Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 23/05/2008 @ 09:26:01, in musica e parole, visitato 1668 volte)

Il musicista Rom Manouche, Django Reinhardt, nacque nel gennaio 1910 nei pressi del paese belga di Liverchies e morì il 16 maggio 1953 per un'emorragia cerebrale mentre rientrava a casa sua a Seine-et-Marne en Francia, dopo un tranquillo giorno di pesca.

Mezzo secolo ed un lustro. E' il tempo che è già passato dalla morte dell'illustre chitarrista jazz  di origine gitana che, oltre a rivoluzionare il tocco dello strumento prima che si iniziasse ad utilizzare l'amplificazione, fu il primo in Europa che esercitò un'influenza simile a quella dei grandi artisti statunitensi. Più che morte, sparizione fisica: il suo tocco permarrà eternamente.

Jean Baptiste crebbe in un accampamento gitano situato ai margini di Parigi, a lato delle fortificazioni che la circondavano, dove si era trasferita la sua tribù materna quando aveva otto anni, assorbendo la radice gitana che poi mostrerà nella sua musica. Django non possedette mai giocattoli o una vera casa sino a quando non compì vent'anni. Questi Gitani francesi o Manouches erano un mondo a sé stante, medioevale nelle sue credenze e senza rapporti con la scienza moderna. Django crebbe in questo mondo di contraddizioni, con un piede nella grande e moderna città di Parigi e l'altro nella storica vita del Gitano nomade.

Sin da giovane Django si sentì attratto dalla musica. All'età di dodici anni conseguì il suo primo strumento, un banjo regalatogli da un vicino attratto dal suo prematuro interesse per la musica. Rapidamente imparò a suonarlo, copiando dai musici che poteva osservare. Stupì presto gli adulti con la sua abilità con la chitarra e, prima dei tredici anni, iniziò la sua carriera musicale col popolare fisarmonicista Guerino in una sala da ballo nella Rue Monge. Suonò anche con altre bande e musicisti e fece la sua prima registrazione col fisarmonicista Jean Vaissade per la Ideal Company. Dato che al tempo Django non sapeva ne leggere ne scrivere, il suo nome in queste registrazioni apparve come "Jiango Renard".

Il 2 novembre 1928, all'una di notte, Django ritornava alla sua casa-carovana dopo una notte di musica nel nuovo club La Java. Il caravan era stato riempito di fiori di plastica da sua moglie, che voleva venderli il giorno seguente. Django credette di sentire un topo ed utilizzò una candela per cercarlo. Un poco di cera caduta sopra quei fiori altamente infiammabili bastò a provocare un incendio infernale. Il musicista si avvolse in un mantello per proteggersi dalle fiamme. Tanto lui che la moglie salvarono la vita, però la sua mano sinistra e tutta la parte destra sotto alla cintura rimasero seriamente danneggiate.

Inizialmente i dottori volevano amputargli la gamba, ma Django si oppose. Le cure ricevute furono decisive per salvargli la gamba, ma Django rimase a letto per diciotto mesi. Alla fine erano rimasti contratti verso la palma della mano il quarto e il quinto dito (a causa del calore ricevuto). Nonostante ciò, grazie al suo ingegno, inventò un sistema di digitazione per supplire al problema, che in qualche maniera influì nell'originalità del suo stile. Poteva usare le prime due corde della chitarra per gli accordi in ottava, però l'estensione completa era impossibile. Ciononostante, fu capace di convertirsi in un gigante della chitarra usando unicamente le dita indice e medio.

Secondo alcune fonti, fu durante la sua riabilitazione che Django conobbe il jazz statunitense, quando trovò un disco di Louis Armstrong, Dallas Blues, in un mercato originario di New Orleans. Lavorava nei caffè di Parigi quando nel 1934 il capo dell'Hot Club, Pierre Nourry, gli propose l'idea di formare un gruppo acustico con Grappélli. Così nacque il Quintet of the Hot Club of France, che divenne rapidamente famoso in tutto il mondo grazie alle incisioni per Ultraphone, Decca e HMV.

Con la II guerra mondiale nel 1939 il gruppo si dissolse, lasciando Grappélli a Londra col resto dei musicisti e Django in Francia. Durante gli anni della guerra, guidò una big band, un altro quintetto col clarinettista Hubert Rostaing al posto di Grappélli e dopo la liberazione di Parigi, incise con musicisti statunitensi che arrivavano in Francia come Mel Powell, Peanuts Hucko e Ray McKinley. Nel 1946 Reinhardt cominciò ad usare la chitarra elettrica e realizzò un tour per gli Stati Uniti come solista nell'orchestra di Duke Ellington, anche se non ottenne grande successo. Alcune delle sue incisioni con la chitarra elettrica negli ultimi anni della sua vita sono incursioni nel bop che suonano frenetiche a paragone con l'allegro swing dei suoi inizi. Senza dubbio, a partire dal gennaio 1946, Reinhardt e Grappélli giunsero a capo di varie riunioni sporadiche dove le influenze bop sono più sottilmente integrate nell'antico formato swing. Durante gli anni '50, Reinhardt si ritirò in Europa, suonando e registrando sino alla sua morte, dovuta ad emorragia cerebrale, nel 1953.

Reinhardt rivoluziona il tocco della chitarra nel jazz proprio prima che si iniziasse ad utilizzare l'amplificazione. Sulla base di un basso, due chitarre ritmiche e dell'abituale violino di Stéphane Grappélli, Django sviluppa una musica allegra e straordinariamente flessibile. I suoi concetti armonici furono sorprendenti per la sua epoca e così impressionò musicisti come Charlie Christian e Les Paul; inoltre la sua influenza sullo swing fu decisiva per marcare una linea tra questo e la cosiddetta musica country.

Anche se non sapeva leggere la musica, da solo ed assieme a Grappélli, Reinhardt compose varie melodie originali e di successo come "Daphne", "Nuages", "Manoir de Mes Rêves", "Minor Swing"  e l'ode alla sua compagnia discografica degli anni trenta "Stomping at Decca".

