L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.
Di Sucar Drom (del 11/04/2012 @ 09:03:25, in Kumpanija, visitato 1440 volte)
E' venuta a mancare prematuramente Giuseppina "Rumanì" Ciarelli, romnì
italiana tra le prime a Milano a diventare mediatrice culturale e attivista per
i diritti dei rom e dei sinti. Rumanì ha iniziato il suo impegno come mediatrice
a favore delle donne e dei minori rom e sinti nei consultori famigliari, insieme
ai mediatori e alle mediatrici di Sucar Drom alla fine degli Anni Ottanta. E'
stata una delle prime mediatrici sanitarie italiane, ci mancherà il suo sorriso
e ci mancheranno le sue capacità. Pubblichiamo il ricordo della Consulta Rom e
Sinti di Milano a firma di Giorgio Bezzecchi, Dijana Pavlovic e Paolo Cagna
Ninchi
"Noi siamo belli", questo diceva Rumanì di noi rom, questo è quello che sentiva,
che pensava e che diceva quando incontrava, anche in incontri ufficiali i "gagi".
Questo ci ha insegnato Rumani, a credere che i rom sono belli, perché liberi,
perché portano qualcosa di bello in questo mondo con il loro modi di vedere la
vita, con la gioia capace di esprimersi in ogni momento, anche il più difficile.
Rumanì era libera e capace di raccontare la LIBERTA', capace di cancellare i
pregiudizi con le sue parole semplici e forti. Traduceva il suo nome RUMANI' in
"donna libera". Così noi pensiamo a lei, sorridente e orgogliosa.
E' stata una delle prime attiviste e leader del movimento per i diritti Civili
di Rom e Sinti a Milano. Ciarelli Giuseppina nata Avezzano il 7 Giugno 1957,
detta "Rumanì" dalle donne delle Comunità Rom e Sinti di Milano.
Rumanì è stata una delle prime attiviste dell'Opera Nomadi di Milano, iniziava
la sua attività già alla fine degli anni '80, nei primi anni '90 seguì un corso
di Mediatori Sanitari andando a lavorare per anni nel Consultorio familiare di
via Fantoli svolgendo la propria importantissima funzione a favore
Nella prima metà degli anni '90 ritirò a nome dell'Opera Nomadi di Milano l'Ambrogino
d'Oro testimoniando orgogliosamente e caparbiamente il desiderio delle Comunità
rom e sinte di superare le difficoltà legate alla lotta alla discriminazione e
al riconoscimento dei propri diritti. Aveva un grande ruolo all'interno della
Comunità e per noi era un punto di riferimento, non solo una grande amica.
Di Fabrizio (del 10/04/2012 @ 09:20:46, in casa, visitato 1511 volte)
OPERA NOMADI
DI REGGIO CALABRIA -
COMUNICATO STAMPA
Il razzismo contro i rom continua ad essere esercitato nel territorio della
nostra provincia per ostacolare l'inserimento abitativo di questi cittadini e
quindi il superamento dei ghetti.
Nell'ambito dell'operazione di equa dislocazione delle famiglie rom, pochi
giorni fa, il Sindaco del Comune di Melito Porto Salvo ha assegnato un alloggio
popolare ad una famiglia rom che abita in una baracca con una bambina affetta da
una grave malattia congenita. Ma prima che il Comune potesse consegnare
l'alloggio l'immobile è stato occupato abusivamente da un'altra famiglia melitese per impedire l'insediarsi dei rom.
Il sindaco di Melito Porto Salvo è intervenuto tempestivamente sfrattando gli
occupanti, ma questi hanno cominciato a protestare contro la famiglia rom e
contro l'Amministrazione comunale dichiarando che non intendono accettare dei
rom nel loro quartiere. Questa famiglia, che dopo tanti anni è riuscita ad
avere un alloggio adeguato dove poter curare la figlia, ora si trova a dover
affrontare il rifiuto di questi concittadini con la preoccupazione per quanto
potrebbe accadere.
Purtroppo queste azioni razziste sono un copione che si ripete ormai da anni.
