Di Fabrizio (del 05/04/2012 @ 09:50:09, in media, visitato 1408 volte)
Sempre di (piccola) cronaca nera si parla, su
"L'esame di guida? Tu paghi e noi lo facciamo al posto tuo", ma per una
volta tanto il giornalista mette la provenienza di tutti gli arrestati, in un
bel quadretto etnico: un tecnico di Foggia già pregiudicato, un fattorino
torinese e due giovani sinti.
Mi resta un dubbio: senza gli ultimi due, sarebbe stata lo stesso una notizia
di cronaca? Ma visto che non so rispondere, mi limito a registrare la cosa.
Questa [ieri ndr] mattina alle 6.30 un vasto incendio ha distrutto metà
campo Rom tra via Bonfadini e via Sacile a Milano. Al momento pare non ci siano
né feriti, né dispersi, ma l'intera area di circa mille metri quadri è stata
invasa dalle fiamme. I vigili del fuoco sono ancora sul posto per domare
definitivamente l'incendio.
Il campo, abitato da centinaia di persone, di cui almeno una settantina sono
minori che frequentano le scuole della zona, era già stato minacciato da una
serie di tentati sgomberi negli scorsi mesi.
Nel primo pomeriggio gli assessori Majorino e Granelli si sono recati in visita
al campo per verificare la situazione.
Foto: Agenzia Fotogramma
Video dal campo di Pellizzone, Karma Mara, Monopoli
Altre foto e notizie raccolte sul posto (le foto
verranno caricate in seguito)
[mercole 001.jpg]
Sentite diverse testimonianze, sembra si possa escludere la causa dolosa.
L'incendio è scoppiato probabilmente per una candela lasciata accesa.
I vigili hanno operato tutta la mattina, inizialmente con una sola autopompa,
poi diventate due ed infine sette quando l'incendio ha minacciato di raggiungere
la sede ferroviaria. Il fuoco ha distrutto circa metà del campo, ma buona parte
delle baracche superstiti sono inagibili perché inondate dal getto degli
idranti, affinché il fuoco non si propagasse. L'area bruciata è stata messa in
sicurezza, perché al suolo ci sono diverse sostanze tossiche. Anche a sera
l'aria era pesante dei fumi tossici.
[mercole 002.jpg]
Qualche ferito, in particolare una madre rimasta ustionata alle braccia nel
tentativo di salvare figli e nipoti dal fuoco. Si è rifiutata di andare al
pronto soccorso ed è stata medicata sul posto in un'ambulanza.
Molti degli abitanti del campo erano già tornati in Romania per le feste
pasquali, sul posto ne rimangono un centinaio circa, che per stanotte si
ammasseranno nella parte superstite del campo. Diversi di loro hanno perso anche
i documenti personali. Oggi in giornata dovrebbe esserci un nuovo incontro tra
gli abitanti e gli assessori per valutare il destino di chi è rimasto e dei
bambini che nel frattempo avevano iniziato a frequentare le scuole.
[mercole 003.jpg]
Dato che il comune non ha fornito alcun tipo di aiuto materiale, durante
tutto il pomeriggio e la sera sono arrivati materassi, coperte, indumenti
raccolti dai volontari del Gruppo sostegno Forlanini ed altri, almeno per
provvedere all'emergenza immediata.
Data la persistente situazione di urgenza (ed anche di tensione) si chiede a
chi voglia contribuire di farlo in modo coordinato con chi sta già provvedendo,
e quindi di mettersi d'accordo con STEFANO NUTINI (333-44.51.206) prima
di portare materiale o generi di conforto.
31/03/2012 - Mercoledì 7 marzo, l'attivista rom bosniaco e fotografo
Dervo Sejdic ha posato per una foto durante l'intervista con l'Associated Press
di Sarajevo.
Dervo Sejdic non ha mai voluto essere presidente. Ma irritato perché gli era
impedito di concorrervi in quanto zingaro, ha deciso di battersi per i propri
diritti "per una questione di principio". Sejdic ha chiesto di correre per la
presidenza durante le elezioni del 2005, ma è stato seccamente respinto dalla
commissione elettorale, in quanto non è "Bosniaco, Croato o Serbo". Appellatosi
alla corte costituzionale, ricevette un rifiuto simile. (AP Photo/Amel Emric)
[...] Jakob Finci è ambasciatore bosniaco in Finlandia e ha detenuto diversi
incarichi per il governo. Ma non può partecipare perché Ebreo.
Tutti e due hanno citato la Bosnia di fronte alla Corte Europea per i Diritti
Umani, per obbligare la nazione a cambiare la sua costituzione, che permette
solo ai Bosniaci musulmani, ai Serbi ortodossi ed ai Croati cattolici di correre
per la presidenza o per la camera alta del Parlamento.
La Carta venne redatta a Dayton, Ohio, dai negoziatori di pace nella corsa
per fermare la guerra di Bosnia 1992-95 che opponeva i tre principali gruppi
etnici uno contro l'altro. Per cercare di fermare i combattimenti, i negoziatori
dovettero elaborare un complicato accordo che escludeva le minoranze.
La costituzione cristallizzò la nazione in due ministati - uno per i Serbi e
l'altro condiviso da Bosgnacchi e Croati - uniti da un governo centrale. Vennero
stabiliti tre presidenti, uno per ognuno dei maggiori gruppi etnici.
Nessuno prestò molta attenzione quando nel 2009 Sejdic e Finci vinsero il
processo. Ma quando l'anno scorso la UE ha dichiarato che applicare quella
sentenza era "una delle precondizioni per richiedere l'adesione alla UE" i
leader di Bosnia sono stati obbligati a tenerne conto e da allora la notizia è
al centro del dibattito nazionale.
Nonostante gli sforzi frenetici per trovare una soluzione e salvare l'offerta
di unire la nazione alla UE, è scaduto il mese scorso un altro termine fissato
dalla corte per i diritti umani, senza che il verdetto fosse attuato. Le
controparti, dice Sejdic, rimangono "a chilometri di distanza le une dalle
altre."
I Serbi si oppongono con veemenza ad una significativa modifica della
costituzione, perché temono che diluisca l'autonomia del loro ministato.
I Bosniaci intendono cambiare la costituzione per consentire alle minoranze
di concorrere alle alte cariche, sperando che così si producano riforme che
rimpiazzino il sistema condiviso con una democrazia unificata.
Anche i Croati chiedono cambiamenti, ma nella direzione opposta: un sistema
condiviso più forte che dia loro più poteri, anche se tra i tre i Croati sono il
gruppo più piccolo.
[... Ricorda Sejdic:] "Mi è stato letteralmente risposto che prima dovevo
cambiare la costituzione e poi riprovare. Sino allora, i Rom non saranno una
-categoria costituzionale-".
Questo è ciò che nel 2009 innestò la causa alla Corte Europea per i Diritti
Umani. Ben presto venne informato che un altro bosniaco, Finci, aveva intentato
una causa simile. Il tribunale di Strasburgo, in Francia, combinò le due cause
passandolo in giudizio l'anno stesso.
Sejdic e Finci divennero eroi per i componenti delle 17 minoranze di Bosnia,
come pure dei figli di matrimoni misti, che lamentavano di essere stati
discriminati per due decenni, nel prendere parte all'elezione per la presidenza
o la camera alta.
Per i politici, sono un mal di testa che non passa.
Non solo devono pensare agli interessi dei rispettivi gruppi etnici, ma anche
alla complessa logica che sta dietro alla sentenza del tribunale di Strasburgo.
Si dovrebbe aggiungere un ulteriore presidente di minoranza ai tre inefficaci
e costosi già esistenti? O dovrebbe esserci un solo presidente, eletto
direttamente dai votanti di entrambe i ministati, un passo verso l'unificazione
tanto temuta dai Serbi?
"Vedi, il diavolo è nei dettagli," dice Krstan Simic, il membro serbo della
commissione parlamentare incaricata di trovare una soluzione.
Se la Bosnia non troverà il modo di risolvere il problema entro le prossime
elezioni nel 2014, potrebbe essere espulsa da Consiglio d'Europa, un ulteriore
battuta d'arresto delle sue prospettive UE.
Nel frattempo, Sejdic continua a spingere. "Amo la Bosnia," dice. "Per questo
l'ho citata in giudizio."
Nel 2010 ha fatto un'altra causa, perché la sentenza del 2009 non era
stata raccolta. Ma questa volta ha chiesto un risarcimento: "Quattro anni di
mancati introiti presidenziali", circa 125.000 euro (160.000 dinari).
Se non gli fosse permesso di concorrere alle elezioni del 2014, chiederà un
ulteriore risarcimento pewr altri quattro anni di mandato presidenziale.
Di Fabrizio (del 03/04/2012 @ 09:56:31, in sport, visitato 1609 volte)
Siamo una associazione sportiva di giovani rom nata sei mesi fa per riuscire
a fare sport per i giovani rom che vivono all' interno del campo rom di Pontina.
Nel più grande insediamento della capitale abitano tre comunità Rom, che
ospitano più di 1.250 persone, tra cui molti adolescenti, ragazzi rom che
vivono da anni nel campo di Pontina e non riescono ad uscire dalla
emarginazione e dal degrado sociale. Nel 2005 furono sistemati "temporaneamente"
nel parco di Decima-Malafede - Castel Romano - dall'amministrazione comunale
dall'ex sindaco Walter Veltroni.
