Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 16/07/2008 @ 08:52:35, in media, visitato 1827 volte)
Da
ArcoirisTv
Quest'incontro pubblico si è tenuto all'Università Orientale di Napoli, per
discutere sui fatti accaduti a Ponticelli nel mese di Maggio del 2008, che hanno
visto il presunto rapimento di una bambina da parte di una ragazzina Rom e la
violenta risposta della popolazione locale nei confronti dei Rom stessi.
Hanno partecipato, esponenti di associazioni locali che lavorano per
l'integrazione dei Rom stanziati in Campania, un esponente della comunità
proveniente dalla ex Yugoslavia, presente in zona da circa 20 anni, il Prof
Claudio Marta, membro italiano del comitato di esperti sui Rom del Consiglio
d'Europa.
Questo dibattito è stato organizzato da Radioazioni.
Visita il sito:
http://www.radioazioni.tk
Scarica il video: data: 12/07/2008 - fonte: diego nunziata - lunghezza:
113,00 min
Di Fabrizio (del 16/07/2008 @ 09:26:54, in Europa, visitato 1870 volte)
Da
Osservatorio sui Balcani
Il piombo di Mitrovica 07.07.2008
Campo rom di Osterode
20.000 persone occupate e un benessere diffuso. Erano gli anni '70 e '80 e
Mitrovica era un importante polo minerario. Ora rimane poco, se non
l'inquinamento. A farne le spese soprattutto i rom. Riceviamo e volentieri
pubblichiamo
Di Federica Riccardi e Raffaele Coniglio*
Tra i tanti primati che una volta caratterizzavano Mitrovica vanno annoverati il
fiorente indotto minerario che faceva della città e dintorni una delle più
fiorenti aree del Kosovo e dell’ex Jugoslavia (per estrazione di minerali, loro
lavorazione-trasformazione e successiva produzione di batterie), e il più grande
quartiere rom del Kosovo, il Roma Mahala. Questi due aspetti, di valenza
indubbiamente positiva, sembrano non avere interconnessioni mentre invece hanno
stretti legami e tragiche conseguenze.
Gli impianti di Trepca, il fiorente polo minerario nella ricca regione di
Mitrovica, hanno contribuito notevolmente allo sviluppo economico e sociale di
questa zona per tutti gli anni ‘70 e ‘80. Erano più di 20.000 le persone
impiegate, di cui la metà provenienti dalla sola area di Mitrovica, con salari
indimenticabili e tanti benefits per le famiglie degli operai. Sebbene la città
fosse prospera e occupata con il lavoro delle miniere, la gente rimaneva
comunque un tantino insoddisfatta per via della mancanza di investimenti
successivi agli introiti delle miniere. Un detto di quei tempi recitava “Trepca
punon Beogradi ndėrrton”(Trepca lavora e Belgrado si costruisce), sintetizzando
questo aspetto.
8.000 o forse poco di più era il numero di membri della comunità rom che viveva
nel quartiere Roma Mahala di Mitrovica, una striscia di terra a sud del fiume
Ibar che sembra interporsi tra i serbi e gli albanesi. I rom anche allora come
oggi non erano ben inseriti nelle strutture sociali della città, non godevano di
una buona reputazione, e si sono trovati, durante gli anni dello scontro etnico
in Kosovo, tra due fuochi, quello serbo e quello albanese.
Oggi la fotografia di Mitrovica è un’altra. L’intero indotto di Trepca è ridotto
all’osso, con meno di un migliaio di operai vi estraggono soltanto i minerali.
Gli impianti di lavorazione e trasformazione del piombo, rame, zinco sono
dismessi e versano in uno stato fatiscente. Insieme al polo turistico di
Bresovica, gli impianti di Trepca sono stati un grande fallimento per la KTA,
l’agenzia incaricata per le privatizzazioni in Kosovo. Quello che è rimasto dei
fiorenti e produttivi impianti minerari, oltre alle obsolete strutture, è
l’inquinamento del suolo.
Mitrovica oggi ricopre il triste primato di città più inquinata del Kosovo e
dell’ex Jugoslavia. A farne le spese sono tutti i suoi cittadini, i rom più
degli altri. Ed oltre al problema dell’inquinamento, che li vede vittime di
intrighi politici, i rom sono anche cittadini privi delle loro case. Facilmente
manipolati dai serbi e indiscriminatamente percepiti come traditori e nemici
dagli albanesi, si sono visti, da questi ultimi, completamente annientare tutto
il loro storico quartiere. Inermi, dal lato nord del fiume che oggi divide
etnicamente la città in due, hanno assistito alla distruzione delle loro case.
Quelli che avevano deciso di affrontare di petto la situazione persero la vita.
In tanti sono scappati in Europa, in Montenegro, in Serbia.
Campo rom di Zitkovac
I pochi rimasti a Mitrovica sono stati costretti a vivere, in mancanza di
alternative, in posti malsani e inquinati. I campi di Zitkovac, Cesmin Lug e
Kablare, tutti nella parte nord di Mitrovica, furono costruiti nel novembre del
1999 per ospitare circa 500 persone di etnia rom scappate dal loro grande
quartiere. Da allora e per tutti questi anni il problema dei rom è diventato
sempre più grande.
Dovevano restare in questi posti soltanto per 45 giorni. Solo Zitkovac è stato
chiuso ma soltanto nel 2006 ed i suoi abitanti sono stati dislocati negli altri
campi. Nei tre campi di Zitkovac, Cesmin Lug e Kablare molti bambini mostravano
infatti i classici sintomi da inquinamento da piombo: perdita di memoria,
mancanza di coordinamento, vomito e convulsioni. Il Prof. Nait Vrenezi
dell’Università di Pristina già in un suo studio del 1997, condotto
congiuntamente con numerosi esperti internazionali, affermava che l’esposizione
continua ad ambienti con alta concentrazione di piombo crea nei bambini danni
motori e di percezione permanenti.
Dal 1999 al 2006, 27 persone sono morte a Zitkovac, molte delle quali con ogni
probabilità a causa di avvelenamento da metallo pesante, anche se autopsie non
sono mai state effettuate. Nel 2000 furono effettuati diversi test e analisi
sugli abitanti dei campi dall’allora consulente russo dell’ONU, Dott. Andrei
Andreyev, che confermavano fuori da ogni dubbio l’alto livello di concentrazione
di piombo nel loro sangue. Andreyev allora inoltrò un report dettagliato
contenente dati e cifre all’Organizzazione Mondiale della Sanità e all’UNMIK,
chiedendo loro di provvedere ad una immediata evacuazione dei campi. Il suo
report, però, che oggi non è disponibile al pubblico, non ha avuto nessun
riscontro pratico, se non che molti funzionari internazionali della polizia
dell’Unmik, che giornalmente facevano jogging accanto al campo di Cesmin Lug,
dovettero fare immediati accertamenti medici, e si scoprì che il loro tasso di
piombo era così alto da richiedere il loro rimpatrio. Nel 2004 test capillari su
75 persone dei tre campi, principalmente bambini e donne incinte, mostravano che
44 di loro avevano livelli di piombo nel sangue più alti di quanto il
macchinario potesse misurare (65 mg/dl), laddove 10 mg è considerato il punto in
cui vi è un serio rischio di danni al cervello o al sistema nervoso.
Le ultime da Osterode Camp
Osterode camp, costruito nel 2005 in quella che prima della guerra era una base
militare serba e successivamente una postazione francese, ospita oggi più di 400
persone in container tra stradine asfaltate, ex-capannoni militari ri-utilizzati
e un piccolo parco giochi, il tutto circoscritto da filo spinato. Certo Osterode
- oggi monitorato dalla Norwegian Church Aid, agenzia che coordina i donors e le
attività del campo - appare, al primo impatto, una struttura ben più comoda e
pulita rispetto ai capannoni sporchi ammassati sulle rotaie ferroviarie del
campo di Cesmin Lug, distante appena poche decine di metri.
