Conoscere non significa limitarsi ad accennare ai Rom e ai Sinti quando c'è di mezzo una disgrazia, ma accompagnarvi passo-passo alla scoperta della nostra cultura secolare. Senza nessuna indulgenza.
In poche ore Torino e poi Firenze. Ho provato a scrivere quel che penso in forma
di poesia: mi sono ispirato a Martin Niemöller (chi non lo conoscesse troverà,
alla fine, una breve nota biografica).
«Prima venne la Lega contro gli immigrati
ma io non dissi nulla
perché non sono un migrante.
Poi dichiararono clandestini persino i bambini e le donne incinte
io non dissi nulla
perché mia moglie e mio figlio sono italiani.
Poi accaddero cose terribili a Novi Ligure, a Erba, a Ponticelli....
e io non dissi nulla
perché abitavo altrove e dunque non sono affari miei.
Poi peggiorarono le condizioni di vita e di lavoro nelle fabbriche
ma perché avrei dovuto dire qualcosa?
io non sono un operaio.
Poi tassarono solo chi aveva pochi soldi
forse avrei potuto dire qualcosa
ma speravo lo facesse qualche altro.
Nello stesso periodo spesero montagne di soldi in armi
di nuovo pensai che avrei potuto dire qualcosa
ma ero quasi sicuro che questo compito spettasse ad altri.
Poi bruciarono il campo rom di Torino
e io non dissi nulla
perché non sono un rom.
Poi ammazzarono due senegalesi a Firenze
e io non dissi nulla
perché non sono senegalese.
Poi vennero ad arrestarmi.
Non so neanche perché,
avevo solo mugugnato.
Sperai che molti mi difendessero
però nessuno lo fece.
Forse nessuno di quelli rimasti si chiama Daniele».
Martin Niemöller era un pastore protestante che all'inizio si fece sedurre
da Hitler ma poi capì e divenne un coerente e coraggioso oppositore del nazismo.
I suoi sermoni infastidirono il regime ma per qualche anno ebbe relativamente
pochi guai: di certo gli giovò l'avere amicizie influenti ed essere uomo di
Chiesa. Nel 1937 la relativa tolleranza verso Niemöller (e altre/i) finì. Venne
arrestato dalla Gestapo. Rimase sino alla fine della guerra in vari lager (fra
cui Dachau) ma si salvò. Nel dopoguerra si impegnò nella riconciliazione ma
chiedendo che il popolo tedesco non chiudesse gli occhi sulle radici
dell'orrore, sulle complicità, sui silenzi. Proprio una sua poesia sull'apatia,
sul silenzio divenne famosa. I versi di «Prima vennero» furono letti (persino
cantati) in molte versioni e diverse occasioni. Come capita spesso vennero
attribuiti per errore ad altre persone (in questo caso a Bertolt Brecht). Quando
chiesero a Niemöller quale fosse il testo originale disse di non ricordarlo.
Forse era vero oppure intese significare che in fondo era importante il senso
della poesia non le parole esatte. Per questo anche io (come alcuni anni fa
Lorenzo Guadagnucci, a proposito del decreto «anti lavavetri» di Firenze) mi
sento autorizzato a darne una mia interpretazione.
Venerdì 16 dicembre dalle 19.30 Arci Virgilio -
vicolo Ospitale 2/6 MANTOVA
Tutti a Mantova sanno che alcuni giorni fa Aleksandar Stojkovic è stato vittima
del furto della sua fisarmonica con cui suonava e cantava sotto i Portici
Broletto.
In questi giorni moltissimi mantovani hanno chiamato l'Istituto di Cultura Sinta,
l'Arci, la Sucar Drom, il Centro "Bruno Cavalletto" di via Tezze offrendosi per
dare il proprio contributo.
Stimolati da tanta voglia di solidarietà abbiamo deciso di organizzare per
venerdì prossimo un aperitivo con Aleksandar, dove raccogliere il contributo di
tutti per acquistare una nuova fisarmonica. Il musicista Mirko Bianchi presterà
per l'occasione la sua fisarmonica.
