Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 18/02/2010 @ 13:57:47, in Italia, visitato 2131 volte)
Da
NO(b)LOGO
Giovedì 18 febbraio 2010 si renderà omaggio al ricordo di Petru Birlandeanu,
il musicista romeno ucciso per errore il 26 maggio 2009 in agguato alla Stazione
Cumana di Montesanto.
Lì, verrà esposta in una teca la sua fisarmonica presso la stazione della
Cumana di Montesanto, l’assessore regionale alle Politiche sociali e
all'Immigrazione Alfonsina De Felice rende omaggio alla memoria di Petru
Birlandeanu.
L’assessore esporrà in una teca la fisarmonica del musicista romeno ucciso
per errore, il 26 maggio 2009, da un commando di camorristi.
Tiene la prolusione della cerimonia Pasquale Colella, professore di
Diritto Canonico presso l'Università degli Studi di Salerno e direttore della
rivista “Il Tetto”. Partecipano Raffaello Bianco, amministratore delegato Sepsa;
Alessandro Pansa, prefetto di Napoli; Santi Giuffrè, questore di Napoli; Razvan
Victor Rusu, ambasciatore straordinario e pluripotenziario della Romania; Ciro
Accetta, direttore dell’Ente Autonomo di Volturno; Giulio Riccio, assessore
comunale alle Politiche Sociali; don Gaetano Romano, vicario episcopale per la
Carità. Saranno inoltre presenti Enzo Esposito dell’Associazione Opera Nomadi di
Napoli, Marco Rossi della Comunità di Sant'Egidio e i sindacati Cgil, Cisl e
Uil.
Omaggio a Petru Birlandeanu 18 febbraio 2010 - NapoliToday.it
Tutti presenti a commemorare Petru ... tutti tranne i rom ... non vedo un
solo rom tra gli invitati.
Dell'etnia di Petru non si fa parola, gli zingari quando sono cattivi sono rom,
anzi rrom come li chiama la società maggioritaria rumena per non fare
confusione.
Se sono vittime della nostra criminalità ritornano magicamente rumeni
Di Fabrizio (del 19/02/2010 @ 09:00:57, in casa, visitato 1565 volte)
Da
Roma_Daily_News
Radikal, 11/02/2010
Le famiglie rom obbligate a lasciare Selendi (Manisa) dopo che il loro
quartiere è stato attaccato e dato alle fiamme (vedi
ndr), sono arrivate a Salihli (Gordes), dove lo stato aveva promesso loro
assistenza, ma non ha mantenuto le promesse. Oggi, soltanto poche famiglie
possono cucinare qualcosa nelle loro abitazioni temporanee. Qualcuno può
scaldarsi la casa, ma la maggioranza manca di legna da bruciare e di acqua
calda, così lavarsi è un lusso. Soltanto metà delle case hanno acqua
corrente. "Non puoi stare bene e sano in queste condizioni", dicono i Rom, "nel
passato ogni famiglia aveva un tetto sopra la testa, ma ora ci sono fogli di
plastica e per ogni casa ci sono tre famiglie". Il materiale per i miglioramenti
di queste proprietà, per renderle abitabili alle famiglie rom, è accatastato lì
vicino nella locale moschea.
Inoltre, secondo il governatore del distretto di Salihli, i Rom sono vittime
di discriminazione nella loro nuova collocazione. "Anche quando ricorriamo allo
stato per trovare case per le famiglie rom, i proprietari non vogliono
affittare," dice. "Se sono per le famiglie rom, ci dicono, non li vogliamo nei
nostri appartamenti."
La comunità rom ha vissuto a Selendi, Manisa, per oltre trent'anni. A
Capodanno ci fu un diverbio ed in una casa del te non volevano servire un Rom,
anche se il proprietario del locale si giustifica dicendo che il Rom stava
fumando nel locale (la legge turca, in linea con le politiche UE, proibisce di
fumare sigarette nei ristoranti, bar e caffè aperti al pubblico). A seguito di
ciò, iniziò una "spedizione punitiva" contro il quartiere rom, con lancio di
pietre contro le case ed auto bruciate per le strade. Grazie all'aiuto della
locale Jandarma (gendarmeria), le famiglie si rifugiarono nella vicina città di
Gordes. La questione ebbe ampio risalto sui media, con i parlamentari che per
giorni dopo l'accaduto, focalizzarono la loro attenzione sul problema dei "Rom-in-esilio".