Altre occupazione abusive di alloggi destinati alle famiglie rom si sono
verificate nei mesi passati nel comune di Gioia Tauro e qualche anno fa anche a
Reggio Calabria è avvenuta la stessa cosa in concomitanza con l'operazione di
equa dislocazione. Nella stessa città di Melito Porto Salvo, pochi anni fa, sei
alloggi destinati alle famiglie rom sono stati incendiati. Queste azioni sono
state contrastate adeguatamente sia dalle Amministrazioni comunali che dalle
stesse famiglie rom e dall'Opera Nomadi e quindi anche se hanno rallentato i
progetti di inserimento abitativo non hanno impedito che si raggiungessero dei
risultati. Tuttavia è mancata una condanna di queste azioni da parte della
comunità civile nel suo complesso. E' chiaro che queste azioni di
discriminazione non sono casi isolati, come spesso si vuole lasciare intendere,
ma sono l'espressione di un pensiero diffuso nella nostra società secondo il
quale i rom sono dei cittadini “inferiori” che non possono vivere insieme alle
altre persone. Questo è il motivo della mancata condanna. Nonostante da anni
abbiamo recepito le leggi europee contro il razzismo, abbiamo un Ufficio
Nazionale contro il Razzismo che dipende dal Governo nazionale, vengono
realizzate continue iniziative di contrasto alla discriminazione e dal 28
febbraio 2012 l'Italia ha una strategia nazionale per l'inclusione delle
comunità rom che prevede il superamento dei ghetti, in alcuni comuni ( Cosenza,
Roma, ecc..) si progettano ancora campi ghetto e si continuano a realizzare
azioni razziste.
Qualcosa non ha funzionato. A differenza di quello che si dice
nei dibattiti e sui media il razzismo fa parte integrante della nostra cultura
locale e nazionale. La nostra cultura, come tutte le culture occidentali,
contiene come suoi elementi interni sia il razzismo che l'antirazzismo. Pertanto
il razzismo si potrà combattere adeguatamente solo dopo che avremmo ammesso la
sua esistenza effettiva nella nostra cultura, e quindi non più come elemento
estraneo che sporadicamente interessa la nostra società ( Bauman Z., Modernità e
Olocausto, 1992) ma quale elemento costituente che va estirpato lavorando
dall'interno.
Nonostante il limite esistente nella strategia di lotta al razzismo, nella
provincia di Reggio Calabria dei risultati sono stati raggiunti. Negli ultimi 10
anni attraverso il progetto di equa dislocazione circa 20 famiglie rom sono
state inserite nel tessuto urbano del comune di Melito Porto Salvo ed oggi
abitano civilmente accanto alle famiglie non- rom. Nello stesso periodo, nel
comune di Reggio Calabria, circa 102 famiglie sono state inserite in 80
condomini diversi che si trovano su tutto il territorio comunale da Gallico a
Pellaro. Anche questi rom di Reggio Calabria vivono bene accanto alle famiglie
non rom. Questo ci fa capire che l'opposizione che quasi sempre caratterizza il
primo momento dell'inserimento nel quartiere è condizionato dal pensiero
razzista comune, ma viene superata gradualmente con il contatto personale e
diretto tra rom e non-rom (Teoria del contatto di G. Hallport). Queste 122
famiglie vivono bene con i loro vicini di casa i quali hanno finalmente capito
che i rom sono persone come loro, che gli stereotipi negativi diffusi non
corrispondo alla realtà e che con loro ci si può vivere assieme nello stesso
condominio. Il progetto di equa dislocazione realizzato nei due comuni
attraverso la collaborazione tra Amministrazioni comunali, Opera Nomadi e
famiglie rom ha quindi permesso a ben 122 famiglie di uscire dai ghetti e di
inserirsi nella società. Da pochi mesi anche il comune di Gioia Tauro ha avviato
il progetto di equa dislocazione per le famiglie rom e ha già dislocato la prima
famiglia.
Alla luce della buona esperienza realizzata a Melito Porto Salvo l'Opera Nomadi
prega la comunità del luogo, la Chiesa, le associazioni del terzo settore, i
candidati a sindaco e tutta la società civile, da sempre molto sensibile verso i
problemi sociali, a prendere una posizione su questo caso di non accoglienza per
far capire alle persone che si ostinano a non accettare i rom che bisogna
abbandonare i pregiudizi perché i rom sono persone come loro e che respingerli
significa respingere se stessi.
Reggio Calabria, 7 aprile 2012 Opera Nomadi di Reggio
Calabria
Il presidente Antonino Giacomo Marino
BELGRADO - Circa 30.000 persone in Serbia, soprattutto Rom, non hanno
documenti personali. mentre 6.500 non sono iscritti al registro delle nascite,
il ché li rende giuridicamente invisibili.