APPUNTAMENTO PER TUTTI
NON MANCATE E DIFFONDETE LA NOTIZIA
Per chi proprio non riuscirà a partecipare all'evento di venerdì, potrà comunque
offrire il proprio contributo presso tutti gli Arci di Mantova: Donini, Salardi,
Fuzzy, Tom, Papaqua e Te Brunetti e naturalmente al Virgilio.
Anche al Bar Lasagna in Piazza Broletto è possibile dare il proprio contributo.
Per secoli Sulukule è stato il quartiere dei rom di Istanbul, poi le loro
case son state distrutte per lasciar spazio a nuove costruzioni. Oggi la vivace
tradizione musicale rom torna a vivere a Sulukule in un laboratorio artistico
dedicato a tutti i ragazzi
"Amano il rosso, si lodano a vicenda. Sono fatti così i rom, non potrebbero
vivere, morirebbero senza uno strumento musicale". Inizia così una famosa
canzone rom suonata nelle cerimonie nuziali di strada. Fino a poco tempo fa la
si sentiva riecheggiare nelle case delle viuzze di Sulukule, a ridosso delle
mura di Teodosio, quando le orchestre del quartiere di insediamento rom più
antico del mondo facevano musica nelle "case di divertimento" e la gente ballava
e suonava insieme. Altre volte, al calar della sera, quando venivano poste le
sedie davanti ai portoni delle case un via vai di violini, kanun, clarinetti, ud,
cümbüş attaccavano con la musica, mentre le donne e le ragazze, vestite dei
colori più sgargianti, li accompagnavano con le loro danze.
Nel 2009 la musica a Sulukule è stata bruscamente interrotta.
Il quartiere è
stato completamente raso al suolo per consentire al piano di riqualificazione
urbana della municipalità metropolitana di Istanbul di costruire su 46mila metri
quadrati un complesso di case moderne, destinate a nuovi inquilini. Le famiglie
rom che abitavano nella zona sono state costrette a vendere le loro proprietà
(dichiarate fatiscenti) a prezzi stracciati. In cambio hanno ricevuto nuove
abitazioni a Taşoluk, a quaranta chilometri da Istanbul, con tanto di mutuo
agevolato per pagarne il debito.
Ma delle 337 famiglie che erano partite, quasi tutte sono tornate indietro.
Hanno trovato sistemazione, ciascuno secondo le proprie possibilità, nelle zone
limitrofe del loro vecchio quartiere, perché vivere in appartamenti isolati,
privi del sostegno comunitario essenziale per la loro quotidianità non è stato
possibile.
Un innovativo atelier artistico per ragazzi
Lezione a Sulukule (foto di Tansel Atasagun)
La scomparsa di Sulukule e la disgregazione sociale che ne è seguita hanno
portato con loro anche un altro rischio, quello di perdere la tradizione
musicale tramandata tra i rom di generazione in generazione. Per questo motivo
gli attivisti della Piattaforma di Sulukule, che fin dall'inizio del processo di
demolizione nel 2006 hanno lottato per salvare il quartiere, hanno pensato di
dare vita ad un laboratorio artistico rivolto ai bambini e alle bambine di
Sulukule, presentando il loro progetto all'Agenzia per Istanbul Capitale Europea
della Cultura 2010.
"Solo un terzo del budget che avevamo richiesto è stato accolto. Ma abbiamo
deciso di accettare comunque per non vedere il nostro proposito sfumare del
tutto", spiega a Osservatorio Balcani e Caucaso Funda Oral, direttrice del
progetto e attivista della Piattaforma Sulukule.
Una piccola casa rosa a tre piani, al confine nord dell'area del quartiere
abbattuto, è diventata nell'agosto del 2010 la sede di questo innovativo atelier
artistico frequentato da 60 ragazzi e ragazze dai 6 ai 17 anni. "Non ci sono
solamente bambini rom, ci vanno anche altri ragazzi della zona", aggiunge Şükrü
Pündük, presidente dell'Associazione culturale rom di Sulukule ed altro
promotore del progetto.
