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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 28/06/2007 @ 09:59:39, in casa, visitato 2360 volte)

Da Les Rroms acteurs

A Puces de Saint-Ouen, la signora Rouillon, sindaca della città, invitava oggi all'inaugurazione del posto Django Reinhardt. Il grande Django suonava regolarmente in questa zona, ed un festival di jazz vi ha luogo tutti gli anni.

Ma Saint-Ouen, è anche la città che espelle i Rroms che vi hanno trovato un tetto, in particolare in un edificio abbandonato dell'EDF. La Sig.ra sindaca, che ha tenuto oggi questo discorso d'apertura, di diversità, di mixité sociale ecc., è la stesso che rifiuta le domande d'istruzione dei bambini rroms. Le famiglie che si sono installate in via Ardoin, nella zona dei bacini, hanno ricevuto la notifica della loro espulsione per lunedì 25 giugno. EDF, proprietaria dei luoghi occupati, aveva chiesto alla sindaca di organizzare una tavola rotonda con la prefettura per trovare una soluzione agli occupanti prima dell'applicazione della decisione d'espulsione. Silenzio radiofonico del lato del comune. I Rroms si sono riuniti giovedì scorso, ma le porte in ferro della sindaca si sono chiuse immediatamente. È il dialogo come concepito dalla Sig.ra sindaca, almeno oltre ai suoi interventi pubblici.

E mentre la cerimonia d'inaugurazione si svolgeva, ecco di fronte alla Sig.ra sindaca i bambini che rifiuta scolarizzare; venuti con animatori dell'associazione Parada, che organizza con loro diverse attività.

Lunedì mattina, questi bambini perderanno forse anche i seminari dell'associazione Parada, se l'espulsione ha luogo e le famiglie si disperderanno a destra ed a sinistra.

Si può lasciare fare?

A quando?

Ecco l'opuscolo che è stato diffuso oggi a Puces de Saint-Ouen:

SAINT-OUEN SIA REALMENTE UMANA ED INTERDIPENDENTE!

NO all'espulsione senza soluzione di rialloggiamento delle famiglie dI via Ardoin!


Siamo un certo numero di famiglie, per la maggior parte rroms, che abitiamo nella zona bacini, via Ardoin. Da alcuni mesi, il nostro luogo di vita è minacciato d'espulsione. Una decisione d'espulsione è stata resa infatti, in particolare a causa di "disordini di vicinanza", disordini inesistenti nei fatti, poiché non abbiamo vicini. Dopo alcuni mesi di calma, abbiamo ricevuto una notifica dell'espulsione che dovrebbe intervenire il lunedì 25 giugno. La sindaca di Saint-Ouen è restata muta dinanzi alla proposta di una tavola rotonda fatta dalla EDF, proprietaria dei luoghi, tavola rotonda alla quale parteciperebbe anche la prefettura. Ha fatto anche l'orecchio di mercante davanti le nostre domande d'istruzione dei nostri bambini, mentre secondo gli insegnanti di Saint-Ouen ci sarebbero 15 posti liberi nel CLIN, classi d'accoglienza per gli allievi non francofoni.

Riconosciamo anche gli sforzi dei servizi della sindaca, ma questi restano minuscoli: casse mobili di rifiuti sono state messe a nostra disposizione ed a volte abbiamo ricevuto abiti. Certamente, ciò ci ha permesso di rispettare meglio il nostro luogo di vita e la città, ma è sufficiente?

Non chiediamo la carità, ma il rispetto della nostra dignità umana. Se l'espulsione venisse ad avere luogo, ci troveremmo nella via con i nostri figli, le nostre persone anziane, i nostri malati... Di conseguenza, chiediamo:

1 Che nessun'applicazione della decisione d'espulsione intervenga senza che una soluzione sia trovata per il nostro rialloggiamento
2 Che la sindaca accetti le domande d'iscrizione dei nostri bambini nelle scuole di Saint-Ouen
3 Che la sindaca chieda luna tavola rotonda con tutti i servizi interessati, per trovare soluzioni durature di rialloggiamento e d'inserimento delle nostre famiglie


Attendiamo dunque una risposta a queste domande e l'apertura di un dialogo con la sindaca, poiché delle soluzioni sono possibili. Ciò che ha funzionato a Saint-Denis, Aubervilliers ed altre città della regione parigina, dovrebbe potere funzionare anche da noi, a Saint-Ouen, città umana ed interdipendente.