17 de mayo de 2008

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Di Fabrizio (del 23/05/2008 @ 12:06:51, in Italia, visitato 1794 volte)

Ricevo da padre Agostino Rota Martir

Un episodio spettacolarizzato dai mass media, ma dai contorni ancora incerti - una ragazza rom di 16 anni accusata di aver tentato di portar via, in una situazione inverosimile, una bambina - ha scatenato una reazione furibonda e violenta, un grande e diffuso pogrom, non solo a Napoli ma in tutta Italia, nei confronti di rom e sinti.

Di fronte a questo fatto e al clima pesante che si è innescato in questi giorni sulla “sicurezza”, ci preme fare alcune considerazioni:

* Lo svolgimento dei fatti non è ancora chiaro, ma il giudizio sembra essere già stato emesso e la sentenza è stata già eseguita, indiscriminatamente, contro tutti i rom e i sinti. Eppure, dati alla mano, a cominciare da quelli forniti delle forze dell’ordine e dal Ministero degli Interni, nessuna delle numerose e ripetute accuse abituali rivolte a rom e sinti, in questi ultimi decenni, quando sparisce un bambino, ha trovato un riscontro oggettivo; le indagini hanno sempre smentito che siano stati loro, anche se nessuno poi ha detto e scritto che i sospetti e le accuse iniziali erano ingiusti e falsi.

* Non è nei costumi dei rom e dei sinti portare via i bambini a nessuno e l’episodio di Napoli, che sembra smentire questa affermazione, in realtà corrisponde a uno stereotipo che viene abitualmente utilizzato per criminalizzare rom e sinti e che si è rivelato sempre falso: i fatti possono essere stati riferiti malamente dai genitori della bambina, come è avvenuto regolarmente in passato in casi analoghi; può essere stato montato ad arte, per facilitare lo sgombero dei campi e permettere grandi speculazioni; può essere il gesto di una squilibrata, come si è verificato altre volte, in casi in cui sono state coinvolte donne non zingare con problemi personali.

* Presto uscirà una ricerca dell’Università di Verona, ricerca voluta, sollecitata, sostenuta e finanziata dalla Fondazione Migrantes della Cei, che partendo dal pregiudizio che “gli zingari rubano i bambini”, ha voluto analizzare scientificamente tutti i casi di denuncia nei confronti di rom come presunti responsabili di questo reato.

In questo modo, si è potuto accertare che, negli ultimi vent’anni, non c’è stato neanche un caso di bambini che siano stati rapiti da rom o sinti, a fronte di centinaia di casi di loro figli portati via con estrema facilità, superficialità e spietatezza dai Servizi sociali, per affidarli, per lunghi periodi e più spesso in modo definitivo, a istituti e a famiglie del tutto ignari della loro cultura, col risultato di creare dei bambini e, poi, degli adulti traumatizzati e disadattati, non più rom, ma impossibilitati a diventare come noi. Non si vuole prendere in considerazione che anche i bambini rom siano affezionati ai loro genitori e questi a loro e che la separazione temporanea o definitiva che sia, rappresenti anche per loro e non solo per i sedentari, una sofferenza indicibile e di difficile superamento, dato che non hanno, per l’età, gli strumenti per metabolizzare questa perdita totale della propria famiglia.

I motivi sostanziali per cui tanti bambini rom e sinti vengono sottratti così di frequente, ai loro nuclei familiari è che si tratta di famiglie povere, che vivono secondo modelli di vita, culturali, educativi, abitativi, diversi dai nostri. Queste diversità culturali e queste condizioni economico-sociali, vengono interpretate, per mancanza assoluta di conoscenze e di rispetto, da parte dell’assistenza sociale, delle istituzioni, della magistratura e dell’opinione pubblica corrente, come forme di maltrattamento, di disinteresse, di sfruttamento dei minori, di inciviltà e di mancanza di amore da parte dei genitori. E’ da questa lettura pregiudiziale del mondo e dei modi di vita dei rom, oltre che dalle pressioni di un’opinione pubblica sempre più insofferente verso gli stranieri e le diversità, che le istituzioni giungono sistematicamente alla conclusione di dover “fare il bene” di questi bambini, togliendoli dal loro ambiente e dando loro un’abitazione, un’educazione e un ambiente “civili e normali”. Ma in questo modo si interviene, disastrosamente, sugli effetti e non sulle cause, perché non si parte dalla presa d’atto, dalla conoscenza e dal rispetto delle diversità culturali e non ci si propone, salvo rare eccezioni, di sostenere e aiutare queste famiglie e questi gruppi “diversi” a superare le difficoltà della povertà e la marginalità escludente a cui sono condannati da una società pregiudizialmente ostile, che considera normali e leciti solo i propri modelli culturali e incivili quelli degli altri.

* Il clima xenofobo che si è andato diffondendo, in questi anni e particolarmente nell’ultimo, si è scaricato soprattutto su rom e sinti, facendoli diventare il capro espiatorio delle nostre insicurezze, ansie e paure. Ma se c’è oggi insicurezza, è quella che riguarda soprattutto loro, sono loro che vivono oggi nella massima precarietà, nel pericolo e sotto costante minaccia di aggressioni violente, di espulsioni, di sempre maggiore marginalizzazione. Sono i loro bambini che vivono nella paura e nel terrore, che vengono svegliati nel cuore della notte per essere cacciati via dai campi sosta dalle forze dell’ordine o dalle molotov di chi non li vuole nel proprio quartiere, come dimostrano le vicende, gli incendi e le devastazioni ripetuti di vari campi di Napoli e in particolare di quello di Ponticelli.

* Il supposto tentativo di rapimento è diventato il pretesto e l’occasione, nell’attuale clima xenofobo, per cercare di risolvere alla radice, in modo etnico e razziale, il problema dei rapporti con le comunità di sinti e rom, in quanto si pretende di imputare un reato, tutto da verificare e, comunque, sempre personale, a un intero popolo.

Nessuno oggi potrebbe considerare lecito far pagare a una nazione le colpe di un suo membro, ma questo diventa normale quando di mezzo ci sono minoranze come i sinti e i rom o, oggi, anche i rumeni e i cinesi, ieri gli albanesi e i marocchini e ieri l’altro i meridionali. Il crimine di una persona non comporta, in uno Stato di diritto, la perdita da parte dei suoi familiari e dei suoi figli, dei diritti umani fondamentali, come quello all’abitazione o alla residenza, ma, anche in questo caso, il principio non sembra valere per rom e sinti.