Tutti a studiare ritmica, danza, elementi di nota, chitarra, violino, kanun, ud,
clarinetto, ma anche lettura e scrittura, inglese e da quest'anno sono previsti
anche elementi di drammaturgia e cinema. "Avendo avuto modo di osservare negli
ultimi cinque anni la vita culturale a Sulukule, ci siamo resi conto di quanto i
rom siano naturalmente portati all'arte. I ragazzi hanno un grande interesse per
la musica e molti l'hanno già imparata in famiglia, dove spesso ci sono dei
musicisti, ma suonano a memoria, senza conoscere le note" aggiunge Oral.
Infatti, se gli allievi del primo livello devono ancora imparare gli elementi di
base degli strumenti che hanno scelto, ascoltare quelli del secondo, durante una
lezione, è estremamente piacevole, visto che ci si trova di fronte a degli abili
esecutori che vengono seguiti anche da maestri della musica rom del calibro di
Yaşar Akpençe.
Lezione di violino (foto di Tansel Atasagun)
La formula che unisce un ambiente piccolo ed accogliente ad un metodo didattico
elastico, si è rivelata fondamentale per i docenti di musica turca del
conservatorio dell'Università Tecnica di Istanbul (İTÜ) che insegnano al
laboratorio. Aykut Büyükçınar, docente di violino, proviene lui stesso da una
famiglia rom. Per esserci passato personalmente, conosce bene le tendenze e i
problemi dei suoi studenti.
"È un dato di fatto", dice Büyükçınar, "noi abbiamo difficoltà a stare negli
schemi". Come fare allora a non reprimere la vena naturale dei bambini
insegnando loro anche le regole? "Lasciarli liberi di suonare quello che
vogliono e insegnare loro le note sulla base dei pezzi che preferiscono.
Applicare un nuovo sistema basato su una comunicazione diretta e informale che
permetta di coniugare l'insegnamento accademico con quello tramandato dalla
famiglia", ci spiega.
Non solo musica
Il laboratorio però non funge solo da scuola di musica. Secondo Funda Oral, che
l'anno scorso ha dedicato tutto il suo tempo per tenere in piedi il progetto,
"la musica serve ai ragazzi per tenere testa ai problemi della vita. Ma per
poter essere forti nella società devono avere anche un'istruzione". Scopo della
scuola è anche quello di aiutarli ad accedere alle scuole d'arte e ai
conservatori, un proposito che richiede un grande impegno da parte dei docenti
del laboratorio, vista la scarsa scolarizzazione dei bambini. E per questo che
Oral e Şükrü Pündük stanno cercando di organizzare anche dei corsi da privatisti
per loro.
"Qui ci si sposa, si diventa adulti già a 15 anni", spiega Oral. "A scuola i
ragazzi spesso vengono bocciati durante l'anno per le numerose assenze. La metà
circa abbandona la scuola dopo la terza elementare. L'altra metà continua a
stento fino alla conclusione della terza media. Solo due giovani nel quartiere
frequentano l'università". Ma, aggiunge: "L'esperienza che abbiamo avuto ci ha
dimostrato che attraverso l'arte è possibile avvicinare i ragazzi
all'istruzione. In realtà la Convenzione sui diritti dell'infanzia delle Nazioni
Unite prevede che i bambini ricevano un'istruzione in considerazione dei loro
talenti, ma è un punto che viene spesso dimenticato. In più abbiamo un altro
problema: non sappiamo dove indirizzare i ragazzi, dato che in tutta Istanbul
c'è un solo liceo artistico".
I costi di mantenimento del laboratorio artistico sono molto bassi – volendo, se
ne potrebbe aprire uno ogni tre vie – propone l'attivista. Si parla di 600 lire
turche d'affitto al mese (circa 240 euro) e un piccolo stipendio per gli
insegnanti. Ma c'è da integrare il numero degli strumenti musicali. Per alcuni
bambini la carta, i pennarelli, i quaderni e i libri sono un lusso incontrato
per la prima volta al laboratorio. Fortunatamente, all'inizio dello scorso
agosto, proprio quando i soldi a disposizione del progetto erano esauriti, una
fondazione ha deciso di finanziarlo per altri 6 mesi.