Campo rom di Cesmin Lug
Tuttavia, il rappresentante rom del campo, il Sig.Habib Haidini, senza tanti
giri di parole ci tiene a precisare che cambia poco avere un container
mettallico di limitate dimensioni e piccole strutture di divertimento, rispetto
alle baracche di lamiera contorte del campo vicino. “Non è una casa, e quelli a
Cesmin Lug non vengono da noi perché sono della nostra stessa opinione: stiamo
tutti aspettando una casa, una casa vera”. Habib incontra quotidianamente i
rappresentanti di enti istituzionali locali e non, per far pressioni e cercare
di velocizzare i tempi affinché tutti i rom dei due campi possano essere
finalmente trasferiti in una struttura permanente. Osterode doveva rimanere
funzionante appena un anno.
Oggi nella vasta area della residenza storica dei rom di Mitrovica,
nonostante l’attualità della “minoranza rom” nell’agenda politica delle
istituzioni e organizzazioni internazionali, sono stati però costruiti appena un
centinaio di case e quattro blocchi plurifamiliari che ospitano non più di 250
persone. Molte delle case ancora non sono state assegnate, probabilmente per via
dei complessi criteri che richiedono lunghe procedure burocratiche, e per altri
motivi.
Un dato certo è che, alla metà del 2008, non è stato fatto abbastanza per i rom
di Mitrovica. Eppure è passato poco più di un anno da quando, nel marzo del
2007, gli alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, degli uffici
diplomatici e lo stesso primo ministro del Kosovo in una grande giornata
commemorativa hanno tenuto un’imponente cerimonia di inaugurazione del quartiere
Roma Mahalla a Mitrovica. Grandi parole allora erano state spese da tutti, le
più gettonate delle quali erano “multiculturalità” e “integrazione”.
Stando alle testimonianze più recenti, come quella di Sokol Kursumlija, da anni
impegnato nel campo Osterode con progetti educativo-ricreativi attraverso
l’associazione locale multietnica di cui è presidente, non c’è da stare sereni e
tranquilli: anche per Osterode si parla di gravi casi di contaminazione da
piombo che colpiscono soprattutto i suoi più giovani abitanti. Tuttavia Sokol ci
tiene a precisare, rimanendo fermo sul fatto che effettivamente i rom a
Mitrovica vivono da tempo in condizioni a dir poco precarie, che l’argomento
contaminazione da piombo non può essere circoscritto al solo discorso che verte
sulla minoranza rom, vittima a suo parere di intrighi politici, ma deve essere
generalizzato in quanto riguarda l’intera area di Mitrovica. Nel caso specifico
di Zitkovac, piccolo villaggio a Nord di Mitrovica, Sokol sostiene, ad esempio,
di trovare “assurdo che per la sola opportunità politica soltanto per i rom che
vivevano dall’altra parte del binario si è parlato di contaminazione mentre per
i serbi che vivono a tutt’oggi lì, a due passi da dove si trovavano i rom, c’è
ancora assoluto silenzio e nessuna preoccupazione”.
Forse per via delle scarse condizioni igieniche e del contatto con la terra
tipico dei bambini, i piccoli rom sembrano tuttavia particolarmente esposti
all’avvelenamento da piombo. Nel campo Osterode di recente sono stati fatti dei
test sui bambini dallo staff del WHO. I risultati però sono stati negati ad
Habib e gli altri rom, che pure li richiedevano insistentemente. Stando a Sokol,
per questioni di privacy i dati del WHO non potevano essere diffusi, neppure ai
rappresentanti UNICEF che lavoravano nel campo. “Io volevo sapere almeno il
numero o la percentuale di persone contaminate di Osterode, potevo non saperne i
nomi; quando quell’organizzazione mi ha negato i dati, mi sono rivolto alle
strutture mediche di Mitrovica Nord dove hanno effettuato i test sui bambini. Il
risultato è stato chiaro: contaminazione da piombo per la maggioranza di loro”,
ricorda Habib.
Un argomento così delicato da un punto di vista etico, morale, sociale e
politico non dovrebbe comunque essere lasciato solo alla spicciola cronaca
cittadina che spesso, incapace di sortire i necessari effetti, finisce col
creare invece soltanto involontaria disinformazione. La comunità internazionale
e enti di spessore come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, piuttosto che
coprire la realtà con il silenzio, potrebbero seguire l’esempio positivo di
altre organizzazioni che in Kosovo dedicano tempo, spazio e tanti soldi per
pubblicazioni sistematiche di bollettini sui diversi argomenti. È tempo che un
dossier ufficiale, onnicomprensivo e chiaro, esca allo scoperto per far luce su
tutti questi anni bui. Fino a quando su queste tematiche aleggeranno solo e
soltanto strumentalizzazioni di ogni genere, il problema dei rom e della salute
pubblica dei cittadini di Mitrovica resterà solo appannaggio dell’agenda
politica che potrà continuare ad usarle a propria discrezione.
* Federica Riccardi è stata Project Manager per più di 2 anni in Kosovo per
conto di una ONG italiana; attualmente Direttore Esecutivo di una ONG locale
Raffaele Coniglio è Project Manager a Mitrovica per conto della Provincia di
Gorizia, in Kosovo dal 2005.
Di Fabrizio (del 16/07/2008 @ 10:17:40, in scuola, visitato 1694 volte)
Ricevo da Luisa
NON TOCCATE I BAMBINI ROM:
NO ALLA SCHEDATURA DEI BAMBINI ROM!
NO AL RAZZISMO DI STATO!
Domenica 20 luglio
a Lecce in P.tta de Pace
(di fronte scuola C.Battisti)
dalle ore 18,00 in poi
riflessioni, immagini, storie
e suoni dal campo ROM
OPPORSI AL PROVVEDIMENTO LEGISLATIVO DI SCHEDATURA DEI BAMBINI ROM È UN
DOVERE CIVICO, MORALE, CULTURALE E POLITICO.
ReteAntiRazzistaSalento
reteantirazzistasalento@yahoo.it
tel.320.0740257 - 329.6931041
RETE ANTIRAZZISTA SALENTINA
NON TOCCATE I BAMBINI ROM:
PERCHE' BISOGNA PROTESTARE CONTRO IL RAZZISMO DI STATO
IL DECRETO LEGGE CHE RISCHIA DI ESSERE RESO EFFETTIVO ANCHE NELLA REALTA'
SALENTINA, DISPONE UNA SORTA DI CENSIMENTO DELLE COMUNITA' ROM, COMPRENSIVO
DELLA RILEVAZIONE DELLE IMPRONTE DIGITALI, PRASSI CHE COINVOLGEREBBE ANCHE I
BAMBINI E I MINORENNI, CON IL FINE FORMALE DELLA IDENTIFICAZIONE E
QUANTIFICAZIONE DEL "FENOMENO", COME PRIMA RISPOSTA AD UNA SITUAZIONE DI
"EMERGENZA SOCIALE".
QUESTA CONCRETA POSSIBILITA', BOLLATA COME DISCRIMINATORIA DAL PARLAMENTO
EUROPEO, RAPPRESENTA PER TUTTI NOI UN GRAVE PERICOLO, POICHE' ESPONE L'INTERA
SOCIETA' AD UNA PAUROSA REGRESSIONE DELLE CONQUISTE CIVILI E DEMOCRATICHE:
A LIVELLO GIURIDICO QUESTO PROVVEDIMENTO RIESCE NELLA DIFFICILE IMPRESA
DI CONTRASTARE CON LA NOSTRA COSTITUZIONE E CON I RIFERIMENTI LEGISLATIVI
INTERNAZIONALI RELATIVI AI DIRITTI UMANI (DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI
DELL'UOMO, CONVENZIONE INTERNAZIONALE SUI DIRITTI DELL'INFANZIA).
RIEVOCA E RIPROPONE, IN MANIERA NEANCHE TANTO VELATA, LEGGI RAZZIALI CHE
L'ITALIA, MEMORE DEL SUO RECENTE PASSATO STORICO, AVEVA RIPUDIATO ATTRAVERSO LA
FORMULAZIONE DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E DEMOCRATICA.
A LIVELLO POLITICO APPROFITTA DELLA DISINFORMAZIONE E DEL PREGIUDIZIO.