Il responsabile ACNUR in Serbia, Eduardo Arboleda, ha dichiarato lunedì
che la Serbia è cosciente di questo problema con gli apolidi, ed assieme
all'ACNUR sta lavorando ad una soluzione, aggiungendo che con l'adesione di
emendamenti al codice di procedura civile, la Serbia potrebbe essere la prima
nella regione a risolvere la questione.
Secondo Arboleda, l'apolidia è un grave problema, con serie conseguenze sulla
vita delle persone, dato che impedisce di ottenere i certificati di nascita,
limita l'accesso al lavoro, all'assistenza sanitaria ed al rispetto ai diritti
umani fondamentali.
Ha detto a Tanjug che questo problema è presente soprattutto per i Rom che
vivono nelle baraccopoli,, che non hanno permesso di residenza o nessuna
conoscenza delle procedure d'accoglienza, [...].
Secondo i dati di uno studio recente sulla situazione in Serbia, risulta che
il 6,5% dei Rom non abbia documenti personali, mentre l'1,5% non è nemmeno
presente nei registri delle nascite, dice Arboleda.
Ha aggiunto che da almeno cinque anni l'ACNUR sta lavorando sul problema
delle baraccopoli rom e della loro registrazione, sinora in 20.000 hanno
ottenuto documenti adeguati.
"Credo che assieme al governo serbo possiamo risolvere questo problema," ha
detto Arboleda, aggiungendo che l'ACNUR sta per firmare un memorandum d'intesa
col ministero competente, sull'impegno comune nella risoluzione della questione.
A dicembre 2011, la Serbia ha aderito alla Convenzione del 1961 sulla
Riduzione dell'Apolidia, e a marzo 2012 il difensore civico Sasa Jankovic ha
presentato il rapporto sulla posizione delle persone legalmente invisibili in
Serbia.
Di Fabrizio (del 09/04/2012 @ 09:33:22, in Regole, visitato 1472 volte)
(foto Keystone)
Corriere del TicinoAI: vietato discriminare gli zingari Secondo il TF bisogna tenere conto del loro particolare modo di vita
5.04.2012 - 12:01 ats
LOSANNA - Gli zingari non devono essere discriminati nei riguardi
dell'assicurazione invalidità (AI): il Tribunale federale (TF) ha accolto il
ricorso di una donna a cui è stata rifiutata una rendita, col motivo che i suoi
problemi di salute non le impediscono di svolgere un'attività sedentaria.
La donna, appartenente alla comunità svizzera degli zingari, vive nella
regione di Ginevra nei mesi invernali e si sposta il resto dell'anno in Francia,
Germania e nella Svizzera tedesca. Dopo essere stata impiegata dall'impresa del
marito rigattiere, dal 2006 non è più in grado di lavorare a causa di una
lombalgia cronica. Le autorità ginevrine le avevano tuttavia negato una rendita
AI.
La valutazione del grado d'invalidità - rilevano i giudici federali - deve
tener conto del modo di vita degli zingari. Nel loro caso, i dati statistici sui
quali è basato il calcolo del reddito che la persona potrebbe conseguire non
sono adeguati.
Per aver omesso di tener conto dell'itineranza della donna, il rifiuto
opposto dalle autorità ginevrine è contrario al divieto di qualsiasi
discriminazione, diretta o indiretta, previsto dalla Costituzione federale e
agli impegni, relativi alla protezione delle minoranze, sottoscritti dalla
Svizzera sul piano internazionale, sentenzia la Corte suprema.
La fortuna, la provvidenza, il destino o come lo si voglia chiamare, ha fatto sì
che fossi presente a Londra, nella settimana dell'otto aprile 1971. Da allora,
ne è passata di acqua sotto i ponti. Sono trascorsi 41 anni. Ero quasi un
bambino. Il mio viaggio a Londra, appena dopo il franchismo, fu il mio battesimo
riguardo alla conoscenza della realtà gitana mondiale, della quale fino allora,
avevo soltanto vaghe conoscenze.
Gitani e gitane provenienti da 25 paesi si erano dato appuntamento a Londra. Ci
sono andato senza conoscere nessuno, e senza avere ben chiaro in mente di cosa
trattava quella riunione. La mia prima sorpresa fu di constatare che quelle
giornate erano state convocate, programmate e dirette dai gitani stessi. Neanche
un solo "gachó" (payo) intervenne nei dibattiti, né assolutamente
condizionò gli accordi lì presi. I ricordi vengono alla mia
memoria con la stessa forza con la quale appaio nelle foto che accompagnano
questo commento, le quali mi sono state regalate l'anno scorso, nel Regno Unito.