Un sostegno che i ragazzi del laboratorio si sono guadagnati suonando da soli
per quindici minuti all'interno del concerto dell'orchestra giovanile
venezuelana Simón Bolivar tenuto lo scorso agosto in Piazza Galata a Istanbul.
Prima dell'evento, alcuni membri dell'orchestra, figlia del programma el Sistema
Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela ideato da José
Antonio Abreu che in quasi quarant'anni ha trasformato mezzo milione di giovani
venezuelani socialmente a rischio in musicisti, sono venuti ad ascoltare un
saggio dei ragazzi di Sulukule per decidere sulla loro partecipazione al
concerto e l'impressione è stata ottima.
Dopo il concerto Abreu ha fatto i complimenti ai giovani esecutori rom e delle
promesse su una futura cooperazione musicale tra la Turchia e il Venezuela. Ma
di fronte ad un'improbabile eventualità che lo Stato venezuelano finanzi anche
il laboratorio artistico di Sulukule, sta alle amministrazioni turche capire
l'importanza di iniziative come questa, investire meno nei centri commerciali e
sostenere la crescita della cultura dei suoi giovani.
Megaevento domenica passata a Milano. Tanti gli ingredienti: storie di
riscatto di piccoli musicisti che suonavano nelle metropolitane, un palco di
tutto rispetto come quello del Conservatorio, un fronte inedito per la nuova
santa alleanza, una riuscita campagna mediatica, commozione del pubblico...
(clicca sull'immagine per leggere l'articolo)
Mancavamo solo noi, e credo che non se ne sia accorto nessuno (per fortuna).
Però due righe di cronaca siamo riusciti a scriverle lo stesso:
C'era una volta, tanti e tanti anni fa, un paese chiamato Milano, dove
regnava don Colmegna I, detto il buono.
La fama di don Colmegna era giunta anche all'orecchio di un suonatore zingaro di
fisarmonica, Jovica Jovic (proprio quello di cui si parla spesso in Mahalla), che
allora teneva corsi di fisarmonica dalle parti di
via Morigi.
I corsi andavano esaurendosi, e forte della sua passione, professionalità ed
esperienza, Jovica propose di tenere dei corsi presso Casa della Carità, aperti
a tutti, Rom e no, perché secondo lui è stando insieme che si sconfigge il
razzismo.
Don Colmegna mai rispose a Jovica, ma poco dopo iniziò il suo progetto di corsi
di violino per giovani rom, gestito da un suo amico.
Probabilmente pensò che se proprio un Rom deve lavorare, non è conveniente che
assuma un ruolo di responsabilità, o peggio direttivo.
Così adesso Jovica ha iniziato lo stesso
i suoi corsi da un'altra parte,
senza troppa pubblicità e senza gli spot di RadioPop
Young4young.comchi viene e chi vadi Ana Cvitan - Raccontare la situazione rom in Italia attraverso l'arte e lo spettacolo. Si
può, se hai come santi protettori Daniela e Silvio - giovedì 24 novembre
2011
Antun Blazevic in una foto di Marija Dzalto
Iniziare un'intervista con qualcuno che ti dice che puoi lasciare tranquilla la
tua borsa vicino a lui, perché oggi "non lavora", e finirla sentendo la sua
dichiarazione di essere invidioso di Berlusconi, perché appare solo lui alla TV
italiana e non i rom, non è molto comune. Invece, la conversazione con Antun
Blazevic, in Italia conosciuto come ToniZingaro, è andata proprio così. Lui è un
mediatore culturale, ha radici zingare, vive in Italia da più di 30 anni e
attraverso l'ironia racconta il suo popolo e le condizioni nelle quali si trova
dentro la società italiana.
Da un anno gestisce l'associazione "Theatre Rom" che ha il ruolo, come lui
stesso dice, «di promuovere la cultura e la tradizione del popolo rom e di far
vedere alla società che i rom non sono tutti sporchi, brutti e cattivi, ma che
sono pure persone che lavorano, persone che mettono passione nel proporre un
messaggio costruttivo, e non solo quello distruttivo, che invece alla società
italiana piace sentire e vedere». Nei media i Rom sono spesso presentati
attraverso i pregiudizi; nessuno li presenta come persone che «cantano, suonano,
recitano, dipingono quadri, lavorano il rame, fanno sculture».
