il labile confine tra finzione
e realtà.
Cantieri Teatrali Koreja
Tieffe Teatro Menotti – Via Ciro Menotti, 11 – Milano Orari spettacolo: lun. mar. gio. ven. sab ore 21 - mer. ore 19. - dom. ore
17
Orari biglietteria: dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle 19 - sabato 16 - 19
Prenotazioni e informazioni: 0236592544 ,
info@tieffeteatro.it -
www.tieffeteatro.it
Prezzi: 22 intero – 15 ridotto (over 60, under 25)
convenzioni: pr@tieffeteatro.it
Giovedì 18 novembre c'è stata la conferenza stampa di
presentazione. Ivana Kerecki (che ci fornisce anche le foto) ci riferisce:
Prima della conferenza la RAI ha fatto un'intervista con gli attori
rom e il protagonista Danijel Todorovic, che ha detto che questo
spettacolo ha rotto un tabù, un muro che molti vedono fra se stessi e i
Rom. I ragazzi hanno salutato la TV italiana con un saluto collettivo
in lingua romanes.
Per prima ha parlato Livia Pomodoro, soprattutto dell'importanza del "Premio
Internazionale Teresa Pomodoro per il Teatro dell'Inclusione"
(sempre con prestigiosa giuria internazionale), che poi è stato assegnato la
stessa sera al Teatro No'hma, inaugurando la sua stagione.
Secondo lei questo premio è anche il segno dell'attenzione a "questo
grande problema"…
Salvatore Tramacere, direttore artistico dei Cantieri Teatrali Korejadi Lecce, ha raccontato il lavoro svolto durante i 3 anni con 35
ragazzi di Smederevo, la cittadina a 50 km da Belgrado. Gli è
dispiaciuto molto che dopo un lavoro così importante, uno dei ragazzi,
Ferdi, non può venire in Italia per partecipare allo spettacolo. Il
motivo: il suo datore di lavoro (precario e saltuario: il cosiddetto
lavoro a "chiamata", che potrebbe anche non arrivare) ha minacciato di "licenziarlo"…
Alcune sue battute (certe si possono più o meno condividere):
"Il teatro ha senso solo se ha il coraggio, altrimenti si rischia di fare
cose molto banali e perdere il senso." "Mi hanno chiesto perché ho fatto uno spettacolo così. Perché no?
Perché non prendere questa responsabilità?" "I nostri ragazzi hanno tutto, sanno tutto. Con loro, invece, c'è
bisogno di fare le cose dall'A alla Z." "Questi ragazzi hanno conquistato una dignità e possono avere una
chance come tutti i ragazzi del mondo." "Vorremmo fare di più: primo, creare un centro permanente, mettere
insieme le diversità, non solo quelle di nazionalità o etnia ma di
possibilità di vivere la vita quotidiana. Un centro in più luoghi, per
incontrarsi e far progetti vari, non solo spettacoli. Secondo, all'inizio mi vergognavo un po' di dire questa cosa: i ragazzi mi
chiedevano ‘quanti soldi prenderemo?'. Il progetto in se stesso è
nobile, ma anche loro hanno un diritto di fare questo LAVORO chiedendo
di essere pagati. Rinuncio a fare lo spettacolo se non li pagano. Per
una ulteriore dignità. Stanno acquisendo una cosa forte. Se ne chiedono
un'altra: paghiamoli!"
Franco Ungaro, ha detto che non è stato così facile portare
questi ragazzi in Italia. Si è sempre posta la domanda: ci saranno
problemi con la polizia? Alla fine è andato tutto liscio. Secondo lui,
questo spettacolo è un po' il simbolo di come si può coniugare un'idea
dei Rom con quella del cosmopolitismo e mostrare la cultura identitaria
di un popolo, di persone, inserita nel contesto di contemporaneità,
mentre il lavoro con questi attori è stato anche una denuncia delle
loro condizioni di vita.
L'assessore alla Cultura del Comune di Milano, Massimiliano Finazzer
Flory, ha raccontato un po' di teoria: di come il teatro (che è anche
nomade) nasce dalla esperienza e la questione antropologica, lì non c'è
il post-montaggio che smonta il contesto antropologico. Ha ripreso
anche le parole di Tramacere, ribadendo che l'attore deve sempre essere
pagato: "perché se mi pagano, valgo". Ha tentato di rispondere anche
alla precedente domanda "perché", con una storia della rosa che nasce
senza motivo, cresce senza motivo ecc.