I rom non sono un popolo da trattare con leggi speciali e a parte, e la difesa dei diritti umani fondamentali è un valore non negoziabile in nessun momento, perchè ogni persona è sacra e va rispettata al di là dell’età, della cultura, dell’origine, della sua religione, delle sue appartenenze e di quello che, eventualmente, può aver fatto.

* Come Chiese, comunità dei credenti, amanti della vita e di ogni persona dobbiamo dire parole forti e inequivocabili che richiamino i valori del Vangelo, quando minoranze, gruppi, persone deboli non sono rispettate nei loro diritti fondamentali, e dobbiamo denunciare e rifiutare, senza paura, le parole di razzismo e le campagne etniche che armano la violenza di gruppi esasperati per i più diversi motivi (vedi l’omicidio di Verona) e sono fatte proprie, per motivi elettorali e di potere, da chi ci governa e da molte forze politiche. E’ una questione urgente perché il clima di razzismo che si sta diffondendo nella nostra società, in modo tacito e senza trovare resistenze, si insinua anche nel pensiero di tanti cristiani.

* La Chiesa cattolica che nel 1965, attraverso Paolo VI, aveva dichiarato a rom e sinti “voi siete nel cuore della Chiesa”, con le parole di Giovanni Paolo II, durante il Giubileo del 2000, ha chiesto perdono di tanti suoi silenzi; non vogliamo sentirci ancora colpevoli e non vogliamo che ciò accada di nuovo oggi.

Abbiamo negli occhi roulottes bruciate e bambini che piangono e fuggono terrorizzati, ma di fronte a questo stato di cose vediamo solo molta indifferenza ecclesiale, il favore e la connivenza neanche troppo nascosti delle istituzioni, la mobilitazione e l’organizzazione del razzismo, le ronde, i progetti di legge e i provvedimenti speciali contro i rom e i sinti, ma anche contro i cosiddetti extracomunitari e uno scarso impegno della società civile per ricercare i colpevoli di queste violenze e per renderli innocui. Anche se, come credenti, pensiamo a un altro tribunale, più alto, a cui nessuno potrà sottrarsi, quando ci sarà detto: “avevo fame... avevo sete... ero straniero... nudo ... malato... carcerato” e, ancora, ero rom, mendicante, senza lavoro, immigrato clandestino, barbone, lavavetri, ingiustamente sospettato e condannato, cacciato.

Ci auguriamo di poter sentire quanto prima da parte della Chiesa cattolica parole più coraggiose e più ispirate al Vangelo di Gesù, capaci di guidare e di scuotere le comunità cristiane e non solo, perché tutti ritroviamo quei sentieri che abbiamo smarrito, per costruire fraternità nella giustizia e nel rispetto delle vite dei poveri.

Un gruppo di credenti che vivono nei campi sosta, operatori pastorali e amici di rom a sinti.

Don Federico Schiavon – Udine

Marcello Palagi e Franca Felici – Massa Carrara

Padre Luciano Meli – Lucca

Padre Flavio Gianessi – Bologna

Don Agostino Rota Martir – Pisa

Don Piero Gabella – Brescia

Piccole Sorelle di Gesù – Crotone

Fratel Luigino Peruzzo – Bologna

Suor Rita e suor Carla Viberti – Torino

Daniele Todesco e Lucia Lombardi – Verona

Giuseppe Bertolucci e Laura Caffagnini – Parma

Gabriele Gabrieli – Mantova

Vittorio e Gabriella Zanmonti – Vicenza

Daniela Romani – Verona

Ines – Vicenza

Alessandro e Elisabetta Bolzonello – Trento

ADESIONI :

Franca Volonte – Vicenza

Luca Scaldaferro – Vicenza

Don Marco Tenderini – Cinisello B. (MI)

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Di Fabrizio (del 24/05/2008 @ 09:29:08, in Italia, visitato 1505 volte)

Egregio direttore,
di fronte al delirio di un’emergenza costruita ad arte da forze facilmente identificabili per deviare le tensioni sociali su un falso capro espiatorio, si possono trarre alcune interessanti considerazioni dai dati del «Sole 24Ore». Le regioni con maggiori presenze di zingari sono, nell’ordine: Lazio (10.160 zingari); Lombardia (7.157); Piemonte ed Emilia Romagna (entrambe con 3.585); Veneto (4.128); Campania (2.755); Toscana (2.157). Dietro questi dati, si nascondono, tuttavia, realtà assai diverse. Nel Lazio, gli zingari presenti sono quasi tutti stranieri (9.655 su 10.160) e quasi tutti vivono a Roma (9.000). In Lombardia, la situazione è ben diversa: italiani e stranieri sono quasi alla pari (3.365 su 3.795); nel capoluogo vivono due terzi (4.763, di cui solo un terzo italiano), i restanti sono variamente suddivisi nelle altre province, circa 900 a Pavia, quasi tutti italiani. In Piemonte, ci sono 1.904 italiani e 1.681 stranieri, suddivisi abbastanza equamente nelle diverse province: a Torino sono 2.048 e prevalgono gli stranieri, 1.387 contro 661 italiani; mentre nelle altre province prevalgono nettamente gli italiani. In Emilia Romagna (2.990 italiani, 1.295 stranieri), c’è una forte concentrazione a Reggio Emilia, quasi tutti italiani (900 contro 70 stranieri); inversione di tendenza a Bologna (556 stranieri e 183 italiani) e a Parma (259 stranieri e 18 italiani). In Veneto (1.788 italiani e 1.340 stranieri) la distribuzione è abbastanza omogenea, con le parziali eccezioni di Verona (254 italiani e 399 stranieri) e Rovigo (83 italiani e 168 stranieri). La situazione muta nettamente in Campania, con 2.755 presenze (solo 78 italiani), di cui 2.065 a Napoli, tutti stranieri. In alcune città, ci sono significativi insediamenti, con situazioni però assai diverse: Firenze: 768, tutti stranieri; Pescara: 874, 700 italiani e 174 stranieri; Catanzaro: 1.337, di cui 800 stranieri e 537 italiani. La restante popolazione zingara è sparpagliata in molte altre località, con insediamenti che vanno dalle poche centinaia alle decine di individui.
Come si vede, il ‘problema zingari’ può essere circoscritto ad alcune città, dove prevalgono gli stranieri; queste città sono: Roma (9.000), Milano (3.168) e Napoli (2.065). Dunque, se facciamo i ‘conti della serva’, ci troviamo di fronte a meno di 15.000 persone, la cui presenza è distribuita in aree urbane molto vaste. Inoltre, queste poche migliaia di persone, che il governo considera ‘a rischio’, comprendono uomini e donne, vecchi e bambini; gli adulti, quando ci riescono, lavorano; spesso si arrangiano, e solo pochi di loro sono dediti a quelle attività che vengono definite criminali. Ma se fossero veramente criminali, costoro non vivrebbero nei campi nomadi, bensì in posti ben più confortevoli. E se vivessero nei campi nomadi, sarebbero comunque poche decine di persone, che un commissariato di zona potrebbe facilmente controllare senza mobilitare l’esercito, come prospetta l’attuale governo Berlusconi-Bossi.

