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Se le soluzioni non sono tali
Di Fabrizio (del 28/06/2007 @ 14:17:31, in Italia, visitato 2522 volte)

Di sgombero in sgombero e di campo in campo, anche con un improbabile numero chiuso non faremo molta strada

Che sulla sicurezza ci si giochi ormai la fetta più consistente del consenso dei cittadini non è una gran scoperta, come non lo è il fatto che i Rom costituiscano lo spauracchio per eccellenza.
La destra lo ha sempre saputo e ne ha fatto uno dei cardini della propria agenda politica. La sinistra sembra essersene accorta da poco, ma sta tentando di recuperare il tempo perduto con buona lena.
Proprio sulla presenza dei Rom si sono consumate due svolte politiche a Milano: gli epicentri a poche centinaia di metri di distanza, incrociati gli effetti degli smottamenti.
A Palazzo Isimbardi il Presidente della Provincia tracciava la linea per la prossima lunga campagna elettorale accreditandosi come uomo d’ordine, ancor più di quanto la propria storia già non dicesse. A Palazzo Marino, con una singolare coincidenza di tempi, autorevoli esponenti dell’Ulivo presentavano una mozione che in buona sostanza chiede il numero chiuso per i rom. La mozione, approvata dalla quasi totalità del Consiglio Comunale, non solo segna una svolta per la sinistra ma anche per gli equilibri interni alla maggioranza, poiché questo documento subito sottoscritto e votato da AN e dai duri di Forza Italia, segna la sconfitta della linea dell’Assessore Moioli .
Possiamo ben dire che il tutto risale all’abile mossa del Sindaco di porre al centro dell’agenda politico-mediatica una questione sicurezza non suffragata dai dati; ma sappiamo bene che, come ha diagnosticato Jean Baudrillard, siamo nell’epoca della “sparizione della realtà”. Pertanto da oltre tre mesi l’alfa e l’omega del dibattito pubblico è la sicurezza ed è altrettanto inevitabile che al centro del mirino finisse anzitutto la presenza dei Rom.
Dell’atmosfera che circonda la loro presenza sul nostro territorio, se mai ce ne fosse stato bisogno, abbiamo avuto la conferma con quanto è accaduto ad Opera tra la fine del 2006 e i primi giorni del 2007.
Il problema indubbiamente esiste e da un decennio almeno. Le cause sono note: l’implosione dell’ex Jugoslavia e il collasso del sistema sociale rumeno –entrambi verificatisi nei primissimi anni ’90 del secolo scorso- hanno prodotto un esodo delle popolazioni “zingare” che vivevano in quei due paesi. Ma proprio perché questo fenomeno –che ha subito un’accelerazione dall’1 gennaio scorso quando la Romania è entrata a far parte dell’UE– non è una novità il fatto che venga affrontato come emergenza suscita qualche perplessità. A meno che, data l’indubbia utilità degli spauracchi e degli stereotipi, una situazione tanto deteriorata faccia comodo.
È ormai un decennio che la politica degli sgomberi e la logica dei campi produce una transumanza di disperati per Milano. Ci sono bambini che sono cresciuti tra via Triboniano, via Barzaghi, via Adda, tra baracche, case fatiscenti occupate e campi nei quali le condizioni igienico sanitarie sono peggiori di quelli degli slums di Nairobi e Lagos.
Ci sono generazioni ormai impegnate in un via vai disperato cui assistiamo anche in questi giorni: i nomadi sgomberati una decina di giorni fa da Chiaravalle sono andati in Triboniano, sgomberati da lì sono ritornati alla spicciolata di nuovo a Chiaravalle, suscitando l’ovvia quanto giustificata incazzatura –si tratta di un eufemismo– dei cittadini.
Che fare dunque? Come rispondere ai cittadini giustamente preoccupati?
Il compito di chi governa è fornire soluzioni, e anche un’opposizione responsabile che voglia candidarsi in modo credibile ad amministrare la cosa pubblica non può certo limitarsi a petizioni di principio o sterili sentimentalismi.
Quindi che fare? Si può continuare per un numero indefinito di anni con i campi e gli sgomberi?
Le due svolte politiche di cui parlavamo benché segnino un passaggio di fase, nonché provocare una frattura nel centrosinistra milanese e ridefinire i rapporti di forza all’interno della maggioranza a Palazzo Marino, non sembrano indicare soluzioni. Se non chiedere un numero chiuso di applicazione assai difficile –sia dal punto di vista pratico che da quello giuridico– e invocare spostamenti che non potranno vedere che esiti assai peggiori rispetto a quello già drammatico di Opera sette mesi orsono.
Per il resto, per ciò che conterebbe e che servirebbe, non una parola. Come se i Rom presenti sul nostro territorio fossero ontologicamente votati ad “abitare” nella sporcizia e nel degrado, come se fossero geneticamente portati al crimine e pertanto destinati a “vivere” tra uno sgombero e un campo. Non una proposta su percorsi di integrazione, non una riga sulla decine di migliaia di alloggi popolari che servono a questa città e che in una minima parte, se fossero mai costruiti, potrebbero anche servire a segnare una prima tappa di transito dei Rom in un percorso di inserimento che la grande maggioranza di loro cerca.
Una mozione, una svolta politica, ma soprattutto la parola fine sulle speranze –o illusioni– di poter sottrarre migliaia di persone a quello sfacelo dei campi, a quella condanna, mai pronunciata da alcun giudice, ad un orizzonte in cui ci sono sgomberi e presidi.

Beniamino Piantieri