Ma da più di 7 anni i ragazzi non sono mai riusciti a fare sport per stare
bene con altri ragazzi fuori dal campo. Il campo dove noi abitiamo è privo di
mezzi pubblici e situato in una zona che non ha transito ai pedoni. Infatti, per
prendere l'autobus bisogna andare 7 chilometri avanti, una fermata nei pressi
del bar di Monte d'oro e una a Tor dè Cenci, a 17 chilometri da dove abitiamo.
I ragazzi qualche volta giocano a calcio nel campo e a volte può succedere
che si facciano male. Questo perché non abbiamo un campo sportivo dove giocare
nel nostro campo. Ci sono più di 600 ragazzi e ragazze che non fanno sport, ma
più della metà vorrebbe farlo. Ma non riescono perché non hanno un mezzo per
andare a praticare qualche attività sportiva. Ecco perche abbiamo costituito
l'associazione Sporting Rom che vuole promuovere lo sport di
base,la democrazia sportiva e la partecipazione dei giovani rom nello sport,
così da riuscire ad integrasi con altri ragazzi nella società.
L'associazione Sporting Rom nella manifestazione podistica organizzata dall'UISP
il 15 aprile, Vivicittà, parteciperà come organizzatrice della gara non
competitiva di 4 chilometri. Parte del ricavato servirà per contribuire
all'acquisto di un pulmino a 9 posti per accompagnare i ragazzi a fare attività
sportive, visto che sono molti gli impianti sportivi comunali del XII municipio
che vogliono ospitarci.
Per noi rom sarebbe fondamentale avere un pulmino perché siamo convinti che
lo sport sia un importante forma di aggregazione e integrazione.
Di Fabrizio (del 03/04/2012 @ 09:42:33, in Kumpanija, visitato 3563 volte)
Desideriamo invitarvi a partecipare alla serata "LE COMUNITA'
"ZINGARE" E I BEDUINI DELLA PALESTINA" con la proiezione dei
documentari: UP FRONT, Media Sadaa - Alternative
Information Center eJAHALIN - Co-diretto
e prodotto da Talya Ezrahi, Lewie Kerr & Kamal Jafari - Alternative Information
Center - organizzata dall'Associazione La Conta, che ci
sarà, con ingresso libero e gratuito, giovedì 5 aprile 2012 alle 21,00,
alla CGIL - Salone Di Vittorio in Piazza Segesta 4 con ingresso da Via
Albertinelli 14 (discesa passo carraio) a Milano.
Parteciperà all'incontro Gabriella Grasso del Gruppo ISM Milano
(International Solitarity Movement) che presenterà i documentari UP
FRONT e JAHALIN e ci parlerà, tra l'altro, del rischio che corrono i beduini
della Palestina di essere scacciati per sempre dalle valli del deserto tra
Gerusalemme e Gerico ed ERICA RODARI, scrittrice e studiosa,
che coordinerà la serata. Introduce Fabrizio Casavola.
UN FRONT Media Sadaa - Alternative Information Center
Tre donne, di diversa età, luoghi e ambiente, che sono comunque collegate dal
loro potere, dalla loro indipendenza e soprattutto - dalla forte volontà di
creare un cambiamento. Amoun Sleem, una delle tre donne, appartiene ai Domari,
comunità degli zingari di Gerusalemme.
JAHALIN - Co-diretto e prodotto da Talya Ezrahi, Lewie Kerr & Kamal
Jafari - Alternative Information Center
I beduini Jahalin vivono nelle valli del deserto tra Gerusalemme e Gerico,
dediti all'allevamento di ovini e caprini, la loro principale risorsa economica.
A metà degli anni 1990, una decisione del governo israeliano di espandere
l'insediamento di Ma'ale Adumim, ha portato ad una serie di sgomberi che
minacciavano di spostare 3000 persone, forti dalla loro casa nel deserto e
distruggere il loro modo di vita tradizionale. Il film racconta la storia della
loro lotta per rimanere sulla loro terra.
Di Fabrizio (del 02/04/2012 @ 09:51:43, in Italia, visitato 7258 volte)
Quello che segue è un lungo documento, frutto di un'altrettanto lungo e
complesso confronto tra la comunità rom di via Idro 62 (Milano) e le
associazioni ed i volontari della zona, indirizzato al comune di Milano per
affrontare e risolvere una lunga situazione di emergenza, prima di tutto sociale
e personale, ma anche abitativa e lavorativa. Non vi sfuggirà il
particolare di un grande impegno comune dei promotori, per superare oltre ai
ghetti fisici anche quelli mentali, ed ipotizzare soluzioni a vantaggio di tutti
gli abitanti, Rom e no, della zona.
Vi chiediamo di leggerlo con pazienza ed attenzione e, se lo condividete,
comunicare la vostra adesione all'indirizzo mail
info@sivola.net, comunicando anche se l'adesione è personale o a nome di
un'organizzazione.
Il documento verrà presentato in conferenza stampa lunedì 16
aprile alle ore 11.30, c/o la sala consigliare 321 - via Marino 7 - 3° p. MILANO. ABBIAMO
BISOGNO DI RACCOGLIERE PRIMA TUTTE LE VOSTRE ADESIONI. Inoltre, potete
ripubblicare il link sui vostri blog, nelle bacheche di Facebook, su Twitter,
ogni collaborazione è ben gradita.
IL VILLAGGIO SOCIALE E SOLIDALE DI VIA IDRO NEL PARCO DELLA MEDIA
VALLE DEL LAMBRO
Premessa
La rete delle associazioni
Si è consolidata nei nostri quartieri di Crescenzago Gobba Adriano l'esperienza
significativa di una rete di comitati ed associazioni, di scuole e di singoli
cittadini che opera per la qualità della vita urbana, per il dialogo
interculturale e l'integrazione - interazione civile e sociale tra etnie e
culture diverse.
Via Padova, la via del mondo e la sua Festa "Via Padova è meglio di
Milano" esprimono luoghi e manifestazioni esemplari di ricchezza culturale
ed artistica, di ricerca e comprensione del mondo – a partire dai paesi di
provenienza degli immigrati.
La cittadinanza attiva ha saputo, soprattutto negli ultimi anni,
sviluppare un contrasto efficace alle politiche di emarginazione e
colpevolizzazione degli stranieri e delle minoranze rom e sinti da parte delle
amministrazioni della destra leghista e berlusconiana.
Un pool di associazioni, assieme a singoli cittadini, dette vita nel 2009 a un
Osservatorio contro i razzismi, che promosse iniziative ed incontri per
denunciare gli atti più discriminatori di vero e proprio "razzismo
istituzionale". Soprattutto a partire dal pluriennale inserimento scolastico dei
bambini, si sviluppò una specie di rete di protezione attorno alla comunità rom
di Via Idro.
La politica degli sgomberi, il "Piano
Nomadi" e il Campo di transito di via Idro La politica degli sgomberi dei "campi nomadi" e le ossessive direttive
dell'Amministrazione Moratti – De Corato contro i rom diventavano il corollario
di una normativa nazionale, con la quale l'allora ministro degli interni Maroni
mirava a realizzare un "piano nomadi" trasformando il problema di come
migliorare le condizioni di vita e di convivenza dei "campi" in problema di
emergenza dal punto di vista dell'ordine pubblico, e quindi isolandolo con
interventi speciali chiaramente discriminatori e lesivi della dignità
delle persone e del rispetto delle culture diverse. Gli sgomberi rientravano
quindi nel novero delle misure repressive senza soluzioni alternative adeguate.
A ben poca cosa si sono ridotti i pur previsti interventi di aiuto alle famiglie
rom di sistemazione in alloggi popolari o cascine.
Il dato dominante sta nei caroselli di sgomberi a centinaia, nello sradicamento
da luoghi che pur precari e/o degradati consentivano un minimo di vita
identitaria e comunitaria, la frequenza scolastica dei bambini, una qualche
assistenza sanitaria, ecc. Il cosiddetto patto di legalità e il suo
regolamento di attuazione (Milano, febbraio 2009), con il Prefetto avente
funzioni di Commissario straordinario all'emergenza rom, diventavano gli
strumenti attuativi sul territorio del decreto Maroni (2008) – dichiarato
finalmente illegittimo sul piano della tutela dei diritti costituzionali dalla
sentenza del Consiglio di Stato n. 6050 del 16 novembre 2011.
La comunità di Rom Harvati di Via Idro è composta da circa 130 cittadini
italiani - una trentina di famiglie, che vi risiedono dal 1989. E' storicamente
parte integrante dei quartieri di Crescenzago Gobba Adriano.
Nel cosiddetto "Piano nomadi" si prevede che il campo di Via Idro venga
trasformato in "campo di sosta temporanea" e quindi di "transito",
"attraverso il rifacimento infrastrutturale, la messa in sicurezza e
l'ottimizzazione degli spazi, previo allontanamento delle famiglie esistenti"
(sottolineatura nostra).