PRETENDE DI GIUSTIFICARSI CON ESIGENZE DI "CONTROLLO E DI SICUREZZA", CHE IN
REALTA' CREANO SOLO UN COMODO E FACILE CAPRO ESPIATORIO, CON LA CONSEGUENZA DI
ALIMENTARE IL PREGIUDIZIO E DIFFONDERE INSICUREZZA.
MA QUESTO PROVVEDIMENTO VA ADDIRITTURA OLTRE! COINVOLGENDO IN MANIERA VERGOGNOSA
E IMPROPONIBILE BAMBINI E MINORENNI, CONSIDERATI ALLA STREGUA DI PROBABILI E
POTENZIALI CRIMINALI DI DOMANI E CONSENTENDO L'ESERCIZIO DI UN POTERE RAZZISTA E
DISCREZIONALE SULLE COMUNITA' ROM.
A LIVELLO SOCIALE E CULTURALE DIFFONDE UNA PERCEZIONE DI INSICUREZZA CHE,
PER LEGGE, VEDE COME PRINCIPALE RESPONSABILE UNA COMUNITA' PARTICOLARE E
CIRCOSCRITTA, INCENTIVANDO ATTEGGIAMENTI E PRATICHE INTOLLERANTI E RAZZISTE GIA'
AMPIAMENTE DIFFUSE NEL TESSUTO SOCIALE VANIFICANDO QUALSIASI PASSO AVANTI FATTO
NEL SENSO DELL'INCLUSIONE SOCIALE, DEL DIALOGO E DEL CONFRONTO.
PROTESTARE
CONTRO QUESTO PROVVEDIMENTO
ATTRAVERSO LA PARTECIPAZIONE ALLE INIZIATIVE CULTURALI E INFORMATIVE
CHE INTERESSERANNO IN QUESTI GIORNI IL TERRITORIO SALENTINO
È UN DOVERE CIVICO, MORALE,
CULTURALE E POLITICO DI TUTTI
Di Fabrizio (del 16/07/2008 @ 15:46:23, in Italia, visitato 1683 volte)
Ricevo da Michela
Rom e Sinti cittadini di Pavia. Una serata giovedì 17 luglio, al campo dei Sinti
di piazzale Europa Per discutere di questi temi, ma innanzitutto per
conoscere direttamente la realtà dei Sinti pavesi, in collaborazione con le loro
comunità invitiamo la cittadinanza Giovedì 17 luglio ad un momento di incontro e
di socializzazione presso il campo di piazzale Europa, che sia il punto di
partenza per un “riconoscimento dal basso” delle istanze e delle motivazioni di
questi nostri concittadini. Durante la serata funzionerà un servizio bar a
prezzo di costo. L’accesso al campo è sulla destra del Palazzo esposizioni.
GIOVEDI’ 17 LUGLIO – CAMPO SINTI DI P.LE EUROPA
H.21: PROIEZIONE DEL DOCUMENTARIO “SIAMO TUTTI SULLO STESSO FIUME”, sulle
comunità dei Sinti pavesi, realizzato da ARCI Pavia, Università di Pavia e
Comune di Pavia
H.22: DIBATTITO PUBBLICO.
PARTECIPANO: Paolo Casagrande (Comunità Sinti P.le Europa), Erasmo Formica
(Comunità Sinti via Bramante); Giorgio Bezzecchi e Maurizio Pagani (Opera
Nomadi Lombardia), Luciano Muhlbauer (Rifondazione Comunista, Milano);
Giovanni Vitrano (Ass. FuoriLuogo); Giovanni Giovannetti (Circolo Pasolini);
Pablo Genova (Rifondazione Comunista, Pavia); Vito Savino (Arci Comitato
Prov. Pavia)
MODERA: Andrea Membretti (Sociologo, Università di Pavia) - (Intervistato
da
ilticino.net)
Ore 23. MUSICA E BALLI ZIGANI. IL SERVIZIO BAR E' A PREZZI ESTREMAMENTE
CONTENUTI
Da molti mesi assistiamo ad una violenta campagna di disinformazione nei
confronti delle comunità di Rom e di Sinti che vivono in Italia: l’immagine che
i media continuano a trasmettere è quella di un popolo di ladri, di sfruttatori
di bambini, di persone che amano vivere nel “degrado”, nella sporcizia, nella
mancanza di qualsiasi regola sociale.
Spinti da forze politiche dichiaratamente razziste, ma con l’appoggio di
fatto anche di partiti sedicenti democratici, i media lavorano incessantemente
le nostre coscienze sopite, per costruire un’idea di “zingaro” che faccia rima
con “non umano”. In modo simile, il regime nazista aveva costruito la
persecuzione nei confronti degli ebrei e delle stesse popolazioni zigane a
partire dal concetto di “sotto-uomini”, ovvero di “non-persone”, con cui
venivano etichettati questi soggetti. Ieri erano gli sgomberi a catena dei campi
nomadi, organizzati brutalmente e senza prospettive anche nella Roma
“democratica” di Veltroni; oggi è l’aberrante iniziativa del governo Berlusconi,
finalizzata a schedare in modo poliziesco i bambini Rom e Sinti, tramite la
presa delle impronte digitali. Dobbiamo riconoscere che è in atto una
progressiva discriminazione razziale, che si accompagna a misure di
ghettizzazione di queste popolazioni, sempre più espulse dalle città e relegate
nelle aree extra-urbane, spesso senza i minimi servizi e senza politiche di
integrazione. La stessa Unione Europea ha mostrato grave preoccupazione per come
l’Italia sta affrontando la questione zigana sul suo territorio.
A Pavia abbiamo già assistito, cercando di contrastarla come associazioni,
partiti di sinistra e realtà della società civile, alla disastrosa “gestione”
del caso Snia da parte della Giunta Capitelli lo scorso autunno 2007: i Rom sono
stati buttati in mezzo alla strada, nel sostanziale disinteresse
dell’Amministrazione locale, mentre si dava spazio alle proteste razziste
culminate nel tentato linciaggio di Pieve Porto Morone e nella manifestazione
neo-nazista degli aderenti a Forza Nuova. A distanza di mesi, e nonostante
alcune meritorie iniziative di solidarietà (anche da parte di singoli cittadini)
i Rom sono perlopiù dispersi sul territorio o hanno migrato a Milano, entrando
in gran parte in quella “invisibilità sociale” tipica appunto delle “non
persone”.
Oggi si discute, in modo ben poco trasparente, di dove ricollocare i campi
dei Sinti di p.le Europa e di via Bramante: in queste aree in disuso, oggetto
delle future speculazioni edilizie garantite dal nuovo PRG, vivono da decenni
gli oltre 300 Sinti di Pavia. Si tratta di comunità coese, dove i bambini
frequentano tutti le scuole locali e la gran parte degli adulti lavora
regolarmente. Sono tutti cittadini italiani, residenti a Pavia, iscritti alle
liste elettorali.
Chiediamo con forza che qualsiasi ipotesi di ricollocare queste comunità sia
discussa con i diretti interessati e che venga avviato un processo di mediazione
con gli abitanti del quartiere in cui il nuovo campo verrà insediato, per
evitare il sorgere di nuovi e dannosi conflitti. Chiediamo inoltre che sia i
Sinti che i Rom di Pavia, indipendentemente dalla loro nazionalità, vengano
riconosciuti cittadini a tutti gli effetti, con pari dignità, diritti e doveri
rispetto agli altri abitanti del nostro territorio, avviando concrete politiche
locali di integrazione e fornendo i servizi necessari affinché Pavia possa
davvero fregiarsi di quel titolo di “città dell’accoglienza”, che oggi appare
purtroppo grottesco. Non accettiamo “trattamenti differenziali” per etnia,
nazionalità o cultura. Per discutere di questi temi, ma innanzitutto per
conoscere direttamente la realtà dei Sinti pavesi, in collaborazione con le loro
comunità invitiamo la cittadinanza ad un momento di incontro e di
socializzazione presso il campo di P.le Europa, che sia il punto di partenza per
un “riconoscimento dal basso” delle istanze e delle motivazioni di questi nostri
concittadini.