Queste semplici considerazioni numeriche ci fanno capire che l’‘emergenza zingari’ è una sporca faccenda, alla quale partecipano esponenti politici della destra e della sinistra, in nome di una sicurezza che, secondo loro, non sarebbe “né di destra né di sinistra”. Orbene, in un Paese come l’Italia, dove è passato di tutto, ma davvero di tutto (eccezion fatta per gli eschimesi, forse...), è impossibile stabilire criteri di purezza etnica. Senza andare troppo indietro nel tempo, basta richiamare il periodo della seconda guerra mondiale, quando l’Italia fu invasa da eserciti con soldati di ‘colore’, che hanno lasciato 25.000 figlioli, quelli della bella canzone napoletana «E’ nato niro... niro». Ma ci furono anche i marocchini, i nepalesi, i cosacchi e i brasiliani... Siamo un popolo ‘bastardo’, per nostra fortuna... E come tutti i ‘bastardi’, dovremmo avere una mentalità aperta. E dovremmo capire che tutta questa fetida campagna razzista ha radici sociali, ovvero di classe.
In realtà, questa sporca montatura vuole colpire il settore più debole dei lavoratori migranti, gli zingari, ma è rivolta contro tutti i lavoratori, sia migranti sia italiani. Dare spazio a questa montatura significa consentire che la condizione di precarietà e di sottomissione si estenda a tutti i lavoratori. Questa prospettiva di precarietà e di sottomissione dei lavoratori è dettata dalle esigenze di un sistema economico che fa acqua da tutte le parti e che, per restare a galla, deve accrescere oltre ogni limite tutte le più sanguinarie forme di sfruttamento del lavoro. Per questi precisi motivi, la lotta contro l’assalto razzista agli zingari deve essere combattuta senza alcuna esitazione. Per questi stessi motivi, se siamo sinceri democratici, siamo tutti zingari!

Lunedi 19 Maggio 2008
Enea Bontempi

redazione@varesenews.it

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Di Sucar Drom (del 25/05/2008 @ 09:15:17, in blog, visitato 1611 volte)

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Il caso ha voluto che l´annuncio del "pacchetto sicurezza" coincidesse con la discussione al Parlamento europeo sugli immigrati in Italia, alla quale la maggioranza ha reagito condannandola come una manov...

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Di Fabrizio (del 26/05/2008 @ 09:27:55, in Europa, visitato 1676 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Alcuni dei dispersi del Kosovo sono contenti dell'indipendenza, altri ne hanno paura

19 maggio 2008 - Fonte UNHCR - MITROVICA, Kosovo - I Rom ritornati a Mitrovica dopo essere fuggiti dalla città divisa circa dieci anni fa sono divisi sul futuro a seguito della dichiarazione unilaterale del Kosovo di indipendenza dalla Serbia.

Alcuni dicono di credere che l'indipendenza, annunciata il 17 febbraio, potrebbe migliorare la loro vita in un era di prosperità e lavoro. In contrasto, alcuni dei Serbi dispersi nel territorio, determinati a rimanere in Kosovo, hanno paura di diventare nuovamente bersaglio di violenze etniche.

I membri di entrambe le comunità lasciarono le loro case nel 1999 quando la popolazione maggioritaria di etnia albanese - molti di loro erano scappati da persecuzioni precedenti - ritornò dopo il ritiro delle forze di sicurezza serbe.

A Mitrovica, oltre 8.000 Rom che vivevano nella parte meridionale della città scapparono a nord quando gli Albanesi di ritorno attaccarono il gruppo di minoranza per i loro presunti legami con i Serbi kosovari.

Vissero nei campi in condizione di abbruttimento, ma mentre molti di loro sono ora in Serbia o oltremare, diverse centinaia negli ultimi due anni sono ritornati nelle nuove case costruite nell'area della Mahala Rom di Mitrovica dalla comunità internazionale.

Lindita Gashi* è ritornata nella Mahala con suo marito e quattro bambini lo scorso ottobre dopo anni passati nel campo di spersi di Osterode nel nord Kosovo. La vita era difficile.

Racconta che la loro vita è migliorata dal ritorno a Mitrovica, dove i bambini sono iscritti a scuola, suo marito guadagna di che vivere dalla raccolta di metalli di risulta e uno dei loro bambini può ricevere cure mediche regolari per i problemi di salute dovuti alla permanenza ad Osterode.

Gashi dice di aver accolto con favore la dichiarazione d'indipendenza, mentre la Serbia ha protestato contro il Consiglio di Sicurezza dell'ONU. "L'indipendenza è una buona cosa," dice, aggiungendo che porterà a più investimenti da oltremare e maggiori possibilità di impiego. "Ora spero di ottenere un lavoro come donna delle pulizie nel centro sanitario."

Ma molti dispersi Serbi in Kosovo, che la Federazione Russa, la Cina e molti altri paesi riconoscono ancora come una provincia serba, non sono così ottimisti sul futuro. Nella città meridionale, la famiglia Jovanovic* cerca di vivere una vita possibilmente normale, ma affrontano tempi difficili.