Tale sciagurata politica peggiora la situazione. I diritti e le esigenze della
comunità dei cittadini italiani rom sono scese all'ultimo posto. Gli abitanti
dei quartieri interessati, molto allarmati per l'eventuale arrivo di centinaia
di altri nomadi, esprimono inequivocabilmente la loro contrarietà a fare di Via
Idro un campo di transito. E raccolgono 8.000 firme, che non si traducono in
manifestazioni di ripulsa razzistica, ma contribuiscono ad allargare e
consolidare la consapevolezza che la questione rom non può essere affrontata
semplicemente sgombrando e spostando le persone.
Nello specifico di Via Idro, diventa sempre più evidente che sarebbe utile e
giusto migliorare le condizioni strutturali dell'area per la comunità ormai
stanziale da circa trenta anni e per la salvaguardia dell'ambiente naturale e
per il miglioramento della qualità della vita dei quartieri. Infatti sarebbe un
segnale negativo, che dopo aver lavorato assieme per decenni sulle tante
questioni connesse alla stanzialità (lavoro, scuola, inserimento nel quartiere,
ad esempio), questi sforzi ed i risultati ottenuti venissero azzerati.
La sconfitta dell'amministrazione PDL/LEGA - Moratti/De Corato e l'elezione del
sindaco Pisapia, il ripristino di un quadro di legittimità costituzionale sulla
questione rom (sentenza Consiglio di Stato) impongono un cambio radicale per una
politica positiva dell'integrazione e dell'interazione civile sociale e
culturale.
La bussola da seguire è la Costituzione, e specificatamente gli artt. 2 e 3 –
purtroppo sottoposti a violazioni continue:
"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e
richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica,
economica e sociale." (Art. 2).
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese." (Art. 3).
In un contesto globale e locale di profonda crisi economica e finanziaria, di
peggioramento delle condizioni generali di vita, di perdita del lavoro, di
aumento della disoccupazione, di ampliamento delle fasce di povertà, si fa ancor
più urgente la necessità di promuovere politiche sociali inclusive, di creare
lavoro e stimolare iniziative di solidarietà e cooperazione.
"Emergenza umanitaria in Via Idro"
Come prevedibile, la situazione del campo di Via Idro è peggiorata in questi
ultimi mesi fino a diventare "emergenza umanitaria" come viene definita dalle
denunce di comitati ed associazioni e da due lettere aperte – una del Comitato
per Milano Zona 2 del 9/12/2011 e l'altra a più voci del 15/12/2011 - inviate al
sindaco Pisapia e agli assessori alle Politiche sociali e alla Sicurezza e
coesione sociale.
Nella lettera aperta del 15 dicembre 2011 (firmata da: Carlo Bonaconsa ,
Comitato Vivere Zona 2; Fabrizio Casavola, redazione di Mahalla; Laura Coletta,
Associazione Elementare Russo; Gabriella Conedera, Scuola Elementare di Via
Russo; Cesare Moreschi, Comitato Vivere Zona 2; Giuseppe Natale, ANPI
Crescenzago; Antonio Piazzi, ANPI Crescenzago; Paolo Pinardi, Martesanadue), il
peggioramento delle condizioni di vita nel campo di Via Idro viene così
descritto:
"…Manca la corrente elettrica da mesi, i frigoriferi non possono funzionare, le
fogne straripano, la strada si allaga. Le persone vivono al freddo. La salute è
seriamente a rischio. Le prime vittime sono i bambini e gli anziani, i più
deboli ed indifesi.
I responsabili dell'amministrazione comunale sono informati, ma inspiegabilmente
non provvedono.
Per i Rom Harvati, cittadini italiani che risiedono da oltre 30 anni in Via
Idro, si sono ulteriormente ridotte le possibilità di lavorare non solo per la
crisi generale, ma soprattutto perchè sono vittime – come altri nomadi e
minoranze etniche – di politiche centrali e locali di discriminazione e di
ingiustizia sociale."
I firmatari della lettera si pongono due preoccupanti interrogativi:
"Si vuole da parte anche della nuova amministrazione di Milano insistere sul
campo di transito in Via Idro, rifiutato sia dalla comunità rom sia da
cittadini, comitati, associazioni, partiti e dal Consiglio di Zona 2?
Perché non si provvede con urgenza a garantire agli abitanti il ripristino delle
condizioni di vita umane e ad approntare un piano di riqualificazione da
inserire in un progetto di valorizzazione del patrimonio ambientale (Lambro,
Martesana, costituendo Parco della Media Valle del Lambro) e della comunità rom,
i cui membri già nel passato hanno dimostrato di potere mettere a disposizione
esperienza e competenza (cooperative per la cura del verde e di lavori
diversi)?"
Si ribadisce poi, da parte dei firmatari , la volontà a farsi "promotori di un
progetto generale di riqualificazione e valorizzazione dell'intera area allo
scopo di migliorare la qualità ambientale e urbana e le relazioni tra i rom e
gli abitanti dei quartieri interessati."
Verso un villaggio rom sociale e solidale
L'area di Via Idro
L'area si colloca in una posizione nevralgica, tra il lungo canale Martesana /
la confluenza col fiume Lambro, la tangenziale est e le abitazioni di Via Padova
/ Gobba. Nel mezzo del costituendo Parco della Media Valle del Lambro, si trova
nel punto di confine dei quattro comuni limitrofi: Milano, Sesto San Giovanni,
Cologno Monzese, Vimodrone. E' attraversata da una pista ciclo-pedonale che, tra
le più lunghe esistenti, collega Milano all'Adda.
Il contesto geo-ambientale ricco di un rilevante patrimonio naturale (acque e
verde) e storico-architettonico (ville del lungo Martesana e cascina Lambro del
XVII sec. in abbandono e degrado) è anche compromesso dal groviglio viabilistico
del nodo di Gobba, dai tralicci degli elettrodotti, dall'inceneritore nel
territorio sestese, dal ripetitore Mediaset di Cologno. Vi incombe la minaccia
di costruirvi residenze abitative sempre secondo la logica delle
cementificazioni diffuse e delle speculazioni urbanistiche. Da oltre 30 anni, è
bloccato dai cittadini e dal Consiglio di Zona il progetto della famigerata
Gronda Nord, un'autostrada in città di attraversamento della fascia
settentrionale dell'area metropolitana milanese già intasata da un sistema
pesante di tangenziali ed autostrade.
Da anni, il fiume Lambro inquinato e ridotto a cloaca aspetta di essere
bonificato e di ritornare a scorrere pulito e a svolgere funzioni importanti in
un ecosistema urbano rigenerato.
L'area è caratterizzata da aspetti e risorse positive e da elementi negativi. Si
tratta di puntare sui primi e di annullare o attenuare i secondi, valorizzando
la comunità rom che vi abita e sviluppando tutte le potenzialità del contesto e
le disponibilità umane sociali e professionali di cui sono ricche associazioni e
comitati della cittadinanza attiva.
Il Villaggio rom di Via Idro e la politica di stampo razzista: le diverse fasi Nell'agosto 1989, l'area di Via Idro viene assegnata ad alcune famiglie di rom -
tutti cittadini italiani - costrette a lasciare gli spazi destinati a formare il
Parco della Martesana, tra Gorla Turro e Crescenzago. Una trentina di famiglie
vi si stanziano dando vita a un villaggio sotto il controllo del Comune di
Milano e attraverso uno specifico Ufficio Nomadi. Erano già presenti
nell'attuale zona 2 da circa 40-50 anni, prima tra Precotto e Crescenzago, in
seguito nell'area compresa tra via Agordat e via Stamira d'Ancona.
Negli anni '70/80 le amministrazioni avevano tentato di promuovere una politica
di integrazione nei confronti dei nomadi creando servizi sociali finalizzati
all'inserimento scolastico dei bambini, all'assistenza sanitaria e
all'orientamento lavorativo.
Nell'ambito dell'impegno politico e sociale e all'interno delle giunte di
sinistra, spicca la figura di Carlo Cuomo, assessore ai servizi sociali e al
decentramento nel decennio 1975/85, che molto si spende a difesa dei rom e si fa
promotore di tante iniziative finalizzate soprattutto alla promozione civile e
sociale delle popolazioni zingare e di etnie e culture altre. Tra i fondatori
dell'associazione Opera Nomadi, lancia poi un'idea di grande attualità, la
Casa
dei popoli e delle culture. In qualità di presidente dell'Opera Nomadi, Cuomo
lavora molto per la comunità di Via Idro e il suo impegno costituisce un esempio
da seguire.
E' soprattutto l'inserimento scolastico dei bambini a raggiungere i migliori
risultati, grazie all'impegno delle maestre e all'apertura dell'istituzione
scolastica.
I primi tentativi di scolarizzazione risalgono alla metà degli anni '80,
progetti pilota che sono poi stati ripresi anche a livello nazionale. Questo fa
si che la frequenza scolastica degli alunni di via Idro sia oggi molto alta,
praticamente il 90%.
L'inserimento dei bambini rom di via Idro nella scuola di Via Russo è stato un
percorso lungo e costellato di difficoltà ma anche di soddisfazioni. Gli
insegnanti e tutto il personale hanno dovuto affrontare nel tempo:
la diffidenza da parte degli altri genitori verso una realtà da sempre
disegnata con pregiudizi e stereotipi;
la paura degli stessi genitori rom di fronte ad un differente modello
educativo e culturale;
l'utilizzo strumentale della scuola come risposta ad alcuni bisogni primari
(alimentazione, salute, igiene);
la scarsa quantità di risorse utilizzabili;
lo svantaggio globale presentato dai bambini e determinato anche da problemi
di bilinguismo sottrattivo.
