Io e
Paul Polansky siamo seduti al bar uno di fronte all'altro. Sul tavolino tanti libri e due bicchieri di birra. So che la sera mi aspetta un compito non facile: dobbiamo presentare il suo
ultimo libro uscito da appena 2 giorni, e ovviamente non ho ancora potuto
leggerlo.
Per fortuna il posto è tranquillo. Paul mi ha riassunto i capitoli principali, a
cui ho dato una rapida scorsa, poi gli faccio alcune domande su quelle che mi
sembrano le questioni chiave sollevate. Ci accordiamo: durante la presentazione,
leggerò l'inizio di quei capitoli e gli porrò 2 o 3 domande per volta, altre
(spero) verranno dal pubblico, lui risponderà.
Non voglio fare una brutta figura di fronte a lui e al pubblico, così gli dico
che mentre aspettiamo darò un'altro sguardo al libro, "RANDOM", per farmene
un'idea meno approssimativa. Lui annuisce e si concentra nella traduzione in
spagnolo di alcune sue poesie.
Leggo con attenzione ma poca partecipazione l'introduzione di Pietro Marcenaro e
poi quella sua. Passo alle pagine interne, scorro la prima parte sulla Spagna. E
da questo momento termina la mia intenzione di leggere a caso e la mia
improbabile carriera di critico. Perché quando passo distrattamente al secondo
capitolo, la storia diventa un film breve e appassionante che non riesco ad abbandonare: quei
personaggi lì vedo davanti a me, reali, in tutto simili a tanti che conosco.
Riconosco il loro modo di parlare e ricordare, le strade percorse, le loro
vicissitudini, forse ne sento persino l'odore.
Ho persino paura che qualcuno possa notare il mio turbamento. Cerco di calmarlo
uscendo a fumare una sigaretta.
A parte questo, cosa potete trovare in 206 pagine, al prezzo di 18 euro?
Tante cose. Chi già conosce l'autore, troverà la risposta ad una domanda che
viene naturale farsi: come ha iniziato a vivere con gli zingari e perché ha
iniziato a scriverne. Chi non lo conosce, potrà fare un viaggio introduttivo
nella storia, cultura, religione, dei popoli rom e sinti in Europa e altrove.
Polansky è nel contempo un antropologo severo ed un testimone partecipe. Ama
ripetere: "Vivo tra gli zingari come uno studioso, ma ne scrivo con le loro
parole e la loro mente." ...Le loro parole e la loro mente: ecco il senso
del turbamento che descrivevo prima, perché Polansky sa anche essere scrittore
di razza. Asciutto, fotografico.
E poi, il libro va letto anche per le piccole chicche:
come quando racconta di un Rom scampato alla guerra, che nel 1948 aiuta
un Tedesco residente nei Sudeti ad abbandonare la Cecoslovacchia comunista,
che stava espellendo tutti i cittadini di origine tedesca;
o di quando ricorda un suo viaggio nel deserto del Rajastan: giunto nei
pressi di un accampamento zingaro, questi gli chiesero se voleva ascoltare
la loro musica. Si misero a suonare, ed eruppe una musica che a decine di
migliaia di km. e a secoli di distanza, assomigliava in tutto al cante
hondo dei gitani.
Lasciamo il libro per un momento, e facciamo un confronto:
Non voglio dilungarmi, il libro potrà anche stupire o far discutere, visto
che l'argomento ZINGARI rimane scottante. L'importante è approcciarlo con la
serietà e la passione necessarie.
Termino riportando l'ultima pagina del libro, per la sola
ragione che è bella:
Vivendo con loro ho scoperto che le differenze tra loro e me sono così
piccole che a volte non riesco a vederle affatto. L'amore delle madri per i
loro figli mi ricorda l'amore della mia per i suoi sette figli. Infatti, ho
notato che le madri, e in generale le famiglie gitane, sono molto più
premurose di quanto non siano le famiglie europee o americane di oggi. Gli
Zingari anziani non vengono messi in case di cura come fossero dei lebbrosi
ma, al contrario, vengono accuditi e rispettati nella propria casa e dalla
propria famiglia. Ciò non accade spesso nella civiltà occidentale.
So che, quando sarò vecchio, sarà probabilmente una famiglia di Zingari a
prendersi cura di me fino alla mia morte e non uno dei miei quattro figli.
Grazie Dio, per aver creato gli Zingari. Possano essi ereditare la terra,
come Dio ha promesso loro!