Da
Melting Pot
Intervista ad Antonio Moresco, autore del libro Zingari di Merda
Zingari di Merda racconta il viaggio verso la Romania di due italiani e un
rom sgomberato dalla città di Pavia a bordo di una vecchia BMW per “andare a
vedere da dove si mette in movimento tutta questa disperazione, l’origine di
questa ferita”.
Con il suo autore, Antonio Moresco, abbiamo commentato le recenti misure che
stigmatizzano i rom come più criminali di tutti i criminali, calamità naturale
d’emergenza a cui far fronte con provvedimenti speciali.
Domanda: Zingari di Merda è il titolo del libro, un epiteto che si
rivolge ad una popolazione che, pur non avendo mai dichiarato guerra a
nessuno, è da secoli attaccata - come in una guerra – dal mondo intero. La
discriminazione contro i rom negli ultimi mesi in Italia è diventata discorso
pubblico, la loro persecuzione oggi è legittima. Dire “Zingari di merda” non è
più un’offesa di matrice razzista, ma è considerata quasi un’affermazione
oggettiva.
Risposta: Il titolo rappresenta la forza dei popoli perseguitati da
secoli che utilizzano gli epiteti offensivi rovesciandoli con fierezza. Il
nostro accompagnatore si rivolgeva a se stesso e agli altri rom usando queste
parole, che aveva sentito dire contro di sè in Italia. E’ un titolo ambivalente
perché rispecchia al contempo la situazione spaventosa dell’Italia di questi
anni, dove un popolo dai comportamenti non omologati è di nuovo diventato capro
espiatorio di paure ed insicurezze su cui forze politiche fanno leva per
nascondere i gravi problemi dell’attualità, ma quando un paese imbocca le strade
delle discriminazioni si sveglia poi con le ossa rotte...
D: L’istituzione di un Commissario straordinario per una presunta
emergenza incarnata dai rom significa considerare la presenza di questo popolo
alla pari di una calamità naturale. E’ forse l’errore macroscopico di un potere
che, oggi come ieri, non sa rapportarsi con l’alterità? Tutto il discorso e con
esso le politiche prodotte sui popoli rom in Italia, anche quando si agisce in
nome dell’integrazione, nascono dall’applicazione di categorie organizzative a
loro estranee, si affronta la loro società partendo dal “noi” e dal “nostro”
modo di vivere.
R: Si dà sempre per scontato che il nostro modo di vivere sia quello
giusto, cosa evidentemente tutta da dimostrare. A volte anche chi accetta in
termini generali gli zingari in realtà vorrebbe sempre ricondurli a dinamiche di
vita simili alle proprie. In questi ultimi anni gli zingari incarnano
l’irriducibilità e la differenza, io ho scelto di rappresentarli senza censure.
Non ho cercato di farne un santino edificante ma ho mostrato degli esseri umani
con la loro forza, la loro diversità e il loro mistero. In genere ogni loro
comportamento è letto attraverso la deformazione incredibile del paragone. Ad
esempio la violenza nei confronti delle donne – che non mi sono sentito di
censurare nel mio racconto - sembra maggiormente grave e criminale se compiuta
da parte degli zingari, nonostante le cronache rivelino preoccupanti violenze
domestiche contro le donne nelle case degli italiani. Nel momento in cui è stato
stabilito che quello è il popolo che fa paura tutto viene visto in una maniera
deformata. E’ il meccanismo spaventoso che spesso accade nella storia, coltivato
e manipolato per coprire altre cose gravi.
D: La persecuzione contro i rom è oggi più che mai quotidiana, ma anche
il tuo libro ha inizio con una persecuzione, ossia dopo gli sgomberi dell’ex
Snia Viscosa a Pavia nell’agosto 2007, quando vengono lasciati per strada un
centinaio di donne, uomini e bambini.
R: Il libro parte dal lavoro di volontariato di Giovanni Giovannetti
all’ex Snia Viscosa; dalla lotta e dalla vicinanza profonda con le persone che
vivevano accampate lì è nata l’idea di rintracciare queste famiglie nel sud
della Romania, dove molti di loro sono andati a ripararsi dopo la cacciata.
Siamo andati quindi fino a Listaeva, un paese dove gli zingari vivevano nelle
buche sotto terra, abbiamo visto le condizioni in cui vivevano le persone,
facendo a turno le guardie notturne per proteggere i propri bambini da topi di
un metro. E’ allora evidente che queste persone non emigrano in Italia perché
sono dei profittatori. Eppure a Pavia il Sindaco del Partito Democratico si è
comportato in maniera indistinguibile dalle destre che siamo abituati a vedere
come razziste e forcaiole. Se hanno creduto che inseguire questi comportamenti
xenofobi avrebbe portato ad un incasso elettorale, la dimostrazione della
mancanza di lungimiranza storica è stata plateale con il risultato delle
elezioni.
D: Nel tuo viaggio in Romania ti soffermi a descrivere la posizione
economica imposta a questo popolo dal sistema economico, che pretende che
restino immobili a vivere delle briciole del mercato globalizzato basato proprio
sugli scambi attraverso le frontiere. Tu sottolinei la contraddizione tra
fissità economica imposta e spinta al movimento degli esseri umani, che si
spostano per cercare di sfruttare le opportunità dello sviluppo, sottraendosi a
ruoli previsti per loro da non si sa bene chi.
R: Il tentativo di ancorarli ad una posizione è una miopia e tradisce
la mancanza di lungimiranza storica: i popoli si sono sempre spostati, anche nel
recente passato i popoli hanno sempre migrato, è incredibile che l’Italia non
riesca ad affrontare in termini equilibrati e giusti le migrazioni e il
desiderio di migliorare la propria sorte.
Anche nelle baracchine di Slatina le televisioni scalcagnate delle giovani
famiglie rom trasmettevano di continuo quanto è bella, ricca e luminosa la vita
in Italia e negli altri paesi.
Queste persone giovani cercano giustamente di avere una piccola parte in questa
ricchezza. Poi ci sono i meccanismi economici diseguali che fanno sì che in
Italia con l’elemosina in una giornata una zingara possa guadagnare 20-30 euro,
che in Romania non guadagna neanche un operaio. Questi meccanismi vanno molto
bene quando sono le fabbriche italiane, ad esempio Pirelli, che sfruttano questi
salari estremamente bassi ed impiantano in Romania le loro attività.
Paradossalmente gli stessi meccanismi che portano le persone a migliorare la
propria condizione sfruttando le differenze del valore della moneta romena
rispetto a quella italiana e quindi immigrando in Italia, generano invece
violenza ed ipocrisia. Le situazioni di vita che ho visto nel nostro viaggio
sembravano quelle del Bangladesh post alluvione e non quelle di un luogo così
vicino a casa nostra.
D: La schedatura, il tentativo di presidiare e censire i campi nomadi, la
folle idea di rilevare le impronte digitali rappresentano forse l’illusione di
bloccare e imbrigliare la determinazione degli uomini ed in particolare di
questo popolo a partecipare al benessere negato?
R: Io ne sono convinto. Queste iniziative vengono gettate in pasto
alle persone galvanizzate dalle campagne politiche e mediatiche, ma non hanno
senso perché gli spostamenti umani non si possono fermare.
Persino all’epoca dei romani, che facevano guerre pazzesche ed erano sotto le
armi per decenni per tenere fuori i cosiddetti barbari, per secoli e secoli poi
quelle stesse popolazioni che loro volevano escludere sono passate sul
territorio italiano.
A mio avviso più è determinata ed efficace la capacità di sigillare le frontiere
più l’effetto boomerang è devastante. Quello che vediamo oggi è una politica
miope oltre che criminale ed inaccettabile su molti piani.
Zingari di merda
di Antonio Moresco
Fotografie di Giovanni Giovannetti
Effigie Edizioni
Neva Cocchi, Progetto Melting Pot Europa - mercoledì 16 luglio 2008
Di Fabrizio (del 17/07/2008 @ 09:26:10, in Europa, visitato 1301 volte)
Da
Roma_Daily_News
Ustiben report from Grattan Puxon
Amnesty International riporta che in un numero di villaggi Romanì in
Ucraina, a tutti i residenti sono state prese le impronte digitali.
