\\ Mahalla : Articolo : Stampa
Regolare o abusivo non conta: sgomberare e tolleranza zero!!
Di Fabrizio (del 19/02/2010 @ 09:33:58, in Italia, visitato 1920 volte)

Segnalazione di Eugenio Viceconte

ROSSA PRIMAVERA

Il nomade va deportato a prescindere. Non importa che viva in un campo regolarmente attrezzato, che i suoi figli vadano a scuola e che lui lavori e cerchi di integrarsi. Il teatro designato per una delle più dissennate operazioni di politica sociale che si possano immaginare è un villaggio di 350 rom di origine bosniaca, macedone e montenegrina, appartato in località Tor dè Cenci, su una collinetta accanto alla Via Pontina, che da Roma conduce a Latina. Ieri mattina mentre in un'altra parte della città veniva buttata giù, sotto gli occhi del sindaco Gianni Alemanno, l'ultima baracca dell'insediamento abusivo "Casilino 900", che verrà bonificato e trasformato in parco, gli abitanti del villaggio di Tor dè Cenci hanno atteso a lungo e invano, sull'ampio piazzale d'ingresso, l'arrivo del prefetto o di suoi alcuni collaboratori che avrebbero dovuto spiegare le modalità di quell'imminente assurdo sgombero. Hasko, il portavoce del villaggio, non sapeva darsi pace: "Siamo qui da 15 anni e gli abitanti di Tor dè Cenci non si sono mai lamentati di noi. In tutto questo tempo non è mai stata rubata un'auto, non è mai sparito un portafoglio. I nostri bambini vanno a scuola qui, io stesso faccio parte dell'esecutivo del Comitato di quartiere". Il villaggio di Tor dè Cenci è stato inaugurato nel 1995 dall'allora sindaco Francesco Rutelli: i nomadi vivono in 55 container modello Protezione Civile e, secondo i calcoli dell'ARCI, il comune ha speso fino ad oggi 5 milioni di euro per costruirlo, recintarlo e allacciare l'acqua, la luce elettrica, il telefono, le fogne. Dei 350 occupanti, ben 200 sono minori, ma non contando i bambini da 0 a 3 anni e i ragazzi con più di 16 anni, esclusi dall'obbligo scolastico, arriviamo ai 110 iscritti a scuola. "Di questi ben l'80% ha una frequenza regolare, una delle medie più alte fra tutti i campi rom di Roma" osserva Paolo Perrini che coordina i progetti di scolarizzazione dei nomadi per conto dell'ARCI. Ogni mattina arrivano i pulmini comunali a "distribuire" bimbi e ragazzi in un ampio parco di complessi scolastici, in modo da evitare classi e scuole ghetto. Non giungono così di frequente, invece gli automezzi dell'AMA, l'azienda comunale della nettezza urbana: in media un paio di volte la settimana, nonostante per convenzione dovrebbero passare due volte al giorno. Così pile di rifiuti sono accatastate attorno ai cinque cassonetti dell'ingresso. I ragazzi di cittadinanza italiana sono una trentina e sventolano a richiesta carte d'identità un po' logore e passaporti: sono quelli nati in Italia che hanno potuto documentare, attraverso certificati scolastici, vaccinazioni e altro, la continuità di residenza dalla nascita al diciottesimo anno d'età. Simone, 22 anni, e Ibrahim, 20, hanno prestato servizio civile nell'Opera Nomadi. Bryan fa il parrucchiere in un negozio dell'EUR. Il mestiere dominante nel gruppo, è la separazione del ferro dal piombo e dal rame, per vendere il tutto al mercato all'ingrosso. "Niente binari del treno - giurano - svuotiamo le cantine e abbiamo la partita IVA". Il progetto dell'Assessore alle Politiche Sociali, Sveva Belviso è di chiudere il villaggio trasferendo gli occupanti 20 km più a Sud, nel campo di Castel Romano, che ospita già 800 rom, per onorare la promessa fatta in campagna elettorale agli elettori del suo municipio, il dodicesimo. I nomadi hanno scritto una lettera aperta alle "autorità preposte", perché ci ripensino: "A chi non conviene aggravare la situazione - trasferendoci in un campo già grande e disagiato, al di fuori di qualsiasi contesto urbano?". L'hanno consegnata al commissario del Croce Rossa Italiana Marco Squicciarini, che ha assicurato il suo appoggio: la Croce Rossa Italiana non fornirà alcun apporto logistico allo sgombero, contro il quale si è mossa da Londra pure Amnesty International