Emilio Russo, direttore artistico del Teatro Tieffe, ha detto che
siamo noi che stiamo perdendo la dignità e che praticamente tutte le
richieste di aiuto per lo spettacolo (costoso) avevano trovato le porte
chiuse, e lo spettacolo costa. Ha parlato anche dei più di 300 sgomberi
che hanno subito i Rom che abitano a Milano e ribadito che questo è
anche uno spettacolo politico e importante per la città.
È stata chiamata a fare un intervento anche Dijana Pavlovic che,
oltre a richiamare ancora l'attenzione sui numerosi e tristi sgomberi
di Milano, ha invitato i presenti a considerare che la povertà in
Serbia non riguarda soltanto la popolazione rom, e che ci sono delle
differenze delle condizioni e possibilità dei Rom in Italia e in Serbia, dove
anche una ragazza come lei aveva potuto laurearsi all'Accademia dell'Arte drammatica e dove molti Rom, oltre a fare i lavori
semplici elencati dai relatori – pulizie, raccolta del ferro e simili – svolgono anche funzioni importanti professionali e politiche. Ha
detto che è grata a tutti quelli che hanno appoggiato questo progetto,
che ha fatto dei ragazzi-attori persone fortunati, invitando le
autorità a pensare anche ai Rom di Milano che un'occasione così non l'hanno mai avuta, perché la città ne ha veramente bisogno: non basta
dare alle persone soltanto un pezzo di pane, bisogna dare loro anche la
dignità e il senso, non bisogna permettere loro solo la mera
sopravvivenza, perché hanno diritto anche a una vita vera, di essere
considerati. Quindi, bisogna pensare anche a dei progetti per i ragazzi
rom di Milano.
Danijel Todorovic, il protagonista dello spettacolo, invitato a dire
qualche parola, ha detto che perfino lui aveva un po' di pregiudizi nei
confronti dei Rom prima dello spettacolo, ma che sono passati appena si
sono conosciuti e avevano cominciato a lavorare insieme. Quindi pensa
che in Serbia lo spettacolo è servito per abbattere dei muri e spera
che così succederà anche in Italia.
La prima domanda del pubblico riguardava l'assenza della signora
Moioli. Hanno spiegato che era in ritardo da qualche altra parte…
Una giornalista ha detto che ultimamente si parla di portare il
teatro anche fuori, per strada, quindi chiedeva se era possibile un'esibizione sotto la torre di via Imbonati, cosa che ha subito dato
fastidio all'assessore Finazzer, che ha chiesto di "non caricare lo
spettacolo che ha già un significato con altri significati".
[Più tardi ho spiegato al direttore del teatro serbo e ai ragazzi rom
cosa succede alla torre di via Imbonati e si sono dimostrati
interessati a passare al presidio portando la loro solidarietà agli
immigrati in Italia.]
Qui invece ti scrivo le info e i nomi giusti giusti, degli attori,
tradotti liberamente da un jugo-sito:
Si tratta del progetto culturale nato dalla collaborazione del Centro
per la Cultura Smederevo (Centar za kulturu Smederevo), del Centro
informativo rom "Drom" e del Teatro Koreja di Lecce e il Teatro.
Partecipano anche gli attori del teatro "Patos".
"Opera dei mendicanti" [là si chiama così, come l'originale
ispiratore di Ray] è nata e dura fuori dai soliti standard di teatro,
offrendo uno sguardo diverso sul teatro stesso. L'anno scorso ha
partecipato a BITEF, il più importante festival teatrale serbo. Il
regista è Salvatore Tramacere, il suo assistente Milan Guberinić del
teatro Patos. Attori: Darko Petrović, Danijel Todorović, Senad
Sulejmani, Ajnur Ibraimi, Senat Ramizi, Ferdi Ramadani [che non viene]
Džemailj Krujezi, Damir Krujezi, Damir Kriziv, Ajnur Redžepi, Igor
Petrović, Goran Galić, Marija Mladenović, Ivan Simić, Dušan Štrbac,
Vukosava Lazić, Ana Pašti, Ina Marić, Marija Mladenović, Miljan
Guberinić.
Confrontate però con quelli che vengono in Italia, che non sono proprio
tutti uguali.
La cucina è integrazione. Anche per un campo rom abusivo all'interno di uno
dei quartieri più pericolosi d'Italia: Scampia. La sfida è lanciata
dall'associazione "Chi rom chi no" con il progetto Kumpanìa, Percorsi
Gastronomici Interculturali. Nella baracca del campo rom dove ha sede
l'associazione la presentazione del progetto, che in lingua roman indica
l'insieme delle famiglie appartenenti allo stesso gruppo, è stata una festa a
cui ha partecipato come ospite d'onore anche un simbolo della legalità, il
prefetto Andrea De Martino
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