Le famiglie della via Ardoin ed i loro sostenitori

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Di Fabrizio (del 28/06/2007 @ 14:17:31, in Italia, visitato 2521 volte)

Di sgombero in sgombero e di campo in campo, anche con un improbabile numero chiuso non faremo molta strada

Che sulla sicurezza ci si giochi ormai la fetta più consistente del consenso dei cittadini non è una gran scoperta, come non lo è il fatto che i Rom costituiscano lo spauracchio per eccellenza.
La destra lo ha sempre saputo e ne ha fatto uno dei cardini della propria agenda politica. La sinistra sembra essersene accorta da poco, ma sta tentando di recuperare il tempo perduto con buona lena.
Proprio sulla presenza dei Rom si sono consumate due svolte politiche a Milano: gli epicentri a poche centinaia di metri di distanza, incrociati gli effetti degli smottamenti.
A Palazzo Isimbardi il Presidente della Provincia tracciava la linea per la prossima lunga campagna elettorale accreditandosi come uomo d’ordine, ancor più di quanto la propria storia già non dicesse. A Palazzo Marino, con una singolare coincidenza di tempi, autorevoli esponenti dell’Ulivo presentavano una mozione che in buona sostanza chiede il numero chiuso per i rom. La mozione, approvata dalla quasi totalità del Consiglio Comunale, non solo segna una svolta per la sinistra ma anche per gli equilibri interni alla maggioranza, poiché questo documento subito sottoscritto e votato da AN e dai duri di Forza Italia, segna la sconfitta della linea dell’Assessore Moioli .
Possiamo ben dire che il tutto risale all’abile mossa del Sindaco di porre al centro dell’agenda politico-mediatica una questione sicurezza non suffragata dai dati; ma sappiamo bene che, come ha diagnosticato Jean Baudrillard, siamo nell’epoca della “sparizione della realtà”. Pertanto da oltre tre mesi l’alfa e l’omega del dibattito pubblico è la sicurezza ed è altrettanto inevitabile che al centro del mirino finisse anzitutto la presenza dei Rom.
Dell’atmosfera che circonda la loro presenza sul nostro territorio, se mai ce ne fosse stato bisogno, abbiamo avuto la conferma con quanto è accaduto ad Opera tra la fine del 2006 e i primi giorni del 2007.
Il problema indubbiamente esiste e da un decennio almeno. Le cause sono note: l’implosione dell’ex Jugoslavia e il collasso del sistema sociale rumeno –entrambi verificatisi nei primissimi anni ’90 del secolo scorso- hanno prodotto un esodo delle popolazioni “zingare” che vivevano in quei due paesi. Ma proprio perché questo fenomeno –che ha subito un’accelerazione dall’1 gennaio scorso quando la Romania è entrata a far parte dell’UE– non è una novità il fatto che venga affrontato come emergenza suscita qualche perplessità. A meno che, data l’indubbia utilità degli spauracchi e degli stereotipi, una situazione tanto deteriorata faccia comodo.
È ormai un decennio che la politica degli sgomberi e la logica dei campi produce una transumanza di disperati per Milano. Ci sono bambini che sono cresciuti tra via Triboniano, via Barzaghi, via Adda, tra baracche, case fatiscenti occupate e campi nei quali le condizioni igienico sanitarie sono peggiori di quelli degli slums di Nairobi e Lagos.
Ci sono generazioni ormai impegnate in un via vai disperato cui assistiamo anche in questi giorni: i nomadi sgomberati una decina di giorni fa da Chiaravalle sono andati in Triboniano, sgomberati da lì sono ritornati alla spicciolata di nuovo a Chiaravalle, suscitando l’ovvia quanto giustificata incazzatura –si tratta di un eufemismo– dei cittadini.
Che fare dunque? Come rispondere ai cittadini giustamente preoccupati?
Il compito di chi governa è fornire soluzioni, e anche un’opposizione responsabile che voglia candidarsi in modo credibile ad amministrare la cosa pubblica non può certo limitarsi a petizioni di principio o sterili sentimentalismi.
Quindi che fare? Si può continuare per un numero indefinito di anni con i campi e gli sgomberi?
Le due svolte politiche di cui parlavamo benché segnino un passaggio di fase, nonché provocare una frattura nel centrosinistra milanese e ridefinire i rapporti di forza all’interno della maggioranza a Palazzo Marino, non sembrano indicare soluzioni. Se non chiedere un numero chiuso di applicazione assai difficile –sia dal punto di vista pratico che da quello giuridico– e invocare spostamenti che non potranno vedere che esiti assai peggiori rispetto a quello già drammatico di Opera sette mesi orsono.
Per il resto, per ciò che conterebbe e che servirebbe, non una parola. Come se i Rom presenti sul nostro territorio fossero ontologicamente votati ad “abitare” nella sporcizia e nel degrado, come se fossero geneticamente portati al crimine e pertanto destinati a “vivere” tra uno sgombero e un campo. Non una proposta su percorsi di integrazione, non una riga sulla decine di migliaia di alloggi popolari che servono a questa città e che in una minima parte, se fossero mai costruiti, potrebbero anche servire a segnare una prima tappa di transito dei Rom in un percorso di inserimento che la grande maggioranza di loro cerca.
Una mozione, una svolta politica, ma soprattutto la parola fine sulle speranze –o illusioni– di poter sottrarre migliaia di persone a quello sfacelo dei campi, a quella condanna, mai pronunciata da alcun giudice, ad un orizzonte in cui ci sono sgomberi e presidi.