Le autorità fecero promesse. "Queste ferite saranno rimarginate. Ai Rom verranno
date nuove case." Invece, le famiglie vennero separate, i parenti divisi, mentre
altra furono obbligate a vivere in condizioni ristrette di tre famiglie a
condividere piccole case a Salihli. Un mese dopo, il dramma è finito e 18
famiglie stanno vivendo nella miseria...
Dr. Adrian Marsh
Researcher in Romani Studies
adrianrmarsh@mac.com
+46-73-358 8918
Di Fabrizio (del 19/02/2010 @ 09:33:58, in Italia, visitato 1920 volte)
Segnalazione di
Eugenio Viceconte
ROSSA
PRIMAVERA
Il nomade va deportato a prescindere. Non importa che viva in un campo
regolarmente attrezzato, che i suoi figli vadano a scuola e che lui lavori e
cerchi di integrarsi. Il teatro designato per una delle più dissennate
operazioni di politica sociale che si possano immaginare è un villaggio di 350
rom di origine bosniaca, macedone e montenegrina, appartato in località Tor dè
Cenci, su una collinetta accanto alla Via Pontina, che da Roma conduce a Latina.
Ieri mattina mentre in un'altra parte della città veniva buttata giù, sotto gli
occhi del sindaco Gianni Alemanno, l'ultima baracca dell'insediamento abusivo "Casilino
900", che verrà bonificato e trasformato in parco, gli abitanti del villaggio di
Tor dè Cenci hanno atteso a lungo e invano, sull'ampio piazzale d'ingresso,
l'arrivo del prefetto o di suoi alcuni collaboratori che avrebbero dovuto
spiegare le modalità di quell'imminente assurdo sgombero. Hasko, il portavoce
del villaggio, non sapeva darsi pace: "Siamo qui da 15 anni e gli abitanti di
Tor dè Cenci non si sono mai lamentati di noi. In tutto questo tempo non è mai
stata rubata un'auto, non è mai sparito un portafoglio. I nostri bambini vanno a
scuola qui, io stesso faccio parte dell'esecutivo del Comitato di quartiere". Il
villaggio di Tor dè Cenci è stato inaugurato nel 1995 dall'allora sindaco
Francesco Rutelli: i nomadi vivono in 55 container modello Protezione Civile e,
secondo i calcoli dell'ARCI, il comune ha speso fino ad oggi 5 milioni di euro
per costruirlo, recintarlo e allacciare l'acqua, la luce elettrica, il telefono,
le fogne. Dei 350 occupanti, ben 200 sono minori, ma non contando i bambini da 0
a 3 anni e i ragazzi con più di 16 anni, esclusi dall'obbligo scolastico,
arriviamo ai 110 iscritti a scuola. "Di questi ben l'80% ha una frequenza
regolare, una delle medie più alte fra tutti i campi rom di Roma" osserva Paolo
Perrini che coordina i progetti di scolarizzazione dei nomadi per conto
dell'ARCI. Ogni mattina arrivano i pulmini comunali a "distribuire" bimbi e
ragazzi in un ampio parco di complessi scolastici, in modo da evitare classi e
scuole ghetto. Non giungono così di frequente, invece gli automezzi dell'AMA,
l'azienda comunale della nettezza urbana: in media un paio di volte la
settimana, nonostante per convenzione dovrebbero passare due volte al giorno.