Il padre lavora come autista di bus per le comunità minoritarie, mentre sua moglie bada alla casa e ai due figli. Nonostante i problemi, sono determinati a rimanere in Kosovo e sperano un giorno di potere reclamare l'appartamento nell'altra parte della città che abbandonarono nel 1999. "Il mio desiderio più profondo è di vivere e morire dove sono nata - Kosovo," dice la moglie.

Aggiunge che sperava che l'indipendenza avrebbe significato riconoscimento e protezione per i Serbi dispersi in Kosovo, ma poi dice che alcuni membri della sua comunità hanno paura con l'indipendenza di diventare nuovamente bersaglio di violenze etniche.

L'UNHCR gioca un ruolo cruciale nella protezione delle minoranze in Kosovo, dice Martin Loftus, capo della missione UNHCR in Kosovo. Aggiunge che con cinque uffici sul campo e uno staff di 80 persone, l'UNHCR "è in grado di monitorare efficientemente la situazione delle persone disperse interne, come pure il ritorno delle minoranze."

* Nomi di fantasia per ragioni di protezione e sicurezza

By Peninah Benine Muriithi In Pristina, Kosovo

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Di Fabrizio (del 26/05/2008 @ 09:36:35, in casa, visitato 1571 volte)

Ricevo da Maria Grazia Dicati

Quanto sta succedendo in questi giorni ad un gruppo di rom Kalderash che si spostano nel territorio della provincia di Padova, è la prova tangibile di quanto siano irrealizzabili e strumentali le proposte di coloro che rilasciano dichiarazioni sul fatto che i nomadi non devono diventare stanziali, ma che devono sostare in aree di transito temporanee secondo regolamenti stabiliti.

A dispetto di quanto dichiarato e sbandierato ai quattro venti, ai Rom viene letteralmente impedita la sosta anche per poche ore con ordinanze di sgombero, cartelli di divieto , dissuasori, fossati, transenne…
A nulla servono le loro motivazioni relative alle necessità legate alle tradizioni culturali, né vengono prese minimamente in considerazione le loro legittime richieste ed esigenze di poter incontrare parenti di un determinato territorio.
Il tam tam dei vari amministratori locali li raggiunge prima ancora del loro arrivo e scatta immediatamente l’ordinanza di sgombero, alla faccia del rispetto delle leggi.

A testimonianza di quanto si afferma, riportiamo l’articolo 1 del regolamento e della disciplina degli interventi sulla presenza delle popolazioni nomadi nel territorio Veneto:
Art.1 La Regione Veneto, nel rispetto della legislazione vigente e fatte salve le limitazioni che la legge stabilisce per motivi di sanità e sicurezza, riconosce il diritto al nomadismo ed alla sosta sul territorio regionale e ne disciplina l'esercizio, secondo le modalità previste. (Maria Grazia Dicati)

Ecco una delle cronache del Gazzettino di Padova di Stefania Mastellaro
Dopo lunghe trattative, i nomadi hanno lasciato ieri sera alle 19 Cagnola. Ma hanno fatto poca strada. Sono andati a parcheggiare le loro roulotte a Conselve, in zona industriale. La sosta in questo Comune potrebbe essere davvero breve, visto che già ieri sera il sindaco Antonio Ruzzon ha mobilitato immediatamente le forze dell'ordine e ha emesso un'ordinanza di sgombero immediato. A tarda ora le forze dell'ordine erano ancora impegnate a mediare con i capi della comunità Rom. Il Comune di Padova non ha voluto sentire ragione di nessuna sorta. Il campo di via Longhin, dove i Rom avevano intenzione di recarsi ieri sera, per il momento è "off limits". E a ribadire il concetto ci hanno pensato alcuni agenti della polizia municipale di Padova, che in più riprese si sono recati a Cagnola a controllare la situazione. E a ribadire al capo della "comitiva" che Padova era meglio lasciarla perdere. E così, dopo alcune ore dalla scadenza della ordinanza di sgombero, emanata dal Comune di Cartura, un primo gruppo di circa quindici roulotte e camper ha lasciato Cartura per andare a piazzarsi in zona industriale a Conselve. Il secondo gruppo è partito un po' più tardi, evitando di congestionare il traffico, già di per sé caotico della Conselvana soprattutto nelle ore di punta.
Una giornata a dir poco campale, cominciata ieri mattina di buonora. Il comandante della polizia municipale di Cartura si è recato fin dalle prime ore del mattino a ricordare ai nomadi che alle 13 sarebbe scaduta l'ordinanza di sgombero. All'inizio è cominciata una trattativa, portata avanti dal vicesindaco Romano Terrassan con Sandro Hudorovic, capo di tutta la carovana in sosta. Hudorovic chiedeva tempo, altri due giorni, per poter raggiungere nel fine settimana il campo di via Longhin a Padova e incontrarsi con i loro colleghi per la festa evangelica di fine maggio. Festa che sembra destinata a diventare l'occasione per parlare dei problemi che stanno vivendo le comunità nomadi in questi giorni in tutta Italia. La data ipotizzata per questo megaraduno, al quale dovrebbero partecipare anche nomadi provenienti dai campi di Napoli, Roma, Torino e anche da Spagna, Francia e Germania, sarebbe il 31 maggio. Intanto gli abitanti del paese hanno salutato con soddisfazione la partenza dei Rom.
«Sono stati di parola - ha detto il vicesindaco di Cartura Romano Terrassan, eletto tra le fila della Lega Nord - e hanno lasciato il parcheggio quasi come lo hanno trovato. Consiglio al mio collega di Conselve Antonio Ruzzon di portare pazienza due giorni, e poi e ne andranno anche dal suo Comune».
«Gente senza cuore - ha inveito ieri sera Sandro Hudorovic prima di partire - vorrei sapere cosa vi abbiamo fatto. Chiedete agli abitanti del paese che problemi abbiamo provocato in questi giorni. Noi siamo gente per bene. Lunedì notte abbiamo addirittura sventato un furto nello stabile dell'ex zuccherificio che si trova proprio qui davanti. Ci costringono a partire di sera con ottanta bambini appresso. Noi siamo cittadini italiani, non facciamo del male a nessuno. Cosa possiamo farci noi se alcuni Rom di etnia romena hanno tentato di rubare dei bambini? Anche tra voi italiani ci sono molti delinquenti che violentano i loro figli e picchiano le loro mogli. Noi non abbiamo nulla a che fare con queste persone, siamo brava gente che non dà fastidio a nessuno».
Sandro Hudorovic ieri sera aveva il suo da fare a tenere calmi gli altri Rom, che non hanno accettato di buon grado il fatto di doversene andare da quel posto alle sette di sera.
«La nostra vita è questa - aggiunge Hudorovic attorniato da una decina di bambini che gli girano intorno e che chiedono una foto al nostro fotografo - siamo nati Rom e per nulla al mondo siamo disposti a cambiare. Voi non vivreste mai nelle roulotte, noi mai nelle case». E ora si replica a Conselve.