Beniamino Piantieri

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Di Fabrizio (del 29/06/2007 @ 09:25:43, in scuola, visitato 2543 volte)

By Marianna Tziantzi - da Roma_Rights

Paraskevoula Sambanis è una bellissima ragazza rom con occhi scintillanti, e domenica è stata protagonista del popolare programma televisivo "Protagonisti" di Stavros Theodorakis. La ragazza undicenne, che vive ad Aspropyrgos nell'Attica occidentale, è l'unica nella sua vasta famiglia che sappia leggere e scrivere. Non vuole maritarsi giovane, ma intende prima terminare gli studi e diventare pediatra. Ce la farà? Forse, se supererà grandi ostacoli.

La vediamo mentre poggia i suoi libri in una piccola tenda issata in un vecchio hangar, questo è il suo studio. Con i libri di testo per terra, Paraskevoula studia a gambe incrociate. A notte, continua al chiarore di una lanterna.

La telecamera vuole catturare gli aspetti più interessanti della vita nell'accampamento rom - le facce espressive, i bambini che giocano all'aperto, l'agitarsi dei corpi con la musica. Ma le immagini soo accompagnate da storie che sono tutto tranne che fotogeniche: storie di povertà, analfabetismo, fogne a cielo aperto, malasanità ed esclusione sociale.

E la scuola?

"La scuola è bruciata," rimarca Paraskevoula casualmente.

E' così, anche se la scuola non è andata a fuoco casualmente. Persone non identificate hanno appiccato le fiamme durante le vacanze di Pasqua ad aprile. Il programma mostra tre containers con le pareti carbonizzate. I tre containers una volta erano la scuola.

Qui è dove Paraskevoula e altri 50 bambini rom avevano le loro lezioni, separati dagli "altri".

Questa è la grande notizia, la sfida per ogni giornalista, ma sfortunatamente mal si coniuga col format di questo tipo di show, che si focalizza sulle personalità, non sulle notizie. Quello che potrà influenzare il futuro della giovane Paraskevoula, viene solo accennato.

La scuola rom fu creata a settembre 2005, per la pressione dei genitori che non volevano i loro figli nella stessa classe dei Rom. Ma precedentemente vennero sfondate le finestre, poi apparvero graffiti offensivi, venne rubato l'impianto di condizionamento, e questa Pasqua sconosciuti assalitori hanno terminato la lista dei sabotaggi.