Così pile di rifiuti sono accatastate attorno ai cinque cassonetti
dell'ingresso. I ragazzi di cittadinanza italiana sono una trentina e sventolano
a richiesta carte d'identità un po' logore e passaporti: sono quelli nati in
Italia che hanno potuto documentare, attraverso certificati scolastici,
vaccinazioni e altro, la continuità di residenza dalla nascita al diciottesimo
anno d'età. Simone, 22 anni, e Ibrahim, 20, hanno prestato servizio civile
nell'Opera Nomadi. Bryan fa il parrucchiere in un negozio dell'EUR. Il mestiere
dominante nel gruppo, è la separazione del ferro dal piombo e dal rame, per
vendere il tutto al mercato all'ingrosso. "Niente binari del treno - giurano -
svuotiamo le cantine e abbiamo la partita IVA". Il progetto dell'Assessore alle
Politiche Sociali, Sveva Belviso è di chiudere il villaggio trasferendo gli
occupanti 20 km più a Sud, nel campo di Castel Romano, che ospita già 800 rom,
per onorare la promessa fatta in campagna elettorale agli elettori del suo
municipio, il dodicesimo. I nomadi hanno scritto una lettera aperta alle
"autorità preposte", perché ci ripensino: "A chi non conviene aggravare la
situazione - trasferendoci in un campo già grande e disagiato, al di fuori di
qualsiasi contesto urbano?". L'hanno consegnata al commissario del Croce Rossa
Italiana Marco Squicciarini, che ha assicurato il suo appoggio: la Croce Rossa
Italiana non fornirà alcun apporto logistico allo sgombero, contro il quale si è
mossa da Londra pure Amnesty International
Di Fabrizio (del 19/02/2010 @ 12:34:35, in Italia, visitato 2080 volte)
Campo Rom Tor Dè Cenci,
Via Pontina 601, Roma - l'appuntamento su
Facebook
Come molti di voi sanno, le famiglie del Campo di Tor De Cenci stanno
rischiando di abbandonare, senza alcun motivo plausibile, il campo dove
risiedono da almeno 15 anni, che fu voluto dall'Amministrazione Comunale romana
(la quale assegnò i container alle famiglie) e che ora, per motivi sconosciuti
ai più, dovrebbe essere trasferito a Castel Romano.
I Rom stanno lottando per conservare quello che è un loro diritto, il
rimanere "a casa propria" (se di casa si può parlare nei campi rom... ma
meglio che niente).
Ma non è facile, non è mai facile, e le famiglie hanno bisogno di noi ora.
Hanno bisogno del nostro apporto tutti i giorni, per stare loro vicino,
parlare della situazione, fargli sentire che siamo sempre li con loro.
Hanno bisogno di noi, di noi che percorriamo il campo, di noi che giochiamo e
studiamo con i loro figli, di noi che ci interessiamo di questa vicenda
inammissibile.
Hanno bisogno anche solo di un saluto al giorno, di offrirci il caffè, di due
chiacchiere.
Non lasciamoli soli: siamo tutti invitati, almeno fino a lunedì 22 febbraio
(giorno in cui dovrebbero andare nuovamente a colloquio con assessorato e
prefettura), a frequentare il campo, ad andarci a sedere a casa loro e
chiacchierare, non importa che siano chiacchiere costruttive, in questo momento
è importante stargli vicino.
Vi aspettiamo insieme alle famiglie Rom per un kafava o un sok: solidarietà e
amicizia per i Rom!
Gaia Moretti
Paolo Perrini
Renato Patanè
Davide Zaccheo
Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:02:38, in casa, visitato 1709 volte)
A giugno scade l'accordo per l'area di via Lazzaretto, che sarà destinata
ad altro uso. Le famiglie si dividono: alcuni pronti a fare domanda per una
casa, altri a rimanere fedeli alla loro tradizione
Case popolari sì, case popolari no. È il dilemma delle famiglie del campo sinti
di via Lazzaretto, che a giugno dovranno lasciare l'area attrezzata dopo che
l'amministrazione
ha deciso di non rinnovare la convenzione annuale di affitto,
per liberare l'area per altro uso. Le famiglie del campo, una ventina, sono
state convocate dall'assessore ai servizi sociali Roberto Bongini per un
confronto. «Ho invitato le famiglie – spiega Bongini - a fare domanda per le
case popolari, anche se ho chiarito che non hanno nessuna precedenza nelle
graduatorie». Già in passato un paio di famiglie avevano accettato, ora un'altra
mezza dozzina è pronta a fare domanda per il prossimo bando di marzo. Ma gli
altri nuclei non hanno intenzione di abbandonare la vita legata alla tradizione
nomade. Da tempo i sinti si sono stabiliti a Gallarate (sono cittadini
gallaratesi a tutti gli effetti) e non esercitano più forme di lavoro
itinerante, come ad esempio quello di giostrai. La vita nel campo, però,
consente però di mantenere unite le famiglie allargate: i figli continuano a
vivere accanto ai genitori, con i nipoti. E questo è l'aspetto a cui i sinti non
intendono rinunciare.