L'otto aprile del 1971, sapevo che nel mondo vivevano più gitani di quelli che
conoscevo in Andalusia, però non li avevo mai visti. L'otto aprile 1971 ho
sentito parlare per la prima volta in romanì. A casa mia, la mia famiglia
chiacchierava in gergo. Non era lo stesso, ma era simile. Ho potuto scoprire
stupito, come gitani che vivevano dietro la cortina di ferro - gitani che non si
erano mai neanche sognato che le autorità comunista del loro paese avrebbero
potuto mai autorizzarli a uscire verso il mondo capitalista - si capivano
perfettamente con gli altri gitani arrivati dalla Francia, dalla ex Iugoslavia,
o dalla temuta Germania. L'otto aprile 1971, sono stato invaso da brividi di
commozione quando ho sentito sulla mia pelle i baci calorosi di tanti gitani che
mi abbracciavano, emozionati per avere trovato il figlio perduto, il fratello
sconosciuto che veniva dalla vecchia Spagna dove - loro lo sapevano - vivevano
centinaia di migliaia di gitani separati dal resto del loro popolo, disperso in
milioni per tutto il mondo.
L'otto di aprile 1971 mi sono sentito più libero che mai. Ho partecipato alla
votazione che ha ufficializzato la nostra bandiera e poi ho percepito la
liberazione che si prova tenendo come tetto l'azzurro del cielo e come pavimento
il verde dei campi. Poi ho capito con chiarezza assoluta perché mio nonno
Agapito ci augurava sempre salute e libertà.
L'otto aprile 1971 ho visto per la prima volta una balalaica. Ho ascoltato il
suo suono nelle mani di Jarko Jovanovic. Alla sua melodia si è unita la musica
soave, triste e melancolica di alcuni violini, e mentre dalle corde della
balalaica saltano fuori le note infuriate, che imitano il crepitio delle fiamme
assassine che hanno distrutto la vita di tanti innocenti nei campi nazisti, i
violini con la loro dolce melodia, fanno strada a fiumi di lacrime, mentre
giocano con il ricordo di tanti anziani ingiustamente gasati, decine di migliaia
di bambini massacrati e centinaia di uomini e donne che, nel fior della vita,
non capirono mai perché li svestirono prima di introdurli nelle camere a gas.
Così è nato il "Gelem Gelem".
L'otto aprile 1971, come lo sbocciare di un fiore, nella vecchia Europa è
apparso il germe di una coscienza collettiva addormentata per tanti secoli.
Gitani e gitane provenienti da 25 stati, residenti nei paesi comunisti
dell'eterno freddo, o nella geografia spesso disumana del capitalismo più
feroce, hanno messo al di sopra di qualsiasi ideologia il rispetto per la nostra
comune condizione di gitani. Poi ci siamo resi conto che eravamo un popolo, che
aveva saputo conservare leggi e costumi e che dovevano essere difesi. Il
rispetto verso le persone più grandi, l'autorità indiscussa degli anziani, il
valore della parola data, la venerazione suprema della famiglia, sono
l'espressione palpabile della nostra massima istituzione e dell'amore supremo e
incorruttibile nei confronti della libertà.
Oggi non ci sembra il giorno adatto per parlare delle nostre miserie.
Dell'emarginazione della quale siamo vittime e degli attacchi razzisti che
patiamo. Per denunciare queste situazioni abbiamo tutti i giorni dell'anno, e
così facciamo. L'otto aprile è la Giornata Internazionale del Popolo Gitano è ha
una vocazione di fraternità e di rispetto per tutto il mondo. Così come in
questo giorno i gitani e le gitane del pianeta si avvicinano ai fiumi per
depositare sulle loro acque le candele del ricordo e i fiori della libertà,
nelle quali sta il simbolo del nostro desiderio di convivere con il resto dei
cittadini in pace e armonia, in quanto una celebrazione che racchiude il ricordo
del passato e l'amore per la libertà dovrebbe essere patrimonio di tutta
l'umanità.
Juan de Dios Ramírez Heredia
Presidente de Unión Romani
Abogado y periodista
Prosegue la V edizione di StranItalia con una serata che va "Oltre i luoghi
comuni".
Recuperare la curiosità e l'apertura verso l'altro, ribaltare i luoghi comuni, i
pregiudizi per costruire e proporre luoghi in comune...