Il tempo, la reciproca conoscenza, gli interventi al campo, le risposte della
scuola ai bisogni di questa utenza, hanno permesso una collaborazione più attiva
da parte delle famiglie e il crearsi di un rapporto di fiducia senza il quale
nessuna didattica può avere luogo.
Nel 1990 viene fondata da alcuni rom di Via Idro la cooperativa Laci Buti, con
la collaborazione di operatori sociali e tecnici, a cui si affianca nel 1999
nella cooperativa sociale Laci Buti 2, specializzata nei lavori di manutenzione
delle aree verdi e della coltura floreale.
La situazione precipita negli ultimi anni, con l'ultimo governo Berlusconi, per
la recrudescenza della politica discriminatoria nei confronti degli zingari e
degli stranieri in generale. A Milano, l'amministrazione Pdl/Lega si distingue
per l'accanimento contro i campi rom e per la sequela di sgomberi che nel
biennio 2009/marzo 2011 arriva a ben 360! Con tale politica razzistica il
problema non solo non si risolve ma viene in continuazione spostato e riproposto
instillando paura e odio. Diventano enormi i costi morali sociali ed economici.
Basti pensare che ogni sgombero viene a costare tra i 20 e i 30 mila euro! I
costi complessivi oscillano tra i 7 e i gli oltre 10 milioni di euro!...
Con il decreto e le ordinanze del ministro dell'interno Maroni (2008), viene
dichiarato lo stato d'emergenza in Lombardia, Lazio e Campania "in relazione
all'esistenza di comunità nomadi nei rispettivi territori", per la pericolosità
sociale dei campi rom e per la sicurezza dei cittadini!... Eppure si tratta di
un numero molto modesto di Rom e Sinti residenti in Italia: non più di 170 mila
persone, di cui la stragrande maggioranza cittadini italiani e il 40% di minori
di 18 anni; appena lo 0,02% della popolazione, il più basso d'Europa! E a Milano
i nomadi non raggiungono le 2000 unità!
Accanirsi contro queste minoranze è davvero indice di allarmante inciviltà.
I "10-12 milioni di rom europei continuano a essere vittime di gravi
discriminazioni strutturali" viene denunciata con la Risoluzione del 25 marzo
2010 dal Parlamento europeo, che "condanna la recente recrudescenza del razzismo
contro gli zingari" (la "fobia dei rom"!); e chiede alle istituzioni della UE e
ai singoli Stati membri di adottare misure che riconoscano "la piena
cittadinanza e la partecipazione socioeconomica dei rom"; che garantiscano le
"pari opportunità" per l'inserimento scolastico, per " l'integrazione nel
mercato del lavoro", per l'accesso al diritto alla casa; di sostenere " campagne
di educazione pubblica alla tolleranza rivolte alla popolazione non rom e
riguardanti la cultura e l'integrazione dei rom"; che incoraggino "le autorità
locali a fare un uso migliore delle opportunità di finanziamento offerte dai
fondi strutturali per promuovere l'inclusione dei rom, compreso il controllo
oggettivo dell'esecuzione dei progetti"; che riconoscano "l'importanza delle
organizzazioni rom a livello dell'Unione quale elemento indispensabile per
garantire il successo delle politiche di inclusione sociale".
Il 21.10.2010, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa emana una
Risoluzione di condanna dell'Italia per la sua politica di discriminazione dei
rom. Il 16.11.2011, il Consiglio di Stato, sez. IV, con la sentenza n. 6050 annulla
il piano Maroni e abroga le tre ordinanze del 30.5.2008 di dichiarazione dello
stato di emergenza in Lombardia, Lazio, Campania.
In Via Idro la situazione peggiora nonostante che nel gennaio 2008 la Casa della
Carità vinca la gara d'appalto e, secondo la convenzione, diventi "gestore" del
campo. Occorre chiedersi come mai non hanno funzionato il centro polifunzionale,
il presidio sanitario, lo sportello lavoro. La cooperativa non ha più avuto
commesse lavorative. E la serra di 270 mq è fuori uso. Forse perché l'obiettivo
prioritario era (ed è ancora?) quello di smantellare il campo stabile per la
comunità storica e trasformarlo in "campo di sosta" o di "transito"?
Un percorso fattivo e condiviso
Eterogeneità e specificità delle soluzioni
Nell'affrontare la questione rom occorre tenere conto che in tutta Italia, come
nella stessa Milano, le comunità presenti sono diverse per storia, tradizioni,
presenza, integrazione, bisogni. Non esistono quindi a nostro giudizio soluzioni
standard replicabili automaticamente.
Quindi gli scriventi non intendono sottoporre proposte universali, ma che siano
invece ragionate sullo specifico delle persone e della zona coinvolte, che siano
gestibili, che facciano salvo il principio della coesione sociale. Se poi questo
può dar vita ad una discussione più generale sulla mediazione e gestione di
situazioni simili, non possiamo che esserne fieri.
Come nel passato, quando i campi sembravano l'unica soluzione per Rom e Sinti,
nei ragionamenti attuali sul loro superamento, c'è un vizio di forma. Rom e
Sinti non sono stati consultati allora e, ancora oggi, nessuno sente il dovere
di discutere assieme a loro le soluzioni che riguarda in prima istanza il loro
futuro.
Se i campi sono ghetti istituzionalizzati, ci poniamo alcune questioni:
la vera discriminazione è sempre stata considerare i Rom come cittadini di
seconda categoria, senza che avessero voce in capitolo nelle scelte che li
riguardavano;
i campi nomadi sono diventati col tempo una fonte di rendita non per chi ci
viveva, ma per le associazioni che li gestivano. Associazioni che si sono sempre
sentite in diritto di rappresentare le istanze di Rom e Sinti a loro uso e
beneficio;
infine, se i campi sono un ghetto, non è abolendoli che si risolve il
problema. Sarebbe spostare il problema per l'ennesima volta: lo affermiamo
sapendo di alcune famiglie rom che sono andate ad abitare in casa, abbandonate a
se stesse, portandosi dietro tutti i loro problemi e trovandosene di nuovi.
Ribadendo che allora per superare le indecisioni del passato e mettere in atto
strategie efficaci è indispensabile la PARTECIPAZIONE, come cittadini titolari
di diritti e doveri, a tutte le istanze che li riguardano, da quelle centrali a
quelle del decentramento.
Il termine campo
Per questo si rende necessario reimpostare il linguaggio e usare parole di senso
civile. Il termine "campo" è quello che più si presta a circoscrivere e
ghettizzare la vita dei nomadi, e contiene reminiscenze terribili di
persecuzioni concentramenti ed annientamenti etnici nel corso degli ultimi
secoli, e del periodo dei totalitarismi, in particolare del nazifascismo. Le
stesse aggettivazioni - campo di transito, di sosta, di permanenza temporanea -
denotano lo stigma dell'emarginazione e della precarietà, dell'allontanamento e
dell'espulsione dalla comunità dei cittadini.
Per attuare un'adeguata politica dell'ospitalità e del rispetto delle culture
ex-nomadi, dell'integrazione e del diritto di cittadinanza si pone il problema
del superamento dei campi e/o della loro chiusura. L'obiettivo del "superamento
dei campi" deve coincidere con la finalità di smetterla con i pregiudizi contro
questa etnia.
Secondo noi è più corretto ed efficace superare il termine "campo" ed usare
parole come "area", "villaggio", "comunità". Occorre chiudere definitivamente
con la fase barbara degli sgomberi e perseguire una politica attenta a
migliorare le condizioni strutturali degli spazi che ospitano i nomadi, allo
scopo di riconoscere – come afferma il Parlamento europeo – la piena
cittadinanza e la partecipazione socioeconomica dei rom e di garantire le pari
opportunità, nonché consentire la libera scelta rispetto alle modalità di vita
stanziali e residenziali. L'obiettivo del "superamento dei campi" deve essere
realizzato con il coinvolgimento consapevole e responsabile degli interessati,
con la gradualità necessaria e le modalità specifiche più diverse.
Nel caso di Via Idro, ci sono tutte le potenzialità e le positività perché il
"campo" venga rispettato per quello che è: una comunità storica e stanziale da
22 anni di cittadini italiani, in un'area da valorizzare nell'interesse generale
della comunità metropolitana e dei quartieri interessati.
Qui il "superamento del campo" non vuol dire sostituirlo con quello di "sosta" o
"transito", né "chiusura del campo".
In questo caso si tratta di realizzare un progetto di Villaggio sociale e
solidale permanente, vero e proprio presidio di un sito strategico del
costituendo Parco della Media Valle del Lambro, formato dalla comunità dei rom
harvati che scelgono di continuare a viverci assumendosi - assieme alle
istituzioni ed enti, associazioni e comitati di cittadini – compiti e
responsabilità all'interno di un progetto di lavoro e di cooperazione sociale
economica e culturale in diversi settori, in un contesto urbano ampio costituito
dai quartieri di Gobba / Crescenzago / Adriano / Via Padova del comune di Milano
e dai comuni confinanti di Sesto San Giovanni, Cologno Monzese e Vimodrone.