Nell'incontro si è parlato anche delle bollette dell'elettricità e dell'acqua.
«Hanno detto anche sui giornali che non paghiamo le bollette e che il Comune
deve pagarle. Non è vero, per questo ci ha dato fastidio» dice Ivano, uno dei
giovani capifamiglia sinti. «Molti di noi hanno pagato, altri hanno difficoltà a
causa del lavoro che manca: noi abbiamo chiesto di rateizzare le bollette, che a
volte sono pesanti». Sulla questione Bongini ha promesso che verificherà se ci
sono stati errori e chiarirà la posizione delle famiglie.
La grande preoccupazione dei sinti, però, riguarda giugno: quando l'accordo
scadrà dove andrà chi non vuole fare richiesta di case popolari?
La posizione
dell'amministrazione non cambia: a giugno il campo sarà sgomberato e destinato
ad altro uso, in attesa di decidere, nel pgt, a quale uso destinare l'area.
Nella zona non urbanizzata accanto all'autostrada
dovrebbe sorgere un complesso
logistico. Case popolari o meno, i sinti secondo l'amministrazione dovranno
dividersi, mettendo fine a quella che il sindaco Nicola Mucci ha definito «autoghettizzazione».
Soluzioni alternative, come quelle già sperimentate recentemente altrove anche
nel
nord Italia, non sono all'ordine del giorno.
18/02/2010 Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:09:10, in scuola, visitato 1775 volte)
I continui spostamenti che hanno costretto i nomadi a girare per tutta la
città hanno impedito alla comunità di poter proseguire in maniera efficace il
proprio percorso di integrazione: lo denunciano non solo loro, ma anche le
maestre che si sono occupate dei piccoli alunni rom
Il piccolo Marius, un rom di 10 anni, ha cambiato sette campi nomadi in un anno.
Marius vive da alcuni anni nelle baraccopoli di Milano, insieme a una decina di
altri bambini con le loro famiglie. Sono stati sgomberati sette volte, ma alla
fine sono rimasti sempre nella stessa città.
Il primo campo di Marius nel capoluogo lombardo è stato quello situato presso il
Cavalcavia Bacula: lui è arrivato insieme ai genitori e alle tre sorelline nel
febbraio del 2009, ma il campo è stato sgomberato un mese più tardi.
Poi si sono trasferiti nell’insediamento di via Rubattino: vi hanno vissuto da
aprile a novembre del 2009. Il 20 novembre sono passati nel campo di via Caduti
di Marcinelle: un breve soggiorno, visto che le ruspe dello sgombero sono
arrivate il 22 novembre.
Il giorno successivo c’è stato l’approdo al campo di Viale Forlanini: è stato un
altro soggiorno-lampo, visto che i nomadi sono stati cacciati dopo sole 24 ore.
Il “balletto” degli spostamenti ha spinto allora i rom fino al campo della
Bovisaca, nella zona popolare della Bovisa. Qua hanno resistito un po’ più a
lungo, fino allo sgombero del 30 dicembre.
Il pellegrinaggio è andato avanti, la “tappa” del Capodanno 2010 è stata il
campo situato tra via Umbria e via Redecesio. Dopo un mese e mezzo, il 16
febbraio i nomadi hanno fatto le valigie anche da qua per spostarsi al capannone
delle “Lavanderie di Segrate”. Ma lo sgombero è avvenuto nella stessa giornata.
Tutta questa “via crucis” ha creato a Marius e agli altri bambini notevoli
problemi di integrazione, specie per quanto riguarda l’inserimento a scuola. A
denunciarlo sono le maestre delle scuole elementari di via Pini e via Feltre:
come ha spiegato un’insegnante dell’istituto di via Feltre, i continui
spostamenti hanno provocato ostacoli nei percorsi di integrazione cominciati da
docenti e genitori di alunni italiani.