L'associazione "Theatre Rom" non cerca di raggiungere l'obbiettivo attraverso
grandi azioni politiche, ma, come dice ToniZingaro, vuole «raccontare lo stato
dei Rom in Italia attraverso il palcoscenico e l'arte». Non vuole nemmeno
cambiare le convinzioni degli altri, «perché ognuno può pensare quello che
vuole. Ciò però non significa che egli non si debba confrontare con se stesso,
ripensare i propri modi di ragionare, mettersi nelle condizioni di riflettere se
tutti i suoi giudizi sono veri». Antun Blazevic, cosciente della presenza di
pregiudizi nella società italiana, li affronta in un modo ironico. Considera che
«una risata sana salva la vita» e proprio per questo usa l'ironia per far capire
alle persone quale è la vera situazione. «Con l'ironia metti le persone davanti
alla realtà, ma rendendola più leggera», dice.
Si intitola "la lettera" lo spettacolo d'ironia e di denuncia, andato in scena
la settimana scorsa. Il testo, scritto proprio da lui, racconta il mondo rom
attraverso l'umorismo: ad esempio, i figli del protagonista portano i nomi «dei
santi protettori del popolo rom: Giulio, Silvio, Daniela, Mario, Umberto, Pier
Silvio. È infatti merito loro, se i Rom in Italia si trovano "così bene"».
Tutto quello che fa l'associazione lo realizza con propri mezzi, perché «se con
i nostri progetti denunciamo il fatto che il popolo rom per colpa
dell'amministrazione è povero e a disagio, mi sembra poi contraddittorio
chiedere all'amministrazione di sostenere economicamente questi stessi
progetti».
L'associazione promuove anche laboratori per bambini, non solo rom. Si sceglie
un'altra metodologia, «si mettono insieme i bambini rom con i gagè (tutti gli
altri bambini), perché siamo convinti che la vera integrazione si realizza nel
loro incontro. Il mondo occidentale vorrebbe che noi lasciassimo la nostra
cultura e ci assimilassimo a loro, per entrare a pieno titolo nella loro
società. Ma l'assimilazione è una cosa pericolosa – essa significa perdere
l'identità, i valori, il modo di essere, di vivere, il modo di capire e
percepire il prossimo».
Non solo attraverso lo spettacolo, ma anche in altri momenti Antun Blazevic è
«portavoce dei rom» per richiamare l'attenzione del pubblico su alcuni diritti
fondamentali di questo popolo che lo Stato dovrebbe riconoscere: «la minoranza
linguistica - perché un uomo senza lingua è come un uomo senza l'identità; il
diritto al lavoro; il diritto all'educazione, in modo tale che le scuole non
siano più soltanto un "parcheggio" per i bambini rom, ma luoghi dove questi
bambini sono trattati come tutti gli altri bambini. Alla fine si dovrebbe
rispettare e conoscere la cultura dei Rom, perché soltanto così si arricchisce
la propria».
Secondo ToniZingaro è la musica la cosa più significativa del mondo rom. Davvero
può arricchire la cultura occidentale: «La musica è una forza molto più potente
della bomba atomica. La musica nel mondo rom è capace di aprire tutte le porte,
le finestre, i cuori, le anime, le persone. Con la musica trasmetti gioia,
dolore, amore, tristezza, felicità, pensieri. Tutto!». C'è poi un'altra cosa che
a noi occidentali può insegnare molto: questo popolo ha una grande forza di
sopravvivenza. «I rom non si arrendono mai. Anche dopo che qualcuno gli ha
bruciato la baracca, essi riprendono subito a vivere, perché sono liberi, non
hanno la necessità di essere proprietari di qualcosa, non hanno questo senso
della proprietà al quale invece gli occidentali tengono così tanto».