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Di Fabrizio (del 26/05/2008 @ 11:15:26, in Italia, visitato 1767 volte)

In molti hanno riportato nei loro blog l'appello per una manifestazione a Roma il 1 giugno e stanno chiedendo novità su orari e programma generale.

In attesa di una comunicazione ufficiale, ringrazio "l'incarcerato" che ci ha suggerito questo LINK. Grazie ancora a quanti stanno diffondendo la notizia.

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Di Fabrizio (del 27/05/2008 @ 00:15:26, in Italia, visitato 1519 volte)

Ricevo da Antun Blazevic

Nel momento in cui si abbatte una nuova tempesta di odio sul popolo rom, noi rappresentanti delle comunità presenti a Roma ci appelliamo ai cittadini democratici, alle associazioni di solidarietà, alle forze sociali e culturali, ai partiti democratici, agli organi di informazione alle autorità religiose: non lasciateci soli.
Soli nei nostri campi di miseria, soli nella nostra emarginazione, nei nostri ghetti, soli nella nostra disperazione senza futuro.
Viviamo in mezzo a voi da secoli, molti di noi sono cittadini italiani, altri sono qui da diversi decenni. Abbiamo seppellito qui i nostri padri e qui sono nati i nostri figli.
Siamo finiti nei campi per non dividere le famiglie, noi amiamo i nostri cari, siamo finiti nei campi perché nulla di meglio ci è stato offerto. Vivevamo nelle misere case di Sarajevo, di Mostar, di Vlasenica e di Bucarest e Craiova ora siamo il popolo delle discariche, ma i rifiuti che ci assediano non sono nostri.
I nostri bambini sono stati accolti nelle scuole e ve ne siamo grati. Alcuni ancora non vanno regolarmente e dovremo continuare a sensibilizzare i genitori, ma per tutti, grandi e piccoli, serve almeno una speranza. Poter vedere una luce nel futuro fatto di un lavoro onesto ed una casa.
Non siamo nomadi, non siamo zingari, siamo rom. Abbiamo una storia costellata di persecuzioni, lutti e dolori, abbiamo una cultura millenaria ed una lingua antica.
In questi giorni sentiamo la paura che ci assedia la notte più del giorno quando rimaniamo soli nelle nostre baracche e non sappiamo se presto arriverà anche da noi un bomba incendiaria, una folla inferocita o l’ennesimo controllo della polizia.
Non tutti tra noi sono in regola. Siamo avvolti in una spirale infernale. Non abbiamo lavoro e non otteniamo il permesso di soggiorno. Senza permesso di soggiorno ad un rom nessuno da lavoro. Non resta che arrangiarsi e sperare che domani sia meglio di oggi. I cittadini italiani hanno accumulato tanto rancore verso di noi. Qualcuno di noi non si comporta bene è vero, come è vero che nei quartieri dove riusciamo a vivere in pace con voi sono sempre nate amicizie e fraternità. Mentre oggi qualcuno ha deciso che dobbiamo essere dipinti come la causa principale di tutti i mali dell’Italia.
Alcuni giornali non fanno altro che parlare dei nostri furti e un incidente provocato da un rom ubriaco diviene un fatto di cronaca di cui si parla per mesi. Anche le forze politiche che si sono riconciliate con gli ebrei a noi non hanno mai chiesto scusa anzi ci additano con il peggiore dei mali.
Si sta perdendo la memoria di come sono nati i pogrom e le persecuzioni. Proprio così prendendo a pretesto i comportamenti illegali di alcuni per criminalizzare una intera popolazione.
Chiediamo a cittadini democratici di non lasciarci soli perché i nostri diritti, la nostra dignità vi riguardano. Se le persone infrangono la legge e cominciano a farsi giustizia da soli oggi è toccato a noi, ma domani potrebbe toccare a chiunque, italiano, rom o straniero che sia.
In questo momento, nel momento del dolore si misura l’amicizia e in nome dell’amicizia e della solidarietà che chiediamo a tutti quelli che non ci odiano di sostenerci, di essere uniti. In questo momento non sono ammesse divisioni sulla nostra pelle. Serve il confronto aperto e leale, la solidarietà vera, la ricerca di nuove strade per cambiare la nostra vita.
Per discutere di quali iniziative, per respingere questa marea di odio nei nostri confronti per cercare le risposte adeguate a rilanciare una politica per la nostra dignità per i nostri diritti a vivere, lavorare, abitare, studiare, vi invitiamo ad una assemblea cittadina che si terrà martedì 27 maggio 2008 dalle ore 17.00 presso il CENTRO CONGRESSI CAVOUR, via Cavour 50/a

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Di Fabrizio (del 27/05/2008 @ 08:58:07, in Europa, visitato 2656 volte)

Da Saimir Mile

TESTIMONIANZA ROM - MAI PIU'!!