Quando apre una scuola, chiude una prigione, le voci circolano. Ma cosa succede quando brucia una scuola? La notizia dell'incendio ha impiegato sei settimane per arrivare ai media. Le comunità rom non hanno blogs per pubblicizzare le loro sofferenze.

"Protagonisti" è uno show con la sua specifica attitudine, un passo rapido, un buon lavoro di telecamera e direzione. Si avvicina ai suoi soggetti con sensibilità e tenerezza. In questo caso la ragazzina era un soggetto affascinante, ma non si deve dimenticare che la vita è il protagonista più perfido di tutti.

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Di Fabrizio (del 30/06/2007 @ 09:50:52, in casa, visitato 2476 volte)

Una baraccopoli del Ventunesimo secolo. Nella banlieu di Parigi

Quasi 4mila persone vivono in estrema povertà alla periferia della capitale francese. Ma ottanta persone potranno presto avere una casa vera.

I grandi tendoni della celebre compagnia circense Cirque Du Soleil svettano sulla spianata di Saint-Denis, alla periferia nord di Parigi. Ogni sera centinaia di persone si riuniscono lì dentro per ammirare, naso all'aria, le spericolate ed eleganti acrobazie degli artisti. Nessuno immagina che al di là del recinto metallico che circonda il circo, lo show è ben diverso. Nessuna sfavillante scenografia, nessun costume variopinto, poca spensieratezza e molte preoccupazioni per i 600 gitani che cercano di sopravvivere nella loro misera baraccopoli. E non sono i soli: in tutto circa 4mila persone conducono questa vita ai margini di Parigi. Diverse associazioni cercano di addolcirla almeno un po': Medici del mondo offre assistenza sanitaria, Emmaus e la Fondazione Abbé Pierre si occupa della fornitura di alimenti, mentre ATD Quarto Mondo promuove la lettura.

«Niente contratto di lavoro, se non paghi»

Marco è arrivato in Francia cinque anni fa, dalla Romania. Da gennaio 2007, con l'ingresso del suo Paese nell'Ue, è formalmente un cittadino comunitario, ma ha comunque bisogno di un permesso di lavoro. Ci mostra un contratto preliminare che gli ha preparato una ditta di pulizia vetri. Ma un volontario di origini rumene si dimostra scettico. «È molto difficile – spiega – ottenere un contratto senza pagare una somma di denaro in cambio. Nella maggior parte dei casi il datore di lavoro trattiene la prima busta paga in nome di uno scambio di favori.» Ma Marco ci crede ancora: gli manca solo il certificato di residenza per ottenere il prezioso permesso. Alcune associazioni si occupano di espletare queste procedure burocratiche per i gruppi nomadi del villaggio, come gli zingari. Ma i rumeni sono considerati una comunità stanziale e quindi non possono beneficiare di questo servizio.
La maggioranza dei rumeni che vivono in questi accampamenti di fortuna provengono dalle aree di Arad e Timisoara, nella Romania occidentale. Hanno dovuto lasciare il loro Paese per sfuggire a una vita fatta di miseria e discriminazione.
Una manciata di monete da 5 centesimi è stata impilata in un angolo della capanna in cui vive Maria. In meno di dieci metri quadrati abitano quattro persone. Maria non ha il tempo di spiegarci perché è emigrata in Francia. Ha altre preoccupazioni. «Abbiamo diritto a qualche contributo?» chiede. I volontari le dicono di rivolgersi a un assistente sociale. «Resteremo qui fino a quando non ne avranno abbastanza di noi» dice con voce stanca, mentre si alza per andare a raccogliere dei fiori. Più tardi la incrociamo nella metropolitana: vende mazzolini di fiori a due euro ciascuno.

Chi fa le leggi?