Alla fine gli chiediamo di spiegare la parola "Rom". Ci risponde che preferisce
essere chiamato ToniZingaro. La parola "rom", tradotta letteralmente dalla
lingua romaní, significa "uomo": non vuole che qualcuno lo chiami con questo
sostantivo, mentre poi non lo considera un essere umano.
VENERDI' 18 NOVEMBRE 2011 alle ore 18 presso la Sala delle Colonne – Banca Popolare di Milano (via san Paolo
12, Milano)
I ROM DI VIA RUBATTINO Una scuola di solidarietà
Elisa Giunipero e Flaviana Robbiati (a cura di)
Presentazione di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio
Collana Libroteca Paoline ISBN 88-315-4055-1
Milano, 19 novembre 2009: la baraccopoli di via Rubattino, occupata da circa
trecento rom, viene sgomberata dalle forze dell'ordine. Un'operazione gonfiata
ad arte per rassicurare i cittadini milanesi circa la presenza, guardata con
diffidenza e con sospetto, dei Rom. Questa operazione crea una reazione
inaspettata: i cittadini si mobilitano in favore dei rom. Famiglie milanesi
aprono la porta della propria casa per dare ospitalità ad alcune famiglie che
non avrebbero alternative reali alla strada. Tutto questo è avvenuto perché i
pregiudizi alimentati da una informazione tendenziosa hanno lasciato il posto
alla conoscenza reciproca.
Rom fa rima ancora oggi con allarme sociale e l'unica cosa che sembra restare è
il dovere di schierarsi. Sui rom ci si scontra senza mai fare una proposta o
indicare una possibile soluzione. Questo libro ha il grande vantaggio di
guardare in faccia la realtà così com'è, senza aggiunte né proclami, allo scopo
di provare a identificare una via da percorrere, pur consapevoli che non si
tratta di un cammino in discesa, ma certamente, per tanti motivi, in salita.
(dalla presentazione di Marco Impagliazzo)
Questo libro racconta la straordinaria avventura di incontro, solidarietà,
amicizia tra un quartiere di Milano e i Rom, avventura iniziata con l'iscrizione
a scuola di 36 bambini rom da parte della Comunità di Sant'Egidio. La scuola si
è rivelata così il primo luogo di un'integrazione, non facile ma possibile.
La rete di simpatia, buon senso, generosità, voglia di cambiare che ha
circondato i Rom di via Rubattino ha molto da dire al clima di antigitanismo che
sembra crescere in Europa. Gli autori di questo libro sono tanti: maestre,
genitori e alunni delle scuole, volontari, cittadini, giornalisti. Scritto come
cronaca diventa testimonianza di percorsi possibili e stimolo a cercare strade
di integrazione, unico futuro possibile.
A due anni esatti dallo sgombero e in occasione della Giornata dei diritti
dell'infanzia, il libro viene presentato dalla Comunità di Sant'Egidio e dalle
Mamme e maestre di Rubattino
Intervengono:
Maria Grazia Guida – Vicesindaco di Milano; Giangiacomo Schiavi – Corriere della
Sera; Gianni Zappa – Arcidiocesi di Milano; Corrado Mandreoli – CGIL; Garofita
Durusan – donna rom sgomberata da via Rubattino; Bianca Zirulia – Mamme e
maestre di Rubattino.
Musiche di Jovica Jovic.
Le Curatrici
Elisa Giunipero, della Comunità di Sant'Egidio, è impegnata nelle attività a
favore dei rom a Milano. Flaviana Robbiati, maestra elementare, da trentacinque anni insegna nella scuola
vicina a via Rubattino, a Milano.