Un quadro normativo
Prima di elaborare nuove politiche (qualsiasi possano essere), riteniamo
indispensabile che l'amministrazione compia un bilancio critico sui risultati e
fallimenti del "Piano Maroni", come siano stati impiegati in passato i fondi
erogati, quante famiglie rom e sinti ne abbiano effettivamente beneficiato,
quali fondi residui sono a disposizione.
Occorre poi dare un quadro normativo certo e rispettoso dei diritti-doveri
previsti dalle leggi e dalla Costituzione, perché chi vi risieda sia un
cittadino a tutti gli effetti.
Da parte nostra, rimaniamo dell'opinione che, come tutti i cittadini abbiano
pari dignità, lo stesso principio valga per le forme dell'abitare, purché queste
non portino a violazioni di legge.
L'isolamento e la ghettizzazione non si possono superare imponendo modelli di
vita dall'esterno, ma solo con la condivisione e l'interazione.
Costruire certezze
Gli ultimi due anni hanno rappresentato un periodo di grande incertezza per la
comunità rom, dovuta al progetto di sostituire quella che a tutti gli effetti è
la loro casa, con un campo di sosta a rotazione. Progetto mai attuato, anche
perché assurdo, nella nostra zona o altrove. A parte questo, non siamo mai
riusciti a capire perché cittadini italiani in zona da sempre avrebbero dovuto
andare via, per lasciare il posto a gente che in tre mesi teoricamente avrebbe
dovuto trovare casa e lavoro.
Questa incertezza, unita a promesse di finanziamenti dal Comune per chi
intendeva lasciare il campo, ha portato qualcuno ad aprire un mutuo per
l'acquisto di un rustico da ristrutturare, altri a fare domanda per le case
popolari. Sinora alle promesse non sono seguiti i fatti, e tutta la comunità
vive nel costante timore di ritrovarsi per strada. Dopo anni di incertezza, gli
abitanti chiedono un pronunciamento chiaro e duraturo da parte del comune.
Se invece venissero mantenuti gli impegni di assistere chi ha scelto di essere
accompagnato nell'uscita dal campo, e nel contempo venissero allontanati
definitivamente da chi ne ha il potere, le poche famiglie degli occupanti
abusivi (che hanno comunque residenza altrove), le presenze si ridurrebbero a
circa 70/80 unità, dimezzando praticamente l'area sinora occupata e rendendo
possibile la trasformazione da campo-ghetto ad un vero e proprio villaggio alle
porte di Milano.
Presidio sociale
Qualsiasi siano le politiche future rivolte, nella maniera più condivisa
possibile, agli abitanti dell'attuale insediamento, andrà fatta una riflessione
critica sul ruolo del PRESIDIO SOCIALE, che in passato avrebbe dovuto fungere da
elemento chiave nell'affrontare le diverse questioni dell'abitare, della
scolarizzazione, del lavoro e della sanità, Nel contempo riteniamo che
l'attività di questo presidio avvenga col supporto dei servizi di zona preposti.
Difatti secondo noi una delle cause delle incertezze ricordate prima, è lo stato
di abbandono non solo fisico, ma anche sociale, in cui si soni ritrovati i
residenti, in particolare quelli che non avevano possibilità di compiere scelte
in autonomia.
Il lavoro
Cominciamo con questo punto, perché molto più di quello dell'abitare, è il
prerequisito per una scelta consapevole e duratura, tanto riguardo alla futura
integrazione che riguardo all'abitare.
Si tratta di passare da una situazione attuale di sostanziale precarietà
finanziaria ed esistenziale, ad una che permetta ai Rom di via Idro di poter
decidere in autonomia sulla loro esistenza. Non occorre partire da zero: si
tratta di cittadini italiani che già hanno iniziato questo percorso di
autonomia, che va ripreso e sostenuto.
Il lavoro, assieme alla formazione e alla scuola, è il pilastro portante del
progetto. Si tratta di valorizzare l'esperienza e la professionalità dei rom
harvati e di rimettere in attività la loro storica cooperativa Laci Buti.
La cooperativa può operare in diversi settori lavorativi:
- Manutenzione e cura del verde (taglio dell'erba e delle siepi, potatura alberi
ecc.), recinzioni, ecc.
- Produzione di verde e piante (ripristino del vivaio e della serra)
- Pulizia di aree urbane
- Sgombero di cantine e magazzini
con personale che ha seguito corsi professionali di operatore del verde.
Nel passato dava lavoro ad una ventina di persone, ma via via col tempo il
Comune ha tagliato gli appalti, e l'ultimo anno ha lavorato solo due giorni.
Eppure il lavoro è tutto intorno: in quell'area che le forze politiche e le
associazioni di zona vorrebbero rivalutare, e via Idro è praticamente un
corridoio verde che collega il parco Lambro e il parco del naviglio Martesana al
parco della Media Valle del Lambro. Quello che è mancato negli ultimi anni è
stata la volontà politica, di mantenere in vita questa esperienza e
contemporaneamente di realizzare un polmone verde nella zona, riqualificando
tutto il sistema-navigli in vista dell'Expo.
In passato alcuni giovani sono stati assunti all'AMSA, anche se attualmente ne
sono rimasti a lavorare solo due. Potrebbe essere un'esperienza da riprendere,
soprattutto per quelli che hanno meno di trent'anni.
A queste attività se ne possono aggiungere altre: di fronte alla crisi attuale
alcune famiglie hanno ripreso l'attività tradizionale di recupero e riciclo di
materiali usati e/o di rifiuti, anche se attualmente non è assolutamente
remunerativa. Per questo, grazie all'interessamento di alcuni volontari, si sta
progettando di frequentare un corso per operatori di ricicleria (tra l'altro
quella di via Olgettina si trova a poca distanza).
Riprendendo l'esperienza di parte di alcune famiglie della tradizionale attività
di allevamento di cavalli e di altri animali, che rischia di scomparire,
possibilità di ripristino di un'area con maneggio, servizio
psico-socio-terapeutico per le persone con handicap, ecc., da inserire nel
progetto con funzioni sociali e di tempo libero ed anche terapeutiche.
Le strutture Come soluzione abitativa indicheremmo quella già presente nel programma
elettorale del sindaco, cioè l'autocostruzione di moduli abitativi ad un piano
solo e non ancorati al terreno. Per questo ci si ispira a quanto presente nei
campi comunali di Muggiano e Chiesa Rossa, recentemente sottoposti a
ristrutturazione. Qualora un nucleo non fosse in grado di provvedere in
autonomia, si chiede un sussidio simile a quello disposto per chi volesse fare
un percorso di uscita dal campo.
Si mira così alla corresponsabilizzazione degli abitanti del campo che potrà
esplicarsi non solo nella partecipazione alla gestione del campo, ma anche
nell'assunzione di compiti diretti di riqualificazione e di manutenzione dello
spazio, sotto la supervisione di tecnici del comune. Per esempio: sistema
idraulico, fognario e antincendio, ristrutturazioni in economia, autocostruzione
di moduli abitativi, ecc.
Già attualmente esistono professionalità inespresse tra gli abitanti. Si tratta
di valorizzarle, volendo anche prefigurare servizi di gestioni e mantenimento
diretto, partecipati e senza che il comune debba appaltare esternamente questi
servizi.
Qualora, come è nostra speranza, questo villaggio potesse assumere carattere di
stanzialità, sarebbe opportuno, sempre nell'ottica dell'ottimizzazione delle
spese, progettare un impianto di riscaldamento a metano, o addirittura a
pannelli solari.
Manutenzione e riqualificazione
Il progetto prevede l'immediato ripristino delle condizioni strutturali
necessarie alla vita normale delle persone: bonifica e cura dell'area, acqua,
fognature, elettricità, centro polifunzionale, messa a norma di un sistema
residenziale leggero ed ecologico, in sintonia con l'ambiente naturale.
Il campo che sino a 10 anni fa era indicato come un modello, ultimamente ha
sofferto di mancanza di manutenzione. Oltre al ripristino della fornitura di
corrente elettrica (in via di attuazione) sono necessari alcuni interventi:
- ristrutturazione dei servizi igienici, che cadono a pezzi;
- risistemazione del sistema fognario, perché con la pioggia il campo si allaga;
- collegamento delle bocchette antincendio;
- infine, risistemare le piazzole esistenti, che sono deteriorate e calibrarle
per gli occupanti che rimarranno.
Questi sono semplici interventi manutentivi, secondo noi affrontabili con poca
spesa se, a differenza del passato, gli appalti dei lavori verranno assegnati
con chiarezza e a ditte responsabili.
Occorre inserire nel villaggio la Cascina Lambro. Qualora ci fosse la
possibilità fattiva, si chiede il suo restauro per adibirla a sede sociale,
centro culturale, archivio storico del canale Martesana e – come proposto da
altri – museo della bicicletta, proprio in un punto cruciale della pista
ciclabile Milano/Adda tra le più lunghe e significative della Lombardia. Si
propone che il finanziamento per questa opera venga attinto dai fondi per
l'Expo. In qualsiasi caso le sue condizioni attuali rendono ne rendono urgente
la messa in sicurezza.