I piccoli alunni rom sono stati dipinti come studenti desiderosi di imparare: ad
esempio, sono stati quasi sempre in regola con i compiti. E proprio questa
reputazione aveva aiutato i genitori italiani a superare le iniziali diffidenze
nei confronti della comunità rom.
Partendo dai bambini, le famiglie italiane avevano cominciato a prendersi cura
anche dei loro genitori: molte mamme nomadi hanno infatti ricevuto aiuti per
poter andare dal dentista e dal ginecologo.
Le continue peregrinazioni della comunità rom milanese ha però interrotto questo
processo di integrazione. I reiterati sgomberi hanno avuto anche ripercussioni
economiche sugli enti locali: un volontario della comunità di Sant’Egidio ha
spiegato che ogni sgombero costa al Comune fino a 30 mila euro.
Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:30:58, in Europa, visitato 1609 volte)
Da
Romanian_Roma
17/02/2010 "Naturalmente, abbiamo dei problemi fisiologici di criminalità
entro alcune comunità rumene, specialmente tra i cittadini rumeni di etnia rom"
- Teodor Baconschi, Ministro Rumeno agli Affari Esteri
La dichiarazione si può trovare nella rassegna stampa sul sito del Ministero
degli Esteri [1
in inglese ndr] dell'11 febbraio 2010. Qualcuno potrebbe pensare che
Baconschi creda nel razzismo biologico e la sua dichiarazione sembra collegare
biologia, criminalità ed etnia. Ci si potrebbe anche aspettare la sua prossima
sentenza circa la spazio vitale dei puri Rumeni - la Romania generò uno dei più
radicali movimenti nazisti in Europa durante gli anni '30. Diverse OnG
rumene, tra cui la nostra, ha chiesto una rettifica a Baconschi.
Teodor Baconschi è un diplomatico di carriera, ed ha un Rom - Gheorghe
Raducanu, come consigliere. Dato che Raducanu occupa anche una posizione di alto
livello - Segretario Generale - entro il Forum Europeo dei Rom e Viaggianti,
un'organizzazione che è giustamente molto attiva contro l'anti-ziganismo; la
nostra organizzazione richiede che il Forum renda chiara la sua posizione
riguardo la dichiarazione razzista del ministro Baconschi, chiede anche che
Raducanu si dimetta dalla sua posizione nel Forum o viceversa da consigliere del
Ministero degli Esteri.
Policy Center for Roma & Minorities
Bucharest, 010152, Intrarea Rigas 29A, Ap. 31, Sect. 1, Romania.
Tel. 0040-742379657
Fax: 0040-318177092
www.policycenter.eu
Di Fabrizio (del 21/02/2010 @ 09:26:03, in Europa, visitato 1775 volte)
Da
Slovak_Roma
La maggioranza degli abitanti sono Rom, ma i fondi pubblici sono stati usati
per dividerli dai quartieri più benestanti
TimesOnLine Adam LeBor, Ostrovany, Slovakia
18/02/2010 - La struttura più solida costruita nel ghetto rom ad Ostrovany è il
muro che lo divide dal resto del villaggio, costato €13.000 ai fondi pubblici,
per separare quanti vivono in condizioni di medioevale squallore dai loro vicini
non-Rom.
La struttura lunga 150 m., costruita con lastre di cemento alte 2,2 m.,
ha oltraggiato i Rom e gli attivisti dei diritti umani. "Nessuno ci ha detto che
stava succedendo questo - sono solo venuti un giorno ed hanno iniziato a
costruire," dice Peter Kaleja. "Il sindaco non avrebbe dovuto spendere tutto
quel denaro per il muro, ma avrebbe dovuto costruire case per noi."
Kaleja, 21 anni, vive con sua moglie e la figlia di 19mesi in una catapecchia
di fango e legno. Il gelido vento invernale soffia forte attraverso le fragili
pareti e non c'è acqua corrente, gas o collegamento alle fognature, ma hanno la
corrente elettrica ed una stufa a legna. Sopravvivono con un assegno sociale di
€170 al mese.
In Slovacchia, come nei vicini paesi dell'Est Europa, i Rom vivono ai
margini. Hanno una minore aspettativa di vita, sono di più i disoccupati ed
hanno un tasso più alto di mortalità infantile. I bambini rom sono più spesso
diagnosticati con disabilità mentale - anche quando non ne hanno - e come
risultato sono messi in scuole speciali.