SABATO 14 APRILE
19:30 TESTIMONIANZE di Bianca Stancanelli
Rebecca Covaciu
Roberto Malini
20:30 APERITIVO preparato da Operazione Mato Grosso
e CONCERTO Roberto Durkovic e i fantasisti del metrò
c/o SALA RIUNIONI PARROCCHIA SANTA TERESA (FRATI)
Piazza Montegrappa, 1 - LEGNANO
Di Fabrizio (del 07/04/2012 @ 09:32:01, in Italia, visitato 2035 volte)
Da circa un mese, i due fratellini Libero e Il Giornale stanno battendo
la grancassa, ripetendo la notizia che con Pisapia (ed in assenza di sgomberi)
a Milano sono in aumento i "nomadi". E' il loro marchio di fabbrica: si
alternano nel ripetere la cosa, finché qualche altro media, per sfinimento o in
mancanza di altro da scrivere, si unisce al coro.
Leggendo le cronache dalle altre città (grandi e piccole) in Italia, ho
invece la sensazione che i cosiddetti "nomadi percepiti" (cioè: mendicanti,
lavavetri, mariuoli di vario calibro) siano in aumento un po' dovunque. Figli di
questi tempi, credo: nell'attuale situazione economica, non siamo solo noi a
perdere il lavoro, fare più fatica a fare la spesa o mandare i figli a scuola.
Ma si sa, che il compito della maggior parte dei giornali non è tanto fare
informazione, quanto trovare il colpevole, e a Milano si preferisce dare la colpa
a Pisapia, piuttosto che a Monti (o al suo predecessore, nessuno ricorda come si
chiamasse?)
La soluzione per Milano, apripista Libero e il Giornale, sarebbe riprendere
la vecchia e sana politica degli sgomberi ad oltranza che, a detta loro (ma
anche del prefetto Gian Valerio Lombardi), in passato aveva ridotto le presenze
nomadi in città.
Sarebbe utile ragionare sulle cifre riportate, e capire come vengano fornite.
Ad esempio, sulle stesse pagine dei quotidiani da anni si parla si situazioni al
limite dell'invivibile dentro TUTTI i campi rom cittadini, dove polizia e
carabinieri non riuscirebbero nemmeno ad entrare. Io al contrario posso
testimoniare che le loro pattuglie vi entrano regolarmente, anche una volta al
giorno, fanno il loro giro ed escono senza problema. Che quelle stesse pattuglie
con frequenza quasi mensile compiano una sorta di censimento (rigorosamente
prima delle 7.00 e non capisco il perché), ma che nonostante ciò in comune da
anni non sanno con quanti rom e sinti hanno a che fare. Quello che ricordo degli
sgomberi di De Corato, non è che portarono ad una riduzione delle presenze
nomadi in città, ma che si creò un'ondata di "nomadi di ritorno": sempre gli
stessi sgomberati ogni volta. I due giornali, con dietro il coro, dimenticano
che quella politica ebbe come risultato almeno una cinquantina di insediamenti
di fortuna, diffusi in tutta la periferia, dove venivano rimbalzati gli
sgomberati.
L'incendio questa settimana nel campo di via Sacile, ha risvegliato il
dibattito sul destino di questi insediamenti, e come porvi rimedio. Se l'ex
vicesindaco De Corato nostro ne approfitta per ribadire quanto lui era bravo,
l'attuale maggioranza -ormai da mesi- prosegue con dichiarazioni (tante) ed atti
concreti (meno), apparentemente contraddittori tra loro che, almeno riguardo
alla questione degli insediamenti abusivi, sta portando al risultato di avere le
stesse presenze di prima, ma più concentrate e periferiche rispetto al passato.
Occorre capire meglio cosa passi per la testa degli attuali
amministratori: sicuramente una delle cause della loro indeterminatezza è data
dal buco in bilancio della giunta precedente, già denunciato il luglio scorso.
La seconda causa è dovuta al fatto che dichiarando la Corte Costituzionale
illegittimo il Piano Maroni, sono scomparsi i fondi superstiti. In questa
situazione, non conoscendo quanti possano essere i soldi disponibili, le tante e
contraddittorie dichiarazioni sono fatte non tanto a ragion veduta, quanto per
motivi di propaganda a corto respiro.