Centro polifunzionale
Le attività di carattere culturale-artistico-musicale potranno essere proposte
anche in ambiti esterni, ma esiste già questa struttura che può fare da
incubatore.
Trattasi di un edificio in cemento armato, voluto dal Comune una quindicina di
anni fa, sostanzialmente inutilizzato, senza corrente elettrica e riscaldamento.
Già da subito, se venisse reso agibile, esistono progetti e professionalità per
utilizzarlo come sede per recupero scolastico, animazione invernale, o corsi
professionali (di cucito per le donne, ad esempio). Attività che si intendono
estendere anche a chi non abita in via Idro.
Il secondo passo è recuperarlo alla vita di zona, ospitando iniziative proposte
dal quartiere. Ulteriore particolare strategico, le varie proposte di utilizzo
di questo centro nascono dagli abitanti stessi di via Idro.
Scuola - formazione - cultura
Negli ultimi anni i tagli alla scuola pubblica hanno distrutto la possibilità di
aiutare non solo i bambini rom ma tutti quelli che avrebbero bisogno di tempi
più distesi e di interventi atti a facilitare la famosa integrazione di cui
tanto si parla.
La scuola deve rappresentare all'interno del progetto il trampolino di lancio
verso una vita dignitosa ma per fare questo occorrono interventi mirati per una
scolarizzazione di qualità dove risorse umane e strumenti non possono mancare.
Anche la frequenza dei corsi di "educazione per gli adulti" (assolutamente
gratuiti) siti nel plesso della scuola media Rinaldi possono rappresentare
un'occasione di conoscenza e scambio. C'è ancora molta diffidenza e paura da
parte della popolazione rom ad utilizzare le risorse presenti nel territorio.
Soprattutto le donne andrebbero accompagnate a conoscere i propri diritti e a
superare la diffidenza verso il mondo fuori dal campo, diffidenza legittima ma
che le priva di possibilità.
A parte ciò, deve trovare risposta l'annosa questione del pullmino scolastico
che accompagna i bambini alla scuola Russo. Non si capisce la ragione per cui
debba fermarsi all'angolo con via Padova, quando la via Idro viene percorsa
anche da camion. In questa situazione, i bambini che frequentano la scuola,
devono percorrere andata-ritorno ogni giorno un km. e mezzo, con qualsiasi
condizione atmosferica e con rischio per la loro incolumità. Si ricorda che
inizialmente il trasporto alunni era stato dato in appalto alla cooperativa Laci
Buti.
In sintesi, il progetto assegna all'istruzione, alla formazione e alla cultura,
centralità e priorità.
Si deve:
consolidare la pluriennale esperienza di inserimento e frequenza della scuola
dei bambini rom e valorizzare al massimo la collaborazione soprattutto con la
scuola elementare di via Russo;
prevedere itinerari di continuità scolastica nelle superiori ed eventualmente
un centro di formazione ed aggiornamento professionale in loco, con particolare
attenzione alle attività peculiari del villaggio;
Inserimento del villaggio nella vita del territorio
Esso dovrà essere reso evidente sia nell'ipotesi di un progetto di
riqualificazione della via Padova, sia nella disponibilità del campo stesso a
fornire opportunità di incontro ricreativo, culturale, sociale offerte a tutta
la popolazione. La Festa della Via Padova potrà costituire un'ottima occasione
per rendere visibile questo legame di appartenenza.
La proposta progettuale verrà sottoposta all'attenzione dei cittadini e delle
altre associazioni e comitati con cui è consolidata un'esperienza comune di
impegno civile e sociale, con la disponibilità alla massima apertura e alla
collaborazione più ampia e plurale possibile.
Si potrebbe valutare la costituzione di una Società di Mutuo Soccorso, a cui
aderiscono sia i promotori e i protagonisti del progetto sia altri soggetti ed
enti interessati.
Si propone che venga creato un Comitato di coordinamento indirizzo e controllo
formato dai rappresentanti dell'amministrazione centrale e di quella zonale del
Comune di Milano, dai protagonisti del progetto e, possibilmente, dai
rappresentanti del Parco della Media Valle del Lambro e dei comuni di Sesto San
Giovanni, Cologno Monzese e Vimodrone.
Un comitato tecnico-scientifico, composto da esperti in campo giuridico,
economico e amministrativo, ecologico/ambientale, di marketing e comunicazione
ecc., ha il compito di sviluppare tutte le fasi del progetto e di sovrintendere
alla loro realizzazione.
Enti pubblici e privati, con i quali allacciare relazioni di collaborazione e a
cui rivolgersi per il reperimento di risorse economiche e finanziarie: Consiglio
di Zona e Comune di Milano, Provincia, Regione, Unione Europea, Fondazione
Cariplo, Banca Etica, aziende della green economy.
Consiglio di Zona
Nella previsione di una ridefinizione e compiti del decentramento, è da
prevedere un coinvolgimento diretto del Consiglio di Zona che dovrà considerare
il villaggio di via Idro uno spazio di convivenza da adottare e dovrà anche
assumere, con le modalità da individuare, compiti di vigilanza, gestione,
offerta di servizi vari.
I soggetti promotori e protagonisti
Si assegna un ruolo centrale alla cooperativa rom Laci Buti, che deve operare in
collaborazione con le associazioni e i comitati di cittadini che aderiscono al
progetto e cooperano alle attività e alla vita del villaggio.
Oltre alla cooperativa Laci Buti e alla comunità rom, i soggetti promotori
coincidono con i firmatari della lettera aperta del 15 dicembre 2011 e i
rappresentanti di: Anpi di Crescenzago, Associazione elementare.russo, Comitato
Vivere Zona 2, Legambiente Crescenzago, Mahalla, Martesanadue.
Primi firmatari: ANPI Crescenzago - Associazione elementare.russo - ComitatixMilano Zona 2 -
Comitato Vivere Zona 2 - Comunità Rom Via Idro - Cooperativa Laci Buti -
Legambiente Crescenzago - Mahalla - Martesanadue - Sitart
Adesioni: Luca Bravi (Università Leonardo da Vinci -
Chieti) - Marcella Cavagnera - Gabriella Conedera -
Stefania Benedetti - Alessandra Reale - David Giannetti - Laura Quagliolo -
Piero Leodi -
Angela Tropea - Elisabetta Michelini - Doriana Chierici Casadio - Marcello
Zuinisi (Associazione Nazione Rom) - Marcel Costache (Romano Euro-Drom Pavia) -
Stefania Cammarata - Enrica Bruzzichessi - Paolo Matteucci - Alberto Ciullini -
Eleonora Casula - Barbara Breyhan, danzatrice (Sesto Fiorentino) - Carmela Tommaselli (Arezzo Ballet) - Laura
Coletta - Aldo Bonora - Silvana Calvo - Radames Gabrielli - Alessandro Morazzini
- Barbara Nardi - Fiorella D'Amore - Ludovica Barassi - Pietro Mervic - Alberto
Maria Melis - Margherita Cavallo - Giulia Mucelli - Irene Marfori - IdeaRom
onlus Torino - Carlo Berini - Marco Gimmelli - Francesca Barile - Luigi Colaianni - Agnese Cerasani
- Roberta Sasso - Giuliana Gemini - Monica Flann - Paolo Pinardi - Giancarlo
Ranaldi - Spazio Mondo Migranti (Parabiago) - Roberto Malini, Dario Picciau,
Matteo Pegoraro (gruppo EveryOne) - Sergio Franzese - Luciano Muhlbauer - Luca
Klobas - Erica Rodari - Ivana Kerecki - Coordinamento Nazionale per la
Jugoslavia onlus - Veronica Mognoni - Stefano Nutini - Gruppo Sostegno Forlanini
- Deborah Besseghini - Sandra Cangemi, giornalista, Milano - Alessandra
Bearzatto - Carlo Stasolla - Silvia Gobbo - Alberto Proietti
Di Fabrizio (del 02/04/2012 @ 09:35:26, in Italia, visitato 1531 volte)
Segnalazione di Stefano Nutini, da Sbilanciamoci.org. Articolo di Vito Francesco Gironda
L'idea dello ius culturae - lanciata dal ministro Riccardi - è ambigua e
pericolosa, perché rischia paradossalmente di alimentare il conflitto multiculturale
Alcuni giorni fa Andrea Olivero ha riproposto sulle pagine di Europa l'idea dello
ius culturae quale criterio di definizione di un'auspicabile riforma della cittadinanza italiana. Lanciata dal ministro Andrea Riccardi, la nozione di
ius culturae sembra essere diventata l'asse consensuale per praticare una via italiana
all'integrazione.
Di cosa si tratta? A volere ragionare in termini generali, il concetto richiama
agli effetti propositivi e "assimilazionistici" di una "seducente" cultura italiana. Si immette nel discorso pubblico una concezione stato-centrica e "assimilazionistica" di cittadinanza, secondo un'idea di presunzione di appartenenza, in base alla quale la nascita sul territorio veicolerebbe, nel lungo periodo, quei legami culturali che si suppone costituiscano la base della cittadinanza. Come dire, i diritti di cittadinanza sono collocati nell'ambito della specificità culturale di una comunità nazionale, la quale promuove una concezione particolaristica dell'individuo e delle sue relazioni sociali. Seguendo tale prospettiva, l'inclusione si determina attraverso una sorta di "adeguamento" valoriale alla cultura del paese ospitante. A prima vista sembra un discorso molto lineare. Eppure, guardando bene, emerge una serie di ambiguità concettuali su cui sarebbe opportuno riflettere serenamente.
