Ricevo da padre Agostino Rota Martir
Un episodio spettacolarizzato dai mass media, ma dai contorni ancora incerti
- una ragazza rom di 16 anni accusata di aver tentato di portar via, in una
situazione inverosimile, una bambina - ha scatenato una reazione furibonda e
violenta, un grande e diffuso pogrom, non solo a Napoli ma in tutta Italia, nei
confronti di rom e sinti.
Di fronte a questo fatto e al clima pesante che si è innescato in questi giorni
sulla “sicurezza”, ci preme fare alcune considerazioni:
* Lo svolgimento dei fatti non è ancora chiaro, ma il giudizio sembra essere già
stato emesso e la sentenza è stata già eseguita, indiscriminatamente, contro
tutti i rom e i sinti. Eppure, dati alla mano, a cominciare da quelli forniti
delle forze dell’ordine e dal Ministero degli Interni, nessuna delle numerose e
ripetute accuse abituali rivolte a rom e sinti, in questi ultimi decenni, quando
sparisce un bambino, ha trovato un riscontro oggettivo; le indagini hanno sempre
smentito che siano stati loro, anche se nessuno poi ha detto e scritto che i
sospetti e le accuse iniziali erano ingiusti e falsi.
* Non è nei costumi dei rom e dei sinti portare via i bambini a nessuno e
l’episodio di Napoli, che sembra smentire questa affermazione, in realtà
corrisponde a uno stereotipo che viene abitualmente utilizzato per
criminalizzare rom e sinti e che si è rivelato sempre falso: i fatti possono
essere stati riferiti malamente dai genitori della bambina, come è avvenuto
regolarmente in passato in casi analoghi; può essere stato montato ad arte, per
facilitare lo sgombero dei campi e permettere grandi speculazioni; può essere il
gesto di una squilibrata, come si è verificato altre volte, in casi in cui sono
state coinvolte donne non zingare con problemi personali.
* Presto uscirà una ricerca dell’Università di Verona, ricerca voluta,
sollecitata, sostenuta e finanziata dalla Fondazione Migrantes della Cei, che
partendo dal pregiudizio che “gli zingari rubano i bambini”, ha voluto
analizzare scientificamente tutti i casi di denuncia nei confronti di rom come
presunti responsabili di questo reato.
In questo modo, si è potuto accertare che, negli ultimi vent’anni, non c’è stato
neanche un caso di bambini che siano stati rapiti da rom o sinti, a fronte di
centinaia di casi di loro figli portati via con estrema facilità, superficialità
e spietatezza dai Servizi sociali, per affidarli, per lunghi periodi e più
spesso in modo definitivo, a istituti e a famiglie del tutto ignari della loro
cultura, col risultato di creare dei bambini e, poi, degli adulti traumatizzati
e disadattati, non più rom, ma impossibilitati a diventare come noi. Non si
vuole prendere in considerazione che anche i bambini rom siano affezionati ai
loro genitori e questi a loro e che la separazione temporanea o definitiva che
sia, rappresenti anche per loro e non solo per i sedentari, una sofferenza
indicibile e di difficile superamento, dato che non hanno, per l’età, gli
strumenti per metabolizzare questa perdita totale della propria famiglia.
I motivi sostanziali per cui tanti bambini rom e sinti vengono sottratti così di
frequente, ai loro nuclei familiari è che si tratta di famiglie povere, che
vivono secondo modelli di vita, culturali, educativi, abitativi, diversi dai
nostri. Queste diversità culturali e queste condizioni economico-sociali,
vengono interpretate, per mancanza assoluta di conoscenze e di rispetto, da
parte dell’assistenza sociale, delle istituzioni, della magistratura e
dell’opinione pubblica corrente, come forme di maltrattamento, di disinteresse,
di sfruttamento dei minori, di inciviltà e di mancanza di amore da parte dei
genitori. E’ da questa lettura pregiudiziale del mondo e dei modi di vita dei
rom, oltre che dalle pressioni di un’opinione pubblica sempre più insofferente
verso gli stranieri e le diversità, che le istituzioni giungono sistematicamente
alla conclusione di dover “fare il bene” di questi bambini, togliendoli dal loro
ambiente e dando loro un’abitazione, un’educazione e un ambiente “civili e
normali”. Ma in questo modo si interviene, disastrosamente, sugli effetti e non
sulle cause, perché non si parte dalla presa d’atto, dalla conoscenza e dal
rispetto delle diversità culturali e non ci si propone, salvo rare eccezioni, di
sostenere e aiutare queste famiglie e questi gruppi “diversi” a superare le
difficoltà della povertà e la marginalità escludente a cui sono condannati da
una società pregiudizialmente ostile, che considera normali e leciti solo i
propri modelli culturali e incivili quelli degli altri.
* Il clima xenofobo che si è andato diffondendo, in questi anni e
particolarmente nell’ultimo, si è scaricato soprattutto su rom e sinti,
facendoli diventare il capro espiatorio delle nostre insicurezze, ansie e paure.
Ma se c’è oggi insicurezza, è quella che riguarda soprattutto loro, sono loro
che vivono oggi nella massima precarietà, nel pericolo e sotto costante minaccia
di aggressioni violente, di espulsioni, di sempre maggiore marginalizzazione.