Apro una parentesi: domenica scorsa ero all'insediamento di via
Sacile. In quel campo che TUTTI indicano come una bomba ad orologeria sociale,
gli abitanti mi mostravano le loro carte d'identità italiane (dato che sono
arrivati lì dopo innumerevoli altri sgomberi) - carte d'identità andate bruciate
con l'incendio. Buona parte dei maschi adulti ha un lavoro (per quanto in nero),
i bambini hanno iniziato ad andare a scuola. Quindi esistono anche dei Rom
"abusivi" che sono già sulla via dell'integrazione. Se fosse quello l'obiettivo,
sarebbe DOVERE dell'amministrazione aiutarli, trovare qualche modo meno
infernale di poter vivere. Ma le risposte ottenute dal comune spesso sono state
del tono "vogliamo aiutarvi, ma dovete andarvene".
Un esempio di cosa manca: il campo è (ovviamente) una gigantesca
discarica, il comune non effettua la raccolta dell'immondizia, per paura di
trattare TROPPO BENE questa gente (poco importa se le infezioni sono per loro
natura antirazziste, e attaccheranno tanto loro quanto il resto degli abitanti).
In Francia, anche se un insediamento è abusivo o a rischio sgombero, le
municipalità (di destra o sinistra) mettono sempre a disposizione dei cassonetti
per la raccolta rifiuti. In via Sacile sono gli OCCUPANTI ad autotassarsi per
poter pagare una compagnia privata che provveda.
Altro esempio: nel campo manca l'acqua, e più volte al giorno le
donne fanno un lungo percorso sino ad un parchetto cittadino munito di
fontanella, sollevando spesso il ribrezzo degli altri frequentatori del parco.
Alcuni OCCUPANTI avevano raggiunto un accordo col proprietario di una casa
abbandonata accanto al campo, per ripristinare il collegamento idrico. Ora
bastava superare una recinzione divelta per rifornirsi senza scandali. Dopo
qualche giorno, è intervenuta la polizia municipale per chiudere il rifornimento
dell'acqua così ottenuto.
Questo il panorama di un'integrazione che (discorsi a parte) viene resa
impossibile. La giunta attuale non chiede sgomberi, ma il "superamento dei
campi"; cosa cambi non è chiaro, in assenza di proposte su dove può finire
questa gente. L'alternativa pratica ai disastrosi campi attuali sembrano essere
campi ancora più disastrosi.
Luoghi disastrosi per gente altrettanto disastrosa. E qua, occorre misurare
l'approccio che si vuole avere con chi ci abita. Se UNA PARTE è gente come
quella che descrivevo sopra, quando si tratta di cercare un dialogo con
l'amministrazione, i toni tornano a quelli di anni fa: spaccio, prostituzione,
ricettazione, furti, ecc. (qualche volta gradirei anche dati e cifre, please),
diventano SCUSE per bloccare qualsiasi scelta che non vada oltre la pura
emergenza. Scuse, di cui gli house organ comunali, le pagine cittadine
del Corriere e di Repubblica, si fanno volentieri altoparlanti.
Con un'aggravante, per tornare al panorama dell'informazione: il
progressivo "superamento dei campi", dietro il paravento del ripristino della
legalità e del decoro, nasconde ancora, a distanza di anni e di giunte passate,
i vecchi appetiti che si chiamano Expo, speculazioni immobiliari varie e, nel
caso di via Sacile, i lavori di prolungamento della Paullese che, guardacaso,
Pisapia in campagna elettorale si era impegnato a bloccare. Ma, visto che
Pisapia per i suoi fan rimane intoccabile (e spesso inavvicinabile), il "lavoro sporco" viene
delegato ai Granelli ed ai Majorino del caso.
Quindi: Pisapia come Moratti e sgomberi come "pensiero unico"? Leggo, nelle
cronache romane, una descrizione della situazione nella capitale, governata da
una maggioranza diversa che sta investendo una marea di soldi per costruire
nuovi campi piazzati praticamente nel deserto: Rom, 21 luglio: "Con gli
sgomberi i campi sono aumentati da 80 a 269". La gente anche lì rimane
sempre quella, cambia il numero e la dimensione degli insediamenti di fortuna (diteglielo
voi
a De Corato).