La prima ambiguità riguarda la nozione stessa di cultura nazionale. In base a quali contenuti qualificanti e qualificati si delinea lo spazio culturale nel quale si definisce un'immaginata concezione di appartenenza culturale? Se il ministro Riccardi ha in mente una sorta di
Leitkultur (cultura dominante) all'italiana,
allora dovrebbe essere molto esplicito e chiarire senza mezzi termini cosa intende. A me sembra che la concezione di
ius culturae sia viziata da un eccessivo monoculturalismo che funziona come un dispositivo che fa dipendere la grammatica
dei diritti alla rinuncia delle identità culturali nella sfera pubblica.
Su questo terreno si riscontra la seconda ambiguità concettuale dello ius culturae. Perché parlare di modello italiano per l'integrazione e non dire chiaramente
che la via da praticare è quella dell'assimilazione. Perché parlare d'integrazione che rimanda più specificatamente all'inclusione nel tessuto economico-sociale, al riconoscimento delle differenze culturali, alla valorizzazione e accettazione del pluralismo culturale, quando, alla fine, si guarda esclusivamente alla cittadinanza come processo di adeguamento valoriale alla cultura dominante, qualunque poi sia il significato ascritto a quest'ultima.
La classe politica e la tecnocrazia di governo non dovrebbero limitarsi a costruire neologismi astratti, ma dovrebbero prendere sul serio l'ipotesi che tanto l'opinione pubblica nazionale quanto le comunità di stranieri residenti hanno il diritto di capire nel concreto di cosa si discute. Si tratta di comunicare sul piano fattuale quello che si pensa fare, evitando, così, inutili incomprensioni. Anzi, l'idea stessa dello
ius culturae paradossalmente rischia di alimentare il conflitto multiculturale perché, piuttosto che ricercare regole e pratiche di coesistenza tra le diverse culture, tende a legare l'uguaglianza delle opportunità
di partecipazione alla cultura dominante del paese ospitante. Mettere in moto forme e processi di negoziazione sull'identità culturale è una questione molto complessa.
Ancona, 30 marzo 2012. Nita Ciuraru detto "Toma" si trova nel carcere di
Monteacuto - Ancona. E' molto depresso, perché sa che la moglie, malata di
cancro, è rimasta sola a Pesaro e fatica a sopravvivere. I figli sono in
Romania, anch'essi vittime di povertà ed esclusione. Toma sta molto male: è
cardiopatico e soffre di patologie ossee dolorose. La prigione in cui si trova è
sovraffollata e non consente ai detenuti una vita dignitosa. Per una persona
anziana e malata come Toma, è la più triste anticamera della morte. Come aiutare
Toma? Oggi il Presidente della Camera Gianfranco Fini si è interessato al suo
caso - grazie a Marcello Zuinisi, che gliel'ha sottoposto a Roma - e speriamo di
cuore che sostenga il nostro appello di fronte al Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano. Trenta poeti italiani di grande valore hanno aderito alla
richiesta di grazia: le loro voci sono già al cospetto di Napolitano. Toma è in
serio pericolo di vita e non dobbiamo abbandonarlo. E' utile copiare l'appello e
inviarlo, firmato, a:
E' anche utile divulgare l'appello presso i propri conoscenti, affinché lo
inviino al Presidente. Per evitare che Toma si trovi in condizioni
insopportabili dietro le sbarre, però, è fondamentale che non lo facciamo
sentire solo e abbandonato. Inviamogli messaggi di amicizia e solidarietà al
seguente indirizzo, non solo via email, ma anche tramite fax e posta (utile
anche telefonargli):
Sig. NIta Ciuraru detto "Toma"
c/o Casa Circondariale di Monteacuto
Via Montecavallo 73/A
60100 Ancona
Telefono: 071 897891
Fax: 071 85780
Email: cc.ancona@giustizia.it
Toma è un uomo buono e sensibile, ma la sua tempra è fragile a causa dei tanti
anni di privazioni e stenti. L'uomo è inoltre soggetto a momenti di grande
malinconia. Se non si sentirà tradito da tutti, se sentirà di avere degli amici
che lo attendono e si impegnano per la sua libertà, terrà duro. Una volta Toma
mi prese per mano e mi condusse sotto un grande pino. Mi chiese di appoggiare la
mano sulla corteccia e poi mi disse: "Io sono come questo vecchio albero: non
crollo mai". Aveva appena subito un atto particolarmente umiliante da parte di
chi dovrebbe proteggere e non annichilire le persone vulnerabili ed escluse.
"Non arrenderti, vecchio albero Rom: siamo tutti con te!"
The Guardian 26 marzo 2012: Il viaggio di una Romnì da venditrice di The Big Issue
in the North al pranzo con la regina - Ramona Constantin
ottiene il Diamond Jubilee bunfight dal municipio di Manchester, meno di un anno
fa vendeva la rivista per strada - di
Ciara
Leeming *
Ramona Constantin - ora occupata come interprete di comunità, assistente
giovanile e familiare ed assistente scolastica. Photograph: Ciara Leeming
Vendeva The Big Issue
in the North per le strade della Manchester metropolitana meno di un
anno fa, ma ora ha cenato con i reali.
L'ex venditrice di strada Ramona Constantin, 27 anni, era nel gruppo
selezionato di ospiti invitati settimana scorsa al pranzo di gala nel municipio
di Manchester, alla presenza della regina e del principe Filippo. La sua
inclusione è stata un riconoscimento per quanto da lei conseguito dopo il suo
arrivo in città dalla nativa Romania due anni fa.
Constantin, che è Rom, non ha ricevuto nessuna educazione formale e parlava
un po' di inglese prima di arrivare in GB. Per 18 mesi ha venduto The Big Issue
in the North di fronte alla biblioteca centrale di Manchester - a pochi metri
dal municipio - e quando l'edificio chiuse per restauri, [andò] al centro di
Rochdale. In tutto quel periodò migliorò il suo inglese e fu invitata a
prender parte ad un progetto pilota per giovani adulti rom, gestito
dall'associazione che dirige il giornale, il consiglio comunale ed agenzie
partner. Ora lavora come interprete di comunità, assistente giovanile, familiare
e scolastica.
L'invito al pranzo da parte del sindaco - assieme ad altri operatori sociali,
figure comunitarie e volontari - è stato un grande riconoscimento. Dice:
Essere invitata è stata una cosa incredibile - è stata anche l'unica volta
che mia mamma e la mia famiglia - che sono ancora in Romania, han detto di
essere orgogliosi di me. Tutti hanno sentito parlare della regina d'Inghilterra,
e la mia famiglia e la comunità possono vedere che devo fare buone cose per
essere invitata ad un evento tanto importante. Sono anche molto fiera di me
stessa che la regina, o chi lavora con lei, mi abbiano voluto parte di questa
celebrazione.
Mi è piaciuto l'edificio, ed è stato fantastico essere nella stessa stanza
con gente così importante. Là c'era gente di diverse culture, ma ero l'unica
Rom, e questo mi ha fatto sentire molto speciale. Mi ha motivato a continuare
nel mio lavoro e cercare di ispirare la gante della mia comunità a coltivare le
proprie aspirazioni.
E' buffo pensare che meno di un anno fa vendevo The Big Issue in the North
per strada fuori da quell'edificio, ma dimostra che chiunque può ottenere ciò
che ha in mente.
I Rom sono la più grande e marginalizzata minoranza etnica in Europa.
Cospicue comunità dei paesi dell'Europa Orientale vivono ora nel nord.
Come moltissimi anni fa ancora oggi ci sono intere famiglie di sinti, rom senza
nessuna abitazione decente dove poter vivere con i propri famigliari, trovare un
lavoro definitivo e frequentare tutte le scuole necessari per ottenere un
diploma. Tantissimi sono ancora alle porte delle città (aree di fortuna,
tante volte nelle discariche cittadine abusive), vicino ai fiumi, autostrade e
nelle peggiori sistemazioni senza i necessari servizi di sopravvivenza come
l'acqua, l'energia elettrica e i servizi igienici. Tantissime famiglie sono
rinchiuse ormai da anni in enormi campi costruiti solo per concentrare tutti
sinti e rom in un unico posto, per tenerli sotto controllo a tempo
indeterminato, sorvegliati speciali solo per colpa di essere un etnia di un ceto
debole.
L'habitat per i Sinti deve essere di libera scelta, senza nessun obbligo
di dover vivere dove gli si impone di vivere.
Non bisogna pensare ad una sola soluzione, ma bisogna pensare e favorire le
soluzioni diversificate quali: le microaree, l'accesso semplificato
all'appartamento o all'acquisto di terreni agricoli su cui poter edificare anche
in autocostruzione.
Dì perché le microaree e della loro realizzazione c'è ne sono molti, i
principali da mettere al primo posto è il superamento dei enormi campi nomadi
sovraffollati fino ad essere compresse da una moltitudine di famiglie Sinte. Per
dare un abitazione decente a tutte le famiglie che abitano nelle aree di
fortuna, (baraccopoli, roulotte, container ecc.) in un modo incivile senza
nessun servizio indispensabile per ogni forma umana. Per la maggior parte della
popolazione maggioritaria che non accetta di buon grado a vivere e avere come
vicini di casa una famiglia Sinta.