Sono i loro bambini che vivono nella paura e nel terrore, che vengono svegliati
nel cuore della notte per essere cacciati via dai campi sosta dalle forze
dell’ordine o dalle molotov di chi non li vuole nel proprio quartiere, come
dimostrano le vicende, gli incendi e le devastazioni ripetuti di vari campi di
Napoli e in particolare di quello di Ponticelli.
* Il supposto tentativo di rapimento è diventato il pretesto e l’occasione,
nell’attuale clima xenofobo, per cercare di risolvere alla radice, in modo
etnico e razziale, il problema dei rapporti con le comunità di sinti e rom, in
quanto si pretende di imputare un reato, tutto da verificare e, comunque, sempre
personale, a un intero popolo.
Nessuno oggi potrebbe considerare lecito far pagare a una nazione le colpe di un
suo membro, ma questo diventa normale quando di mezzo ci sono minoranze come i
sinti e i rom o, oggi, anche i rumeni e i cinesi, ieri gli albanesi e i
marocchini e ieri l’altro i meridionali. Il crimine di una persona non comporta,
in uno Stato di diritto, la perdita da parte dei suoi familiari e dei suoi
figli, dei diritti umani fondamentali, come quello all’abitazione o alla
residenza, ma, anche in questo caso, il principio non sembra valere per rom e
sinti.
I rom non sono un popolo da trattare con leggi speciali e a parte, e la difesa
dei diritti umani fondamentali è un valore non negoziabile in nessun momento,
perchè ogni persona è sacra e va rispettata al di là dell’età, della cultura,
dell’origine, della sua religione, delle sue appartenenze e di quello che,
eventualmente, può aver fatto.
* Come Chiese, comunità dei credenti, amanti della vita e di ogni persona
dobbiamo dire parole forti e inequivocabili che richiamino i valori del Vangelo,
quando minoranze, gruppi, persone deboli non sono rispettate nei loro diritti
fondamentali, e dobbiamo denunciare e rifiutare, senza paura, le parole di
razzismo e le campagne etniche che armano la violenza di gruppi esasperati per i
più diversi motivi (vedi l’omicidio di Verona) e sono fatte proprie, per motivi
elettorali e di potere, da chi ci governa e da molte forze politiche. E’ una
questione urgente perché il clima di razzismo che si sta diffondendo nella
nostra società, in modo tacito e senza trovare resistenze, si insinua anche nel
pensiero di tanti cristiani.
* La Chiesa cattolica che nel 1965, attraverso Paolo VI, aveva dichiarato a rom
e sinti “voi siete nel cuore della Chiesa”, con le parole di Giovanni Paolo II,
durante il Giubileo del 2000, ha chiesto perdono di tanti suoi silenzi; non
vogliamo sentirci ancora colpevoli e non vogliamo che ciò accada di nuovo oggi.
Abbiamo negli occhi roulottes bruciate e bambini che piangono e fuggono
terrorizzati, ma di fronte a questo stato di cose vediamo solo molta
indifferenza ecclesiale, il favore e la connivenza neanche troppo nascosti delle
istituzioni, la mobilitazione e l’organizzazione del razzismo, le ronde, i
progetti di legge e i provvedimenti speciali contro i rom e i sinti, ma anche
contro i cosiddetti extracomunitari e uno scarso impegno della società civile
per ricercare i colpevoli di queste violenze e per renderli innocui. Anche se,
come credenti, pensiamo a un altro tribunale, più alto, a cui nessuno potrà
sottrarsi, quando ci sarà detto: “avevo fame... avevo sete... ero straniero...
nudo ... malato... carcerato” e, ancora, ero rom, mendicante, senza lavoro,
immigrato clandestino, barbone, lavavetri, ingiustamente sospettato e
condannato, cacciato.
Ci auguriamo di poter sentire quanto prima da parte della Chiesa cattolica
parole più coraggiose e più ispirate al Vangelo di Gesù, capaci di guidare e di
scuotere le comunità cristiane e non solo, perché tutti ritroviamo quei sentieri
che abbiamo smarrito, per costruire fraternità nella giustizia e nel rispetto
delle vite dei poveri.
Un gruppo di credenti che vivono nei campi sosta, operatori pastorali e amici di
rom a sinti.
Don Federico Schiavon – Udine
Marcello Palagi e Franca Felici – Massa Carrara
Padre Luciano Meli – Lucca
Padre Flavio Gianessi – Bologna
Don Agostino Rota Martir – Pisa
Don Piero Gabella – Brescia
Piccole Sorelle di Gesù – Crotone
Fratel Luigino Peruzzo – Bologna
Suor Rita e suor Carla Viberti – Torino
Daniele Todesco e Lucia Lombardi – Verona
Giuseppe Bertolucci e Laura Caffagnini – Parma
Gabriele Gabrieli – Mantova
Vittorio e Gabriella Zanmonti – Vicenza
Daniela Romani – Verona
Ines – Vicenza
Alessandro e Elisabetta Bolzonello – Trento
ADESIONI :
Franca Volonte – Vicenza
Luca Scaldaferro – Vicenza
Don Marco Tenderini – Cinisello B. (MI)