E, permettete, destra e sinistra non usciranno da questo pantano (qualsiasi
cosa proclamino), se non troveranno il coraggio di "prendere il toro per le
corna", anche a costo di scelte impopolari. Scelgano una buona volta: la
repressione dura e pura, con la PULIZIA ETNICA delle città. Oppure, prendano
atto (magari non lo sanno...) che ci sono centinaia di edifici abbandonati sul
territorio, potrebbero risolvere una buona parte del problema o, se restano
abbandonati, prima o poi verrà qualche sgomberato ad occuparli. Io non ero
ancora nato, ed in un'Italia sicuramente più povera di quella odierna, i vecchi
politici di un vecchio centro (poi centro-sinistra), avevano già iniziato a
smantellare le coree (molto più estese dei campi attuali), a favore di una
politica della casa per le masse di immigrati che si erano riversate a Milano,
Roma, Torino ecc.
Sappiate, signori amministratori, che quel che dovreste fare voi
(scolarizzazione, facilitare l'accesso al lavoro, ai servizi pubblici e
sanitari, dialogare con Rom ed altri cittadini) a Milano ed altrove lo stanno
facendo da anni nuclei di volontari, sempre più numerosi e coscienti. Sono il
capitale di un'amministrazione senza soldi, signori amministratori, sono i vostri votanti. Non fate la
faccia offesa se vi chiedono ASCOLTO e RISPETTO.
Nel frattempo: Matteo Salvini è sempre stato un ragazzo sveglio ed attivo,
uno che la città se la gira da cima a fondo. Giovedì mattina era con i suoi in via Sacile, per
dire ai Rom che dovevano andarsene. Mi dicono che la sera sia apparso
contemporaneamente in televisione su Matrix, prendendosela con gli zingari
ladri, e a Porta a Porta, piangendo sui (presunti) furti della Lega.
Schizofrenico grave.
Di Fabrizio (del 07/04/2012 @ 09:30:10, in Italia, visitato 4274 volte)
Foto di Paul Polansky -
MilanoInMovimento: A breve l'intervista integrale a Paul Polansky su questo
sito.
All'alba di mercoledì un incendio ha distrutto metà del campo Rom di via
Sacile angolo via Bonfadini a Milano. L'area sotto sgombero è destinata alla
costruzione di uno svincolo della Statale Paullese e di un tratto di una rete
fognaria.
Attualmente la versione ufficiale dei fatti parla di un incendio non doloso
provocato da una candela situata all'interno del campo.
Il poeta Paul Polansky, già intermediario per l'Onu e premiato con lo Human
Rights Award nel 2004, si trovava nel campo durante la notte in cui le baracche
hanno preso fuoco e in un'intervista esclusiva rilasciata a Milano In Movimento
dà una versione radicalmente diversa dell'accaduto e in particolare delle cause
dell'incendio.
Guarda la VIDEO intervista in esclusiva di Milano In Movimento.
Ndr: L'intervista è stata concordata e realizzata in
collaborazione con la redazione di Mahalla
Nota:
Saluti a tutti,
Volevo scrivere oggi un rapporto su come e perché ci fosse stato un
incendio nel campo rom a Milano dove vivevo, ma al suo posto troverete qui sopra
un intervista con me in inglese ed italiano che spiega tutto.
Vi chiedo di girare l'intervista a tutti quanti siano interessati ad
aiutare questi Rom.. Almeno venti famiglie nel campo ora non hanno un tetto.
Stanno scavando tra i resti bruciati in cerca di materassi a molle per farsi
nuovi letti. Il comune non ha portato loro nessuna tenda e neanche nuove
baracche, come aveva promesso. L'unico aiuto è stato una tazza di Nescafe dopo
che l'incendio è stato spento.
Ora all'ingresso del campo ci sono 24 ore su 24 due macchine della
polizia. Perché, se è stata solo una candela a far scoppiare l'incendio? Ho
intervistato i poliziotti e chiesto loro perché erano lì. Mi hanno detto [che
era] per tenere lontani i Rom dal terreno intossicato (bruciato). Ma la polizia
permette loro di piantare le tende che si sono procurati su quel terreno tossico,
limitandosi ad osservarli dalle loro macchine, dato che i Rom passano tutto il
giorno su quel terreno in cerca di quello che hanno perso nell'incendio.
Spero che possiate dare una mano, appellandovi al sindaco di Milano.
Il governo attuale difende le decisioni del precedente sull'emergenza rom. E
l'Asgi si chiede perché
L'Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) esprime
"sconcerto e perplessità" per la scelta del governo Monti di impugnare
davanti alla Corte di Cassazione la sentenza del Consiglio di Stato
che, con riguardo ai decreti sull'emergenza nomadi emanati dal Governo
Berlusconi nel maggio 2008, aveva negato che esistessero i presupposti legali
per la dichiarazione dello stato di emergenza.