Ci sono circa 350.000 Rom in Slovacchia, circa il 7% della popolazione, ma ad Ostrovany
sono circa i due terzi dei 1.786 residenti. Ma le risorse municipali non sono
condivise proporzionalmente.
Gli incaricati comunali di Ostrovany dicono che il muro era necessario per
proteggere i proprietari di case i cui giardini confinano con l'insediamento rom
e che lamentano frequenti furti di frutta.
Le baracche dei Rom sono costruite illegalmente su terreno privato, senza
autorizzazioni, dice
Cyril Revak, il sindaco. "Anche i Rom sono cittadini di questo paese. Meritano
tutto l'aiuto che possono ottenere ma devono obbedire alla legge. L'unica
critica che posso accettare è sull'uso delle finanze pubbliche per proteggere la
proprietà privata - ma non è stato un errore, perché un giorno aiutiamo qualcuno
e quello dopo qualcun altro." Aggiunge che il comune sta cercando di acquistare
terreno per costruire case ai Rom, e di voler lanciare un programma per aiutare
i bambini rom alla scuola superiore.
Il muro, d'altronde, manda un potente messaggio di esclusione, dice Stanislav Daniel,
dell'ERRC. "E' un valore altamente simbolico. Non obbietteremmo se i proprietari
costruissero e pagassero il loro muro. Ma è la prima volta che un comune in
Slovacchia usa denaro pubblico per proteggere la proprietà privata di pochi."
Di Fabrizio (del 21/02/2010 @ 09:27:53, in scuola, visitato 2048 volte)
Da
Romano Lil
L'assessore all’Istruzione Piron fornisce i dati: "Gli studenti che
attualmente frequentano gli istituti padovani sono 129, mentre lo scorso anno
erano 114. I progetti di integrazione sono stabiliti per legge"
PADOVA – L’integrazione e il successo scolastico degli alunni sinti e rom
sono possibili: lo dimostrano i dati diffusi oggi dal comune di Padova, in
risposta alle recenti polemiche sollevate dall’opposizione – soprattutto
leghista – sul costo dei progetti per questa parte di popolazione studente.
Secondo i dati, infatti, oltre l’85% degli iscritti sinti e rom ha concluso
l’anno scolastico 2008/2009 con l’ammissione alla classe successiva. Se si
guarda all’anno precedente, la percentuale di successo era ferma a 74,26%.
“L’opposizione deve capire che non si può fare campagna elettorale ogni giorno
dell’anno – è il commento dell’assessore comunale all’Istruzione Claudio Piron –
e deve chiedersi quanto costerebbe tenere questi bambini in strada, da un punto
di vista non solo economico, ma anche sociale e della convivenza”.
Ricordando che i progetti di integrazione di questo tipo sono stabiliti per
legge e la loro attuazione non è dunque a discrezione del comune, Piron fornisce
alcuni dati sull’entità e il costo dei servizi: le associazioni Opera nomadi e
Aizo (associazione italiana zingari oggi) lo scorso anno hanno garantito 3.750
ore di assistenza agli studenti all’interno delle scuole, cui vanno aggiunte
altre ore di difficile quantificazione destinate al contatto con le famiglie e
con i servizi sociali. La spesa prevista per queste attività è di 85 mila euro,
cui ne vanno aggiunti altri 26 mila per i servizi di trasporto dal campo San
Lazzaro e € 400 di contributo annuale economico alle famiglie.
Complessivamente, gli studenti che attualmente stanno frequentando gli istituti
padovani sono 129, mentre lo scorso anno erano 114 e l’anno ancora precedente
101. Secondo quanto sostenuto dal comune, non ci sarebbero sul territorio
bambini che non ottemperano all’obbligo scolastico: l’aumento delle presenze
sarebbe quindi spiegato con l’aumento di famiglie rom e sinti a Padova. Nel
dettaglio, sono 11 i bambini inseriti nella scuola dell’infanzia, 73 in quella
primaria, 37 alle medie e 8 in scuole superiori o in centri per la formazione
professionale. “L’obiettivo – spiega Lucia Fantini, responsabile del settore
Servizi scolastici – è di incrementare le presenze nelle scuole dell’infanzia e
soprattutto alle superiori, per poter offrire agli studenti una prospettiva
lavorativa migliore”.