L'operazione di polizia, già completata in alcune località, include le
impronte ai bambini.
Nel contempo, la polizia ucraina sta fotografando ogni persona ed edificio
per fare un archivio dei Rom come gruppo etnico.
Il rapporto dice anche che la minoranza Rom nel paese è soggetta a minacce,
discriminazioni ed abusi sia da parte dei funzionari statali che da altre persone.
Da
Roma_Daily_News
La diversità culturale è MISTO alla seconda edizione di
IRAF
L'Associazione Culturale TURN vi invita a raggiungerci al Cinema Estate in
Romania, Timisoara tra il 6 e il 10 di agosto e diventare parte di un enorme
fenomeno interculturale. La seconda edizione del Festival di Arte Romani
Internazionale - Misto, organizzato sotto l'egida del "Decennio dell'Inclusione
Rom 2005-2015" e dell'"Anno Europeo del Dialogo Interculturale Apre i suoi
Cancelli".
Come l'anno scorso, IRAF vi porta musica, danza, teatro, film, fotografia,
spettacoli pirotecnici e laboratori, presentazioni di libri, fiere artigiane,
attività informative, attività per bambini e attività per incarcerati, in un
evento che riunisce oltre 150 artisti di origine Rom ed oltre da Romania,
Spagna, Ungheria, Francia, Serbia, Repubblica Ceca. Soprattutto, quest'anno
una sfilata di venticinque capi di moda e chef ungheresi che vi aspettano con
una ciotola di gulash zingareschi pieni di vapore.
I 15 concerti presentano il fenomeno musicale zigano dai suoni dell'antica
tradizione alle ultime tendenze: spoon knocking,
beatbox, hip-hop, drum and bass, jazz, fanfara, musica classica e
flamenco.
- Boban Marcovic (Serbia), conosciuto come il miglior suonatore di tromba
dei Balcani;
- Puerto Flamenco (Spagna), vincitori di numerosi premi e partecipanti ai
più importanti festival di flamenco nel mondo;
- Félix Lajkó (Ungheria), uno dei più complessi artisti dall'Ungheria;
- Kal (Serbia), la banda Rom più cool dai sobborghi di Belgrado;
- Karavan Familia (Ungheria), uno dei nomi più importanti della scena
musicale mondiale zingara;
- Marius Mihalache, "il maestro del cimbalo" ed Ovidiu Lipan Tandarica,
"il miglior percussionista Rumeno di tutti i tempi" (Romania);
- Amaro Del (Serbia);
- Balkan Fanatic (Ungheria), un originale progetto che inietta il synth-pop,
l'hip-hop e la musica elettronica nei suoni tradizionali dell'Est Europa;
- Gipsy.cz (Repubblica Ceca), l'unica banda zingara hip-hop conosciuta
internazionalmente;
- DJ Click
(Francia), promuove un suono autentico che combina la febbre balcanica con
l'energia della musica elettronica;
- Estelle Goldfarb (Francia), il violinista che rompe le barriere tra la
musica tradizionale e quella moderna;
- DJ Vasile (Shukar Collective), uno dei padri fondatori della musica
elettronica in Romania;
- Dj Leizaboy (Romania), Dj
K-lu (Romania), Colombo de Niro (Romania), il più nuovo progetto jazz a
Timisoara.
Suona MISTO, non è vero?
Sponsors: Open Society Institute – Budapest, National Agency for the
Roma, The Administration of the Cultural Fund, The National Agency for
Supporting Youth Innitiatives, The National Youth Authority.
Partners: Banatul Philharmonic, The Maximum Security Penitentiary in
Timisoara, Resita Volunteer Center, OSUT, The Students' Cultural House
in Timisoara, The National Alliance of the Students' Organizations in
Romania, The German Cultural Center in Timisoara, The Resource Center
for Ethnocultural Diversity, The Students' Cultural House in Resita,
Cesky Rozhlas (Czech Radio).
Media partners: Radio Guerilla, TVR timisoara, 24 FUN, Suplimentul de
Cultura, Sunete, Alternativ, Dor de duca, 4elemente – Apollo, Cesky
Rozhlas (Czech Radio), Port.ro, studentTM
Questa è l'amicizia di uno
splendido inizio!
Di Fabrizio (del 17/07/2008 @ 10:30:11, in Italia, visitato 1450 volte)
Ricevo da Roberto Malini
Il governo non lo farà. Il ministero dell'Istruzione non lo farà. Ancora una
volta, dobbiamo farlo noi, avvalendoci, grazie a internet, dei media liberi, dei
portali e dei blog indipendenti, dei forum che si occupano di diritti umani.
Dobbiamo fare scuola, contro l'imbarbarimento morale e civile del nostro Paese.
E' necessario attivare programmi educativi che consentano alle nuove generazioni
di conoscere la Storia, la cultura, la vita del popolo Rom, opponendo la verità
alle calunnie discriminatorie portate avanti senza il minimo scrupolo da
politici, autorità e media. La deriva razzista coinvolge ormai i giovanissimi,
trascinati verso l'odio razziale dalla propaganda che leggono sui giornali e
ascoltano in tv. Tornano attuali testi deliranti come il saggio "L'uomo
delinquente" (1876) del razzista Cesare Lombroso, fondatore
dell'antropologia criminale e propugnatore di bieche teorie relative a legami
fra razza e crimine. Anticipando di sessant'anni gli scienziati della razza
fascisti e nazisti, Lombroso pose ipotesi pseudoscientifiche a fondamento
dell'odio razziale. Secondo lui, gli 'zingari' - "delinquenti antropologici" -
possedevano "tutti i vizi e le passioni: l'oziosità, l'ignavia, l'amore per
l'orgia, l'ira impetuosa, la ferocia e la vanità. Essi infatti assassinano
facilmente a scopo di lucro. Le loro donne sono più abili nel furto e vi
addestrano i loro bambini. (...) Hanno tendenze malvagie che ripetono la loro
origine da una organizzazione fisica, psicologica diversa da quella dell'uomo
normale". I movimenti razzisti italiani, che trovano esponenti, ormai, nelle più
alte cariche istituzionali, seguono metodicamente (e diffondono presso i loro
adepti) le teorie di Lombroso, finalizzate ad applicare all'interno dello Stato
italiano azioni di prevenzione e di purga atte a risolvere la "questione
zingara": arresti e condanne pretestuosi, sgomberi dagli insediamenti di
fortuna, deportazione, sottrazione di minori ai genitori (persino i neonati Rom,
ormai, vengono affidati, poche ore dopo il parto, a famiglie italiane o
comunità, perché i genitori non hanno una casa), operazioni punitive; tutto per
prevenire e combattere la riproduzione di un "popolo nato criminale". Evitando
di perseguire i gruppi organizzati di razzisti - e gli agenti violenti - che
attuano periodicamente azioni punitive nei confronti dei Rom, le Istituzioni
incoraggiano tali organizzazioni. Non a caso negli ultimi due anni si sono
verificati centinaia di casi di aggressione nei confronti di persone di etnia
Rom, con numerose vittime, ma nessuno degli autori di tali crimini è mai stato
identificato o punito. La censura attuata dai media, naturalmente, è un fattore
critico di successo per la campagna razzista in corso in Italia. Per rendersi
conto di quanto sia capillare il controllo delle Istituzioni sulla stampa
italiana è sufficiente analizzare quanto spazio sia stato dato alla divulgazione
della Risoluzione del Parlamento europeo sul censimento dei Rom in Italia,
approvata il 10 luglio 2008: brevi note di agenzia, rari commenti e publicazioni
di estratti del testo, nessun dibattito significativo, tanto che il popolo
italiano non è praticamente a conoscenza di un documento fondamentale nella
Storia dell'Unione europea. Al contrario, quotidiani, radio e televisioni hanno
offerto il massimo risalto ai commenti del ministro dell'Interno, del primo
ministro e di altri esponenti della destra al potere. E' una tattica che il
partito nazionalsocialista utilizzava spesso, quando le sue politiche ricevevano
critiche dall'esterno, per trasmettere al popolo la sensazione di essere guidati
da un governo forte e autorevole, tanto forte da permettersi di snobbare o
addirittura ridicolizzare l'Unione europea. Identico trattamento è stato
riservato alle dichiarazioni dell'Alto commissario alle Nazioni unite per i
diritti umani, che stigmatizzano la persecuzione dei Rom in Italia. Per
osservare de visu gli orrori che l'Italia riserva alle famiglie Rom, la
Commissione europea aveva deciso di inviare una delegazione, guidata da
specialisti (in primis, i leader del Gruppo EveryOne). Ripetendo la mossa della
Germania di Hitler - che nel 1941 invitò la Croce Rossa a visitare un campo di
concentramento per verificare le condizioni di vita riservate agli ebrei
deportati - il ministro Maroni ha preso tempo: l'indagine si farà a settembre e
sarà lo steso governo italiano a decidere l'itinerario e a presentare gli
insediamenti alla delegazione. I nazisti riuscirono a ingannare il mondo civile
con la messinscena di Theresienstadt, il "ghetto modello" che mascherava la
persecuzione e lo sterminio. Prima dell'ispezione, a Theresienstadt furono
ridipinte le facciate delle case, pulite le strade, piantate aiuole fiorite,
inaugurato un teatro musicale sulla piazza del mercato, colmate di prodotti di
ogni genere le vetrine delle botteghe. Quindi si provvide a ridurre il
sovraffollamento, trasferendo 7500 ebrei ad Auschwitz, verso le camere a gas. La
Croce Rossa giudicò umano ed accogliente il ghetto boemo e i nazisti poterono
continuare indisturbati ad attuare lo sterminio. L'idea del primo ministro (che
ieri ha affermato che le schedature etniche dei bambini Rom servono a...