APPELLO ALLA UE PER TERMINARE LA PULIZIA ETNICA DEI ROM

Noi - individui e membri di vari gruppi cittadini di tutta Europa - condanniamo, nei termini più forti possibili, il recente fallimento delle autorità italiane di proteggere i nostri concittadini e residenti nell'Unione Europea, e per continuare a perpetrare un'atmosfera di xenofobia attraverso commenti politici infiammatori e politiche aggressive verso i migranti. Ci riferiamo agli shoccanti violenti incidenti della settimana scorsa a Napoli (Ponticelli) in cui centinaia di cittadini rumeni (Unione Europea) di origine rom - donne e bambini tra loro - sono stati forzati a fuggire per paura delle loro vite e le loro case distrutte, e altri deportati a forza dalla polizia italiana (vedi i link indicati in calce). Questo pare essere parte di un modello ciclico per cui quando un Rom viene accusato di un crimine, l'intera comunità viene presa a bersaglio di una violenta punizione. Per esempio, nel novembre 2007, un rumeno ritenuto di origine rom fu accusato di delitto. Circa nello stesso periodo in Italia, una giovane donna (di nazionalità britannica, Meredith Kercher) fu pure uccisa, ed una donna americana venne implicata nel caso. Non ci fu un sollevamento degli italiani contro tutti gli americani in Italia. Non vennero bruciatele case degli abitanti americani. La sospettata dell'omicidio fu vista come individuo, e non rappresentava l'intera nazione.

Le recenti azioni contro i Rom Europei ci ricordano le politiche pre-Olocausto visibili in Europa negli anni '30, attività ed azioni in cui il governo di estrema destra dell'Italia sotto Mussolini fu responsabile di scegliere sistematicamente cittadini di origine Ebrea e Romani/Sinti. Lo stesso politiche genocide furono testimoniate in Germania, Austria, Croazia ed in altri stati in cui le politiche fasciste divennero accettabili dalla massa delle popolazioni di questi stati, molte delle quali assistere senza recriminare alla presa di loro simili inviati nei campi. Influenzato dai commenti xenofobi del governo Berlusconi, quasi il 70% degli Italiani hanno affermato in un sondaggio informale della settimana scorsa di voler espellere un'altra volta i Rom dal paese, i semi di un altro Olocausto è stato seminato in Europa.

Noi, cittadini e residenti in Europa, siamo oltraggiati dal silenzio con cui gli intellettuali ed i politici "umanisti" hanno risposto assieme ai pogroms in Europa diretti contro le comunità Romani, stavolta nel "democratico" stato italiano, ironicamente tra gli originali fondatori membri della Comunità Europea.

Riguardo a ciò, vorremmo enfatizzare le lodevoli affermazioni della ministra spagnola, Maria Teresa Fernandez de la Vega, come contro esempio al relativo silenzio di parte degli altri governi europei.: "Il governo [di Spagna] rigetta la violenza, il razzismo e la xenofobia e non appoggia quanto sta succedendo in Italia... non appoggiamo la politica delle espulsioni senza il rispetto per la legge ed i diritti, od azioni che esaltano la violenza e la xenofobia.
L'Europa ha percorso una lunga strada dal proprio Medio Evo per superare il flagello del proprio anti-Semitismo; similarmente, alla leadership europea è richiesto in quest'ora critica di superare secoli di profondamente corrosivo anti-Ziganismo di questo continente.

Quindi chiediamo ai corpi responsabili dell'UNIONE EUROPEA ed al PARLAMENTO EUROPEO di prendere azione immediata e concreta nei seguenti modi:

A) Censura Politica dell'attuale governo italiano - un'Aperta e Forte Dichiarazione del Parlamento Europeo e dell'Unione Europea che la violenza diretta alle comunità Romani è inaccettabile e che l'attuale amministrazione ha fallito nel fornire protezione adeguata a concittadini e residenti dell'Unione Europea. Il livello di protezione fornita alle comunità Rom dovrebbe essere uguale a quella attualmente fornita alla minoranza Ebrea d'Italia: entrambe nel passato hanno sofferto sotto il regime fascista e sono nuovamente vulnerabili oggi. Alle comunità Rom dev'essere assicurato che non saranno considerate capro espiatorio e non soffriranno di pulizia etnica come le autorità italiane hanno permesso in tempi recenti. I sopravissuti all'Olocausto ed i loro discendenti non devono più - come tutti gli appartenenti all'umanità - essere soggetti a pratiche genocide in Europa.

B) Creazione di un COMITATO DI CRISI E MONITORAGGIO sulle attuali violenze dirette alle comunità vulnerabili di immigrati e migranti in Italia - in particolare le comunità Rom. Questo comitato potrebbe essere formato sotto gli auspici del Parlamento Europeo, e dovrebbe essere composto da rappresentanti eletti dalla comunità Rom tra i suoi membri. Questo Comitato di Crisi Europeo avrebbe tra i suoi compiti non solo il controllo degli sviluppi della crisi attuale, ma anche di registrare se il governo Italiano sta conducendo le proprie indagini - sui recenti crimini di squadre di vigilantes che hanno bruciato i rifugi dei residenti Rom - con imparzialità ed obiettività. Inoltre, il comitato dovrebbe esprimere le proprie raccomandazioni su come migliorare la situazione nei media e sull'inclusione a lungo termine dei gruppi esclusi di migranti ed immigrati, che questo diventi una priorità dello stato Italiano a livello locale, come pure a livello regionale e nazionale. Una valutazione obiettiva dei risultati di queste politiche di inclusione dovrebbe essere resa trasparente.

Da ultimo, questa petizione è un appello globale ai poteri europei ad assumersi la responsabilità per le azioni xenofobe negli stati membri come l'Italia, e costruire ponti di comprensione attraverso il continente, cosicché i 12 milioni di Rom europei - piuttosto che sentirsi "pariah" continuamente sotto assedio in questo continente - possano essere riconosciuti come Europei che hanno dato nei secoli un contributo (non riconosciuto) a questo continente. Questo è un test per il grande "progetto umanista" d'Europa. Crediamo che i leaders europei risponderanno in maniera rapida e concreta a questa sfida.

Per ulteriori informazioni su questo appello, potete contattare PROGRESSIVE ROMA ACTION GROUP (PRAG)

Per ulteriori informazioni sugli eventi in Italia, visitate i seguenti links:

http://www.theaustralian.news....

http://www.independent.co.uk/n...

http://www.iht.com/articles/ap...

http://www.adnkronos.com/IGN/C...

http://www.radioparole.it/en/p...

