Da
L'Unità
di Rachele Gonnelli - I riccioli biondi, gli occhialetti rettangolari un po' scesi sul naso,
italiano perfetto con accento "padano". Quando Eva Rizzin si presenta - "sono
sinta, piacere" - sindaci, assessori, giudici, assistenti sociali rimangono
generalmente a bocca aperta per qualche secondo. È l'antitesi del paradigma che
li vuole tutti "brutti, sporchi e ladri".
Trent'anni, laurea a Trieste in scienze politiche sul suo gruppo etnico - i
sinti di origine tedesca - , master in geopolitica, quattro mesi di stage al
Parlamento Europeo, lavora a Mantova all'osservatorio contro le discriminazioni
finanziato da Comune e Provincia. E fa parte del consiglio direttivo della
Federazione "Rom e Sinti Insieme", una nuova organizzazione che raggruppa 22
associazioni di diverse comunità di rom e sinti, appunto, che si pone il
problema di una nuova interlocuzione con le istituzioni, più fondata sulla
partecipazione e la rivendicazione dei diritti finora negati che sulla gestione,
un po' magmatica, dell'esistente. "Finora - spiega lei - in Italia non si sa
bene come siano stati impiegati i fondi, a parte per la bonifica dei campi, ma
tutti gli interventi che ci sono stati avevano comunque un approccio
assistenzialista. Lavorando a Bruxelles e avendo modo di confrontare realtà
diverse, dove l'integrazione funziona, è chiaro invece che a determinare
l'efficacia dei progetti è sempre la responsabilizzazione".
Responsabilità. Per molti il problema è quello della legalità.
"La nostra realtà è molto eterogenea. Ci sono i rom che sono arrivati in Italia
intorno al XIV secolo e sono italiani, con cognomi italiani, e votano, come il
nostro presidente Nazareno Guarnieri. E ci sono moltissimi che, arrivati bambini
durante la guerra nella ex Jugoslavia, vivono qui da decenni senza documenti,
senza permesso di soggiorno o asilo, senza neanche la possibilità di richiederlo
perché magari l'atto di nascita è andato perso o distrutto con gli archivi dei
paesi d'origine. Ci sono i sinti come quelli di Venezia - molti non vivono nei
campi ma hanno casomai il problema del mutuo da pagare - e gli ultimi arrivati,
dalla Romania o dal Kosovo.
È innegabile che ci sono anche ladri e persone che vivono nel sottobosco della
malavita. Anche in Italia non si può negare che ci siano mafiosi e camorristi.
Ma la responsabilità penale è personale, no? Non si può processare un intero
popolo. Enfatizzare solo il lato negativo, appiattire i giudizi senza
verificarli, generalizzando e cavalcando l'onda della paura e soprattutto di una
campagna xenofoba costruita ad arte per trovare un capro espiatorio di fronte
alle mancanze dello stato sociale, alla riduzione di servizi per tutti, come
hanno fatto i mass media più influenti in Italia, è istigazione all'odio. Non è
informazione o libertà di espressione, perché anche quella ha dei limiti e delle
regole".
Si dice che gli zingari non lavorano e non mandano i figli a scuola.
"Trovare un lavoro è difficile per un italiano, figuriamoci per noi. Ci sono dei
lavori tradizionali. Molti bosniaci, macedoni, serbi prima della guerra
lavoravano come giostrai, musicisti, nei mercati dell'usato, nell'edilizia,
anche nelle fabbriche. Ma è difficile riuscire a ricostruirsi una vita dignitosa
quando sei continuamente soggetto a sgomberi forzati o ti rinchiudono in un
campo nomadi. Anche l'accesso alla scuola - per noi fondamentale per migliorare
le condizioni di chi oggi vive nei campi - non è così facile quando parti da una
situazione di degrado. E poi spesso agli insegnanti basta togliere i bambini
dalla strada, contenerli, e non hanno strumenti culturali per insegnare loro
niente, così alla fine vengono solo umiliati e i genitori finiscono per non
mandarceli più. Recentemente, nel '99, sono state riconosciute in Italia 12
nuove minoranze linguistiche ma noi no. Noi chiediamo che venga approvata la
proposta di legge presentata il 2 luglio 2007. E il rispetto della Direttiva
europea 2043 che stabilisce parità di trattamento delle persone al di là della
loro appartenenza etnica".
l'assemblea della Federazione Rom e Sinti
Eppure per integrare i bambini nelle scuole sono stati fatti progetti,
stanziati fondi. Anche a livello europeo, no?
"Strumenti anche finanziari ci sono, nel Fondo sociale europeo. Il presidente
della Commissione Barroso lo ha ricordato. Il problema è la volontà politica e
il sostegno popolare necessario agli amministratori per implementarli. In
Europa, ma anche Toscana, con il progetto "città sottili" e la proposta di legge
sulle decisioni partecipate, che stabilisce percorsi di confronto e
partecipazione delle popolazioni locali, ci sono esempi di buona prassi. Certo
se si vuole mandare a scuola i bambini rom non si può cominciare con il
prendergli le impronte".
Ma adesso le prenderanno a tutti, nel 2010. Anche agli italiani.
"Sì, intanto però per prima cosa prendono le nostre, quelle dei bambini sinti e
rom. Hanno anche detto che non si trattava di una schedatura ma di un
censimento. E che lo facevano per noi, per aiutarci. Poi si sono resi conto di
aver esagerato, di essere sotto i riflettori dell'Europa, e hanno cercato di
correggere. Ma la sostanza di una politica discriminatoria e razzista non
cambia. A Napoli tre giorni fa dalla Prefettura fatto girare un questionario in
cui si doveva indicare l'appartenenza etnica e religiosa. Poi non ci si può
meravigliare se le popolazioni insorgono, danno fuoco ai campi".
Pubblicato il: 17.07.08