proteggerli dai loro genitori degeneri) e del ministro dell'Interno ricalca
quella dei carnefici di Hitler: sistemare un insediamento o due, dotandoli di
acqua e servizi igienici, allontanare i Rom che potrebbero rendere dichiarazioni
non gradite al governo, organizzare una festa zingara con canti e balli, quindi
congedare con il più ampio e rassicurante dei sorrisi i commissari e i loro
accompagnatori. Non si illudano i nuovi aguzzini: le cose non andranno così.
segue: Ripartono le schedature etniche
Il governo italiano ignora la Risoluzione del Parlamento europeo sul
censimento dei Rom e le ammonizioni dell'Alto commissario ai Diritti Umani delle
Nazioni unite e dichiara di voler procedere con la schedatura dei Rom, adulti e
minori. "La minoranza Rom si è resa colpevole di reati che hanno colpito
negativamente l'opinione pubblica e dunque è necessario procedere," ha
commentato il ministro del'Interno. Secondo informazioni di buona attendibilità,
un primo censimento sperimentale, con una nuova scheda che prevede rilievo
impronte digitali (anche per i minori) foto segnaletiche di fronte e profilo,
indicazione dell'etnia, ma non della religione, inizierà domani, 16 luglio, da
alcuni dei più popolosi insediamenti abusivi sul Tevere. Ai Rom è stato detto -
secondo una testimonianza - che se rifiuteranno la schedatura, saranno espulsi
dall'Italia. Per evitare sit in e manifestazioni di protesta da parte degli
antirazzisti, le schedature saranno effettuate senza preavviso.
Per informazioni:
Gruppo EveryOne
Tel: (+ 39) 334-8429527 - (+ 39) 331-3585406
www.everyonegroup.com
:: info@everyonegroup.com
Di Fabrizio (del 17/07/2008 @ 22:54:10, in Italia, visitato 2849 volte)
Da
L'Unità
di Rachele Gonnelli - I riccioli biondi, gli occhialetti rettangolari un po' scesi sul naso,
italiano perfetto con accento "padano". Quando Eva Rizzin si presenta - "sono
sinta, piacere" - sindaci, assessori, giudici, assistenti sociali rimangono
generalmente a bocca aperta per qualche secondo. È l'antitesi del paradigma che
li vuole tutti "brutti, sporchi e ladri".
Trent'anni, laurea a Trieste in scienze politiche sul suo gruppo etnico - i
sinti di origine tedesca - , master in geopolitica, quattro mesi di stage al
Parlamento Europeo, lavora a Mantova all'osservatorio contro le discriminazioni
finanziato da Comune e Provincia. E fa parte del consiglio direttivo della
Federazione "Rom e Sinti Insieme", una nuova organizzazione che raggruppa 22
associazioni di diverse comunità di rom e sinti, appunto, che si pone il
problema di una nuova interlocuzione con le istituzioni, più fondata sulla
partecipazione e la rivendicazione dei diritti finora negati che sulla gestione,
un po' magmatica, dell'esistente. "Finora - spiega lei - in Italia non si sa
bene come siano stati impiegati i fondi, a parte per la bonifica dei campi, ma
tutti gli interventi che ci sono stati avevano comunque un approccio
assistenzialista. Lavorando a Bruxelles e avendo modo di confrontare realtà
diverse, dove l'integrazione funziona, è chiaro invece che a determinare
l'efficacia dei progetti è sempre la responsabilizzazione".
Responsabilità. Per molti il problema è quello della legalità.
"La nostra realtà è molto eterogenea. Ci sono i rom che sono arrivati in Italia
intorno al XIV secolo e sono italiani, con cognomi italiani, e votano, come il
nostro presidente Nazareno Guarnieri. E ci sono moltissimi che, arrivati bambini
durante la guerra nella ex Jugoslavia, vivono qui da decenni senza documenti,
senza permesso di soggiorno o asilo, senza neanche la possibilità di richiederlo
perché magari l'atto di nascita è andato perso o distrutto con gli archivi dei
paesi d'origine. Ci sono i sinti come quelli di Venezia - molti non vivono nei
campi ma hanno casomai il problema del mutuo da pagare - e gli ultimi arrivati,
dalla Romania o dal Kosovo.
È innegabile che ci sono anche ladri e persone che vivono nel sottobosco della
malavita. Anche in Italia non si può negare che ci siano mafiosi e camorristi.
Ma la responsabilità penale è personale, no? Non si può processare un intero
popolo. Enfatizzare solo il lato negativo, appiattire i giudizi senza
verificarli, generalizzando e cavalcando l'onda della paura e soprattutto di una
campagna xenofoba costruita ad arte per trovare un capro espiatorio di fronte
alle mancanze dello stato sociale, alla riduzione di servizi per tutti, come
hanno fatto i mass media più influenti in Italia, è istigazione all'odio. Non è
informazione o libertà di espressione, perché anche quella ha dei limiti e delle
regole".
Si dice che gli zingari non lavorano e non mandano i figli a scuola.
"Trovare un lavoro è difficile per un italiano, figuriamoci per noi. Ci sono dei
lavori tradizionali. Molti bosniaci, macedoni, serbi prima della guerra
lavoravano come giostrai, musicisti, nei mercati dell'usato, nell'edilizia,
anche nelle fabbriche. Ma è difficile riuscire a ricostruirsi una vita dignitosa
quando sei continuamente soggetto a sgomberi forzati o ti rinchiudono in un
campo nomadi. Anche l'accesso alla scuola - per noi fondamentale per migliorare
le condizioni di chi oggi vive nei campi - non è così facile quando parti da una
situazione di degrado. E poi spesso agli insegnanti basta togliere i bambini
dalla strada, contenerli, e non hanno strumenti culturali per insegnare loro
niente, così alla fine vengono solo umiliati e i genitori finiscono per non
mandarceli più. Recentemente, nel '99, sono state riconosciute in Italia 12
nuove minoranze linguistiche ma noi no. Noi chiediamo che venga approvata la
proposta di legge presentata il 2 luglio 2007. E il rispetto della Direttiva
europea 2043 che stabilisce parità di trattamento delle persone al di là della
loro appartenenza etnica".
l'assemblea della Federazione Rom e Sinti
Eppure per integrare i bambini nelle scuole sono stati fatti progetti,
stanziati fondi. Anche a livello europeo, no?