Dal 17 al 19 novembre alle ore 21.00 - il 20 novembre alle ore 18.00 Piccolo Teatro Campo d'Arte - Via dei Cappellari, 93 (Presso "Campo dei
Fiori") ROMA
Scritto e interpretato da Antun Blazevic (Tonizingaro)
Musiche del Maestro Nicola Serban (Cimbalon)
Spettacolo teatrale ironico e di denuncia, con la partecipazione di
musicisti rom. L'immaginaria lettera che un Rom, fuggito negli anni '90 dalla
ex-Yugoslavia in Italia, scrive al fratello rimasto nel paese di origine. Ironia
tagliante che fa riflettere sulla condizione dei Rom in Italia, presentati in
questa mise-en-scene come benestanti cittadini ben integrati nella società
italiana. Fantasie che un uomo racconta ai suoi cari ma che soprattutto racconta
a se stesso; una favola che fa sorridere e fa riflettere. Soprattutto perché
dall’altra parte dell’Adriatico il fratello rom risponde alla lettera in un modo
davvero inaspettato…
Io e
Paul Polansky siamo seduti al bar uno di fronte all'altro. Sul tavolino tanti libri e due bicchieri di birra. So che la sera mi aspetta un compito non facile: dobbiamo presentare il suo
ultimo libro uscito da appena 2 giorni, e ovviamente non ho ancora potuto
leggerlo.
Per fortuna il posto è tranquillo. Paul mi ha riassunto i capitoli principali, a
cui ho dato una rapida scorsa, poi gli faccio alcune domande su quelle che mi
sembrano le questioni chiave sollevate. Ci accordiamo: durante la presentazione,
leggerò l'inizio di quei capitoli e gli porrò 2 o 3 domande per volta, altre
(spero) verranno dal pubblico, lui risponderà.
Non voglio fare una brutta figura di fronte a lui e al pubblico, così gli dico
che mentre aspettiamo darò un'altro sguardo al libro, "RANDOM", per farmene
un'idea meno approssimativa. Lui annuisce e si concentra nella traduzione in
spagnolo di alcune sue poesie.
Leggo con attenzione ma poca partecipazione l'introduzione di Pietro Marcenaro e
poi quella sua. Passo alle pagine interne, scorro la prima parte sulla Spagna. E
da questo momento termina la mia intenzione di leggere a caso e la mia
improbabile carriera di critico. Perché quando passo distrattamente al secondo
capitolo, la storia diventa un film breve e appassionante che non riesco ad abbandonare: quei
personaggi lì vedo davanti a me, reali, in tutto simili a tanti che conosco.
Riconosco il loro modo di parlare e ricordare, le strade percorse, le loro
vicissitudini, forse ne sento persino l'odore.
Ho persino paura che qualcuno possa notare il mio turbamento. Cerco di calmarlo
uscendo a fumare una sigaretta.
A parte questo, cosa potete trovare in 206 pagine, al prezzo di 18 euro?
Tante cose. Chi già conosce l'autore, troverà la risposta ad una domanda che
viene naturale farsi: come ha iniziato a vivere con gli zingari e perché ha
iniziato a scriverne. Chi non lo conosce, potrà fare un viaggio introduttivo
nella storia, cultura, religione, dei popoli rom e sinti in Europa e altrove.
Polansky è nel contempo un antropologo severo ed un testimone partecipe. Ama
ripetere: "Vivo tra gli zingari come uno studioso, ma ne scrivo con le loro
parole e la loro mente." ...Le loro parole e la loro mente: ecco il senso
del turbamento che descrivevo prima, perché Polansky sa anche essere scrittore
di razza. Asciutto, fotografico.
E poi, il libro va letto anche per le piccole chicche:
come quando racconta di un Rom scampato alla guerra, che nel 1948 aiuta
un Tedesco residente nei Sudeti ad abbandonare la Cecoslovacchia comunista,
che stava espellendo tutti i cittadini di origine tedesca;
o di quando ricorda un suo viaggio nel deserto del Rajastan: giunto nei
pressi di un accampamento zingaro, questi gli chiesero se voleva ascoltare
la loro musica. Si misero a suonare, ed eruppe una musica che a decine di
migliaia di km. e a secoli di distanza, assomigliava in tutto al cante
hondo dei gitani.
Lasciamo il libro per un momento, e facciamo un confronto:
Non voglio dilungarmi, il libro potrà anche stupire o far discutere, visto
che l'argomento ZINGARI rimane scottante. L'importante è approcciarlo con la
serietà e la passione necessarie.