E l’assessore Piron conclude: “E’ importante ricordare, in questo quadro, che la
maggior parte di questi studenti sono italiani a tutti gli effetti, spesso da
generazioni, e che sono stanziali. Ed è fondamentale chiedersi quali alternative
ci possono essere a quanto fatto finora secondo l’opposizione: le deportazioni?
Le liste? Le impronte digitali? Io non ci sto”. (gig)
Di Fabrizio (del 22/02/2010 @ 09:12:03, in Europa, visitato 1831 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
Antony Mahony, visitatore da Londra
La
Voivodina, provincia settentrionale della Serbia attuale, è sempre stata
considerata l'area più culturalmente mista dell'ex Jugoslavia, lo stato durato
dal Trattato di Versailles del 1919 allo scoppio della guerra civile nel 1991.
Ma le origini del popolo della Voivodina è posta più indietro nella storia. Al
tempo dell'imperatrice Maria Teresa quella ricca e fertile pianura tra due
grandi fiumi, il Danubio e la Tisa, accolse coloni agricoli dai paesi
confinanti: Ungheresi, Rumeni e Tedeschi come pure Serbi. Stabilirono
insediamenti che tuttora si possono riconoscere dallo stile architettonico dei
loro villaggi, in particolare nelle chiese. Nel tardo XIX secolo, che fu un
periodo di egemonia ungherese, gran parte del terreno venne drenato per
sfruttare ulteriormente il suo potenziale agricolo. Molte delle comunità
tedesche disintegratesi nel 1945 furono espulse per ordine del nuovo regime
del maresciallo Tito. Ci sono anche piccole ma significative presenze di
Slovacchi, Ucraini, Ruteni, Croati e Montenegrini. Sino al 1944 c'era anche una
comunità ebraica a Novi Sad, dove resiste tuttora la straordinaria sinagoga di
mattoni rossi. La Voivodina è sempre stata citata come esempio di area dove la
coesistenza pacifica era una realtà nella vita quotidiana piuttosto che
un'aspirazione.
La
Voivodina è anche patria di un'altra importante minoranza: i Rom. Durante il
loro lungo viaggio dalle regioni del Punjab e del Rajasthan nell'India, che
iniziò nell'XI secolo, i Rom si spostarono nel Caucaso e nell'Asia Minore prima
di arrivare nei Balcani. Per questo, la popolazione Rom nei paesi moderni
dell'Europa del sud est è sempre stata considerevolmente più alta che
nell'Europa occidentale.
Però, c'è una differenza significativa tra i Rom e le altre minoranze in
Voivodina, cioè la sistematica discriminazione ai cui i primi sono stati
sottoposti e rifiutati come stranieri, in particolare durante la II guerra
mondiale. Non c'è dubbio che i Rom continuano ad essere tra i popoli più poveri
e svantaggiati in Europa. Le loro generali povere condizioni di vita e la
mancanza di accesso al sistema sanitario significa che raramente pochi
raggiungono la tarda età, ed in termini di istruzione pochi proseguono dopo la
scuola dell'obbligo. Nel linguaggio delle analisi sociali, gli indicatori sono
molto bassi. Questi fattori pesano anche pesantemente contro i Rom nel mercato
del lavoro dove la loro mancanza di istruzione e formazione professionale,
assieme alla severa situazione economica di questo periodo della Serbia, sono
severi ostacoli a progredire. A Novi Sad, uomini e ragazzi rom si vedono spesso
sui loro carri a cavallo nella raccolta di cartoni e materiale da discarica per
essere riciclati.
Il tradizionale stile di vita dei Rom è saldamente ancorato alla cultura rom
e le famiglie hanno vagato per vasti territori con i loro carri trainati da
cavalli, per tutta la loro storia. Ma, durante gli anni '70, il governo di
Belgrado introdusse una nuova politica di insediamento forzato verso i Rom. Ma
dato che i Rom non avevano mai posseduto alloggi, furono incoraggiati - per così
dire - ad installarsi in edifici in disuso come unità industriali abbandonate o
ex quartieri di lavoratori ai margini delle città, dove iniziarono ad apparire i
cosiddetti quartieri rom. Un insediamento simile vicino a Novi Sad si è formato
nei ripari provvisori di un'azienda agricola. E' il posto che ora localmente è
conosciuto come "Bangladesh".