"Strumenti anche finanziari ci sono, nel Fondo sociale europeo. Il presidente
della Commissione Barroso lo ha ricordato. Il problema è la volontà politica e
il sostegno popolare necessario agli amministratori per implementarli. In
Europa, ma anche Toscana, con il progetto "città sottili" e la proposta di legge
sulle decisioni partecipate, che stabilisce percorsi di confronto e
partecipazione delle popolazioni locali, ci sono esempi di buona prassi. Certo
se si vuole mandare a scuola i bambini rom non si può cominciare con il
prendergli le impronte".
Ma adesso le prenderanno a tutti, nel 2010. Anche agli italiani.
"Sì, intanto però per prima cosa prendono le nostre, quelle dei bambini sinti e
rom. Hanno anche detto che non si trattava di una schedatura ma di un
censimento. E che lo facevano per noi, per aiutarci. Poi si sono resi conto di
aver esagerato, di essere sotto i riflettori dell'Europa, e hanno cercato di
correggere. Ma la sostanza di una politica discriminatoria e razzista non
cambia. A Napoli tre giorni fa dalla Prefettura fatto girare un questionario in
cui si doveva indicare l'appartenenza etnica e religiosa. Poi non ci si può
meravigliare se le popolazioni insorgono, danno fuoco ai campi".
Pubblicato il: 17.07.08
Di Fabrizio (del 18/07/2008 @ 08:55:24, in Italia, visitato 3677 volte)
Da
Mundo_Gitano
INTERNACIONAL
RAPPORTO: L'Italia non è per i gitani
"Cara Europa..."
La bambina rumena
Rebecca Covaciu resiste ad una vita di persecuzione e miseria.
Un viaggio di tristezza da Arad a Milano, Ávila, Napoli ed ora Potenza
MIGUEL MORA - Potenza - 13/07/2008
Tutta la famiglia Covaciu, con Rebecca - CARLES RIBAS
Con i suoi 12 anni, Rebecca Covaciu - occhi grandi, denti bianchi, sorriso
splendido - ha vissuto e visto così tante cose, che potrebbe scrivere, se
scrivesse, un buon libro di memorie. Rebecca è rumena di etnia romaní, ed ha
passato metà della sua vita per strada. Ha dormito in un furgone, in una
capanna, per terra. Alcuni giorni ha mendicato con i suoi genitori in Spagna ed
Italia. Altri giorni ha visto distruggere la sua baracca, è stata aggredita
dalla polizia italiana, ha ascoltato sotto una coperta quando suo padre era
picchiato per difenderla, ha visto bambini morire perché non avevano medicine,
ha conosciuto la paura dei gitani che fuggivano da Ponticelli (Napoli) quando
l'accampamento fu incendiato. Però Rebecca ha resistito. Ed ha commosso l'Italia
con la sua storia. Una lettera in cui riassume il suo sogno: andare al collegio
e che i suoi genitori abbiano un lavoro.
Con la su semplice lettera, intitolata "Cara Europa", ed una serie di
disegni, I ratti e le stelle, innocenti e precari, però speciali come
lei, ha dimostrato il suo talento. Rebecca, al posto di deprimersi con questa
"vita di tristezza", ha gridato al mondo la sua storia dickensiana in prima
persona, convertendola in un appello di giustizia e speranza. Ai suoi sogni
privati di andare al collegio e che i suoi genitori abbiano un lavoro "per no
chiedere l'elemosina", ne aggiunge un altro più grande: "che l'Europa aiuti i
bambini che vivono per strada".
Ora , Rebecca è contenta. Da alcuni giorni vive, sogna e disegna in una
piccola casa in campagna, situata vicino ad un paese della Basilicata, una
regione montagnosa ed agricola, a 250 km. a sud di Napoli.
Cade la sera e la luce dell'antica Lucana romana è uno spettacolo. Rebecca e
suo padre, Stelian, ricevono sorridenti sulla porta, sua madre Georgina prepara
un caffè turco ed un dolce, e poi la bambina trae i disegni dalla sua cartella e
li mostra. Lentamente, con orgoglio ma senza presunzione: "Degli alberi di
colore, un angelo, una spiaggia italiana, dei bambini che fanno il bagno, un
principe ed una principessa, una coppia di sposi (pure italiani), due farfalle,
un mazzo di fiori, un collier di Versace, frutta, ancora frutta..."
Rebecca Covaciu, una bambina rumena di 12 anni ed etnia romaní -
CARLES RIBAS
Rebecca partì dalla sua città, Siria jud Arad, vicino a Timisoara, circa
cinque anni fa, ora parla rumeno, romaní, italiano ed un poco di spagnolo. "Lo
imparai ad Ávila quando vivevamo in Spagna, spiega in italiano: "Non avevamo
casa e dormivamo nel furgone. Lì feci la terza elementare, mi ricordo molto
dell'insegnante. Mi voleva molto bene, le piacevano i miei disegni".
La bambina è il capo della famiglia. E gran parte del suo futuro. A parte il
suo talento per la pittura, riconosciuto il maggio scorso dall'Unicef quando
ricevette a Genova il Premio Arte ed Intercultura Café Shakerato, Rebecca è
dolce, educata e giudiziosa. Mentre parla a ruota libera, come un libro aperto,
i suoi genitori, Stelian, di 43 anni, ex contadino e pastore evangelico, e
Georgina, 37 anni, i suoi fratelli Samuel (17), Manuel (14) y Abel (9), e la
moglie di Samuel, Lazania, incinta di 16 anni, la mirano con un misto di
sorpresa e riverenza, come se fosse un'estranea. In un certo modo lo è.
I Covaciu arrivarono qui di notte. Venivano in treno, un lungo viaggio da
Milano. Giorni prima, alcuni poliziotti
avevano colpito Stelian con dei bastoni. "Mi minacciarono di tornare se li
denunciavo", ricorda. Lo fece, e dovette fuggire.
Ora, mentre prova a superare il panico ed il dolore dei colpi, Stelian, un
uomo che quando parla sembra sul punto di piangere, si dichiara "felice, grazie
a Dio e a questi signori italiani tanto generosi che ci hanno lasciato la loro
casa".
Si riferisce a G. e A., una coppia di media età che risiede a Potenza, il
capoluogo di provincia. "Conosciamo la storia di Rebecca da Internet, e dalla
notte al giorno abbiamo deciso di offrirle rifugio in questa casa che non
usiamo", spiegano. In cambio , una firma di un contratto di affitto gratuito per
un anno. G. e A. preferiscono non essere identificati. "Non vogliamo convertirci
in un prototipo mediatico della famiglia italiana solidale". Però il loro
altruismo ha restituito il sorriso alla prole di Stelian.
La famiglia da cinque anni non dormiva sotto un tetto vero. "A Siria jud Arad
avevamo casa, ma non avevamo pane", spiega Rebecca, "e mangiavamo con
l'elemosina dei vicini. Invece, a Milano i miei genitori non trovavano lavoro",
continua senza drammi, "ed anche lì dovevamo chiedere. Non potevamo andare a
scuola perché non avevamo casa. Però ora mi han detto che potremo andarci".
Per poter accedere alla scuola, i Covaciu devono dimostrare un domicilio
fisso ed essere registrati nel censimento municipale. Precisamente questa è una
delle ragioni che ha invocato il Governo italiano per elaborare il polemico
censimento della comunità romaní. Dei 140.000 gitani che vivono nel paese, la
metà sono italiani e quasi un terzo sono rumeni. Ed il 50% sono minori. Molti di
loro sono senza scolarizzazione.
Come altri compatrioti e fratelli di etnia, i Covaciu attraversarono col loro
furgone l'Ungheria e l'Austria per arrivare a Milano compiendo il rito dell'effetto
chiamata. Dopo alcuni mesi cercando fortuna, senza successo, decisero di
tentare con la Spagna. "Un amico che viveva ad Ávila ci disse che aveva la casa,
i documenti ed il lavoro, però arrivammo tardi. Mandammo i bambini a
scuola, però non trovavamo lavoro. Così andammo a Torrelavega, ci stemmo due
mesi. Tornammo a Milano".