La sentenza del massimo giudice amministrativo, che risale al novembre scorso,
"seguiva quella del Tar del Lazio del 2009 - ricorda l'Asgi - che, pur
riconoscendo invece la legittimità della proclamazione dell'emergenza, aveva
comunque censurato l'operato del governo che aveva imposto il "censimento"
etnico e che aveva regolamentato impropriamente i cosiddetti campi nomadi di
Roma". L'Asgi chiede dunque che il Governo Monti desista dall'azione
giudiziaria intrapresa, "così dimostrando di discostarsi dalla politica
discriminatoria del precedente esecutivo e riconoscendo piena dignità alle
popolazioni rom e sinte".
Di Fabrizio (del 06/04/2012 @ 09:00:09, in casa, visitato 1512 volte)
Amnesty InternationalData di pubblicazione dell'appello: 02.04.2012 -
Status dell'appello: aperto
Dal 19 marzo circa 1500 famiglie rom sono a rischio sgombero forzato
dall'insediamento informale di Belvil, Belgrado, capitale delle Serbia. Le
famiglie non sono state informate su dove saranno rialloggiate e potrebbero
essere reinsediate in condizioni inadeguate o rimanere senza casa.
Lo sgombero dell'insediamento era stato precedentemente minacciato dalle
autorità di Belgrado nel marzo 2010. Le autorità locali avevano affermato che la
maggior parte dei residenti dell'insediamento di Belvil sarebbero stati
sgomberati per far posto a strade di accesso ad un nuovo ponte sul fiume Sava.
Non era stato predisposto alcun piano di reinsediamneto ne era stata avviata una
consultazione con i residenti.
A seguito alla campagna di Amnesty International e delle organizzazioni locali
per i diritti umani, lo sgombero era stato sospeso. Come risultato della
pressione esercitata, la Banca Europea degli Investimenti (Bei), uno degli
finanziatori del progetto del ponte di Sava, ha dichiarato che lo sgombero
sarebbe dovuto avvenire in conformità con gli standard internazionali.
Nell'aprile 2011, le autorità cittadine, coadiuvate dalla Bei, convocarono una
riunione con i residenti di Belvil che vivono lungo la strada di accesso (circa
100 famiglie) e promisero che lo sgombero sarebbe avvenuto nel rispetto degli
standard internazionali sui diritti umani. Le autorità promisero che avrebbero
elaborato un dettagliato piano d'azione per il reinsediamento in accordo con le
persone coinvolte. Ai residenti sarebbero state assegnate delle case
prefabbricate, considerate da Amnesty International un alloggio adeguato.
Tuttavia i residenti di Belvin non sono più stati contattati dalle autorità
cittadine fino al 15 marzo 2012 quando gli è stato comunicato che sarebbero
stati sgomberati al più presto.
Nonostante le assicurazioni da parte della Bei e delle autorità cittadine, il 16
marzo le autorità della città di Belgrado hanno distribuito la notifica di
sgombero ai residenti di Belvil. Gli è stato chiesto di distruggere e lasciare
le loro case, senza alcuna consultazione preventiva e senza ricevere alcuna
informazione su possibili piani di reinsediamento.
Egregio Sindaco,
Sono un simpatizzante di Amnesty International, l'Organizzazione non governativa
che dal 1961 agisce in difesa dei diritti umani, ovunque nel mondo vengano
violati.
Sono molto preoccupato per il rischio di sgombero di 1500 famiglie rom a Belvil,
un insediamento informale di Belgrado.
Il 16 marzo le autorità della città di Belgrado hanno distribuito la notifica di
sgombero ai residenti di Belvil. Gli è stato chiesto di distruggere e lasciare
le loro case, senza alcuna consultazione preventiva e senza ricevere alcuna
informazione su possibili piani di reinsediamento.
Essendo la Serbia uno Stato parte dei trattati internazionali e regionali che
vietano gli sgomberi forzati, Le chiedo di:
fermare lo sgombero delle famiglie rom che vivono a Belvil e altrove a Belgrado;
avviare una consultazione reale con tutte le persone interessate per trovare
tutte le possibili alternative agli sgomberi;
fornire alle persone interessate un piano per il loro reinsediamento, compresa
la fornitura di un alloggio adeguato;
assicurare che gli sgomberi siano eseguite come ultima risorsa e dopo che siano
state prese tutte le tutele legali e le garanzie, compreso un reinsediamento
completo e un piano di compensazione per tutte le persone interessate.
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