Per riconoscere le esigenze speciali dei Rom, la UE introdusse il "Decennio
dell'inclusione Rom" dal 2005 al 2015, allo scopo di influenzare politiche ed
azioni a livello strategico. Ma a livello base c'è un'organizzazione che ha
lavorato per diversi anni a fianco della locale comunità Rom: l'Organizzazione
Umanitaria Ecumenica (EHO), che è il braccio sociale delle cinque chiese della
minoranza locale (protestante, riformata e greca cattolica). EHO ha lavorato con
i Rom per oltre 15 anni, e l'approccio dell'organizzazione al rinnovamento
sostenibile degli insediamenti rom è stato prima testato nel quartiere
"Bangladesh" e mostra essere un gran successo. Questo modello è stato anche
adoperato nel villaggio di Đurđevo, nel comune di Žabalj, dove c'è un
altro insediamento rom conosciuto come "Ciganski Kraj" (quartiere zingaro), dove
EHO sta lavorando in attiva cooperazione con la comunità rom. Qui le case sono
piccole, le hanno costruite i Rom stessi usando mattoni riciclati ed altro
materiale dai siti in demolizione nelle aree circostanti. Quasi senza eccezione,
le case non hanno bagno o acqua corrente. La comunità ha identificato in ciò
l'urgenza sociale più immediata ed è stata richiesta l'assistenza di EHO. La
loro risposta è arrivata in tre tappe: prima, un processo di consultazione con
la comunità ed una valutazione dei bisogni - incluso la capacità dei Rom ad
intraprendere loro stessi i lavori necessari; seconda, i fondi sono stati
raccolti da EHO tramite donatori in Svizzera; terza, il progetto si sviluppato
nel 2009 prima di novembre e dell'arrivo dei freddi venti invernali. Con un
prezzo base di €1.500 per edificio, ogni famiglia ha ricevuto il materiale per
costruire un piccolo bagno interno, compresi le mattonelle e l'impianto
idraulico, senza bisogno di adoperare manodopera extra. Un vero esempio di
progetto di auto-aiuto che risponde ai bisogni espressi dalla comunità.
Robert Bu è il manager del programma Rom per EHO. "Attualmente siamo l'unica
organizzazione di base in Voivodina con la capacità di guidare un progetto
alloggiativo e di inclusione sociale. E'una sfida ed una grande responsabilità,
ma qui stiamo ottenendo qualcosa di molto importante".Robert vede nella
partecipazione dei Rom in tutte le fasi del progetto la differenza tra questo ed
altri programmi regionali. La gente costruisce sulle proprie capacità e risorse
e ciò contribuisce allo sviluppo della comunità locale. "Questo modello non
impone soluzioni prefabbricate. La progettazione individuale accresce il
sentimento di appartenenza del processo e permette al gruppo individuato di
prendere le proprie decisioni".
Zlatko Marjanov e sua moglie stanno partecipando al progetto alloggiativo nel
quartiere Ciganski Kraj. "Sono molto contento dell'approccio tenuto perché ho
appreso nuove tecniche di costruzione che posso anche applicare altrove" dice
Zlatko. Sua moglie annuisce, aggiungendo che senza il supporto finanziario, non
avrebbero mai potuto investire soldi per un bagno loro.
Ristrutturare case e fornirle di acqua e servizi igienici è solo una parte
del programma EHO per i Rom. Il programma include istruzione, educazione
sanitaria di base, formazione vocazionale, consulenza legale ed aiuto nel
trovare lavoro. Attraverso un impegno a lungo termine con la comunità rom in
Voivodina, EHO sta creando una reale differenza nella vita di una delle più
povere comunità in Europa. Come scrisse Anna Frank. "Come sarebbe meraviglioso
se nessuno dovesse aspettare un solo momento per iniziare a migliorare il
mondo".
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