Georgina parla italiano, qualcosa di spagnolo ed un poco di francese. Ha
vissuto anche in Germania. "Fu nel 1990, Samuel nacque lì. Stavamo bene, però
dopo due anni nn ci pagarono il sussidio e ci mandarono in Romania. Anche se si
definisce "metà rom e metà no", ha dieci denti d'oro."Costano solo 10 € l'uno!"
si difende ridendo. "Ce li ha messi un medico di Siria di passaggio a Milano, ora sono di
moda in Romania. L'unica che non vuole metterseli è Rebecca."
Al principio, a Milano, tutto andava più o meno bene, ricorda la ragazza: "Ci
costruimmo una capanna con cartone e plastica sotto un ponte del Giambellino".
Era un piccolo insediamento illegale dove vivevano altre cinque famiglie di
Timisoara. "Per mangiare, chiedevamo al mercato degli antiquari. Solo un paio
d'ore, perché i bimbi potessero mangiare", assicura la madre abbassando gli
occhi. Come si vede in uno dei disegni di Rebecca, anche lei ha mendicato un
"triste giorno"; suo fratello Manuel, che chiamano Ioni, suonava la fisarmonica.
Un anno fa, Roberto Malini, un dirigente di EveryOne, una giovane OnG per i
diritti umani che segue circa 60 famiglie di origine gitana a Milano, incrociò
la vita dei Covaciu. "Vidi un gruppo di gente che insultava un bambino gitano
molto magro che li guardava terrorizzato mentre teneva in braccio un cane." Era
Abel, il piccolino. "Lo accusavano di aver rubato il cane e volevano linciarlo.
Tentammo di riportare la calma, e nel mentre arrivò sua madre con i documenti
del cane. Lo avevano portato seco dalla Romania".
EveryOne si fece carico delle necessità basiche dei Covaciu quando iniziavano
a capire che una parte del paese andava stancandosi dei gitani. "Noi abbiamo
paura della polizia e facciamo paura agli italiani. E' così", dice Georgina.
Secondo l'ultimo
Eurobarometro sulla discriminazione, gli italiani sono gli europei che,
assieme ai cechi, si sentono più a disagio con i gitani. Un 47% degli
intervistati in Italia afferma di non volere un romaní come vicino. La
sensazione cresce in Europa, anche se la media di intolleranza nella UE dei 27 è
la metà: un 24%.
La paura s'è installata in molta gente per lo meno da otto anni. Già nel
2000, prima delle ultime elezioni vinte da Silvio Berlusconi, la Lega Nord
dell'attuale ministro degli Interni, Roberto Maroni, lanciò una furibonda
campagna contro i romaní usando gli slogan uditi tante volte da quando nell'anno
1400 i gitani arrivarono in Occidente: violano ed assassinano le nostre donne,
rapiscono i nostri bambini, rubano nelle case, non vogliono lavorare ne andare a
scuola.
La litania non includeva dati che aiutassero a completare la fotografia. La
speranza di vita dei gitani che vivono in Italia è di 35 anni. L'indice di
mortalità infantile è 10 volte più alto di quelli dei bambini non gitani.
L'ultimo rapimento di un bimbo per mano di un gitano fu registrato in Italia nel
1899.
"Scese la strategia dell'odio e diede molti voti alla Lega ed alla destra",
ricorda Malini. "I gitani passarono dall'essere una molestia a
convertirsi nel centro dell'emergenza sicuritaria. Ora, la consegna
ufficiale è salvare i bimbi gitani dai ratti e dallo sfruttamento dei loro
genitori. Per conseguire questo obiettivo tanto lodevole vale tutto: che la
polizia li accusi, applicare ordinanze discriminatorie come quella delle
impronte digitali, incluso sottrarre bambini alle famiglie accusandoli di
mendicità o furto per portarli al Tribunale dei Minori. Abbiamo denunciato al
Parlamento Europeo vari casi a Napoli, Rimini e Firenze. Chi ruba i bambini a
chi?".
Un'altra opzione consiste nel demolire le baracche illegali e invitare gli
abitanti a tornare nel loro paese. Il 24 aprile, il governatore della Lombardia
inviò le scavatrici nel quartiere milanese del Giambellino con un gruppo di
polizia anti sommossa. Il mini accampamento dove vivevano i Covaciu fu reso
sgombero in un minuto. "Fu un'evacuazione brutale", ricorda Malini. "Li
obbligarono ad uscire dalle baracche e li posero in fila a contemplare la
distruzione". Rebecca: "Ci dissero che non potevamo raccogliere le nostre cose
perché con il nuovo Governo non potevamo restare in Italia". I Covaciu e altre
cinque famiglie persero tutto. "Restammo alcuni giorni dormendo nella Casa della
Carità e Roberto ci mandò a Napoli", aggiunge.
Mentre il treno arrivava al sud, una turba organizzata dalla Camorra
attaccava e bruciava gli accampamenti di Ponticelli, dove vivevano 700 persone.
"Dormimmo in una scuola, c'erano molti rumeni", ricorda Rebecca. "Le donne
raccontavano di aver avuto molta paura. Si avvicinava gente alle finestre e ci
gridava: 'Fuori di qui, zingari, tornate al vostro paese!".
Nuovo ritorno a Milano, Rebecca continua a disegnare, il Governo annuncia le
misure di emergenza rifiutate questa stessa settimana dal Parlamento Europeo.
Oltre alle principesse e alle spiagge immaginate, la ragazza dipinge la sua vita
reale. Ritratti di emarginazione, la diaspora, la mendicità. EveryOne li
presenta al premio Unicef. Tra 150 candidati, Rebecca vince con I ratti e le stelle.
"Prima disegnai Roberto, mi disse che ero un artista. Ne feci un altro, lo mise
nella sua pagina web e mi diedero il premio e questa medaglia".
I media la convertono per un giorno nella "piccola Anna Frank del popolo
gitano". I suoi disegni viaggiano all'esposizione collettiva Psiche e catene,
inaugurata il Giorno dell'Olocausto a Napoli. E sono ricevuti come testimonianza
contro la segregazione razziale nel Museo di Arte Contemporanea di Hilo delle Hawai.
Dopola fama effimera, i Covaciu installano la loro tenda nella zona di San
Cristoforo. Una mattina, dieci giorni fa, arrivano degli uomini alla tenda e,
senza dire parola, iniziano a picchiare Ioni e Rebecca. Il padre tenta di
difenderli e anche lui le prende. L'OnG decide di raccontarlo alla stampa. Due
auto della polizia arrivano sul posto. "Erano gli stessi del giorno prima, ma
questa volta portavano l'uniforme", dice Rebecca. "Mi misi nella tenda è mi
coprii con la coperta, i poliziotti presero papà ed iniziarono a picchiarlo. Lo
sentivo gridare molto forte".
"Trauma cranico per aggressione". Questo dice il referto medico, che il
pastore evangelico ricevette al pronto soccorso. Lì lo visitarono altri
poliziotti. Il messaggio era chiaro: "Se denunci, torneremo". Covaciu decide di
denunciare. Questo suppone andarsene dalla città, allontanarsi, nascondersi. Qui
appare la coppia di Potenza. "Quando lo Stato maltratta così la gente, quel che
segue è che cresce la solidarietà", medita il signor G.
I Covaciu arrivarono di notte a questa preziosa zona d'Italia. A soli due km.
c'è un paese tranquillo, una scuola rurale ed un curato, don Michele. "La storia
dei Covaciu prova che non abbiamo una politica d'integrazione", spiega. "Tutto
dipende dal volontariato della gente. Come la Bibbia è una storia di
emigrazione, Dio non ha paura".
Rebecca si congeda regalando disegni a tutti.
- Che farai da grande?
- Voglio curare i bambini poveri e fare la pittrice.
- E credi che in Europa ci sia razzismo?
- Che significa razzismo?
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