Termino riportando l'ultima pagina del libro, per la sola
ragione che è bella:
Vivendo con loro ho scoperto che le differenze tra loro e me sono così
piccole che a volte non riesco a vederle affatto. L'amore delle madri per i
loro figli mi ricorda l'amore della mia per i suoi sette figli. Infatti, ho
notato che le madri, e in generale le famiglie gitane, sono molto più
premurose di quanto non siano le famiglie europee o americane di oggi. Gli
Zingari anziani non vengono messi in case di cura come fossero dei lebbrosi
ma, al contrario, vengono accuditi e rispettati nella propria casa e dalla
propria famiglia. Ciò non accade spesso nella civiltà occidentale.
So che, quando sarò vecchio, sarà probabilmente una famiglia di Zingari a
prendersi cura di me fino alla mia morte e non uno dei miei quattro figli.
Grazie Dio, per aver creato gli Zingari. Possano essi ereditare la terra,
come Dio ha promesso loro!
GIOVEDI’ 3 NOVEMBRE, ORE 21, via Irma Bandiera 1/5 Bologna
AMNESTY INTERNATIONAL DI BOLOGNA, in collaborazione con il gruppo
culturale "Alieni per caso/a", vi invita alla
Presentazione del nuovo libro di Paul Polansky
"LA MIA VITA CON GLI ZINGARI" (traduzione di Valentina Confido, edizioni Datanews 2011)
Presentato da Dimitris Argiropolous, Università di Bologna, in dialogo
con l’autore
per info: Patricia Quezada 3391923429 Pina Piccolo 3386268250 o Amnesty
International 051434384 o al sito
gr019@amnesty.it
Lunedì 7 novembre ore 20,30 Biblioteca Lame - via Marco Polo, 21/13 - Bologna
Presentazione del nuovo libro di Paul Polansky "LA MIA VITA CON GLI ZINGARI"(edizioni Datanews)
Sarà presente l'autore, che ne parlerà con: Amelia Frascaroli - Assessore ai Servizi Sociali, Volontariato,
Associazionismo e partecipazione del Comune di Bologna, Dimitris Argiropoulos - Università di Bologna, Sara Montipò - Centro Accoglienza la Rupe Lucio Serio - Società Dolce gli operatori dell'associazione Harambé
Paul Polansky, nato nel 1942, è un poeta, scrittore e fotografo statunitense, ed
è noto per il grande impegno civile e sociale avente per scopo la salvaguardia
dei diritti umani a favore del popolo Rom nell'est dell'Europa. Dopo aver
lasciato gli Stati Uniti per proseguire gli studi a Madrid, dove lavora come
giornalista free lance, ha intrapreso un lungo percorso di ricerca sulle origini
della propria famiglia, studi durante i quali scopre documenti che permettono di
riportare alla luce l'esistenza di un campo di concentramento Lety, in
Repubblica Ceca.
Nel 1999 viene ingaggiato dalle Nazioni Unite e inviato nel Kosovo come
intermediario tra le istituzioni e i gruppi rom perseguitati.
Nel 2004 Paul Polansky è insignito del premio Human Rights Award, consegnatogli
direttamente da Günter Grass.
Del 2005 il suo film-documentario "Gipsy Blood", premiato al Golden Wheel
International Film Festival di Skopje, è visibile su
youtube.
Grazie alla sua presenza e al suo lavoro di divulgazione e attivismo
umanitario, il mondo non può condannare all'oblio le famiglie Rom che vivono nei
campi del Kosovo contaminati dal piombo.
Ora esce il nuovo libro di Paul: "La mia vita con gli zingari". Prefazione di
Pietro Marcenaro. Una testimonianza che diventa manifesto civile e ci induce a
non restare a guardare le tragedie che colpiscono il popolo Rom, ma ad agire.
(Da
Everyonegroup.com)
Uscita 31 ottobre, ed i falchetti della nostra redazione, l'hanno subito intercettato...
Mercoledì 2 novembre ore 21.00 al Circolo ARCI Martiri di Turro in via
Rovetta 14 - Milano (Ingresso gratuito con tessera Arci) L'Associazione La Conta in collaborazione con Mahalla
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