Maria ci assicura che non deve pagare nulla per vivere nella sua capanna, ma un volontario ci spiega che la questione è tabù. In ogni accampamento, infatti, c'è una sorta di capo: generalmente è la persona che si è insediata per prima nell'area. È lui che fa le leggi, risolve le controversie e riceve una sorta di affitto per ogni baracca. A Saint-Denis il Cirque du Soleil ha portato l'acqua fino al campo e ha anche installato dei lavandini. Ma le associazioni danno per certo il fatto che “il capo” fa pagare due euro alla settimana alle famiglie che li utilizzano.

Una nuova casa per trenta famiglie

Non lontano da Saint-Denis il Comune di Aubervilliers ha avviato un programma di integrazione per dare una casa a trenta famiglie. L'iniziativa, sostenuta sia dal Consiglio regionale che da quello locale, mira a smantellare le baraccopoli e ha un costo di 1,2 milioni di euro, di cui solo il 7% proviene dalle casse statali. Si tratta di un progetto innovativo perché associa all'offerta abitativa il rilascio di permessi di lavoro.
Gli operai stanno effettuando gli ultimi ritocchi ai prefabbricati che alla fine di giugno verranno messi a disposizione delle 82 persone coinvolte nel progetto, in maggioranza zingari. «Abbiamo condotto una battaglia con lo Stato durata due anni per ottenere i permessi di lavoro e di residenza per i destinatari, molti dei quali lavorano in nero» afferma il consigliere cittadino Claudine Péjoux.
In attesa di traslocare, Elena Radasanu vive in un caravan preso a noleggio dal Comune di Aubervilliers per un euro al giorno. Come lei decine di altre persone, per un totale di quindici roulotte. Qui le condizioni di vita sono decisamente migliori rispetto a Saint-Denis. Una recinzione circonda il campo e all'entrata un servizio di sicurezza permette l'ingresso solo alle persone registrate. «Siamo tranquilli. Qui non ci sono armi, droga, prostituzione ed è proibito fare affari» spiega Elena. Sposata e con due bambini, è una degli 82 beneficiari del programma di integrazione.


La testimonianza di Elena Radasanu: «Vogliamo soltanto essere una famiglia normale»

In Romania c'era tanta povertà, così un bel giorno io e mio marito decidemmo di venire a cercare lavoro in Francia. Un amico ci trovò un'occupazione nel settore edilizio e il capo ci affittò una soffitta a Versailles. Ma il nostro amico tratteneva il salario di mio marito per pagare i debiti e così decidemmo di andarcene. Affittammo allora un monolocale nel sobborgo parigino di Clichy-sous-Bois per il quale pagavamo una cifra esorbitante: 800 euro. Mio marito continuò a lavorare nel settore delle costruzioni mentre io iniziai a fare la cameriera in un bar portoghese. In questo periodo divenni madre di due bambini. Tutto procedeva abbastanza bene finché il proprietario decise di vendere l'appartamento.
Dovemmo così abbandonarlo e arrivammo al campo nomadi Chemin Vert di Aubervilliers. Il capo non voleva farci entrare perché non siamo di origine gitana, ma quando mio marito sborsò per una roulotte 700 euro accettò. Una settimana dopo, però, un incendio distrusse parte del campo. Costruimmo quindi una baracca, meglio che potevamo, e vivemmo lì per due mesi, fino a quando la polizia non ci sfrattò tutti. Ma eravamo già stati scelti per il programma di integrazione di Aubervilliers. Abbiamo vissuto in una tenda vicino alla Senna per cinque mesi. Finché, lo scorso dicembre, il Comune ci ha fatto traslocare nella roulotte dove viviamo tuttora. Abbiamo a disposizione riscaldamento, acqua, elettricità, assistenza sociale, un indirizzo di posta e un contratto di affitto. L'associazione Emmaus ci ha consegnato un buono per andare ad acquistare dei mobili e io non vedo l'ora di trasferirmi nella nuova casa. Non penso più a tornare in Romania. Entro tre anni vorrei avere una casa tutta mia. Spero anche che i bambini vadano a scuola e che io e mio marito possiamo trovare un lavoro stabile. Come una famiglia normale.

Mariona Vivar Mompel - París - 26.6.2007 | Traduzione: Sara Menegatti Cerlini

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