Ma che cos' è una microarea
La microarea e un'area con una metratura adeguata alla
necessità d'allargamento futuro, dove ogni singola famiglia
formata da genitori e figli dispone di uno spazio privato con
delle abitazioni doc (anche auto costruite) attrezzate con tutti
i servizi adeguati.
Le microaree non sono custodite, ma affidate alla
responsabilità delle persone che la occupano, cosi come un
qualsiasi appartamento concesso in affitto.
Le microaree per molti Sinti sono la soluzione abitative
migliori perché non obbligano a rifiutare le proprie usanze,
culture, tradizioni e lingue.
La microarea porta al miglioramento la vita del popolo Sinto
senza denigrarla.
La microarea è il primo passo per aiutare il popolo Sinto a
uscire dalla povertà ecc.
La Microarea è un area predisposta soltanto per una famiglia allargata,
composta di genitori, figli e nipoti, dove nessun altra famiglia Sinta può
introdursi, se non ché abbia un permesso speciale dalla famiglia stessa o dal
sindaco, ma anche un area di sicurezza, e non solo per i Sinti ma anche per i
vicini e gli enti locali, ma soprattutto è una area dove si può salvaguardare la
propria Tradizione, la propria Cultura, l'Usanza e la propria Lingua madre, un
area dove i diretti gestori sono proprio gli affittuari stessi pagando un
normale equo canone d'affitto con spese di gestione ecc. senza che il comune
abbia la necessità a dare in gestione ad enti, associazioni o cooperative
private come un normale campo nomadi spendendo moltissimi soldi ogni anno, un
area definitiva adeguata per il prossimo futuro (includendo le nascite e le
perdite della famiglia ) attrezzata di fabbricati ( legno o muratura) con tutti
gli servizi necessari a offrire un adeguato sistema abitativo, accessibile a
tutti gli servizi come autobus, scuola, negozi ecc. sita in località lontana da
fiumi, autostrade, depositi immondizie e dalla periferia delle città ecc. Nella
fase di ricerca dei terreni e della progettazione delle microaree è fondamentale
che siano coinvolte le famiglie Sinte interessate.
Da sottolineare che anche se attrezzate di servizi adeguati dove vivere a tempo
indeterminato, la microarea non è una soluzione definitiva per tutte le famiglie
Sinte, tante famiglie Sinte già da anni hanno deciso di acquistare delle aree di
propria proprietà scegliendo dei terreni agricoli i cui costi sono più
accessibili rispetto ai terreni edificabili per poter vivere con la propria
famiglia allargata in un area di propria proprietà.
Queste tipo di abitazioni, la microarea è il terreno agricolo di proprietà,
nasce soprattutto per far uscire dai enormi campi nomadi tutte quelle famiglie
che non si conoscono fra di loro, famiglie sconosciute con origini, culture,
tradizioni e lingue totalmente diverse, che varie volte porta il caos quasi
totale tra i bambini, vivere tutti insieme, in un grande campo comporta ad avere
amici di varie etnie, con dialetti e lingue completamente diverse dalle proprie,
i bambini giocando fra di loro tutti i giorni, solo per capirsi e tante volte
senza rendersene conto sono obbligati ad insegnare all'amico la propria lingua
madre, arrivando in un punto dove non capiscono più quale e la loro vera madre
lingua, ma il problema non colpisce solo i bambini, ma anche i stessi genitori
che non riescono più a capire i propri figli, sentendo parole nuove devono farsi
spiegare il significato della parola detta, perciò si sentono smarriti e
traditi, perché consapevoli del pericolo che si sta creando, la loro madre
lingua originale sta scomparendo e con essa la tradizione, la cultura, l'usanza
e il loro modo di fare.
Grazie al vivere in un campo nomadi interculturale si sta perdendo tutti i
principi fondamentali della propria famiglia.
Ma soprattutto la microarea e il terreno agricolo di proprietà e la prima
opportunità abitativa per tutte quelle persone Sinte che stanno vivendo in una
realtà incivile, che abitano con i propri famigliari, bambini, donne e anziani,
in accampamenti di fortuna nati al momento senza nessun servizio come acqua,
luce e servizi igienici, ma circondati da topi che scorrazzano a destra e a
sinistra, rospi e insetti di ogni genere, aree siti in ogni appezzamento di
terreno trovato libero, sui marciapiedi delle strade, vicinissimi ai fiumi,
nelle campagne e boschi fitti, o in case diroccate e abbandonate, sotto i ponti
e tante altre realtà che hanno già causato parecchie disgrazie.
L'abitazione migliore e veramente definitiva per i Sinti in Italia!!
l'abitazione migliore, concreta, definitiva per i sinti principalmente non
l'appartamento in centro città come tante persone credono, anche se sembrerebbe
di sì, non lo è, i motivi sono di varie nature, questo tipo di abitazione per i
Sinti va benissimo ed e stabile fino a che i figli non crescono e si sposano
avendo poi i propri figli, infatti tanti genitori che hanno scelto
l'appartamento come abitazione, dopo la crescita dei propri figli e alla nascita
dei nipoti, vorrebbero uscire per andare a vivere e invecchiare con i propri
famigliari in una microarea.
Parecchie famiglie sono state obbligate a fare questa grandissima scelta, solo
per poter avere un lavoro e una casa per la propria famiglia allargata, hanno
scelto di nascondere, di ripudiare la propria etnia d'appartenenza, non per
scelta, ma per sopravvivenza ben consapevoli di dover perdere la propria
Tradizione, Cultura, Usanza e la propria Lingua madre, oggi i loro figli non
capiscono e non parlano più la propria lingua, grazie al doversi integrare
completamente ed essere obbligati a nascondere la propria etnia d'appartenenza,
hanno completamente dimenticato i propri valori e principi tenuti in vita dai
loro avi per millenni.
Ma mentre queste famiglie, obbligatoriamente hanno scelto di integrarsi
completamente, altre famiglie che sono entrate spontaneamente nei appartamenti,
hanno voluto perdere questi valori solo perché si vergognavano della propria
etnia d'appartenenza, senza capire che era molto più vergognoso perdere e negare
la propria etnia d'appartenenza.
Altre famiglie che vivono in appartamenti da moltissimi anni, sono riusciti a
tenere e salvaguardare le proprie Tradizioni, Culture, Usanze e la propria
lingua madre, si sono adeguate a vivere nei appartamenti, senza dover mai
perdere le propri origini, sono riusciti a salvare principi e valori, grazie a
dei vicini Gage che hanno capito la loro diversità di culture, tradizioni,
usanze e modi di vivere e li hanno accettati rispettando i loro valori
convivendoci e lasciandogli le origini.
Ma il come e dove vivere con la propria famiglia allargata o singola,
deve essere una scelta propria e condivisa dalla propria famiglia, nessuna
famiglia composta da esseri umani deve essere obbligato a dover scegliere di
ripudiare la propria famiglia, le proprie tradizioni, culture, lingue e l'etnia
d'appartenenza per ottenere un diritto che e di diritto di ogni persona umana e
civile di questo mondo.
Perciò l'accesso all'appartamento, al terreno agricolo e alla microarea, deve
essere una scelta libera senza essere condizionata, obbligata a accettare delle
condizioni speciali.
Dopo avere valutato questi e altri problemi, abbiamo constatato che l'abitazione
concreta, sicura e migliore per i Sinti, e quella dei terreni di propria
proprietà. Questa soluzione è soprattutto per le famiglie Sinte perché il
terreno di proprietà viene sentito come punto di riferimento stabile che si
contrappone alla precarietà continua dei campi nomadi.
Nel terreno privato si può vivere con la propria famiglia allargata, potendo
scegliere i propri vicini.
Fin ad ora per molte famiglie Sinte che hanno deciso di acquistare dei terreni
come realtà di scelta abitativa, ha avuto molto successo, soprattutto perché ha
dato la possibilità ad uscire completamente dalla realtà dei campi nomadi, di
non essere più succube da altre persone e di dare una possibilità ai propri
figli di avere un futuro migliore, dove potere permettere di frequentare tutte
le scuole per quello che vorrà fare in futuro, senza doverle cambiare perché
scacciati da varie città.
Per questo e altri motivi, tante famiglie Sinti ne stanno seguendo le orme,
perché hanno capito che un terreno agricolo di propria proprietà e un futuro
certo per i propri figli e nipoti.
Il terreno agricolo di propria proprietà e le microaree famigliari hanno
la possibilità di salvaguardare i principi, i valori dei sinti togliendo
tantissime famiglie dalla strada dandogli un tetto per coprire i propri figli,
perciò bisogna coinvolgere e convincere il governo, la regione, la provincia e
il comune ad abbandonare l'idea dei grandi campi nomadi ad adottare il concetto
delle microaree e dei terreni privati, inserendo delle modifiche sulla legge
dell'edilizia agevolata del Testo unico n. 380/2001, Solo così potremo
finalmente arrivare alla fuoriuscita dalle situazioni di precarietà abitativa e
eliminare gli accampamenti "obbligatoriamente" abusivi.
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