Firma la petizione

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Di Fabrizio (del 27/05/2008 @ 14:20:49, in scuola, visitato 2414 volte)

Ricevo da Tommaso Vitale

Rom a Catania, dalle scuole alle ruspe
di Claudia Campese

Sgombrato il campo di zia Lisa. Il direttore della Caritas protesta: «Non avevano commesso reati, li hanno mandati via senza motivo». Che ne sarà ora del progetto di integrazione avviato con alcuni presidi?

“Perchè i cani randagi vengono portati al canile e dovrebbe essere loro assicurata assistenza veterinaria e un ambiente igienico, e loro vengono trattati così?”. A parlare è Padre Valerio Di Trapani, direttore della Caritas Diocesana di Catania, e l'oggetto del discorso sono i rom del campo nomadi di Zia Lisa, sgomberato in questi giorni.

Molte sono le perplessità sulla vicenda. “Giorni fa”, racconta Padre Valerio, “sei agenti in borghese si sono presentati al campo, dicendo ai nomadi di sgomberare entro tre giorni”. Ovviamente nessuna spiegazione è stata fornita né ai numerosi rom che vivevano nel campo, né alla Caritas, che si è interessata alla vicenda. Neanche la Questura, dove si sono subito recati i volontari della Caritas, ha saputo dare notizie all'associazione: “Ci hanno detto di aver mandato due agenti per effettuare il censimento, ed in effetti due uomini si erano presentati prima; ma i sei agenti che avvertivano dello sgombero a loro non risultavano”.

Sta di fatto, comunque, che alle 23 di sabato sera nel campo sono entrate le ruspe a fare il loro lavoro. “Molti dei nomadi, preoccupati, erano già andati via. Fra sabato e stamattina, comunque, sono andati via tutti”. Uno sgombero pacifico dunque, anzi “sono stati molto più civili di noi. Sono stati cacciati, e loro hanno tolto il disturbo”.

Non una spiegazione quindi e nemmeno un'alternativa è stata fornita agli abitanti del campo. Proprio per questo Padre Valerio tiene a sottolineare che “sgomberi di questo tipo, effettuati senza pensare ai diritti delle persone, non sono un esempio di civiltà. Certe cose possono succedere solo nel nostro Paese, sono una vergogna italiana”. Il direttore della Caritas cita la carta dei diritti dell'uomo e le convenzioni internazionali,“dov'è chiaramente sancita la tutela delle minoranze”.

Il campo rom di Zia Lisa, in particolare, era famoso anche a livello nazionale per un progetto che coinvolgeva i bambini rom e le scuole pubbliche catanesi: molti bambini, infatti, erano stati inseriti negli istituti aderenti, “ottenendo un'integrazione pacifica. Anche i presidi delle scuole coinvolte ne erano molto soddisfatti”. Il progetto era sostenuto dalla Caritas.

Il motivo dello sgombero, come già detto, non è affatto chiaro “in quanto i rom non avevano commesso nessun reato”, ma per Padre Di Trapani la risposta scontata è che sia da attribuire “al clima che si respira in questo periodo dopo i fatti di Napoli, e della stessa Catania”.


Mi scrive Veniero Granacci

COMUNICATO STAMPA Sgombro campo ROM a Catania

Un gravissimo attacco ai principi della solidarietà e della civile accoglienza, valori fondanti della Costituzione e della nostra democrazia, si è verificato a Catania tra sabato ed oggi.

Evidentemente a seguito delle nuove norme di legge varate da Governo Berlusconi mirate, anche con l’introduzione del reato “clandestini” e delle tragiche conseguenze determinate dalla strumentale campagna razzista e di intolleranza costruita ad arte dalle destre, a colpire in maniera indiscriminata e vessatoria gli immigrati, forze di polizia hanno intimato l’immediato sgombro al gruppo costituito da uomini, donne e bambini, circa cento cittadini europei rom romeni, stazionanti da circa due anni nell’improvvisato campo allocato nei pressi del cimitero nella zona del quartiere di Zia Lisa.

In questa maniera, nella nostra città, dopo i precedenti sgombri imposti agli immigrati stazionanti alla Plaia e al Corso Martiri della Libertà, viene drammaticamente negato il fondamentale diritto all’ospitalità e all’accoglienza attiva che, tra l’altro, vengono rafforzati e codificati dai principi della libera circolazione per tutti i cittadini appartenenti alla Comunità Europea, sanciti dal Trattato di Schengen.

Questa operazione di sgombro risulta ancor più nefasta considerato che i bambini presenti nel campo Rom, a seguito della realizzazione di uno specifico progetto di integrazione finanziato dagli Organi europei, frequentavano da tempo le scuole dell’obbligo catanese.

E’ questa, per le dinamiche e per l’assoluta assenza di intenti di civile sistemazione, una vera e propria operazione di pulizia etnica, dato che è stata eseguita contro persone appartenenti alla stessa etnia, che non sono accusati di nessun specifico reato previsto dai nostri regolamenti giudiziari. Operata contro cittadini, che pur di fronte alla totale assenza, da sempre, di appropriato intervento da parte delle strutture amministrative locali , Comune e Provincia ( a Catania non è stato mai realizzato un campo di accoglienza e soggiorno attrezzato con i minimali requisiti abitativi, di servizi e requisiti igienici sanitari), hanno cercato di integrarsi nel territorio, nel tentativo di garantire ai propri figli un futuro migliore.

Nell’esprimere viva solidarietà ai cittadini rom che sono stati forzamene espulsi da Catania, ai bambini strappati dalle loro scuole, muoviamo un forte e civile appello a tutti i cittadini democratici, alle organizzazioni sociali, sindacali, di volontariato e di società civile, alle strutture ecclesiali, per attivare tutte le urgenti prese di posizioni e le iniziative atte a dimostrare sdegno e disapprovazione.

Catania, come espressamente sancite dalle specifiche norme dello Statuto Comunale, deve immediatamente rendere operative tutte le necessarie e concrete iniziative per rendere esecutivi i primari principi di accoglienza e solidarietà.

Toti Domina - Candidato Sindaco Catania per la Lista “Liberare Catania”

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